Con la recente sentenza n. 168 del 2018, la Corte costituzionale ha chiuso definitivamente ogni discussione sul tema della rappresentatività degli enti di area vasta. Il caso verteva su una legge della Regione Sicilia che aveva reintrodotto l’elezione a suffragio universale e diretto per il Presidente e il Consiglio dei liberi Consorzi comunali (ovvero le Province siciliane), l’elezione a suffragio universale e diretto per il Sindaco metropolitano e il Consiglio metropolitano e, addirittura, l’indennità di carica per il Presidente del libero Consorzio comunale e il Sindaco metropolitano: tutte misure che sostanziavano un clamoroso superamento della recente legislazione nazionale (legge n. 56 del 2014, nota come “Legge Delrio”) e della giurisprudenza costituzionale (prima fra tutte, la sent. n. 50 del 2015).

La Corte ha accolto le eccezioni di incostituzionalità sollevate dallo Stato, blindando l’impianto della legge n. 56 anche davanti alle Regioni ad autonomia speciale (titolari della potestà legislativa primaria in materia di ordinamento degli enti locali): «I previsti meccanismi di elezione indiretta degli organi di vertice dei nuovi “enti di area vasta” sono, infatti, funzionali al perseguito obiettivo di semplificazione dell’ordinamento degli enti territoriali, nel quadro della ridisegnata geografia istituzionale, e contestualmente rispondono ad un fisiologico fine di risparmio dei costi connessi all’elezione diretta» (sent. n. 168 del 2018, punto 4.3 del Considerato in diritto. Corsivo aggiunto). In sostanza, eleggere direttamente gli organi di Province e Città metropolitane è diventato una sorta di lusso non più sostenibile: anzi, se il fine del risparmio che deriva dall’elezione indiretta è fisiologico, allora ne consegue che tornare all’elezione diretta (e ai suoi costi) sarebbe patologico.

Ora, che l’obiettivo della “Legge Delrio” fosse tout court quello di eliminare le Province quali enti politici autonomi, e non quella di una attenta e ponderata riorganizzazione del sistema delle autonomie, era abbastanza evidente (almeno per molti giuristi); che le ragioni alla base di tale eliminazione fossero l’incalzante (tale per via dei media, dei social media e di alcune forze politiche di opposizione) idea della Provincia quale «livello di governo ridondante, fonte di spreco di risorse economiche, buono solo per alimentare un pezzo anch’esso superfluo della classe politica locale» (secondo la sintesi critica di Baccetti) era abbastanza presumibile; e che, pertanto, il fine della maggioranza di governo del 2014 fosse anche quella di togliere terreno a tale idea, sposandone la sostanza e anticipandone la realizzazione altrui, è da ritenersi abbastanza verosimile.

Da oggi, di tutto ciò abbiamo certezza. La cit. sent. n. 168 sposa appieno un’idea amplissima del contenimento della spesa pubblica, finalità rischiosamente estesa al campo della rappresentatività diretta degli enti di cui all’art. 114 della Costituzione (ivi definiti costitutivi della Repubblica), dunque delle elezioni e del diritto di voto dei cittadini (che, con la legge n. 56 del 2014, hanno un’occasione in meno per esercitarlo); per contro, la maggioranza politica che decise in tal senso, cercando verosimilmente di fronteggiare la così detta antipolitica sul suo stesso terreno, non sembra aver riscosso grossa fortuna da tale decisione, come l’esito impietoso delle elezioni politiche del 4 marzo 2018 sembrerebbe indicare.

 

Menu

Contenuti