1. La nozione di Kompetenz-Kompetenz origina dal dibattito in Germania sulla Costituzione federale del 1871. Primo a definirne il concetto fu Hugo Böhlau  che polemizzando contro le posizioni dottrinali che ravvisavano nel procedimentodell’art. 78 della Reichsverfassung il cardine della sovranità del Bund definisce quest’ultima – perdendo egli stesso di vista il concetto bodiniano di sovranità –“competenza delle competenze”ossia una illimitata“competenza che deve essere esercitata dal Bund per deliberare e decidere sull’allargamento della propria competenza(1). Böhlau nega, argomentando a partire dagli atti del Parlamento costituente, che il procedimento dell’art. 78 RV possa servire a modificare il riparto di competenze tra Stati e Bund – e che dunque sia la norma sulla competenza – sostenendo che esso si riferisca soltanto all’organizzazione del Bund, alla sua Verfassung, e non alla Kompetenz la cui allocazione rimane nella disponibilità degli Stati in quanto signori dei trattati (2).
Il saggio di Böhlau configura un’immagine concentrica della Bundesvefassung  con al centro il nucleo dei trattati modificabile soltanto attraverso la stipulazione di nuovi trattati da parte degli Stati e, tutt’attorno, le norme sull’organizzazione del Bund rivedibili attraverso la procedura dell’art. 78 RV. Tutto il movimento del positivismo tedesco della seconda metà del secolo XIX sembra orientarsi alla conquista di quel nucleo contrattuale e dunque all’affermazione del procedimento “parlamentare” di revisione sulla riserva della competenza: all’immedesimazione dell’art. 78 con la “competenza delle competenze” e alla omogeneità degli articoli di costituzione e della loro resistenza.
Esempio paradigmatico di questo movimento è lo sviluppo interno dell’interpretazione, contemporanea alla tesi di Böhlau, di Georg Meyer che, dopo avere affermato, all’interno della stessa carta costituzionale, la distinzione tra Verfassung contrattuale, in cui sono fissate le competenze, e Grundgesetz che definisce la limitata capacità legislativa del Bund (3), in un periodo successivo riduce il nucleo della Verfassung alla soggettività degli Stati (attraverso il procedimento di revisione costituzionale non può essere tolta l’esistenza giuridica di uno stato membro), alla definizione del rapporto federativo (la mediatizzazione delle decisioni del Bund) e all’individuazione degli scopi comuni (4). Al di fuori di questo ormai ridottissimo ambito si estende la legislazione del Bund fino a occupare la ripartizione delle competenze (5).
L’ultimo residuo contrattuale ancora presente nelle Erörterungen di Meyer è risolto dalla critica del concetto di contratto svolta in campo internazionalistico da Georg Jellinek. Poiché, tramontate le concezioni giusnaturalistiche, il diritto internazionale è divenuto diritto pubblico esterno ossia insieme di norme costituzionali con le quali ogni Stato si obbliga, a partire dal proprio ordinamento, a determinati comportamenti verso gli altri Stati (6), non ha senso affermare che da un contratto tra Stati possa in qualche modo originare un nuovo Stato. I contratti – scrive Jellinek – non possono mai costituire il fondamento giuridico dello Stato federale. Infatti, quale ordinamento ricollega all’accordo fra Stati l’effetto di una fondazione statale? Non di certo l’ordinamento dello Stato costituendo e tanto meno quello degli Stati costituenti. La Baviera, per esempio, non potrebbe fondare il Reich tedesco in base al diritto bavarese. Che però il diritto internazionale permetta il sorgere di Stati dai contratti, è una petitio principi o piuttosto l’asserzione di una teoria naturalistica” (7).
Venuto meno anche il residuo contrattuale, tanto la natura dello Stato federale quanto la soggettività degli Stati sono ricompresi in maniera del tutto differente: il primo, in quanto Stato,  si sostanzia di una volontà univoca e unitaria (e non negoziale) che ha nel fatto della nazione tedesca il proprio Anknüpfungspunkt, mentre gli Stati parziali riappaiono come momenti (e non più parti contrattuali) del fatto nazionale rispetto ai quali la volontà stessa si autolimita (8).
Non è qui il luogo per stabilire se, e quando, il risultato di questa autolimitazione sia una struttura costituzionale complessa, un’unità complessiva di Grundnormen (9); ciò che più interessa è osservare che il procedimento di revisione costituzionale, attraverso la critica di Jellinek agli ultimi risultati della dottrina del Bundesstaat di Meyer, si sostituisce definitivamente al fondamento contrattuale e alla stessa soggettività degli Stati che lo presuppone. La Kompetenz-Kompetenz diviene, proprio in quanto principio di trasformazione costituzionale, un concetto autonomo, la chiusura non soltanto dell’ordinamento normativo dello Stato federale ma di ogni Stato, e, in una, persino il procedimento immanente di trasformazione della stessa forma di Stato. D’altro canto è proprio il fatto della nazione, la sua assoluta omogeneità oppure la sua natura composita e differenziata, ad aprire uno spazio libero alla conformazione dell’ordinamento attraverso la competenza delle competenze oppure a predisporre la resistenza di un contorno storico e sociale frastagliato seguendo il quale quella stessa competenza dà forma giuridica all’ordinamento – tale è il caso del Bundesstaat. Che l’unità normativa dell’ordinamento costituzionale conformato dalla Kompetenz-Kompetenz ecceda o prenda congedo dalle configurazioni storiche del fatto, è una possibilità che Jellinek prende in considerazione: sarà allora la norma ad autorizzare la forza statale a conformare il fatto ai contorni dell’ordinamento costituzionale (10).
Al termine del percorso descritto la Kompetenz-Kompetenz appare il supremo “trasformatore” di storia in ordinamento costituzionale e normativo e, come nell’ipotesi appena delineata, addirittura di ordinamento normativo in storia. Anche se il compimento positivistico estremo di questa parabola sta proprio nella disgiunzione kelseniana di fatto (storico) e di norma e nell’affermazione dell’irrazionalità del punto di vista come presupposto della purezza normativa dell’ordinamento (ché, se vi fosse un fondamento giusnaturalistico, contrattuale o semplicemente razionalità storica alla base dell’ordinamento delle norme e alla stessa competenza delle competenze, l’ordinamento perderebbe la propria assoluta positività) (11).
La Kompetenz-Kompetenz, divenuta concetto del diritto pubblico generale tramite le vicende del costituzionalismo tedesco cui si è fatto qui riferimento, è divenuta in Francia, soprattutto grazie alla mediazione di Raymond Carré de Malberg, criterio interpretativo del potere costituente costituito tramite il cui esercizio – riservato dalla Costituzione stessa a uno specifico organo costituzionale – la nazione sovrana può modificare la costituzione ossia le forme giuridiche della propria rappresentanza e della manifestazione della propria volontà legislativa rispetto all’intera società degli individui (12).
 
2. Se l’art. 78 della Reichsverfassung diventa Kompetenz-Kompetenz – e dunque principio capace di produrre, al di là delle reali intenzioni dei costituenti, l’unità normativa dell’intero ordinamento giuridico – soltanto tramite la lettura normativista (cui fra l’altro resistette a lungo l’interpretazione contrattualista di un importante autore come Max von Seydel), le costituzioni del secondo dopoguerra sembrano, da un canto, far esplicitamente propri i concetti di sovranità nazionale, di potere costituente costituito (delegato) e di Kompetenz-Kompetenz come elementi coerenti di un unico sistema logico-giuridico della sovranità e, dall’altro, presupporre un insieme di rinvii e aperture a sistemi giuridici o anche semplicemente fattuali pre- e para-costituzionali i quali si collocano in una evidente tensione rispetto alla purezza normativa e all’indifferenza storica del procedimento di revisione costituzionale.
Se l’estremo risultato del positivismo tedesco è stato quello di espungere progressivamente le parti contrattuali dall’ambito della conformazione normativa dell’ordinamento costituzionale e persino di sottometterle ad essa e se il positivismo francese è giunto a elevare la sovranità nazionale e la costituzione, senza la quale la prima non ha alcun dominio, al di sopra di principe e cittadini, le costituzioni postbelliche rimettono in campo la folla policratica dei soggetti e delle istanze non statali.
Questa molteplicità di soggetti e di forze fa ingresso dalle due direzioni verso le quali il principe di Bodin cercava di affermarsi per realizzare l’assolutezza della propria sovranità, e prende posizione, accanto alla competenza delle competenze all’interno delle stesse carte costituzionali. Questi momenti, che esamineremo brevemente tenendo presente il modello della Costituzione italiana e che tuttavia non sono estranei alle costruzioni di altre costituzioni europee e occidentali, configurano, se pensati tutt’attorno alla norma della Kompetenz-Kompetenz e alla sua sovranità formale (si ricordi l’art. 138 Cost.), limiti storici alla revisione costituzionale laddove con storicità si intende qui proprio la dimensione di ciò che sta prima o accanto alla costituzione che pur vi fa espresso rinvio (13) - limiti la cui natura rimane distinta da quella dei diritti della persona (art. 13 Cost. ss.), ché qui non si tratta tanto di riconoscere come limiti valori o astratte sfere soggettive di libertà all’interno della logica a priori dello Stato (sociale) di diritto (14), ma di forze e sistemi che mettono in crisi proprio l’astrattezza della legge come complemento delle eguali sfere di libertà, e ai quali la Costituzione (italiana), nonostante il contraltare della Kompetenz-Kompertenz, ha dissertato sin dal principio la propria vigenza.
 
3. Sempre tenendo presente il modello esemplare della Costituzione italiana, debbono essere certamente considerati limiti storici interni della supremazia competenziale le famiglie e le autonomie territoriali, e limiti storici esterni il diritto internazionale, la Chiesa cattolica, le organizzazioni internazionali, l’Unione europea, lo stato di necessità internazionale e il mercato.
Quanto ai limiti interni sono di particolare rilievo la famiglia e l’autonomia territoriale. Entrambi gli istituti sono espressamente “riconosciuti” (e non istituiti) dalla Costituzione (art. 29: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”; art. 5 Cost.: “La Repubblica […] riconosce le autonomie locali”).
 
a) La naturalità della famiglia sembra risolversi nella sua storicità – se ci si attiene al senso qui attribuito alla dimensione storica la quale significa qui semplicemente pre- e  paracostituzionalità e dalla quale non è perciò necessariamente escluso il diritto naturale (15): i due elementi che la caratterizzano nella definizione costituzionale di famiglia, società naturale e fondamento matrimoniale, rinviano non soltanto allo sviluppo strettamente storico e sociale della famiglia, all’adattamento omogeneo dei concetti nel succedersi delle epoche, ma a una lunga tradizione giuridica, romanistica e canonica, senza la quale la famiglia rimane un semplice nomen privo di reale esistenza giuridica. Proprio in questa particolare realtà storico-giuridica del concetto bisognerà cogliere la resistenza a ogni revisione costituzionale tendente a conformare la costante giuridicità di un fatto alla legalità astratta di una norma. Fintanto che la normatività dell’art. 29 Cost. troverà la propria grammatica necessaria nel concetto giuridico di famiglia, un ambito importante della vita degli uomini – comprendente la generazione, l’educazione religiosa e civile dei figli, il principio e il fondamento stesso dell’economia (se è vero, com’è vero, che la parola greca significa originariamente “governo della casa”), di tutto ciò che Hegel riferisce ancora, con notevole forza simbolica ed evocativa, ai Penati (16), – sarà sottratto alla mera posizione normativa formale. In tal senso l’art. 29 Cost. può essere considerato tra i principali ostacoli allo sviluppo dello Stato verso lo Stato etico.
 
b) Delle autonomie territoriali la Costituzione non afferma espressamente la naturalità bensì, riconoscendole, la storicità, l’esistenza come comunità definite da un territorio, e distinte da quella statale, nelle quali accade non soltanto la vita culturale di una popolazione ma anche lo sviluppo della vita politica che articola costantemente l’idea di diritto in ordinamenti giuridici propri e parziali. L’art. 5 rappresenta, per così dire, la costanza dell’apertura della Costituzione alle comunità territoriali, mentre l’art. 114 c. 1 e 2 Cost. (come sostituito dall’art. 1 della Legge cost. 3/2001) riprende il riconoscimento delle autonomie (“La repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”) e afferma l’autonomia statutaria di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.
La resistenza di queste comunità alla Kompetenz-Kompetenz è pari alla loro storicità, i cui contrassegni esteriori sono fatti differenziali (17) quali la cultura propria, la lingua propria (elemento di storicità al quale la Costituzione apre espressamente con l’art. 6: “La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”) e un ordinamento giuridico proprio. Benché, sotto quest’ultimo aspetto, il comma 2 lettera l dell’art. 117 Cost. paia costituire una riserva del diritto civile e del diritto penale a favore del legislatore statale, una riserva che pur sembra ammettere vieppiù nuove eccezioni (18), e benché lo stesso ordinamento delle competenze dell’articolo 117 Cost. e dell’art. 118 Cost. sia stato ultimamente fatto oggetto di una revisione costituzionale che, pur seguendo le linee concettuali del modello federale (principio di residualità a favore delle regioni e attribuzione delle competenze amministrative ai comuni), ribadisce la forza statale della Kompetenz-Kompetenz, ciò nondimeno il riconoscimento della soggettività delle corporazioni territoriali a livello costituzionale implica un confine costante (seppur mobile) tra quella forza formalmente sovrana e ordinante e il mondo storico e giuridico degli uomini e delle famiglie.
 
4. Mentre la Kompetenz-Kompetenz trova un limite nella società statale, sembra stemperarsi anche il rigido monismo del diritto pubblico esterno: l’autolimitazione cessa di essere l’immagine e la conseguenza dell’armonia prestabilita tra monadi senza finestre che hanno esclusivamente in se stesse la norma del proprio agire. L’art. 10 c.1 Cost. secondo cui “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale” non è evidentemente più del tutto conciliabile con la rappresentazione secondo cui, “poiché il loro rapporto [degli Stati] ha per principio la loro sovranità, ne deriva ch’essi sono in tal misura l’uno verso l’altro nella situazione dello status naturae, e i loro diritti hanno la loro realtà non in una volontà universale costituita a potere sopra di essi, bensì nella loro volontà particolare” (19) e neppure con la tesi per la quale “i momenti oggettivi dei rapporti vitali internazionali e le loro logiche conseguenze non hanno, al di fuori dello Stato, alcuna natura giuridica” (20).
Questa norma Costituzionale, anche a non aderire a una vecchia e criticata tesi secondo cui, stando alla sua lettera, il diritto internazionale si collocherebbe al di sopra della Costituzione (21), pone la storicità delle consuetudini internazionali non diversamente da come, ad un gradino inferiore dell’ordine delle norme, gli artt. 1 e 8 delle Preleggi (22) pongono la storicità delle consuetudini civili. In entrambi i casi si contempla il formarsi di norme extra ordinem e dunque storiche; ciò che cambia è la forza della volontà statale, in ultimo emanante dalla Kompetenz-Kompetenz, che, nel caso delle consuetudini civili, è forza di legge almeno astrattamente in grado di occupare ogni spazio verso il basso (diversamente la consuetudine diventa principio rivoluzionario), mentre nel caso delle consuetudini internazionali arretra ai “principi supremi” della Costituzione (23) che segnano la effettiva linea di confine tra Kompetenz-Kompetenz e ordinamento internazionale, tra storicità e tempo costituzionale.
Se ci si pone nella prospettiva del positivismo e del normativismo, che tanta parte hanno avuto nella definizione ultima della Kompetenz-Kompetenz, bisogna osservare che all’irrazionalità e all’indifferenza del punto di vista (e del fondamento) che servirono a Kelsen a fondare egualmente la pura positività del diritto internazionale (Grundnorm internazionale) e la pura positività del diritto statale (Grundnorm statale), escludendo ogni volta ogni tipo di metadiritto o diritto naturale (24), si va sostituendo il conflitto (tra Grundnormen?) tra i “principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale” e le “norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”. Un conflitto che già nel 1920 Kelsen risolve affermando, contro le proprie premesse e probabilmente contro lo stesso senso eracliteo della storia, la razionalità e la necessità storica del toglimento definitivo della Grundnorm statale e del suo “solipsismo” – oltre che della Kompetenz-Kompetenz statale che ne è la prima positivizzazione – a favore di una definitiva civitas maxima (25).
All’idea di “forze potenti” (Kelsen) che agiscono nel senso del superamento della Kompetenz-Kompetenz statale si associano, pur recando ben diversi giudizi, il pensiero del movimento oggettivo del dominio della tecnica (26) e della società industriale (27) oppure anche della lex mercatoria (28) che divengono i veri fondamenti della supremazia competenziale.
Non solamente le consuetudini costituzionali, ma anche il diritto delle organizzazioni internazionali che con i loro atti incidono immediatamente negli ordinamenti statali modificandoli, costituisce un limite esterno alla Kompetenz-Kompetenz. In realtà, dal punto di vista del fondamento, le organizzazioni internazionali non possono essere considerate veri e propri limiti esterni alla supremazia competenziale degli Stati, dal momento che la loro esistenza, riconducibile alle fonti pattizie del diritto internazionale, ha fondamento nella stessa volontà giuridica degli Stati; è invece dal punto di vista delle competenze sovrane, che gli Stati hanno delegato alle organizzazioni internazionali riconoscendo l’immediata vincolatività degli atti da esse emanati che lo Spielraum della Kompetenz-Kompetenz è destinato a ridursi ulteriormente: gli atti delle organizzazioni internazionali, il cui contenuto non può essere puntualmente prestabilito dai trattati bensì è di volta in volta deciso dagli organi delle organizzazioni pur nell’ambito delle loro limitate competenze, sfugge alle successive determinazioni normative (costituzione, legge, regolamento) dell’ordinamento interno e tende a collocarsi fuori dal tempo costituzionale e, al contempo, a obbligare gli stessi soggetti dello Stato (29).
E’ questo il caso evidente del regolamento comunitario che “ha portata generale [ed] è obbligatorio in tutti i sui elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri” (art. 288 c. 2 TFUE già art. 189 c. 2 TCE) e al quale la Costituzione italiana apre tramite la norma del comma 1 dell’art. 117 (“vincoli derivanti dall’ordinamento europeo”). Il regolamento, che trae il proprio fondamento giuridico (“competenza riservata”) del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea – di cui i “signori” continuano ad essere gli Stati – ha immediata efficacia all’interno dei singoli ordinamenti. In particolare la giurisprudenza della Corte costituzionale italiana (30) ha affermato che i regolamenti hanno nell’ordinamento italiano efficacia derogatoria (e non abrogativa, proprio perché operano come norme di un ordinamento distinto da quello nazionale ma avente gli stessi destinatari di quest’ultimo – di qui persino il loro sottrarsi al sindacato di costituzionalità) sia delle fonti legislative che di quelle costituzionali con il solo limite – praticamente coincidente con quello delle consuetudini internazionali – dei principi supremi della Costituzione. Anche in questo caso si configura non soltanto un limite storico della Kompetenz-Kompetenz statale ma, ben di più, una concorrenza tra supremazie competenziali sullo stesso territorio statale, se, riprendendo compendiosamente le conclusioni della giurisprudenza costituzionale, si è potuto sostenere che “le leggi di esecuzione dei trattati comunitari hanno innescato un meccanismo di revisione tacita diverso da quello previsto dall’art. 138 Cost. e in aperto contrasto con esso” (31).
 
5. Rispetto ai punti che segnano la maggior distanza dalla costruzione contrattuale della revisione costituzionale della Kompetenz-Kompetenz – all’approdo jellinekiano a una supremazia competenziale statale capace unilateralmente di trasformare la storia in norma e la norma in storia e alla disgiunzione normativistica tra norma e fatto – gli sviluppi fin qui descritti rivelano la ripresa da più direzioni (anche contrastanti, dal momento che proprietà, famiglie e comunità territoriali si trovano ad affrontare le “forze potenti” alle quali lo Stato non è in grado di porre freno) di attori e di forze esterne al tempo costituzionale che hanno ridotto lo Spielraum della Kompetenz-Kompetenz a una mera passibilità formale di volta in volta attivata dalla composizione di forze storiche: la capacità di trasformare storia in diritto assume allora sempre più la foggia di un procedimento al servizio delle forze pre- e paracostituzionali, mentre la vecchia capacità statale di trasformare il proprio diritto in storia conformando, a partire dal proprio potere sovrano, la storia alla norma, diviene vieppiù solo una parvenza operata dall’opposto processo.
Di qui anche la trasformazione del concetto costituzionale di legge come supremo atto della sovranità nazionale, che, a prescindere dalle distinzioni più recenti tra costituzione rigida e costituzione flessibile e quindi tra legge costituzionale e legge ordinaria, tende a coincidere con il concetto di Kompetenz-Kompetenz. Come, infatti, la Kompetenz-Kompetenz ha rappresentato il toglimento delle parti contrattuali nel Bundesstaat e l’affermazione di un’unilaterale volontà statale così la sovranità popolare ha portato alla negazione delle differenze cetuali e, infine, la sovranità nazionale ha conseguito l’oblivione della storicità del popolo; e in fondo a tutte queste negazioni è sempre cogliibile l’affermarsi di una volontà giuridica unilaterale, generale e astratta, liberamente conformativa dell’ordinamento costituzionale. Tali potenti negazioni, quasi attraverso una gradualità a ritroso che riporta allo sguardo di Böhlau sulla costituzione del Reich, sono state nel tempo rimosse e la legge (costituzionale) sembra sempre più divenire il segnavia normativo di punti di equilibrio tra forze e sistemi pre- e para-costituzionali e giustificarsi, a un livello appena inferiore, come “lo strumento più appropriato per la strutturazione dei rapporti tra attività” statali (32).
Detti punti di equilibrio fondati però più sulla forza del contratto (lato sensu) che sulla forza normativa della costituzione – è questo il titolo di un noto saggio nel quale Konrad Hesse prendendo avvio dalla definizione lasalliana di costituzione come “complesso di rapporti di forza” afferma la necessità di una costituzione normativa che “si leghi con le forze spontanee e le tendenze vitali del tempo” guidandole e adeguandosi a esse (33) - rivelano sotto di sé un paesaggio in cui la volontà costituente, lungi dal poter esse ridotta alla Kompetenz-Kompetenz, alla Grundnorm kelseniana o all’Entscheidung schmittiana, è (continuo) accordo collettivo di “soggetti e di attori costituenti”, “non solo tra le forze politiche, ma anche, tal volta tacito, tra forze sociali ed entità storico-politiche”(34). Sarà allora il codice dei concetti della scienza giuridica a riaffermarsi come l’autentica costituzione e forza normativa di questi rapporti.
 
 
(1) H. Böhlau, Competenz-Competenz? Erörterungen zu Artikel 78 der Verfassung des Norddeutschen Reichs, Leipzig 1869, Verlag von Veit & Comp., p. 2
(2) Böhlau perviene a questa conclusione confrontando due emendamenti provenienti dalla parte liberale, quello (soccombente) del deputato Johannes Miquél secondo cui “il Bund in via legislativa ha il potere di prendere anche provvedimenti e di approvare le norme che concernono materie diverse da quelle indicate nell’art. 4 [competenze del Bund], quando queste stesse norme diventano necessarie per l’interesse generale [e] la approvazione di queste leggi è vincolata dalle forme previste per la modifica della costituzione [Verfassung]” (Ibidem, p. 26) e quello proposto dal deputato Eduard Lasker secondo cui “modificazioni della Costituzione [Verfassung] avvengono per via legislativa, [e che]tuttavia per queste è necessaria una maggioranza dei due terzi dei voti rappresentati nel Consiglio federale” (p. 28). Mentre il primo prevede che la norma per la revisione della Verfassung possa essere applicata anche alla Kompetenz, il secondo fa riferimento solo alla Verfassung.
(3) G. Meyer, Grundzüge des norddeutschen Bundesrechtes, Leipzig 1868, Verlag des Serig’schen Buchhandlung, pp. 57-63.
(4) G. Meyer, Staatsrechtliche Erörterungen über die Deutsche Reichsverfassung, Leipzig 1872, Verlag der Serig’schen Buchhandlung, pp. 64-65.
(5) Ibidem, pp. 70-82.
(6) Sul concetto di diritto pubblico esterno fatto risalire alla svolta hegeliana dal foedus pacificus ancora fondato sulla trascendenza dell’imperativo categorico allo Stato come realtà dellidea etica in cui è riassunta la totalità del diritto vedi A. von Trott zu Solz, Hegels Staatsphilosophie und das internazionale Recht, Göttingen 1932, pp. 77-78: “Nessun ordinamento statale tiene insieme la totalità; la ragione appare soltanto nelle differenti volontà statali”. In tal senso le teorie del diritto internazionale di G. Jellinek (Selbstbindung), H. Triepel (Vereinbarung) e di E. Kaufmann (clausola rebus sic stantibus) appaiono, nonostante la pretesa qua e là accampata di dualismo (vedi la critica convincente di J. Kunz, Die Staatenverbindungen, Tübingen 1929, pp. 29), versioni del medesimo concetto in esame.
(7) G. Jellinek nell’Allgemeine Staatslehre, Berlin 1920, p. 774.
(8) Mi sia concesso rinviare, per una ricostruzione analitica di questi passaggi, al mio A. Sandri, Genesi e sovranità. Le teorie dello Stato federale nell’epoca bismarkiana, Napoli 2010, pp. 69 ss.
(9) Sul concetto di “komplexe Grundnormengefüge” è tornato recentemente M. Usteri, Personalismus, Föderalismus und menschengerechter Staat heute, Zürich 2006, pp. 52-54.
(10) A. Sandri, op. cit., pp. 217-224.
(11) Come scrive M. Haase, Grundnorm Gemeinwille Geist, Tübingen 2004, p. 59: “La dottrina pura del diritto presuppone un concetto soggettivistico di volontà soltanto attraverso il quale essa può essere dottrina pura del diritto. Infatti la dottrina pura del diritto pretende di comprendere le premesse di ogni ordinamento giuridico positivo riconoscendo che ogni ordinamento è una costruzione a gradini [Stufenbau], un organismo, un sistema di norme, che trova nella norma suprema il fondamento di validità che deve essere presupposto. Alla norma fondamentale pensata non deve essere assegnato alcun contenuto determinato”.
(12) Per i passaggi principali della riflessione malberghiana sulla sovranità si veda R. Carrè de Malberg, Della sovranità, cur. E. di Carpegna Brivio, Seregno 2009, passim. In merito al pouvoir constituant dérivé si rinvia alla ricostruzione di E. Maulin, La théorie de l’état de Carré de Malberg, Paris 2003, pp. 129-142, il quale rileva che la prossimità della teoria di Carré de Malberg dello Stato a quella di Jellinek e “il faut, en conséquence, admettre que l’interprétation malbergienne du principe de la souveraineté nationale comme organisation de la disparition du souverain implique le positivisme méthodologique dont l’auteur fait profession”.
(13) Ho cercato di indagare e di definire il concetto di storicità nel mio A. Sandri, Storicità, diritto storico e costituzione, in Scritti in onore di Angelo Mattioni, Milano 2011, pp. 607-617; in particolare, quanto alla tensione tra tempo costituzionale e tempo storico si rinvia a B. Clavero, El Código y el Fuero. De la cuestión regional en la España contemporánea, pp. 26-27.
(14) E’ questo grosso modo il senso della dottrina dei limiti impliciti espressa dalla Corte Costituzionale nella Sentenza 1146/1988.
(15) Altra cosa è lo storicismo in quanto dottrina che concepisce ogni essenza come prodotto del divenire storico.
(16) G.W.F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Bari 1987, § 163, pp. 142-143.
(17) Sul concetto, maturato nella dottrina spagnola, di fatto differenziale si veda tra gli altri E. Aja, El concepte de fet diferencial, in Vint-i-cinc anys d’Estatut 1979-2004, Barcelona 2005, pp. 125-133.
(18) Si veda a tal proposito gli studi di A.M. Benedetti, Il diritto privato delle Regioni, Bologna 2008, pp. 127-288, che individua assai significative aree di “alta resistenza” statale (persone, famiglia, successioni), di “media resistenza” (responsabilità, professioni, impresa e società, obbligazioni e contratti) e aree di “bassa resistenza” (le proprietà sul territorio), e di E. Lamarque, Regioni e ordinamento civile, Padova 2005, passim.
(19) G.W.F. Hegel, op.cit., § 333, p.262.
(20) G. Jellinek, Die Rechtliche Natur der Staatenverträge, 1880, p. 49.
(21) Sulle diverse interpretazioni inerenti alla collocazione del diritto internazionale rispetto alla Costituzione  vedi R. GUastini, Teoria e dogmatica delle fonti, Milano 1998, pp. 666-668. Le altre due interpretazioni (rango costituzionale e immediatamente subcostituzionale  delle consuetudini costituzionali) tendono a negare la storicità del diritto internazionale e riconfigurarlo come diritto pubblico esterno.
(22) Sulla consuetudine come fonte dell’ordinamento ibidem, pp. 645 ss.
(23) Vedi Corte Cost. 48/1979: “Occorre comunque affermare più in generale, per quanto attiene alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute che venissero a esistenza dopo l’entrata in vigore della Costituzione, che il meccanismo di adeguamento automatico previsto dall’art. 10 Cost., non potrà in alcun modo consentire la violazione dei principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, operando in un sistema costituzionale che ha i suoi cardini nella sovranità popolare e nella rigidità costituzionale”.
(24) H. Kelsen, Teoria generale del diritto e dello Stato, Venezia 1963, pp. 391-392, 394.
(25) H. Kelsen,  Il problema della sovranità, Milano 1989, pp. 468-469: “Tuttavia non v’è dubbio che forze potenti già agiscono in questa direzione […] Col superamento del dogma della sovranità, si affermerà anche l’esistenza di una civitas maxima, di un oggettivo ordinamento giuridico internazionale […] come compito infinito che deve essere posto a ogni sforzo politico: questo Stato universale come organizzazione universale”. Vedi la critica di questa posizione in E. Kaufmann, Critica della filosofia neokantiana del diritto, Napoli 1992, pp. 24 ss. e, in tempi recenti, M. Haase, op.cit., pp. 59-61.
(26) Si veda C. Schmitt, Terra e mare, Milano 2009, passim; idem, Der neue Nomos der Erde, in idem, Staat, Grossraum, Nomos, Berlin 1995, pp. 521-522. Recentemente P.G. Grasso, Costituzione, scienza, tecnica. Brevi note, in Scritti in onore di Angelo Mattioni, cit., pp. 295-305.
(27) In particolare E. Forsthoff, Lo Stato della società industriale, Milano 2011, passim.
(28) In particolare F. Galgano, La globalizzazione nello specchio del diritto, Bologna 2005, passim.
(29) Per un’analisi approfondita si veda il recente D. Grimm, Souveränität. Herkunft und Zukunft eines Schlüsselsbegriffs, Berlin 2009, pp. 81 ss.
(30) Soprattutto Corte cost. 117/1994.
(31) R. Guastini, op. cit., p. 684.
(32) E. Schmidt-Assmann, Das allgemeine Verwaltungsrecht als Ordnungsidee, Heidelberg 2004, p. 183. Nelle pagine seguenti è affrontato il problema della crisi della legge.
(33) K. Hesse, La forza normativa della Costituzione, Seregno 2008, pp.11, 20 e passim.
(34) M. Herrero de Mignon,  Idea Derechos históricos, Madrid 1991, p.116.

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