La Corte costituzionale, con la sentenza n. 35, ha deciso le questioni di legittimità costituzionali concernenti il sistema di elezione della Camera dei deputati, come rivisto dalla legge n. 52 del 2015, meglio noto come Italicum.

Occorre ricordare che la Corte aveva rinviato la propria decisione, prima dell’imminente celebrazione del referendum confermativo della riforma costituzionale Renzi-Boschi (4 dicembre 2016), per evitare ogni interferenza con il confronto politico di quei mesi.

Peraltro, l’entrata in vigore, o meno, della riforma costituzionale non sarebbe stato indifferente rispetto alla decisione, perché avrebbe inserito la legge elettorale della Camera dei deputati in un diverso contesto ordinamentale. Infatti, la riforma del sistema elettorale, dopo la sentenza n. 1 del 2014 sulla legge “Calderoli”, aveva riguardato solo la Camera dei deputati, sul presupposto che di una nuova legge per l’elezione diretta del Senato della Repubblica non vi sarebbe stato bisogno alla luce della riforma del bicameralismo perfetto, che avrebbe reso il Senato una Camera di secondo grado espressiva delle regioni e delle autonomie locali.

Ciò posto, già prima della decisione della Consulta, la mancata approvazione della riforma determinava la conseguenza che, in ogni caso, i sistemi elettorali delle due Camere non sarebbero stati coordinati fra loro: quello del Senato della Repubblica (frutto della legge “Calderoli”, epurata con la sentenza n. 1 del 2014 delle parti costituzionalmente illegittime) proporzionale e privo del correttivo del premio di maggioranza; quello della Camera dei deputati dotato di un forte correttivo maggioritario, con un premio di maggioranza che avrebbe garantito, eventualmente dopo un turno di ballottaggio, il 55% dei seggi.

Ora, l’asimmetria persiste anche dopo la sentenza della Corte costituzionale, in quanto la sentenza ha ritenuto non censurabile l’attribuzione del premio di maggioranza al primo turno, sia pure alla lista che ottenga almeno il 40% dei voti.

Se si passa all’esame delle motivazioni delle decisioni adottate con la sentenza, pubblicata lo scorso 9 febbraio 2017, occorre sottolineare tre distinti profili, il primo di rito e gli altri due sostanziali.

Quanto al primo, deve rilevarsi come la Corte abbia dichiarato la questione di legittimità costituzionale ammissibile, nonostante l’Italicum non abbia mai trovato applicazione, aspetto per il quale si poteva dubitare della rilevanza della questione di legittimità costituzionale sollevata dai giudici a quibus.

In merito, la Corte costituzionale ha aderito alle argomentazioni di questi ultimi, secondo cui “ai fini della proponibilità delle azioni di accertamento, (è) sufficiente l’esistenza di uno stato di dubbio o incertezza oggettiva sull’esatta portata dei diritti e degli obblighi scaturenti da un rapporto giuridico anche di fonte legale”; inoltre, “tale incertezza è idonea di per sé a provocare un ingiusto pregiudizio, non evitabile se non per il tramite dell’accertamento giudiziale circa l’incidenza della legge sul diritto di voto”. Dacché deriva che “l’espressione del voto costituisce oggetto di un diritto inviolabile e ‘permanente’ dei cittadini, i quali possono essere chiamati ad esercitarlo in ogni momento; pertanto, lo stato di incertezza al riguardo integra un pregiudizio concreto, di per sé sufficiente a fondare la sussistenza dell’interesse ad agire”.

Con queste argomentazioni, la Corte ha di fatto dato luogo a un ricorso semi-diretto alla giustizia costituzionale in riferimento al diritto di voto, liberamente esercitabile da ogni cittadino a prescindere dall’effettiva applicazione, o meno, della legge elettorale della cui legittimità costituzionale si dubita.

Quanto ai profili sostanziali, occorre sottolineare le argomentazioni con cui la Corte costituzionale ha accolto due delle questioni di legittimità costituzionale sottopostele.

Anzitutto, la Corte ha ritenuto che il legislatore non sia incorso nuovamente nel vizio di costituzionalità del premio di maggioranza al primo turno di ballottaggio, poiché è stata introdotta una ragionevole soglia minima (40% dei voti) cui è subordinato l’accesso al medesimo.

Invece, è costituzionalmente illegittima la previsione dell’accesso al premio di maggioranza al secondo turno di ballottaggio, che si sarebbe dovuto svolgere laddove nessuna lista avesse ottenuto quella stessa soglia minima. Infatti, la Corte ha ritenuto che “una lista può accedere al turno di ballottaggio anche avendo conseguito, al primo turno, un consenso esiguo, e ciononostante ottenere il premio, vedendo più che raddoppiati i seggi che avrebbe conseguito sulla base dei voti ottenuti al primo turno”. Ne deriva che “le disposizioni censurate riproducono così, seppure al turno di ballottaggio, un effetto distorsivo analogo a quello che questa Corte aveva individuato, nella sentenza n. 1 del 2014, in relazione alla legislazione elettorale previgente”.

La Corte ha inoltre dichiarato incostituzionale la disposizione che prevedeva che la libertà di scelta del deputato eletto in più collegi plurinominali.

Secondo la Corte, “l’assenza nella disposizione censurata di un criterio oggettivo, rispettoso della volontà degli elettori e idoneo a determinare la scelta del capolista eletto in più collegi, è in contraddizione manifesta con la logica dell’indicazione personale dell’eletto da parte dell’elettore, che pure la legge n. 52 del 2015 ha in parte accolto, permettendo l’espressione del voto di preferenza”. Per giunta, “l’opzione arbitraria consente al capolista bloccato eletto in più collegi di essere titolare non solo del potere di scegliere il collegio d’elezione, ma altresì, indirettamente, anche di un improprio potere di designazione del rappresentante negli altri collegi dove risultava eletto, secondo una logica idonea, in ultima analisi, a condizionare l’effetto utile dei voti di preferenza espressi dagli elettori”.

Perciò, la Corte, pur lasciando indenne la possibilità di più candidature, ha eliminato la facoltà di opzione del candidato, al quale il collegio sarà attribuito grazie al criterio residuale del sorteggio.

La Corte, nella sentenza n. 35 del 2017, appare consapevole che la sua decisione determina uno iato fra i due sistemi elettorali della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica e, pur affermando che la legge elettorale derivante dalla pronuncia è perfettamente applicabile, avverte sulla opportunità sempre più attuale di un coordinamento delle due leggi elettorali derivate dalle sue pronunce e, affinché il sistema si mantenga armonico,  che il bilanciamento fra il principio della rappresentatività e l’esigenza di governabilità abbia un analogo svolgimento in entrambe le Camere.

 

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