E’ stata approvata la legge 15 marzo 2017, n. 33, sul contrasto della povertà e la delega per il reddito di inclusione e il riordino delle prestazioni assistenziali. La misura, che costituisce livello essenziale delle prestazioni ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione, è finalizzata a garantire l’autonomia economica e l’occupazione dei cittadini disoccupati, inoccupati o precariamente occupati.

Per l’attuazione della legge è prevista l’emanazione di uno o più decreti con cui il Governo dovrà disciplinare: l’introduzione di un’unica misura a livello nazionale con carattere universale, il riordino delle prestazioni di natura assistenziale finalizzate al contrasto alla povertà (escluse quelle di natura previdenziale), il rafforzamento del coordinamento degli interventi in materia assistenziale.

Il reddito d’inclusione sarà condizionato alla prova dei mezzi, sulla base dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), tenendo conto dell'effettivo reddito disponibile e di indicatori della capacità di spesa, nonché all'adesione ad un progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa finalizzato all'affrancamento dalla condizione di povertà. La misura prevede oltre al beneficio economico anche una “componente di servizi alla persona assicurati dalla rete dei servizi e degli interventi sociali di cui alla legge, 328/2000”, all’interno di un progetto personalizzato. Nei decreti attuativi, dovranno essere anche indicati i requisiti minimi di residenza, per godere dei beneficio, così come la durata del periodo e della possibilità di rinnovo.

Il reddito d’inclusione sarà finanziato con il Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale, previsto dalla legge di stabilità 2016, che ha una dotazione di 600 milioni di euro per l'anno 2016 e di 1.000 milioni di euro a decorrere dall’anno 2017.  Con l’istituzione del Fondo, la legge di stabilità 2016, aveva previsto il Piano nazionale per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale, da adottare (mediante DPCM) a cadenza triennale, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e  d'intesa con la Conferenza unificata. Il Piano deve individuare una progressione graduale, nei limiti delle risorse disponibili, nel raggiungimento di livelli essenziali delle prestazioni assistenziali da garantire su tutto il territorio nazionale per il contrasto alla povertà. Al finanziamento del Piano concorreranno anche risorse afferenti ai programmi operativi nazionali e regionali previsti dall’Accordo di partenariato per l’utilizzo dei fondi strutturali europei 2014-15.

Il secondo punto oggetto della delega è relativo al riordino delle prestazioni di natura assistenziale finalizzate al contrasto della povertà, finalizzata all’“assorbimento”, delle altre misure, nel reddito di inclusione.

Il terzo punto della delega è il rafforzamento del coordinamento degli interventi in materia di servizi sociali che sembra genericamente riferirsi a tutte le prestazioni e ai servizi sociali. Qui non è fatto alcun riferimento alla povertà, come negli altri due punti oggetto di delega. Il legislatore prevede l’istituzione di “un organismo di coordinamento del sistema degli interventi e dei servizi sociali presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali con la partecipazione delle regioni, delle province autonome e dell’INPS, al fine di favorire una maggiore omogeneità sul territorio nazionale delle prestazioni e definire linee guida degli interventi”.

Questa parte della delega suscita alcune perplessità, in quanto la materia dell’assistenza sociale (o dei servizi sociali) rientra, come più volte ribadito dalla Corte costituzionale (che usa indifferentemente la  locuzione assistenza sociale o servizi sociali), nella competenza regionale. La disposizione sembra riecheggiare quanto era previsto nel disegno costituzionale c.d. Renzi-Boschi, bocciato dal referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, ove era attribuito allo Stato la competenza nel definire disposizioni generali e comuni in materia di assistenza sociale. L’aver, infatti, previsto un organismo, cui partecipano anche le Regioni e le P.A. del  sistema di assistenza,  non dei servizi o interventi, senza peraltro che venga fatto alcun riferimento ai livelli essenziali concernenti i diritti civili e sociali, che invece rientrano nella competenza dello Stato (art. 117 Cost. c.2 lett. m), sembra presupporre un’attività che comprende l’organizzazione, la programmazione e la gestione delle politiche, aspetti questi che attengono strettamente alla competenza regionale. In particolare, la specificazione della finalità dell’organismo “di favorire una maggiore omogeneità territoriale nell’erogazione delle prestazioni” sembra proprio confermare che non si faccia riferimento a prestazioni attinenti ai livelli essenziali, che in quanto tali devono essere già omogenei; così come il “ definire linee guida degli interventi” sembra presupporre una attività di programmazione generale che non attiene alle competenze dello Stato in materia sociale. Che non sia quest’ultima una competenza dello Stato in materia sociale trova peraltro una conferma nel frequente ricorso alle linee guida che invece si adottano in ambito sanitario dove la materia è concorrente.

Diverso sarebbe stato se la delega avesse previsto, invece, un coordinamento di quei servizi e prestazioni che costituiscono livello essenziale, ai quali la delega omette in questo caso di fare espresso riferimento. L’omissione del riferimento ai livelli essenziali non sembra casuale ,qualora si considerino due aspetti: il primo è la  mancata definizione, da parte del legislatore statale dei livelli essenziali relativi alle prestazioni sociali, il secondo è, invece, l’attribuzione al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nel capoverso successivo, del  compito di verifica e controllo del rispetto dei livelli essenziali, al di là del monitoraggio sull’attuazione del reddito di inclusione.

Infine, la delega prevede un rafforzamento della gestione associata della programmazione degli interventi a livello di ambiti territoriali, anche mediante meccanismi premiali nella distribuzione delle risorse. E da ultimo, è previsto un riordino delle forme strumentali per la gestione associata dei servizi sociali proseguendo e favorendo quindi il processo avviato con DL n. 78 del 2010 convertito con legge n. 122 del 2010.

Parallelamente all’approvazione della legge delega sulla povertà, tuttavia, bisogna registrare un significativo taglio operato sui fondi destinati alle politiche sociali sul quale le Regioni, purtroppo, non hanno manifestato alcun dissenso.

In particolare, il Fondo per la non autosufficienza è stato decurtato di 50 mln di euro e il  Fondo nazionale per le politiche sociali di 211 mln,  riducendolo a soli 99 mil. Si tratta di una riduzione inferiore solo a quella del 2012, dove il fondo aveva toccato il minimo storico con una dotazione di soli 10,5 mln, e sulla quale non era stato raggiunto l’accordo in Conferenza Unificata. A quell’epoca il mancato accordo aveva suscitato un’unanime protesta delle Regioni che avevano espresso forti preoccupazioni per la tenuta del sistema di Welfare. La dotazione del fondo, poi, era stata già nel 2013 riportata a 300 mln.  

Nel caso dei recenti tagli, invece, come si è detto, c’è stato il silenzio delle Regioni, salvo un primo diniego dell’intesa nella Conferenza del 9 febbraio scorso. Successivamente, l’intesa veniva siglata, presumibilmente per il raggiunto accordo politico in cui il “taglio” è stato bilanciato  dalle maggiori risorse, messe a disposizione per il finanziamento del reddito di inclusione.

Tuttavia, su quest’ultimo le Regioni non avranno mano libera in quanto si tratta di un finanziamento vincolato all’erogazione del reddito di inclusione. A questo si aggiunge lo sblocco, a determinate condizioni, dei finanziamenti per le Regioni pari a 132,5 mln di euro destinati ad  investimenti nuovi ed aggiuntivi la cui avvenuta realizzazione dovrà essere certificata entro il 31 marzo 2018.

Finanziamenti, tuttavia, non necessariamente destinati alle politiche sociali; anche se, con riguardo al Fondo per la povertà, le Regioni hanno trovato l’accordo con il Governo nel prevedere che le risorse risparmiate sul Fondo nazionale povertà siano destinate ad implementare il Fondo nazionale per le politiche sociali per i profili inerenti la sperimentazione dell’assegno di disoccupazione.

 

Menu

Contenuti