Come primo effetto del post-Brexit la Scozia, tramite il suo primo ministro, Nicola Sturgeon, torna a far sentire la propria voce per chiedere un referendum per l’indipendenza. La tesi è che la Scozia non ha votato per uscire dall’Unione Europea. Al contrario, è sempre stata fortemente orientata per il remain, e pertanto deve potersi esprimere tramite un referendum per sanare un vulnus democratico. Va da sé che un nuovo referendum per l’indipendenza in Scozia sarebbe, al contempo, un voto sulla secessione dal Regno Unito e un voto sulla richiesta di annessione all’Unione – sebbene non nell’area Euro, specifica il Primo Ministro.

La vicenda scozzese si allinea alle tensioni secessioniste nella Catalogna, e anche, sebbene in misura minore, alle vicende italiane, circa la richiesta di maggiore autonomia delle Regioni del Nord. Tutto ciò accade poiché uno dei risultati (non attesi) del processo di integrazione europea e del mercato comune è quello di ridurre i costi della secessione.  

Le dimensioni degli stati sono la conseguenza di un trade-off (compromesso) economico, oltre a determinanti storiche e culturali. Da un lato, Stati più piccoli sono più omogenei, con cittadini tra loro più simili in termini di preferenze nella gestione della cosa pubblica. Dall’altro, Stati grandi garantiscono mercati più estesi e una serie di economie di scala in una serie di politiche, come la difesa, la politica commerciale, l’amministrazione della giustizia, nonché un maggiore potere negoziale nelle relazioni internazionali.[1] Quest’ultimo ha assunto un’importanza sempre maggiore negli ultimi anni, dal momento che lo spazio della politica ha sempre più carattere sovranazionale, come nel caso degli accordi commerciali , delle politiche migratorie e ambientali.

I processi di integrazione sovra-nazionali che hanno avuto luogo in tutto il mondo negli ultimi venti anni sono anche il risultato di crescenti benefici derivanti da mercati più estesi e condivisione di talune politiche. In questo nuovo contesto economico e geopolitico, gli Stati più piccoli sono sempre più deboli, e inclini ad aderire ad una forza regionale; (come il processo di continuo allargamento della UE verso i paesi dei Balcani dimostra, con la recente adesione della Croazia e la candidatura ufficiale di altri Paesi dell’area).

Le integrazioni regionali come l’Unione Europea riducono i costi di secessione per le regioni - ossia quei costi che una regione che decide di rendersi indipendente dovrà sopportare - perché offrono agli stati piccoli i vantaggi degli stati grandi, dal momento in cui tutte quelle politiche in cui gli stati piccoli tendono ad essere svantaggiati, vengono avocate a livello comunitario. Lo stesso ragionamento si applica al mercato comune europeo che garantisce a tutti gli stati membri uguale accesso per l’esportazione di beni. La moneta e la politica monetaria, limitatamente ai paesi che aderiscono all’Euro zona, sono già gestite da un organo sovranazionale autonomo, come la Banca Centrale Europea; molte altre politiche, come quella commerciale, della ricerca, agricola e ambientale, sono sempre più europee e meno nazionali.

Negli anni precedenti alla creazione del mercato comune e all’integrazione politica europea, la prospettiva di una Catalogna, un Veneto o una Scozia indipendenti, non sarebbe stata sensata. Era difficile ipotizzare una Scozia indipendente che doveva negoziare accordi commerciali con le grandi potenze mondiali, USA, Cina e UE, o in seno a organismi internazionali, come l’Organizzazione Mondiale del Commercio.

Oggi, invece, la prospettiva di una Scozia indipendente è realistica, e realizzabile, perché coperta dall’ombrello dell’Unione. La Scozia può permettersi di separarsi perché rientrando nell’Unione Europea godrebbe di una serie di benefici derivanti dalla gestione comunitaria di numerose politiche, nonché dall’accesso al mercato comune. Non da ultimo, la Scozia beneficia di ingenti risorse provenienti dalla politica di coesione europea che andrebbero rinegoziati con Westminster. 

Non sfugge un dilemma che scaturisce da questo ragionamento. Da un lato, si avverte la necessità di una spinta verso una maggiore integrazione in molti campi (difesa comune, politica migratoria, politica commerciale) come condizione per tenere l’Europa coesa. Dall’altro, un’Europa politicamente più integrata crea al contempo incentivi crescenti di autonomia e, nei casi più estremi, di indipendenza regionale.

Un processo progressivo di devoluzione politica verso l’alto (a livello comunitario) e verso il basso (maggiore autonomia regionale) tenderà a ridurre, gioco forza, lo spazio politico degli stati nazionali, la cui perdita di rilevanza è già stata troppo spesso e frettolosamente decretata in passato[2]; gli stati nazionali hanno invece sempre mostrato di sapersi reinventare nel mutamento continuo che caratterizza la coevoluzione degli spazi della politica, delle determinanti economiche, e delle dinamiche sociali.

 


[1] V. Alesina, A., Spolaore, E., 2003. The size of nations. Cambridge, MA, and London: MITPress.

[2] V. Kenichi Ohmae, 1995. The End of the Nation State: The Rise of Regional Economies.

 

 

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