Il percorso delle Regioni italiane sul tema dell’autonomia è variegato e rispecchiano la condizione di un Paese segnato dal divario territoriale e diviso tra Regioni competitive, Regioni in equilibrio e Regioni non autosufficienti

22 settembre 2017

 

Il prossimo 22 ottobre due Regioni importanti, il Veneto e la Lombardia, hanno indetto un referendum popolare per chiamare i loro cittadini a decidere sull’attivazione del procedimento per ottenere dallo Stato forme e condizioni particolari di autonomia, sulla base di quanto prescrive l’articolo 116, comma 3, della Costituzione.

Una terza Regione, anch’essa molto rilevante, l’Emilia Romagna, ha già predisposto una bozza di proposta di iniziativa in tal senso.

Il percorso delle Regioni italiane sul tema dell’autonomia è variegato e rispecchiano la condizione di un Paese segnato dal divario territoriale e diviso tra Regioni competitive, Regioni in equilibrio e Regioni non autosufficienti.

L’iniziativa delle Regioni per l’applicazione della clausola di asimmetria è una grande occasione anche per lo Stato, il quale, da un lato, può venire fuori con una maggiore capacità esterna, nel campo delle relazioni europee e internazionali, e, dall’altro, sul piano interno, può migliorare la sua azione di perequazione territoriale, affidandosi non solo al semplice trasferimento di risorse, ma prevedendo anche un particolare monitoraggio delle Regioni con le maggiori insufficienze che può comportare un’applicazione più accurata di particolari meccanismi costituzionali come l’intervento speciale dell’articolo 119, comma 5, e l’esercizio del potere sostitutivo dell’articolo 120, comma 2, della Costituzione.

Anche se il conferimento di forme e condizioni particolari di autonomia è uno strumento offerto dalla Costituzione per definire meglio l’identità regionale, sarebbe errato interpretare la clausola di asimmetria come una menomazione dell’unità e indivisibilità della Repubblica o come una minaccia per l’unità giuridica o per l’unità economica del Paese. Al contrario, l’art. 116, comma 3, con il principio di asimmetria si muove diversamente dal principio di specialità – il quale opera in deroga delle disposizioni costituzionali del Titolo V, ma anch’esso nella cornice dell’unità e indivisibilità della Repubblica – e rappresenta una modalità di attuazione del regionalismo ordinario, il cui effetto benefico è costituito dalla competitività tra i territori, che consente il trasferimento delle migliori pratiche, dalla maggiore responsabilità degli amministratori, che può essere fatta valere più facilmente dai cittadini, dalla prossimità delle decisioni, che consente una maggiore accuratezza e rispondenza ai bisogni della popolazione, e dalla sussidiarietà dei diversi livelli di governo, che consente una migliore distribuzione dei compiti pubblici.

Certamente siamo ancora a prima dell’inizio e i referendum, che non sono necessari per promuovere l’iniziativa dell’art. 116, comma 3, possono diventare un problema, piuttosto che – come erano stati pensati – un sostegno, e ciò per la disaffezione dei cittadini alla politica e per la visione mediatica offerta in questi anni delle Regioni. Tuttavia, bisogna avere fiducia nella capacità politica dei cittadini di sapere discernere gli aspetti positivi da quelli negativi.

 

Una volta superato questo scoglio iniziale del referendum, però, si è solamente all’inizio di un percorso per molti aspetti ignoto, tanto alle Regioni interessate, quanto al Governo e al Parlamento.

L’art. 116, comma 3, Cost. dispone: «Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata».

Ora, senza prendere in considerazione il novero delle competenze legislative e delle funzioni amministrative che le Regioni ordinarie possono acquisire, che sono davvero importanti e considerevoli, tali da richiedere un’accurata ponderazione, già il procedimento previsto dall’art. 116, comma 3, da solo, richiede una particolare attenzione. La disposizione costituzionale, infatti, prevede: un’iniziativa della Regione; una consultazione con gli enti locali; il rispetto dei principi dell’articolo 119 della Costituzione; l’intesa tra la Regione interessata e lo Stato; l’approvazione della legge da parte delle Camere a maggioranza assoluta.

Ognuno di questi cinque momenti appare suscitare dei problemi:

a) l’iniziativa regionale può avere due vie: la prima potrebbe essere a cura della Giunta e rivolta al Governo; la seconda, invece, derivare da una iniziativa del Consiglio regionale, direttamente alle Camere, sulla base dell’art. 121, comma 2, Cost. (il Consiglio regionale “può fare proposte di legge alle Camere”).

b) la consultazione con gli enti locali sembra prevista nella forma del parere obbligatorio, ma non vincolante. La questione attiene al carattere della consultazione: se riguarda i singoli enti locali, oppure la loro rappresentanza in seno alla Regione a norma dell’art. 123, u. c., Cost. (“In ogni Regione, lo statuto disciplina il Consiglio delle autonomie locali, quale organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali”).

c) il rispetto dei principi dell’art. 119 Cost. può essere inteso, non solo nel senso che le forme e condizioni particolari di autonomia richieste, dal punto di vista finanziario, siano in armonia con “i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”, ma anche che la finanza regionale abbia un “bilancio in equilibrio” e che le funzioni ulteriori abbiano una copertura adeguata.

Sembra potersi dire che sia necessario, perciò, che la Regione abbia: un debito pubblico più che sostenibile; una capacità fiscale adeguata; un sistema tributario che non abbia esercitato tutta la pressione fiscale; una finanza locale equilibrata; e, ovviamente, l’assenza di piani di rientro o di forme di commissariamento statale.

d) l’intesa tra la Regione interessata e lo Stato sembrerebbe presupporre una negoziazione e un accordo tra il Governo e la Giunta regionale. Tuttavia, non è mancato chi, sostenendo che l’intesa deve essere raggiunta sull’iniziativa (legislativa) di spettanza del Consiglio regionale, ritiene conseguentemente che l’intesa debba essere un accordo tra il Consiglio medesimo e le Camere, sulla falsa riga di quanto accadeva con l’approvazione degli statuti regionali prima della revisione costituzionale del 1999. Questo secondo procedimento avrebbe dalla sua l’esempio spagnolo, da cui era tratto il modello del precedente articolo 123 Cost., che, affidando la definizione delle competenze regionali allo statuto, richiede l’approvazione del Parlamento.

e) l’approvazione della legge da parte delle Camere a maggioranza assoluta serve a rivestire di forma legislativa l’intesa raggiunta sull’iniziativa regionale. Sia che l’intesa venga considerata di spettanza del Governo e della Giunta, sia che sia ritenuta di competenza del Parlamento e del Consiglio, la legge di approvazione sembrerebbe essere una legge meramente formale, nel senso che le Camere possono approvare a maggioranza assoluta, o non approvare (o non raggiungere la maggioranza assoluta sul)l’accordo; nel primo caso si avrebbe il trasferimento delle competenze e delle risorse, nel secondo, invece, il sistema delle competenze non viene innovato. La medesima fonte può anche essere considerata atipica e rafforzata.

Sarà ancora una volta compito della scienza del Diritto costituzionale e degli studiosi del regionalismo dare il giusto supporto alle Istituzioni, per procedere a decisioni politiche ponderate e nell’interesse della Repubblica.

 

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