(Contributo al Seminario L'impatto della crisi sulla tutela dei diritti nelle Regioni. La prospettiva italiana, spagnola ed europea”, organizzato dall’ISSiRFA-CNR, dalla LUMSA e dall’Università di Macerata e svoltosi a Roma, presso il Dipartimento di Giurisprudenza della LUMSA, il 13 novembre 2014).
 
  
1. Premessa: risposte alla crisi economico-finanziaria e Politiche regionali nell’UE
2. L’evoluzione dell’ordinamento dell’UE nel corso della crisi economico-finanziaria
1. Premessa: risposte alla crisi economico-finanziaria e Politiche regionali nell’UE
Tutte le politiche di settore dell’UE possono avere un impatto sulla tutela dei diritti a livello regionale e ciò può avvenire in modo differenziato in ragione delle diverse divisioni di competenze tra livello nazionale e regionale esistenti nei vari Stati membri dell’Unione. In questo breve studio tuttavia non si passeranno in rassegna tutte le politiche settoriali per analizzarne la ricaduta regionale in ogni singolo Paese dell’Unione; ci si propone piuttosto di valutare come le misure adottate per contrastare la crisi dei debiti sovrani nell’UE, insieme alla contestuale o conseguente mutazione della struttura della sua governance economica[1], abbiano condizionato le politiche regionali, in particolare sotto il profilo dell’impatto sui diritti sociali e sulle relative tutele offerte a singoli e gruppi.
  
2. L’evoluzione dell’ordinamento dell’UE nel corso della crisi economico-finanziaria
Per condurre una tale indagine si rivela necessario mettere preliminarmente in luce i caratteri fondamentali delle trasformazioni[2] avvenute nell’ordinamento dell’UE nel corso della crisi finanziaria.
In prima battuta ed in senso generale, va rilevata l’evoluzione e l’allargamento in atto dei valori politico-giuridici fondanti l’Unione economica e monetaria (UEM) (ma, in senso più ampio, la costituzione economico-sociale dell’UE), che è stata generata da alcune scelte di base di riforma e che ha influito sull’effettività e sul livello di tutela dei diritti sociali.
Per descrivere questa evoluzione, è necessario richiamare brevemente due tratti fondamentali delle riforme introdotte come risposta alla crisi economico-finanziaria. Anzitutto, i nuovi processi decisionali su cui si basa la governance economica europea soffrono di rigidità, macchinosità e vischiosità e di una assai debole legittimazione democratica. Questo stato di cose è il risultato, tra l’altro, dell’improvvisazione con cui i principali strumenti sono stati adottati nel contesto della crisi dei debiti sovrani, che da un lato ha richiesto risposte molto rapide e dall’altro ha chiamato ad una reinterpretazione di alcune norme di base dell’UEM. Le opzioni di base di tale reinterpretazione poi presuppongono scelte sul significato e sulla portata del principio di solidarietà tra Stati membri dell’UE.
Conviene affrontare separatamente, seppur in modo succinto, la questione delle criticità dei processi decisionali e quella legata alla problematica concretizzazione dell’idea di solidarietà.
 
2.1.  I processi decisionali
Prendiamo le mosse dalla questione dei processi decisionali. Va qui ricordato che in principio gli strumenti di coordinamento delle politiche economiche hanno carattere soft in quanto basati su una competenza assai debole[3]. Tuttavia, nel corso della crisi essi sono stati arricchiti da forme di coordinamento rafforzate per i Paesi dell’area euro, basate in particolare sull’art. 136 TFUE[4], eventualmente in combinazione con altre basi giuridiche. Vale la pena di ricordare che l’art. 136 TFUE istituisce una sorta di cooperazione rafforzata speciale tra gli Stati dell’area euro per il «coordinamento e la sorveglianza della disciplina di bilancio» e l’elaborazione di «orientamenti di politica economica».
Nel corso della crisi, è stata tra l’altro introdotta una nuova procedura di sorveglianza – Macroeconomic Imbalance Procedure (MIP) –, nonché una forma di coordinamento delle decisioni di bilancio con calendario comune e basata su una varietà di atti, taluni di soft law, altri di hard law: il semestre europeo. In aggiunta, le regole di disciplina finanziaria sono state irrigidite.
E’ poi singolare che anche al di fuori del sistema dell’UE – ma in parte ribadendo norme che nel frattempo erano state introdotte nell’ordinamento dell’Unione –, sono state dettate regole riguardanti il comportamento degli Stati membri nell’ambito di talune procedure decisionali nel contesto dell’UEM, in particolare nell’ottica di favorire l’adozione da parte del Consiglio delle sanzioni proposte dalla Commissione nell’ambito della procedura per deficit eccessivi. Tale risultato è stato perseguito col c.d. Fiscal Compact, ovvero Trattato per la stabilità, il coordinamento e la governance dell’Unione economica e monetaria (TSCG)[5] – il cui cuore è in realtà costituito da una serie di regole volte all’irrigidimento della disciplina di bilancio. È in effetti piuttosto bizzarra la scelta degli Stati membri di prendere impegni riguardanti il proprio comportamento nell’ambito delle procedure decisionali dell’UE con uno strumento formalmente estraneo a quell’ordinamento giuridico[6].
Ne emerge un quadro in cui la disciplina dei processi decisionali appare frastagliata e ricostruibile solo con una certa difficoltà. Di ciò risentono i processi decisionali anche a livello nazionale, in particolare quelli riguardanti le scelte di bilancio, stanti, da un lato, la necessità di inserirli nel circuito del semestre europeo, e, dall’altro, di allineamento alle priorità stabilite in tale contesto (ciò che avviene non senza difficoltà e con non poche ambiguità).
D’altro canto, la ricostruzione delle competenze esercitabili dagli Stati membri da un lato e dall’UE dall’altro diviene opera sempre più difficile. All’indefinitezza e debolezza delle competenze UE in questo campo, sopra rilevata, fa infatti fronte un loro arricchimento in via di prassi che sarebbe stato difficilmente prevedibile prima dell’esplosione della crisi finanziaria.
Altri strumenti, meno celebri e probabilmente meno controversi, vanno inoltre qui ricordati, come il Patto Euro Plus. Esso fu proposto dall’Eurosummit – cioè dal consesso dei Capi di Stato o di governo dei Paesi dell’area euro, organo che aveva precedentemente fatto capolino in modo incerto ed è poi fiorito nel corso della crisi – e poi adottato dal Consiglio europeo del 20 aprile 2011[7]. Pur trattandosi di uno strumento di soft law e nel quale il rispetto degli impegni assunti è rimesso alla vigilanza tra pari, esso introduce nuove procedure, nuovi indici per il controllo del rispetto di tali impegni e nuove scadenze che si affiancano a quelle legate alle altre procedure di coordinamento. Considerando poi che si tratta di uno strumento a cui hanno aderito solo alcuni degli Stati dell’UE, il quadro complessivo delle forme di coordinamento istituite diviene sempre più complesso e articolato[8].
L’aver qui ricordato il Patto Euro Plus, ed il fatto che esso fu proposto dall’Eurosummit e adottato dal Consiglio europeo, ci conduce a considerare un altro importante aspetto del modo in cui le decisioni fondamentali sono state adottate nel contesto dell’elaborazione di risposte alla crisi economico-finanziaria. Si è detto decisioni fondamentali e si intendono anche quelle, si badi bene, non tradottesi poi soltanto in atti di soft law, ma anche in atti vincolanti, o che comunque hanno dato un’impronta a profonde trasformazioni dell’ordinamento dell’UE. A fronte dell’esiguità ed inconsistenza di competenze dell’UE e della insufficienza del livello nazionale a far fronte alla crisi, si è andata consolidando una posizione dominante dei consessi intergovernativi nell’assunzione delle maggiori decisioni, a cui hanno fatto poi seguito azioni degli Stati membri e/o delle Istituzioni dell’UE, queste ultime in più di un caso agendo al di fuori del quadro giuridico dei Trattati istitutivi. Ciò non può che sollevare perplessità riguardo ad un abbandono di fatto, in molti contesti, del metodo comunitario[9], e al rispetto sostanziale del principio democratico.
  
2.2.  La concretizzazione dell’idea di solidarietà
Passiamo ora a considerare le forme che ha assunto la solidarietà tra Stati membri dell’UE nel contesto della crisi dei debiti sovrani. Può considerarsi corretta l’osservazione secondo cui una concretizzazione piena di questo principio è stata impedita dall’impianto dell’UEM come concepito a Maastricht, e segnatamente dai divieti di cui agli articoli 123 e 125 TFUE[10].
In sintesi, tali regole sono mirate ad evitare comportamenti classificabili come moral hazard, cioè, in questo contesto, la conduzione da parte di qualcuno degli Stati membri di politiche di bilancio non rispettose dei parametri stabiliti dal diritto primario dell’UE[11], facendo affidamento sul fatto che, per salvare la stabilità dell’area dell’euro, gli altri Stati membri o la Banca Centrale Europea (BCE) si risolvano presto o tardi a prestare garanzie o comunque ad assumere gli impegni finanziari di quegli Stati. In sostanza, tali disposizioni mirano ad escludere il subentro degli altri Stati membri e dell’Istituto di emissione nelle responsabilità finanziarie di uno dei Paesi dell’area euro[12].
Dal punto di vista economico-sostanziale, il detto impianto normativo impedisce che l’UE possa funzionare come una transfer union – ispirata alle teorie economiche sulle aree valutarie ottime – ove risorse erogate da un cospicuo bilancio federale possono essere utilizzate a sostegno delle aree colpite da shock economici.
Solo con difficoltà e, soprattutto, senza una diretta assunzione di responsabilità degli altri Stati membri, è stato possibile apprestare il soccorso finanziario necessario agli Stati membri che hanno sperimentato difficoltà a raccogliere finanziamenti sui mercati internazionali nel corso della crisi arrivata in Europa nel 2009/2010. A favore della percorribilità di questa strada militano in realtà seri argomenti testuali e sistematici. Limitandoci qui per brevità ai primi, e al solo art. 125 TFUE[13], va qui ricordato che esso vieta soltanto le assunzioni dirette di responsabilità finanziarie di uno Stato membro dell’UE da parte di altri Stati membri, ma non la concessione da parte di questi al primo di prestiti che comportino la creazione di nuovi rapporti debitori (senza quindi alcun esonero da responsabilità finanziarie verso terzi).
Come già detto, qui non è necessario addentrarsi nell’analisi degli strumenti giuridici a cui si è fatto ricorso e nelle difficoltà interpretative e ricostruttive cui essi hanno dato vita. E’ però importante sottolineare che l’idea di solidarietà – come pure appena ricordato – non è riuscita a trovare una sua espressione veramente piena. Per raggiungere un tale obiettivo occorrerebbe in realtà una riforma dei Trattati istitutivi dell’UE, atteso che l’interpretazione delle menzionate disposizioni è stata probabilmente portata fino al limite massimo consentito dalla loro formulazione letterale e dall’attuale stato di evoluzione dell’ordinamento dell’UE. Pertanto, la trasformazione dell’UE verso forme vicine ad una transfer union non solo non è possibile stante l’attuale quadro giuridico, ma non può neanche al momento considerarsi ineluttabile – e non solo perché sarebbe necessaria una riforma dei Trattati e quindi il consenso di tutti gli Stati –, benché diversi elementi sembrino far convergere le linee evolutive dell’ordinamento comunitario in quella direzione[14].
La trasformazione dei valori giuridici fondanti cui si faceva cenno inizialmente ha in effetti proprio portato ad una sostanziale evoluzione del sistema dell’UEM che sembrerebbe indirizzarlo – pur in modo, lo si ripete, non certo ineluttabile – verso il modello di una transfer union. In sintesi, i due valori che maggiormente sono stati interessati da questa trasformazione sono stati quello di solidarietà tra Stati membri, di cui si è già detto, e quello della «stabilità finanziaria dell’area euro nel suo insieme». Fin dall’inizio della crisi, le scelte degli Stati membri – i quali, si ricordi, detengono la quota più significativa di competenze e quindi di responsabilità nel campo della politica economica – sono state guidate dalla volontà di preservare detta stabilità. E’ proprio in un documento degli Stati, ed in particolare dei Capi di Stato o di governo – non quindi del Consiglio europeo, che è invece un’Istituzione dell’UE, pur essendo composto principalmente da rappresentanti a quello stesso livello degli Stati membri – che fa una delle sue prime significative comparse l’impegno per la tutela della stabilità finanziaria dell’area euro nel suo insieme: si tratta della dichiarazione dell’11 febbraio 2010 di impegno per il sostegno alla Grecia (in particolare dagli Stati dell’area euro di lì a poco si sarebbero trovati praticamente costretti ad offrire un tale sostegno)[15].
Limitandoci solo ai casi più significativi, va certamente qui ricordata anche la decisione del Consiglio europeo che ha modificato l’art. 136 TFUE, inserendo una clausola abilitante l’istituzione da parte degli Stati membri di un Meccanismo permanente per la salvaguardia della stabilità finanziaria[16]. In essa e nel nuovo par. 3 dell’art. 136 TFUE che quell’atto ha inserito, risulta chiaro che la salvaguardia della stabilità finanziaria dell’area euro nel suo insieme è allo stesso tempo un obiettivo legittimamente perseguibile dagli Stati membri ed un limite alla loro azione, giacché la prestazione di soccorso finanziario con diversa ispirazione o finalità dovrebbe essere considerata contraria al diritto primario dell’UE[17].
Si è a lungo riflettuto sul significato del concetto di stabilità finanziaria dell’area euro nel suo insieme[18]. Ciò che qui conta sottolineare è che a livello sistematico tale concetto/obiettivo ha una doppia valenza. Esso trova la sua più naturale sede di perseguimento a livello nazionale, poiché, come si è ricordato, sono gli Stati membri a detenere ancora il nocciolo duro delle competenze in materia di politica economica. Rimane quindi ad essi, ed in particolare a quelli che adottano la moneta unica, la responsabilità sulle sorti ultime dell’area euro.
Tuttavia, una serie di elementi di carattere normativo, interpretativo ed economico-sostanziale non consentono di considerarlo estraneo anche alla sfera d’azione dell’UE. Tra di essi in particolare vanno qui ricordati: l’indivisibilità del «bene» della stabilità finanziaria dell’area euro nel suo insieme, il suo afferire tanto alla sfera pubblica degli Stati membri, quanto a quella degli enti privati di carattere finanziario, la cui supervisione è ormai accentrata a livello UE nell’ambito della costruzione di un’unione bancaria[19], infine il legame esistente in particolare nel Vecchio Continente – e largamente rilevato nella letteratura tanto economica che giuridica – tra squilibri delle finanze pubbliche e minacce alla stabilità finanziaria degli enti finanziari privati.
Da questo stato di cose risulta pertanto che tra gli obiettivi perseguiti dall’UE nell’ambito dell’UEM va ormai annoverata la «stabilità finanziaria dell’area euro nel suo insieme», che si è affiancata agli obiettivi fissati dai Trattati (cioè il mantenimento di «finanze pubbliche sane» nell’ambito della Politica economica e la «stabilità dei prezzi» nell’ambito della Politica monetaria: cfr. gli articoli 3, par. 3 e 4 TUE, 119 e 127 TFUE).
Ora, in una prima approssimazione potrebbe affermarsi che tra le due dimensioni della solidarietà e della stabilità finanziaria la nuova UEM tenda ad essere sbilanciata sulla seconda e, approssimando in modo ancora meno accurato, la tutela della stabilità finanziaria potrebbe essere accostata al temutissimo rigore di bilancio e monetario.
Tuttavia, le due dimensioni risultano collegate a livello sistematico, benché gli Stati membri e le Istituzioni dell’UE mostrino una notevole ritrosia a trarre da tale collegamento le dovute conseguenze. Si è visto infatti che potrebbe prospettarsi un’evoluzione della solidarietà a livello sistematico, che farebbe mutare volto all’impianto di Maastricht. Già prima però che questo accada, anche le forme meramente negative di solidarietà – cioè quelle legate alla conduzione delle politiche di bilancio nazionali nell’ottica della corresponsabilità per le sorti della moneta unica – risultano evidentemente legate alla dimensione della stabilità finanziaria dell’area euro nel suo insieme.
 
2.3. La natura internazionale degli obblighi discendenti dai principali strumenti utilizzati per il soccorso finanziario agli Stati UE in difficoltà e la tutela dei diritti (in particolare) sociali
Quello appena tratteggiato è il quadro che si presenta a livello macro, cioè delle regole e dei processi che dettano (almeno alcune del)le linee fondamentali di politica economica a livello europeo; in realtà ciò si riflette anche a livello micro, relativo cioè alla tutela dei diritti fondamentali, in particolare di matrice sociale, per individui e gruppi. Anche in tal caso sembra riscontrarsi analogo sbilanciamento, sembra cioè esistere una preferenza per tutte le azioni volte a salvaguardare la stabilità finanziaria, a detrimento degli obiettivi solidaristici.
Particolare preoccupazione desta poi il vuoto di tutela apertosi a causa dell’estraneità all’ordinamento dell’UE degli strumenti giuridici coi quali sono stati prestati aiuti finanziari agli Stati membri maggiormente colpiti dalla crisi del debito sovrano. Ciò ha determinato la non applicabilità della Carta dei diritti fondamentali dell’UE e l’impossibilità di sindacare in riferimento ad essa e in generale al diritto primario dell’UE la legittimità delle misure d’austerità imposte dalla c.d. Trojka – Commissione europea, BCE e Fondo Monetario Internazionale[20] – agli Stati destinatari degli aiuti. Questa è almeno finora la posizione espressa dalla Corte di giustizia dell’UE[21].
Da una prospettiva eminentemente formale, detta posizione risulta in effetti fondata. Pur non essendo infatti mancato nella prima fase della crisi dei debiti sovrani un meccanismo finanziario di diritto dell’Unione[22], gli altri sono tutti basati su strumenti di diritto internazionale[23]. Ciò che più conta, gli obblighi contratti dagli Stati beneficiari dei pacchetti di aiuto finanziario sono di natura internazionalistica ed incorporati in atti di diritto internazionale, e solo in seconda battuta recepiti in atti di diritto dell’UE (ad es. per ciò che riguarda la condizionalità)[24].
 
3. Le Regioni e il quadro relativo alla salvaguardia della stabilità finanziaria dell’area euro nel suo insieme: l’impatto dei vincoli di disciplina finanziaria
Alla luce di quanto fin qui esposto, lo scopo della presente indagine può essere riformulato nei seguenti termini: quale è stato il contributo che le Regioni – ed in generale le entità sub-statali – sono state chiamate a dare alla salvaguardia della stabilità finanziaria dell’area euro nel suo insieme? Non interessa certo specificare quel contributo dal punto di vista economico-contabile, quantificando specifiche operazioni riguardanti singole poste di bilancio. Ai nostri fini, sembra più interessante enucleare alcune mutazioni fondamentali del quadro giuridico entro cui le Regioni sono state chiamate ad operare. A livello in particolare della tutela dei diritti sociali garantiti dalle Regioni, sarà messo in evidenza il cambiamento che è avvenuto nei livelli di godimento e di protezione di tali diritti in conseguenza dei cambiamenti strutturali cui si è accennato.
Da un punto di vista generale, e sempre senza entrare in un’analisi meramente quantitativa o contabile, va ricordato che partecipando all’UE, ed in particolare all’area euro, gli Stati assumono l’impegno a rispettare, come si è visto, una serie di norme di disciplina finanziaria. Tali norme hanno posto limiti alle possibilità di spesa degli interi settori pubblici nazionali, con ricadute evidentemente anche per le Regioni – e ciò è avvenuto direttamente o per il tramite di regole nazionali introdotte per mantenere l’equilibrio dei conti delle entità sub-statali. Tali vincoli cui sono state sottoposte le Regioni hanno portato ad una riduzione dei livelli di erogazione (e fruibilità da parte dei cittadini) delle prestazioni sociali. Ciò è avvenuto in misura e modalità differente a seconda degli Stati, ed ovviamente in maniera più intensa in quelli che hanno dovuto far ricorso a pacchetti di aiuto finanziario.
La scelta tra le diverse opzioni disponibili in un contesto di contrazione forzata delle disponibilità finanziarie è una questione di scelte politiche. Tuttavia, sotto diversi profili tali scelte possono presentare profili di contrasto con norme dell’UE, ad es. perché contrarie al principio di proporzionalità. Ciò che più importa sottolineare è che non si è rivelato possibile contestare di fronte alla Corte di giustizia la validità – sotto i profili testé prefigurati – delle misure d’austerità, applicate dalle Regioni o ad esse di fatto imposte dai governi centrali, e che hanno comportato la riportata riduzione dei livelli di erogazione. La già richiamata non invocabilità della Carta dei diritti fondamentali dell’UE è parte di tale problema, di per sé probabilmente causato dalla strategia della Corte di giustizia di mantenere l’ordinamento dell’UE lontano dalle questioni legate alla legittimità delle misure d’austerità[25].
 
3.1. La disciplina degli aiuti di Stato
Un settore in cui è stato possibile durante la crisi osservare importanti trasformazioni riguardanti anche l’attività regionale è quello degli aiuti di Stato.
Le Regioni sono coinvolte anzitutto perché, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, aiuti di Stato rientranti nel campo d’applicazione del divieto di cui all’art. 107 TFUE possono essere erogati da qualsiasi ente pubblico. Infatti secondo l’art. 107 TFUE sono incompatibili col mercato comune, a certe condizioni, gli «aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali». I giudici di Lussemburgo a questo proposito hanno precisato che il diritto primario ha inteso includere nell’oggetto del divieto anche gli aiuti non erogati direttamente dalle autorità statali, ma anche da quelle sub-statali, nonché dai privati attingendo a risorse statali[26].
Le Regioni sono quindi degli enti erogatori soggetti al divieto di cui all’art. 107 TFUE, superabile solo in presenza, com’è noto, di stringenti condizioni[27]. In tale qualità, esse hanno in primo luogo beneficiato della nuova politica sugli aiuti di Stato mirata a consentire maggiori margini di manovra alle autorità pubbliche per contrastare la crisi, nonché del successivo processo di modernizzazione del settore avviato dalla Commissione, che sembra lasciare, secondo diversi commentatori, le condizioni del controllo degli aiuti ancora allentate[28].
In secondo luogo, le Regioni possono trarre vantaggio (come enti erogatori, o beneficiari a vario titolo di azioni statali) da interventi che sfuggono al divieto in virtù dell’art. 107, par. 3, lett. a e b TFUE[29]. Tali due lettere, com’è noto, prescrivono di considerare compatibili col mercato interno le misure a favore di aree che possono genericamente indicarsi come depresse, nonché quelle che mirano alla realizzazione di «un importante progetto di comune interesse europeo oppure a porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno Stato membro».
In tale contesto, le Regioni potrebbero paradossalmente ritrovarsi nella posizione di soggetti erogatori che entrano in concorrenza con entità sub-statali di altri Stati (magari più ricchi e che spingono per una maggiore permissività, che vedrebbe le loro imprese avvantaggiate dalla loro generosità, magari non alla portata delle Regioni italiane o comunque di altre entità sub-statali); può altresì venirsi a determinare uno scenario di conflitto tra progetti di coesione nazionale con azioni coordinate a livello UE.
In terzo luogo, nel contesto della qualificazione di una data misura come aiuto di Stato, la posizione delle entità sub-statali e quindi delle Regioni può venire in questione nell’ambito della valutazione della selettività (che costituisce uno dei requisiti che debbono essere integrati per considerare una misura come un aiuto di Stato[30]). La Corte di giustizia ha elaborato criteri piuttosto restrittivi nei confronti del margine concesso alle Regioni nel campo della c.d. selettività regionale (tale elaborazione fa riferimento essenzialmente a misure fiscali sottoposte al controllo di compatibilità col divieto di aiuti). In sostanza, perché una misura regionale non sia considerata selettiva, è per la Corte necessario che l’entità sub-statale goda di autonomia istituzionale, procedurale ed economica[31]. Dal punto di vista istituzionale, l’autonomia deve sostanziarsi in uno status speciale, separato da quello dei poteri centrali secondo l’assetto costituzionale nazionale. Dal punto di vista procedurale, la scelta di introdurre la misura sospettata di costituire un aiuto deve rientrare nell’esclusiva competenza della collettività autonoma, senza ingerenze da parte del governo centrale. Infine, dal punto di vista economico, è necessario che al relativo onere faccia fronte l’ente sub-statale con le proprie risorse di bilancio, senza che intervengano in suo sostegno altre collettività, o il bilancio statale.
Gli sviluppi da ultimo considerati non sono legati alla crisi dei debiti sovrani. E’ tuttavia inevitabile notare che gli stringenti limiti posti alle entità collettive autonome nel campo della concessione di aiuti – in particolare sotto forma, come detto, di misure fiscali – hanno finito per determinare uno spazio di manovra particolarmente angusto nel contesto della crisi, ove a tali limiti si è aggiunto l’effetto diretto ed indiretto, più sopra considerato[32], della rigorosa disciplina fiscale dell’UE e della ovvia riduzione delle entrate fiscali.
 
3.2.  La Politica regionale dell’UE
E’ tempo infine di volgere lo sguardo alla c.d. Politica regionale dell’UE, in effetti inserita nell’ambito della Politica di coesione economica, sociale e territoriale di cui al Titolo XVIII della Parte Terza del TFUE (artt. 174 TFUE ss.)[33]. Al di là dell’imprecisione dell’espressione, va ricordato che la Politica regionale, o meglio, la sua versione tradizionale, è una competenza concorrente[34], pertanto negli anni della crisi ha sofferto per le difficoltà in cui sia gli Stati membri, sia, di riflesso, l’UE, si sono dibattuti.
Nel nuovo quadro giuridico della coesione definito da Lisbona ha trovato spazio il riferimento esplicito alla coesione «territoriale», mentre risulta ancor più forte il legame con la disciplina dei servizi di interesse economico generale (SIEG)[35]. La stessa Commissione ha sottolineato l’importanza delle azioni a favore delle città, delle aree geografiche funzionali e di quelle che affrontano specifici problemi geografici o demografici e ha infine rimarcato il ruolo cruciale delle strategie macroregionali[36].
Il settore della coesione economica, sociale e territoriale ha subito una profonda riforma nel 2013[37], per definire l’impiego dei fondi (in particolare qui interessano il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale – FESR e il Fondo di Coesione – FC) per il periodo 2014-2020. Tali interventi normativi sono volti a dare sostanza alle nuove linee dell’UE, in particolare alla Strategia Europa 2020[38], nonché, più in generale, all’idea di «economia sociale di mercato fortemente competitiva», oggi elevata ad obiettivo e canone fondamentale dell’azione dell’UE (cfr. art. 3, par. 3 TUE).
Ora, se da un lato questa Politica è chiaramente volta a riequilibrare le sorti dei territori e delle regioni, le cui differenze sono acuite dalla crisi, essa è di fatto divenuta una ulteriore leva per spingere gli Stati membri a mettere in atto politiche di bilancio sane[39]: gli interventi dei Fondi infatti sono collegati alle procedure di cui agli articoli 121 e 126 TFUE (rispettivamente riguardanti il coordinamento delle politiche economiche e la procedura per deficit eccessivi)[40]. Allo stesso tempo, c’è da domandarsi quanto nella definizione della Politica economica e della Politica monetaria di contrasto alla crisi siano state tenute in conto le esigenze di coesione economica, sociale e territoriale, come pure vorrebbe una lettura sistematica ispirata all’obiettivo dell’economia sociale di mercato di cui all’art. 3, par. 3 TUE, nonché all’art. 175 TFUE che apertamente richiama ad una conduzione delle politiche economiche nazionali volta al raggiungimento degli obiettivi dell’art. 174 TFUE (che si ricorda, è la norma di apertura del Titolo XVIII della Parte Terza del TFUE, dedicato alla Politica di coesione economica, sociale e territoriale) e alla filosofia che ha ispirato la più recente riforma[41].
 
4. Osservazioni conclusive: quanti obiettivi e principi ..e quante Politiche regionali?
Possono ora essere formulate alcune brevi osservazioni conclusive. In primo luogo, risulta evidente che l’UE fa Politica regionale anche con altri strumenti, diversi dai fondi di intervento previsti agli artt. 174 TFUE ss., che tipicamente dovrebbero costituire lo strumento per la realizzazione della coesione. Emblematico è il caso degli aiuti di Stato, ove il controllo sulle indebite interferenze dei poteri pubblici sul libero gioco delle forze di mercato si spinge fino a dettare penetranti condizioni riguardanti l’autonomia delle scelte regionali (o sub-statali) di intervento nell’economia.
In secondo luogo, l’influsso del diritto e della regolazione di fonte UE ha effetti non univoci e comunque non semplici da decodificare, stante la complessità e la molteplicità degli strumenti, nonché a volte la diversità di filosofie ispiratrici. Sempre nel campo degli aiuti di Stato, al caso cui si è testé alluso della giurisprudenza sulla fiscalità regionale, si affianca una generale tendenza – inaugurata nel corso della crisi e che al momento non sembra prossima ad essere invertita – di allentamento del rigore del controllo sugli aiuti da parte della Commissione. Di tale allentamento, come si è già osservato, non possono non beneficiare anche le Regioni. Tuttavia, come pure si è già visto, i risultati pratici di tale indirizzo in tempi di crisi economica potrebbero anche essere paradossali: le entità sub-statali di Paesi membri che stanno soffrendo la crisi meno di altri potrebbero essere più disposte ad erogare sovvenzioni ammesse alle proprie imprese, mentre le analoghe entità di altri Paesi potrebbero non riuscire a stare al passo, accentuandosi così il divario tra Stati membri. Tale possibile perverso meccanismo potrebbe finire per acuire gli effetti della crisi, contrariamente alle intenzioni della Commissione, che sono chiaramente quelle di allargare le maglie del controllo per favorire la ripresa economica.
In terzo luogo, occorre tornare ad un’osservazione di carattere più generale che ha costituito la premessa di questo breve studio. L’accento posto dalle Istituzioni dell’UE e dagli Stati membri sulla salvaguardia della stabilità finanziaria dell’area euro nel suo insieme, pur essendo del tutto necessario nel corso della crisi, sarebbe dovuto essere col tempo bilanciato da un ricorso più moderato a strumenti estranei al diritto dell’UE, da una più genuina spinta verso una semplificazione e razionalizzazione dell’architettura istituzionale e delle procedure decisionali della nuova governance economica dell’Unione, nonché, infine, da una più chiara opzione per la concretizzazione della solidarietà tra Stati. Tale opzione, evidentemente di natura anzitutto politica, non dovrebbe certo essere volta a smentire o svilire la filosofia originaria dell’UEM basata sulla disciplina (in particolare fiscale), ma a temperarne taluni eccessi (o effetti perversi) e a rilanciare l’UE in modo forte tanto politicamente, che sul sentiero della crescita economica. Essa inoltre avrebbe il pregio di offrire un più chiaro quadro di riferimento per l’operatore del diritto. Non potrebbero infine non beneficiarne anche le Regioni e gli altri enti sub-statali dell’UE, poiché il loro contributo alla tutela della salvaguardia della stabilità finanziaria dell’area euro nel suo insieme sarebbe inserito in una struttura giuridica più facilmente riducibile a coerenza – con maggiori e più chiare garanzie per i diritti sociali – ed in un più intelligibile progetto politico.
 

[1] Per una cronologia degli eventi (dal 2008 ad oggi), con link ai diversi documenti rilevanti rispetto alle strategie di risposta messe in atto, cfr. la pagina web del Commissario agli affari economici e finanziari dedicata alla risposta dell’UE alla crisi:
http://ec.europa.eu/economy_finance/focuson/crisis/index_en.htm.
La letteratura in argomento è molto vasta; si vedano, ex pluribus, A. Viterbo, R. Cisotta, La crisi della Grecia, l’attacco speculativo all’euro e le risposte dell’Unione Europea, in Il diritto dell’Unione europea, 4/2010, p. 961 ss.; G. Sacerdoti, Dopo la crisi greca: il ruolo delle regole per la stabilità dell'euro, in Diritto pubblico comparato ed europeo, II/2010, p. xxi ss.; J.-V. Louis, Les réponses à la crise, in Cahiers de droit européen, 2/2011, p. 353 ss.; F. Allemand, F. Martucci, La nouvelle gouvernance économique européenne, (I) e (II), in Cahiers de droit européen, 1/2012, p. 17 ss., 2/2012, p. 407 ss.; F. Allen, E. Carletti, S. Simonelli (eds.), Governance for the Eurozone: Integration or Disintegration, Philadephia, 2012; A. Ligustro, Le crisi dell'euro, i nuovi "pilastri" dell’unione economica e monetaria europea e il futuro della moneta unica, in Diritto pubblico comparato ed europeo, II/2012, p. xv ss.; G. Peroni, La crisi dell'Euro: limiti e rimedi dell'Unione Economica e Monetaria, Milano, 2012; A. Viterbo, R. Cisotta, La crisi del debito sovrano e gli interventi dell’UE: dai primi strumenti finanziari al fiscal compact, in Il diritto dell’Unione europea, 2/2012, p. 325 ss.; G.L. Tosato, L’integrazione europea ai tempi della crisi dell’euro, in Rivista di diritto internazionale, 3/2012, p. 681 ss.; K. Armstrong, The New Governance of the EU Fiscal Discipline, in European Law Review, 5/2013, p. 601 ss.; A. de Streel, The Evolution of EU Economic Governance since the Treaty of Maastricht: An Unfinished Task, in Maastricht Journal of European and Comparative Law, 3/2013, p. 336 ss.; M. Starita, Il Consiglio europeo e la crisi del debito sovrano, in Rivista di diritto internazionale, 2/2013, p. 385 ss.; E. Chiti, P.G. Teixeira, The constitutional implications of the European responses to the financial and public debt crisis, in Common Market Law Review, 3/2013, p. 683 ss.
[2] Ciascuna di esse non potrà essere analizzata approfonditamente, ma solo presentata sinteticamente per offrire un quadro d’insieme utile ai fini di questo studio; per una più compiuta analisi si rimanda agli studi citati alla nt. precedente.
[3] Cfr. in particolare artt. 2, par. 3, 5, par. 1 e 121 TFUE.
[4] Cfr. A. Viterbo, Commento all’art. 136 TFUE, in C. Curti Gialdino (a cura di), Codice dell’Unione europea Operativo, Napoli, 2012, p. 1241 ss. Per un esempio di forma rafforzata di coordinamento riguardante in particolare le sanzioni nel contesto della procedura per deficit eccessivo, v. infra, nt. 11.
[5] V. EUCO 139/1/11 e Statement by the Euro Area Heads of State or Government, Brussels, 9 December 2011.
[6] E’ altrettanto inconsueto che gli Stati firmatari si siano impegnati a dare attuazione nel proprio ordinamento alle regole di disciplina fiscale contenute nel Fiscal Compact con disposizioni preferibilmente di carattere costituzionale. Sembra questo una sorta di aggiramento del diritto dell’UE e dei canali attraverso sui questo ordinariamente viene recepito a livello nazionale (da tener presente però che Regno unito e Repubblica ceca non hanno sottoscritto l’accordo, quindi allo stato non era possibile utilizzare mezzi ordinari di diritto dell’UE, salvo che, come detto nel testo, talune delle regole del Fiscal Compact esistevano già nell’ordinamento dell’Unione).
[7] Il Patto Euro Plus contiene impegni di natura politica sottoscritti dai Capi di Stato o di governo dei Paesi dell’area euro e da quelli di Bulgaria, Danimarca, Lettonia, Lituania, Polonia e Romania.
[8] Cfr. L.S. Rossi, “Fiscal Compact” e Trattato sul Meccanismo di Stabilità: aspetti istituzionali e conseguenze dell’integrazione differenziata nell’UE, in Il diritto dell’Unione europea, 2/2012, p. 293 ss.
[9] Inteso come metodo che ha caratterizzato l’integrazione europea fin dall’esperienza delle Comunità europee e basato su quattro caratteri fondamentali: prevalenza di organi di individui rispetto ad organi di Stati; prevalenza del voto a maggioranza – in particolare qualificata – negli organi di Stati; ampio potere delle Istituzioni dell’Organizzazione in questione di adottare atti vincolanti; sottoponibilità degli atti delle Istituzioni, specie quelli vincolanti, ad un controllo giurisdizionale; cfr. per tutti sull’argomento: L. Daniele, Diritto dell’Unione europea, Milano, 2014, p. 6 ss.
[10] Rilevante anche l’art. 124 TFUE, il quale vieta «qualsiasi misura, non basata su considerazioni prudenziali, che offra alle istituzioni, agli organi o agli organismi dell’Unione» e agli enti del settore pubblico degli Stati membri (individuati con ampia formulazione analoga a quella di cui all’art. 123 TFUE), «un accesso privilegiato alle istituzioni finanziarie». Tale disposizione completa il quadro normativo posto a presidio delle norme di disciplina finanziaria dell’UE (e dell’area euro in particolare).
[11] Si tratta sostanzialmente del Patto di stabilità e crescita (PSC), espressione del modo tedesco di concepire la solidarietà – e formulato sin dagli anni ’90 del secolo scorso –, in senso essenzialmente negativo, ovvero legato al rispetto di limiti esterni per i Paesi facenti parte del solidum costituito dall’area monetaria. Il PSC risulta costituito dall’insieme delle seguenti fonti (in realtà anche di diritto secondario, volte a completare la disciplina scolpita nel diritto primario): art. 121 TFUE (già art. 99 CE), che stabilisce l’adozione di strumenti di soft law per il coordinamento delle politiche economiche, l’art. 126 TFUE (già art. 104 CE) sulla procedura per deficit eccessivi; Protocollo n. 12 sulla procedura per i disavanzi eccessivi allegato al Trattato di Lisbona; Regolamento (CE) n. 479/2009 del Consiglio, del 25 maggio 2009, relativo all’applicazione del Protocollo sulla procedura per i disavanzi eccessivi in GUUE L 145 del 10 giugno 2009, p. 1 ss.; Regolamento (CE) n. 1055/2005 del Consiglio, del 27 giugno 2005, che modifica il Regolamento (CE) n. 1466/97 per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche in GUUE L 174 del 7 luglio 2005, p. 1 ss.; Regolamento (CE) n. 1056/2005 del Consiglio, del 27 giugno 2005, che modifica il Regolamento (CE) n. 1467/97 per l’accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi in GUUE del 7 luglio 2005 L 174, p. 5 ss.; Risoluzione del Consiglio europeo relativa al Patto di stabilità e di crescita, Amsterdam, 17 giugno 1997, su cui cfr. Conclusioni della Presidenza, in Bollettino ufficiale dell’UE, 1997, n. 6, p. 8.
Nel corso della crisi il legislatore è tornato, tra l’altro, a modificare i regolamenti su cui è basato il PSC: cfr. Regolamento (UE) n. 1175/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 novembre 2011 che modifica il Regolamento (CE) n. 1466/97, GUUE L 306 del 23 novembre 2011, p. 12; Regolamento (UE) n. 1177/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’8 novembre 2011 che modifica il Regolamento (CE) n. 1467/97, GUUE L 306 del 23 novembre 2011, p. 33. Inoltre, è stato introdotto il voto a maggioranza qualificata inversa per l’applicazione delle sanzioni nel contesto della procedura per deficit eccessivi (cfr. art. 126 TFUE; art. 6, par. 2, Regolamento (UE) n. 1173/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2011 , relativo all’effettiva esecuzione della sorveglianza di bilancio nella zona euro, GUUE L 306 del 23.11.2011, p. 1): in sostanza, per rigettare una proposta della Commissione di irrogare sanzioni ad uno Stato dell’area euro, qualora il Consiglio abbia constatato che da parte di esso non siano state prese «misure efficaci per correggere il disavanzo eccessivo», è necessario un voto contrario del Consiglio a maggioranza qualificata. Si tratta di un deciso passo verso la c.d. automaticità delle sanzioni, che faceva parte dell’originaria idea tedesca sul PSC, cui si è fatto testé cenno.
[12] Per una più ampia analisi della tormentata vicenda interpretativa degli art. 123-125 TFUE sia consentito rinviare a A. Viterbo, R. Cisotta, La crisi della Grecia, l’attacco speculativo all’euro e le risposte dell’Unione Europea, cit., p. 967 ss.; R. Cisotta, Disciplina fiscale, stabilità finanziaria e solidarietà nell’Unione europea ai tempi della crisi: alcuni spunti ricostruttivi, in Il diritto dell’Unione europea, 1/2015, p. 53 ss., spec. 57 ss. e riferimenti ivi riportati.
[13] Quanto all’art. 123 TFUE, è opportuno ricordare che esso vieta solo la sottoscrizione da parte della BCE e delle Banche centrali nazionali di titoli del debito pubblico degli Stati membri sul mercato primario (cioè direttamente dagli Stati membri che li collocano), ma non sul mercato secondario (cioè da un soggetto diverso dallo Stato collocatore). La latitudine che la disposizione in parola concede all’Istituto di emissione è tuttavia oggetto di vivace dibattito e si discute in particolare della conformità ad essa dei programmi di aumento della liquidità e acquisto di titoli lanciati nel corso della crisi. Sull’ultimo e più audace programma, denominato OMT – Outright Monetary Transactions – è stata chiamata a pronunciarsi la Corte di giustizia dell’UE con un rinvio pregiudiziale del Tribunale Federale costituzionale tedesco (Bundesverfassungsgericht): cfr. causa C-62/14, Gauweiler, pendente al momento in cui si scrive. Su tale spinosa questione, v. A. Viterbo, Oh My …OMT! Some Thoughts About the German Constitutional Court’s Decision to Refer the Outright Monetary Transactions Programme to the Court of Justice of the European Union, http://www.sidi-isil.org/sidiblog/?p=695; M. Wendel, Exceeding Judicial Competence in the Name of Democracy: The German Federal Constitutional Court’s OMT Reference, in European Constitutional Law Review, 2/2014, p. 263 ss. Frattanto, sulla causa si è pronunciato l’Avvocato generale Cruz Villalón, il quale ritiene che, in presenza di talune condizioni, il programma OMT non contrasti col diritto dell’UE: cfr. Conclusioni dell’Avvocato generale Cruz Villalón del 14 febbraio 2015, causa C-62/14, Gauweiler, su cui v. S. Cafaro, Sulla legittimità del programma OMT della BCE, per ora… ovvero: le conclusioni dell’avvocato generale Cruz Villalón nel caso Gauweiler et alii c. Deutscher Bundestag, http://www.sidi-isil.org/sidiblog/?p=1272.
Si segnala altresì che il Tribunale dell’UE ha dichiarato irricevibile un ricorso contro la BCE sempre relativo al programma OMT: v. ordinanza del Tribunale dell’Unione europea del 10 dicembre 2013, causa T‑492/12, von Storch, non ancora pubblicata in Racc..
[14] Cfr. Comunicazione della Commissione, Un piano per un’unione economica e monetaria autentica e approfondita, COM 2012/777/ def., http://eur-lex.europa.eu/resource.html?uri=cellar:6ed5f706-fda6-492c-895b-4b5e8a25648a.0004.03/DOC_1&format=PDF, p. 13 ss., 28 ss. e 40 ss.
[15] Statement by the Heads of State or Government of the European Union, Brussels, 11 February 2010,
http://www.consilium.europa.eu/uedocs/cms_data/docs/pressdata/en/ec/112856.pdf
Significative le due affermazioni che aprono il documento, nell’ottica della speciale corresponsabilità (e quindi solidarietà) che lega gli Stati la cui moneta è l’euro: «All euro area members must conduct sound national policies in line with the agreed rules. They have a shared responsibility for the economic and financial stability in the area».
[16] Cfr. Decisione 2011/199/UE del 25 marzo 2011 che modifica l’art. 136 TFUE relativamente a un meccanismo di stabilità per gli Stati membri la cui moneta è l’euro, GUUE L 91 del 6.4.2011, p. 1., nonché il nuovo par 3 dell’art. 136 TFUE introdotto con quell’atto, come interpretati dalla Corte di giustizia: cfr. sentenza della Corte di giustizia dell’UE del 27 novembre 2012, causa C-370/12, Pringle, punti 92 ss.
[17] Si prescinde in questa breve presentazione dalle altre condizioni che un’azione di soccorso finanziario deve rispettare – ed ampiamente analizzate nella sentenza Pringle, cit. della Corte di giustizia –, in particolare la rigorosa condizionalità del soccorso finanziario e il generale rispetto del diritto dell’UE.
[18] Sia consentito rinviare ancora, anche per più puntuali analisi e riferimenti relativi alle osservazioni che seguono nel testo, a R. Cisotta, Disciplina fiscale, stabilità finanziaria e solidarietà nell’Unione europea ai tempi della crisi: alcuni spunti ricostruttivi, in Il diritto dell’Unione europea, 1/2015, p. 70 ss.
[19] Va peraltro ricordato che considerazioni relative al mantenimento della stabilità finanziaria dell’area euro non possono non avere un peso nella conduzione delle attività della BCE, specie di quelle di contrasto alla crisi rientranti nelle sue competenze, e del resto l’attenzione alla stabilità finanziaria è da tempo apertamente considerata dall’Istituto di emissione nell’ambito delle proprie attività.
[20] Nel contesto dei vari strumenti giuridici, le prime due in sostanza agiscono in nome degli Stati membri dell’area euro, che sono i soggetti che effettivamente mettono a disposizione le risorse.
[21] Cfr., per ciò che riguarda la Grecia: ordinanze del Tribunale dell’UE del 27 novembre 2012, cause T-541/10 e T-215/11, ADEDY; per ciò che concerne la Romania: ordinanza della Corte di giustizia dell’UE del 14 dicembre 2011, causa C-434/11, Corpul Naţional al Poliţiştilor; ordinanza della Corte di giustizia dell’UE del 10 maggio 2012, causa C-134/12, Corpul Naţional al Poliţiştilor; ordinanza della Corte di giustizia dell’UE del 14 dicembre 2012, causa C-462/11, Cozman; per ciò che concerne il Portogallo: ordinanza della Corte di giustizia dell’UE del 7 marzo 2013, causa C-128/12, Sindicato dos Bancários do Norte et al. v. BPN – Banco Português de Negócios SA; ordinanza della Corte di giustizia dell’UE del 26 giugno 2014, causa C-264/12, Sindicato Nacional dos Profissionais de Seguros e Afins v. Fidelidade Mundial – Companhia de Seguros, SA; ordinanza della Corte di giustizia del 21 ottobre 2014, causa C-665/13, Sindicato Nacional dos Profissionais de Seguros e Afins.
[22] Si trattava dell’ l’EFSM (European Financial Stabilisation Mechanism): cfr. il regolamento (UE) n. 407/2010 del Consiglio dell’11 maggio 2010 che istituisce un meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria, GUUE L 118 del 12 maggio 2010, p. 1.
[23] Ciò è vero in particolare per l’EFSF (European Financial Stability Facility) e per l’ESM (European Stability Mechanism), correntemente detto Fondo salva-Stati, per la cui istituzione è stato emendato l’art. 136 TFUE: cfr. supra, nt. 16. Tutti gli strumenti istitutivi di questi ultimi due enti sono facilmente reperibili sul sito dell’ESM: www.esm.europa.eu. E’ ancor più chiara anche intuitivamente l’estraneità al diritto dell’UE delle attività di prestito del FMI, che pure ha partecipato, come incidentalmente ricordato, alle operazioni di soccorso finanziario a favore di Stati membri dell’UE nel corso della crisi dei debiti sovrani.
[24] Per una diversa ricostruzione, che tende a valorizzare maggiormente la presenza di atti dell’UE – e quindi ancor più critica nei confronti della posizione espressa dalla Corte di giustizia dell’UE –, cfr. C. Kilpatrick, Are the Bailouts Immune to EU Social Challenge because they are not EU law?, in European Constitutional Law Review, 3/2014, p. 393 ss.
[25] Come si è detto la Corte di giustizia ha utilmente invocato l’argomento, in sé fondato, dell’utilizzo di strumenti estranei all’ordinamento dell’UE per la concessione di pacchetti di aiuto finanziario: cfr. supra, § 2.3.
[26] Cfr. sentenza della Corte di giustizia del 17 marzo 1993, cause riunite C-72/91 e C-73/91, Sloman Neptun, punto 19.
[27] Cfr. in generale L. Daniele, Diritto del mercato unico europeo, Milano, 2012, p. 311 ss.; C. Cellerino, F. Munari, Commento all’art. 107 TFUE, in A. Tizzano (a cura di), Trattati dell’Unione europea, Milano, 2014, p. 1141 ss.
[28] Nel corso della crisi dei debiti sovrani la Commissione europea ha adottato diversi atti volti a temperare il rigore del divieto di aiuti, specie nel settore bancario e finanziario; per una panoramica completa e aggiornata di questi atti, si veda la pagina del sito della Commissione dedicata alla legislazione in materia di aiuti di Stato: http://ec.europa.eu/competition/state_aid/legislation/legislation.html. Sul processo di modernizzazione del settore degli aiuti cfr. Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, Modernizzazione degli aiuti di Stato dell’UE, COM/2012/0209 def. In dottrina, cfr. C. Schepisi, Modernizzazione della disciplina sugli aiuti di Stato – Il nuovo approccio della Commissione europea e i recenti sviluppi in materia di public e private enforcement, Torino, 2011; R. Luja, Does the modernization of State aid control put legal certainty and simplicity at risk?, in Eur. State Aid Law Quarterly, 2012, p. 765 ss.; A. Sánchez Graells, Digging itself out of the hole? : a critical assessment of the European Commission’s attempt to revitalise state aid enforcement after the crisis, 5 May 2015, http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2602798.
[29] Ciò malgrado la giurisprudenza della Corte di giustizia abbia tradizionalmente riconosciuto un primato alle ragioni del mercato su quelle della coesione economica, sociale e territoriale (su cui v. oltre): cfr. tra le pronunce più classiche: sentenza del 5 giugno 1986, causa 103/84, Commissione c. Italia, punto 19; sentenza del 20 marzo 1990, causa C-21/88, Du Pont De Nemours, punti 19-20.
[30] Gli altri requisiti riguardano l’origine pubblica del finanziamento, cui si è accennato poco sopra nel testo, il conferimento di un vantaggio all’impresa/alle imprese destinataria/e – requisito quest’ultimo talvolta non semplice da distinguere dalla selettività –, l’esistenza di un pregiudizio agli scambi tra Stati membri, l’esistenza di un pregiudizio alla concorrenza. Cfr. in generale in argomento L. Daniele, Diritto del mercato unico europeo, cit., p. 314 ss.
[31] Tale test tripartito è stato per la prima volta formulato nelle Conclusioni dell’Avvocato Generale Geelhoed nella causa C‑88/03, Portogallo c. Commissione, punti 50-54. Si vedano poi: sentenza della Corte di giustizia dell’UE del 6 settembre 2006, causa C- 88-03, Portogallo c. Commissione, punti 57-68; sentenza della Corte di giustizia dell’UE dell’11 settembre 2008, cause riunite da C-428/06 a C-434/06, UGT-Rioja, punti 46-51; sentenza della Corte di giustizia dell’UE del 17 novembre 2009, causa C-169/08, Presidente del Consiglio dei Ministri v Regione Sardegna, punti 59-60.
[32] Cfr. supra, par. 3.
[33] Cfr. O. Porchia, Commenti agli artt. 174-178 TFUE, in A. Tizzano (a cura di), Trattati dell’Unione europea, cit., p. 1572 ss. Per ricostruire l’evoluzione di tale politica cfr. A. Predieri (a cura di), Fondi strutturali e coesione economica e sociale nell’Unione europea, Milano, 1996; con specifico riferimento all’attività delle Regioni, cfr. R. Sapienza (a cura di), Politica comunitaria di coesione economica e sociale e programmazione economica regionale, Milano, 2003.
[34] Cfr. art. 4, par. 2, lett. c TFUE.
[35] Cfr. articoli 14 e 106 TFUE.
[36] Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca Centrale Europea, Conclusioni della Quinta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale: il futuro della politica di coesione, COM(2010) 642 def.
[37] Per dettagliati riferimenti ai nuovi strumenti normativi, cfr. . O. Porchia, Commenti agli artt. 174-178 TFUE, cit., p. 1572 ss.; R. Adam, A. Tizzano, Manuale di diritto dell’Unione europea, Torino, 2014, p. 739 ss.
[38] Comunicazione della Commissione, Europa 2020 – Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, COM(2010) 2020 def.
[39] Cfr. R. Adam, A. Tizzano, Manuale di diritto dell’Unione europea, cit., p. 744.
[40] Cfr. Commission staff working paper: ‘Cohesion Policy: Responding to the Economic Crisis’ – A review of the implementation of cohesion policy measures adopted in support of the European Economic Recovery Plan SEC (2010) 1291 final; Regolamento (UE) n. 1303/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, recante disposizioni comuni sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione, sul Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca e disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca, e che abroga il regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio GUUE L 347 del 20.12.2013, p. 320 (cfr. in particolare l’art. 23).
[41] Riforma che persegue anche la coerenza tra i vari strumenti della Politica in parola (la moltiplicazione nel tempo dei vari fondi ne ha reso necessario il coordinamento): essa infatti prevede l’istituzione di un Quadro Strategico Comune (QSC) comune a tutti i fondi: cfr. considerando 16, 17, 20, 27 e 123 e gli articoli 10 ss. del Regolamento (UE) n. 1303/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, cit. Il perseguimento di tale coerenza dovrebbe rendere anche più semplice agli Stati membri l’armonizzazione delle loro Politiche economiche con l’azione dei fondi (volta, come visto nel testo, dallo stesso art. 175 TFUE).

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