Il risultato del referendum del 4 dicembre pone le basi per una diversa conclusione della fase istituzionale transitoria del regionalismo italiano, segnata dalla legislazione della crisi.

Anziché la svolta neo-centralista delle competenze legislative e il controllo statale delle risorse finanziarie pubbliche, compensata dalla partecipazione al centro con un senato delle regioni e delle autonomie, il disegno costituzionale rimane quello del 2001, con la partecipazione delle regioni alla politica economica del Paese, la previsione di un federalismo fiscale e una consistente autonomia politica.

Restano aperti, come del resto erano aperti già nel 2001, le questioni inerenti al raccordo delle funzioni tra stato e regioni e, in particolare, al raccordo delle competenze legislative. La giurisprudenza costituzionale – atteso anche l’insuccesso nell’attuazione dell’art. 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001 – aveva istituito un raccordo fondato sul principio di leale collaborazione, in occasione della c.d. “chiamata in sussidiarietà”, basato sul sistema delle conferenze.

Dopo il tentativo di riforma del senato, l’idea di introdurre una camera delle regioni sembra destinata a essere recessiva; ma anche la possibilità di un raccordo inerente alla funzione legislativa per mezzo delle conferenze non appare più sostenibile, non fosse altro per la circostanza che questa realizza un raccordo a valle dell’esercizio della funzione legislativa e tra gli esecutivi.

In questa situazione l’attuazione di quanto previsto dall’articolo 11, con “la partecipazione di rappresentanti delle Regioni, delle Province autonome e degli enti locali alla Commissione parlamentare per le questioni regionali”, resta la via migliore per dare vita a un coordinamento delle funzioni legislative, proprio perché la collaborazione interviene direttamente sulla formazione dei principi che riguardano la competenza concorrente.

Da questo punto di vista, appare auspicabile da subito un superamento del blocco che si determinò al tempo del comitato “Mancino”, sulla composizione della commissione integrata, allorquando i parlamentari richiedevano che a partecipare, in qualità di rappresentanti delle regioni, fossero i membri dei rispettivi consigli regionali e i “governatori” opposero il loro veto, pretendendo di entrare a far parte della sede parlamentare.

I tempi appaiono maturi per una partecipazione dei consigli regionali alle funzioni parlamentari e per lasciare alle conferenze e agli esecutivi un ruolo più proprio, quale è quello del coordinamento amministrativo.

In questo modo sarà possibile anche porre nella giusta luce la competenza legislativa concorrente di tipo ripartito, vista sin qui come causa dell’eccessivo contenzioso costituzionale e dell’impedimento alla flessibilità delle competenze legislative. Per il vero si è trattato di accuse infondate, utili solo a sostenere la svolta neo-centralista, basti considerare che i problemi della concorrenza legislativa non sono dipesi dall’eccessiva differenziazione regionale, bensì dalla totale assenza del legislatore statale cui è demandato il compito di imprimere, attraverso i principi fondamentali i giusti connotati unitari alle discipline delle materie.

Una riflessione a parte merita la materia concorrente del “coordinamento della finanza pubblica” che durante la crisi ha legittimato ogni forma di intervento del governo, persino sull’organizzazione costituzionale delle regioni, come nel caso della composizione numerica dei consigli regionali. La Corte ha giustificato questo esercizio della competenza e, in alcuni casi, ha persino accentuato il peso dei limiti che il coordinamento della finanza pubblica poteva determinare in termini di tagli alle risorse, sino al punto da non coprire più le funzioni amministrative assegnate. Solo di recente il giudice costituzionale ha iniziato a rivedere la sua giurisprudenza in materia, con la sentenza n. 129 del 2016. Tuttavia, sarà bene ricondurre l’esercizio dei poteri statali in materia di coordinamento della finanza pubblica, entro i confini costituzionali segnati dall’articolo 119 ed è perciò necessario, allo stesso tempo, pensare a una ripresa dell’attuazione del federalismo fiscale, senza il quale l’autonomia politica delle regioni resta una pretesa, più che una realizzazione.

Le regioni italiane appaiono essere ormai un elemento portante del nostro ordinamento, non riducibili al rango di un grande ente locale. La costruzione di un regionalismo efficiente e capace di supportare la competizione internazionale ed europea del Paese deve essere ancora completata.

A tal riguardo, occorrerà guardare, non solo all’organizzazione e al funzionamento delle regioni, quanto soprattutto allo stato e alla sua amministrazione, che appare ormai appesantita e poco funzionale. Su questo terreno, la necessità di un processo di regionalizzazione dello stato resta attuale; stato e regioni possono collaborare solo se la loro rispettiva conformazione è costruita in modo da rispettare le reciproche prerogative costituzionali. Lo stato, infatti, non è altro che la faccia della medaglia della Repubblica che sull’altro lato porta l’effige delle regioni.

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