Il recente esito del referendum britannico sull’uscita del Regno Unito dall’Unione europea ha generato una condizione di disagio generale e paventato pericoli inediti; le borse hanno vacillato; gli stessi promotori del referendum sono apparsi preoccupati; i capi delle cancellerie europee si sono presentati insieme, ma hanno preso posizioni diverse; infine, le Istituzioni europee, fatta eccezione per la BCE, sono rimaste silenti.

La Brexit e il futuro dell’Unione europea

Il recente esito del referendum britannico sull’uscita del Regno Unito dall’Unione europea ha generato una condizione di disagio generale e paventato pericoli inediti; le borse hanno vacillato; gli stessi promotori del referendum sono apparsi preoccupati; i capi delle cancellerie europee si sono presentati insieme, ma hanno preso posizioni diverse; infine, le Istituzioni europee, fatta eccezione per la BCE, sono rimaste silenti.

È evidente che la Brexit corre il rischio di essere la punta di un iceberg; non si possono ignorare i segnali che sono emersi nel corso degli ultimi anni di sentimento antieuropeo e che in buona parte si è riversato anche nel Parlamento europeo nelle elezioni del 2014. I due partiti maggiori europei: i popolari e i socialisti, che pure avevano ipotizzato, presentando ognuno un proprio candidato alla presidenza della Commissione, un sistema politico europeo tendenzialmente bipolare, sono stati costretti a mettersi insieme, aggregando anche i liberali, per fronteggiare la parte antieuropea del Parlamento.

In realtà, il disagio europeo è profondo ed è legato alle vicende della crisi finanziaria internazionale e alle sue ripercussioni sul sistema europeo: Unione europea e Stati membri. Infatti, mentre negli Stati Uniti i segni della ripresa sono alquanto evidenti, in Europa – nonostante gli sforzi della Banca centrale europea – la crisi sembra non finire mai. Essa non è solo una conseguenza della debolezza degli Stati membri dell’area mediterranea (Grecia, Italia, Spagna e Portogallo) e dei loro debiti sovrani, quanto soprattutto un risultato di una strana combinazione di regole e comportamenti dell’Unione e degli Stati membri: la prima non può sviluppare una politica economica anticiclica, per la mancanza di una propria fiscalità; ma può imporre agli Stati membri una politica di bilancio fondata sul controllo della spesa pubblica che non consente la ripresa. Invece, gli Stati membri sottostanno alle regole europee con grande sofferenza, ma non sono capaci di imprimere all’Unione europea quella spinta politica che consentirebbe di mettere in moto nuovamente il processo di integrazione politica. L’egoismo degli Stati membri e i limiti del disegno europeo stanno, perciò, logorando la più importante esperienza contemporanea di una costruzione federale.

La Brexit, dopo la crisi seguita al Trattato di Maastricht e il fallimento del Trattato costituzionale, può essere l’occasione per ripensare il modello europeo, per evitare una dissoluzione dell’Unione e la dispersione del suo patrimonio culturale e politico accumulato nel corso di quasi settant’anni di storia.

L’idea in grado di rimettere in moto il processo di integrazione europea è quella di una più compiuta democrazia sovranazionale con un sistema istituzionale coeso e solidale, con una diversa collocazione anche dei parlamenti nazionali e con un esecutivo europeo dotato di una vera e propria fiscalità, capace di consentire una politica economica europea efficace.

Forse, per questo progetto, non tutti gli Stati membri sono pronti; e allora occorre che si formi una prima compagine di Stati che affronti la situazione e si dichiari disponibile a dare vita ad una propria sovranità allo “Scopo di realizzare una più perfetta Unione” europea.

Stelio Mangiameli

 

 

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