Il 27 settembre 2019 è stata depositata in Cassazione una richiesta di referendum abrogativo ai sensi dell’art. 75 Cost. formulata dai consigli regionali di Veneto, Sardegna, Lombardia, Friuli, Piemonte, Abruzzo, Liguria e Basilicata per l’abolizione della quota proporzionale del vigente sistema elettorale (introdotto dalla legge n. 165 del 2017), il c.d. Rosatellum.

In sintesi, attualmente vi è per entrambe le Camere un sistema elettorale “misto” – miscelando una componente maggioritaria uninominale ed una proporzionale plurinominale – come quello che in Italia si è avuto dal 1993 al 2005 con il c.d. Mattarellum, per quanto la composizione del mix di maggioritario uninominale e proporzionale plurinominale sia molto diversa, posto che con quest’ultimo si ebbe la prevalenza della componente maggioritaria uninominale (75% dei seggi), mentre con il vigente sistema tale componente è ridotta al 36,8% dei seggi contro il 63,2% della componente proporzionale.

Nello specifico, attualmente, l’assegnazione di 232 seggi alla Camera (su 630 complessivi) e di 116 seggi al Senato (su 315 complessivi) è effettuata in collegi uninominali, in cui è proclamato eletto il candidato più votato.

Si tratta, perciò, del tipico sistema britannico che si ispira al principio del first past the post: in sostanza, il seggio è attribuito a colui che ottiene la maggioranza relativa dei voti (e non si dà, perciò, luogo ad alcun turno di ballottaggio).

L’assegnazione dei restanti seggi (circa 2/3) avviene in collegi plurinominali, con metodo proporzionale tra le liste e le coalizioni di liste che abbiano superato le soglie di sbarramento.

Vi sono proclamati eletti i candidati della lista del collegio plurinominale secondo l’ordine di presentazione, nel limite dei seggi cui la lista abbia diritto. Si tratta dunque di c.d. liste bloccate, che escludono il voto di preferenza.

Il referendum promosso dai Consigli regionali mirerebbe proprio a cancellare questa quota proporzionale, per determinare l’applicazione del sistema maggioritario per tutti i seggi di entrambe le Camere.

Perciò, laddove il referendum fosse ritenuto (dalla Cassazione) regolarmente proposto e (dalla Corte costituzionale) ammissibile, l’eventuale approvazione del quesito da parte del corpo elettorale determinerebbe il passaggio a un sistema in cui tutti i seggi sono assegnati sulla base di una competizione “uno contro uno” in ogni collegio, dal quale risulterebbe dunque eletto il candidato più votato (a prescindere dal raggiungimento della maggioranza assoluta dei voti).

Dal punto di vista della tecnica giuridica, bisogna ricordare che la Corte costituzionale ha più volte specificato che il sistema elettorale “di risulta” – quello, cioè, che si verrebbe a delineare per effetto dell’abrogazione – deve essere immediatamente applicabile, senza successivi interventi normativi, dal momento che la legge elettorale è una legge c.d. costituzionalmente necessaria, che cioè non può mancare nel nostro ordinamento, nel senso che deve sempre vigere un sistema applicabile per il rinnovo delle Assemblee rappresentative.

Nel caso del quesito referendario proposto dai Consigli regionali, la Corte costituzionale dovrà valutare se la mancanza di una disciplina che ridisegni i collegi uninominali (che passerebbero da 232 a 630 per la Camera dei deputati e da 116 a 315 per il Senato della Repubblica) possa ostacolare l’applicazione immediata della normativa di risulta e, perciò, determinare l’inammissibilità del quesito.

Non è poi senza significato che l’appello al corpo elettorale sulla legge elettorale – laddove il quesito referendario passasse con successo il vaglio di regolarità e di ammissibilità – si sommerebbe a quello che potrebbe aversi sulla riforma costituzionale per il “taglio dei parlamentari”, la quale ultima peraltro non sarebbe soggetta al raggiungimento del quorum.

Due appelli al corpo elettorale, insomma, che potrebbero significativamente incidere sul funzionamento della rappresentanza politica in Italia.

 

Menu

Contenuti