"Seminario di approfondimento sull’art. 40, co. 4, del testo di riforma costituzionale: possibili letture interpretative e conseguenti soluzioni attuative". UPI, 4 luglio 2016

 

1. Sulla disciplina ordinamentale degli enti di area vasta

2. Sul carattere necessario degli enti di area vasta

3. Sull’eventuale regionalizzazione degli enti di area vasta

Post scriptum

 

 

1. Sulla disciplina ordinamentale degli enti di area vasta

L’art. 40, co. 4, del testo della riforma costituzionale approvata dal Parlamento il 12 aprile 2016[1] non è disposizione che possa essere letta in maniera normativamente autonoma rispetto alla distribuzione costituzionale delle competenze legislative tra Stato e regioni.

Tale previsione, infatti, essendo una disposizione finale di una legge costituzionale che opera una contestuale revisione delle norme della Costituzione distributive delle competenze legislative, non può certamente essere intesa come legge di modificazione tacita[2]; lo impedisce l’inapplicabilità del criterio cronologico tra le disposizioni della medesima legge costituzionale[3]. Si deve presumere, infatti, che lo stesso legislatore, se questa fosse stata l’intenzione, avrebbe senz’altro agito in diretta revisione della Costituzione (manifestandone la volontà) e non con una contestuale ma separata disposizione di legge costituzionale di non-modificazione testuale[4]. Il comma in oggetto[5] non può collocarsi, dunque, in maniera del tutto indipendente, ma può solo recare norme di carattere accessorio, complementare o strumentale rispetto alle previsioni costituzionali cui necessariamente si collega[6] o ad esse porre delle limitate deroghe (norme di rottura)[7], che – per essere legittime – non si devono porre in contrasto con i principi fondamentali della Costituzione[8].

Nel caso di specie ritengo, pertanto, che anche un’eventuale deroga non possa essere intesa in modo tanto ampio da determinare una stabile variazione dell’elenco costituzionale delle competenze – il che equivarrebbe alla sua tacita modificazione – ma solo come previsione di carattere eccezionale volta a disciplinare la soluzione di problemi particolari nel passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento[9]. L’enucleazione dall’art. 117, secondo comma, lett. p), Cost. di una distinta materia o sub-materia concernente l’ordinamento degli enti di area vasta ad esclusione delle Città metropolitane (EAV), inciderebbe, peraltro, in maniera significativamente riduttiva[10] su una delle competenze espressamente riservate dall’art. 70 Cost. al procedimento bicamerale perfetto in piena coerenza con il combinato disposto di due previsioni fondamentali della nostra Costituzione: il principio della sovranità popolare di cui all’art. 1 (la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei modi previsti dalla Costituzione) e il principio di autonomia di cui all’art. 5 (che impone alla Repubblica di adeguare i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia medesima)[11]. Le materie di legislazione sottoposte a procedimento bicamerale perfetto costituiscono, infatti, espressione di entrambi questi principi che, combinandosi tra loro nell’esercizio della funzione legislativa, manifestano, in concreto, anche un’estrinsecazione specifica della separazione dei poteri in senso verticale[12] (plastica manifestazione delle “forme” e dei “limiti” di esercizio della sovranità popolare).

E’ appena il caso di notare, che le medesime considerazioni critiche varrebbero, a maggior ragione, anche per il caso che si ritenga che la disposizione costituzionale oggetto della rottura non sia il secondo comma, lett. p), ma il terzo comma relativo alle materie legislative di competenza tacita delle regioni[13]. Osservazioni in parte diverse vanno fatte, invece, qualora si ritenga che l’art. 40, co. 4, della riforma operi (anche) in deroga all’art. 114 della Cost., per desumerne che gli EAV, pur non potendosi configurare come enti di governo (in violazione del principio costituzionale della tassatività dei soggetti costitutivi della Repubblica), debbano necessariamente essere enti rappresentativi di comunità e, dunque, dotati di autonomia normativa, amministrativa e finanziaria[14]. In tal caso, in primo luogo, non è chiaro per quale motivo, ammessa una siffatta rottura, si possa escludere la deroga alla tassatività dei soggetti costitutivi della Repubblica né per quale ragione, se il legislatore regionale avesse inteso senz’altro garantire la natura esponenziale degli EAV quali “sedi di espressione della sovranità popolare e di partecipazione popolare”[15], lo avrebbe fatto al di fuori del testo costituzionale in una maniera così introversa. Una siffatta rottura tuttavia, anche ad ammetterla, inciderebbe comunque – oltre che sul modello di governance territoriale integrata che si delinea con la riforma costituzionale in itinere[16] – anche sull’elenco costituzionale delle competenze, in maniera stabile, riproponendo le medesime criticità che abbiamo già rilevato in precedenza.

Dunque, in ragione dell’evidenza che anche le leggi costituzionali sono soggette al rispetto del principio di razionalità formale delle norme e dei principi supremi della Costituzione, più in generale, si deve escludere – a mio avviso – che la previsione del cit. art. 40, co. 4, voglia effettivamente porre[17] una norma di rottura dell’elenco costituzionale delle competenze legislative tra Stato e regioni[18].

Per dare coerenza all’incerto dato normativo, facendo ricorso a un’interpretazione costituzionalmente orientata, si può ritenere che la disposizione in questione – presupponendo e non derogando il riparto costituzionale delle competenze – sia destinata al semplice riconoscimento del carattere necessario degli EAV nell’esercizio della competenza ordinamentale sugli enti locali e sulle loro forme associative (di cui all’art. 117, secondo comma, lett. p). In questa prospettiva, la norma dedotta avrebbe l’effetto di porre un vincolo di contenuto alla legislazione ordinamentale (statale e regionale) che altrimenti non sussisterebbe affatto. Essa ben adempierebbe così al limitato compito cui l’ha destinata il legislatore collocandola tra le disposizioni finali.

 

2. Sul carattere necessario degli enti di area vasta

Più in dettaglio, la previsione di cui all’art. 40, co. 4, della riforma costituzionale in itinere, nel regolare il passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento costituzionale, stabilisce che le province-EAV, così come riordinate dalla legge Delrio “in attesa della riforma costituzionale”, continueranno ad essere disciplinate da questa medesima legge (e dalle altre leggi statali ad esse ancora applicabili) per i profili ordinamentali generali e dalle leggi regionali per i restanti aspetti. Ciò, ovviamente, fino a quando il Parlamento della Repubblica non intenderà riordinare gli enti territoriali di area vasta (attualmente le neo-province trasformate in enti territoriali elettivi di secondo grado), ad esempio, per ampliarne la taglia dimensionale minima. In tal modo è scongiurata l’eventualità che, con l’entrata in vigore della riforma, possa dedursi l’illegittimità costituzionale sopravvenuta dell’intera legge Delrio e l’immediata soppressione anche delle nuove province due punto zero[19]. Saranno, piuttosto, da ritenersi abrogate le sole disposizioni di questa legge che potranno essere in diretto contrasto con la riforma[20], mentre per quelle che risultino, semplicemente, senza più copertura costituzionale (ad es. quelle che individuano le funzioni fondamentali delle EAV) si dovrà ritenere che esse continueranno ad applicarsi fino all’entrata in vigore delle nuove leggi di adeguamento, statali o regionali secondo le rispettive competenze[21]. Sebbene, infatti, l’art. 39 co. 12, della legge costituzionale in itinere si limiti a enunciare il principio di continuità ordinamentale con esclusivo riferimento alle leggi regionali, non pare dubbio che il principio generale presupposto da questa disposizione transitoria sia applicabile, pur in mancanza di una sua esplicitazione espressa, anche con riferimento alla legislazione statale [22].

A mio avviso, pertanto, l’art. 40, co. 4, della riforma in itinere presenta un carattere duplice. In parte è disposizione di coordinamento intertemporale che, chiarendo l’ambito di applicazione delle nuove disposizioni rispetto a quelle precedenti, assicura la continuità dell’attuale disciplina degli EAV (quella recata dalla legge Delrio, in quanto compatibile con la riforma medesima) fino al successivo riordino della materia; e in parte è previsione che pone un vincolo di contenuto nell’esercizio della potestà legislativa di cui all’art. 117, secondo comma, lett. p), garantendo, con norma di valore costituzionale, dunque, non derogabile con legge ordinaria, che – anche in futuro, a seguito del riordino della materia – continueranno ad esistere degli EAV per l’adempimento delle funzioni sovra-comunali che non possano essere unitariamente esercitate a livello regionale (ex art. 118 Cost.)[23]. Ciò ancorché le provincie siano state decostituzionalizzate e possano essere, in quanto tali, soppresse (salvo prevedere, ovviamente, una diversa attribuzione delle loro peculiari funzioni).

In ogni caso, a prescindere dalla bontà della ricostruzione interpretativa qui proposta, la tesi della natura facoltativa degli EAV in conseguenza della (eventuale) riforma costituzionale, non considera né che il contenuto normativo dell’art. 40, co. 4, della riforma costituzionale presuppone necessariamente la loro esistenza e dunque il loro rilievo costituzionale (conferendo alla legislazione sul loro ordinamento la tipica forza passiva delle leggi costituzionalmente obbligatorie[24]) né che tale previsione, essendo pre-attuata dalla legge Delrio[25], non è disapplicabile per semplice inerzia del legislatore né, infine, che essa ha certamente carattere permanente e valore di legge costituzionale[26].

 

3. Sull’eventuale regionalizzazione degli enti di area vasta

Per le ragioni che abbiamo visto gli EAV, comunque saranno disciplinati, resteranno degli enti indefettibili a carattere associativo dei comuni[27]. Ciò che – almeno a prima impressione – dovrebbe escludere una loro non generalizzata istituzione sul territorio di ogni regione (ordinaria). Va tenuto conto, tuttavia, che la decostituzionalizzazione degli enti attuali (le province non metropolitane) consentirebbe alla co-legislazione statale e regionale di fare scelte della massima flessibilità organizzativa che permetterebbero, con relativa facilità, sia di variarne la taglia dimensionale sia di adattarne organizzazione e funzioni alle differenti caratteristiche ed esigenze dei territori. Per quanto, dunque, a mio avviso, non ne sia consentita la soppressione tout court (almeno fino a quando perduri la vigenza della richiamata disposizione di valore costituzionale), si potrebbe comunque considerare l’ipotesi – qualora non dovesse avere seguito la tesi della mancanza di una regola competenziale derogatoria per gli EAV rispetto a quella concernente l’ordinamento e le forme associative dei comuni[28] – che i profili ordinamentali generali di competenza della legislazione statale possano limitarsi, secondo un’opzione attuativa fortemente minimalista, alla semplice ma radicale scelta della trasformazione degli EAV in enti funzionali delle regioni per la realizzazione di obiettivi generali definiti dalla legge medesima, lasciando ampio spazio, per il resto, alla normativa regionale di organizzazione. Da un lato, infatti, la decostituzionalizzazione delle province determinerebbe che per gli EAV non vi sia altra garanzia che la loro semplice esistenza; e nulla lascia intendere che essi sarebbero ancora degli enti territoriali (ancorché di secondo grado)[29]. D’altro lato, però, l’autonomia delle regioni non consentirebbe che la legge statale possa definire, nemmeno per principia, i profili ordinamentali di enti funzionali regionali (salvo le norme, non specifiche per gli EAV, che trovino fondamento in altri e diversi titoli di competenza dello Stato).

Se si seguisse questa opzione minimalista (volta alla provincializzazione delle funzioni amministrative regionali)[30], si potrebbe immaginare di sopprimere gli EAV come enti territoriali intermedi di secondo grado – almeno nelle regioni più esigue territorialmente – e di trasformarli in enti funzionali regionali. Si potrebbe anche immaginare, ovviamente, di lasciare alle stesse regioni la possibilità di scegliere, in maniera autonomamente e non centralisticamente differenziata[31], tra la soluzione associativa comunale (ente funzionale dei comuni) e il modello Agenzia (ente strumentale della regione). La necessaria distinta entificazione, rispetto alle regioni-ordinamento, dei soggetti cui assegnare l’adempimento delle funzioni di area vasta, in base al cit. art. 40, co. 4[32], e il necessario ossequio al principio di sussidiarietà, in base al quale le leggi possono conferire alle regioni le sole funzioni amministrative unitariamente esercitabili a livello regionale (art. 118 Cost.) [33], impediscono invece la creazione di strutture di decentramento burocratico regionale (ma lo stesso vale per analoghi uffici statali) per lo svolgimento di queste funzioni.

 

Post scriptum

Con il referendum costituzionale svoltosi il 4 dicembre 2016 la riforma approvata dal Parlamento circa otto mesi prima non è risultata confermata dal corpo elettorale. Le difficoltà interpretative, su cui ci siamo soffermati in questo seminario di approfondimento, perdono dunque di attualità. Ritengo, tuttavia, che non venga meno l’interesse per le problematiche relative alla collocazione sistematica delle disposizioni che abbiamo qui tenuto in considerazione. Esse rappresentano, infatti, un perfetto caso di studio per verificare le conseguenze negative della stesura di norme di legge costituzionale di scarsa chiarezza e coerenza interna e, dunque, di cattiva qualità formale.

 

 


[1] Alla data di chiusura di questo lavoro non si è ancora svolto il referendum costituzionale fissato per il 4 dicembre 2016.

[2] Secondo la dottrina prevalente le leggi costituzionali possono senz’altro apportare modificazioni tacite alla Costituzione, incidendo indirettamente sull’interpretazione del testo previgente (T. Groppi, sub art. 138, in Commentario alla Costituzione, a cura di Bifulco, Celotto, Olivetti, III, Torino, 2006, p. 2708). Per alcuni autorevoli autori, tuttavia, con legge costituzionale non si potrebbero apportare modifiche alla Costituzione in forma diversa da quella di una sua espressa revisione testuale (C. Esposito, Costituzione, leggi di revisione della costituzione e “altre” leggi costituzionali, in Scritti in on. di A.C. Jemolo, III, Milano, 1962, 192 ss.; G. Motzo, Disposizioni di revisione materiale e provvedimenti di “rottura” della Costituzione, in Rass. dir. pubbl.., 1964, p. 326 ss.; A. Cerri, Revisione costituzionale, Enc. Giur., XXXI, Roma, 1994, p. 6; A. Cervati, La revisione costituzionale, in AAVV Garanzie costituzionali e diritti fondamentali, Roma, 1997, p. 33; F. Modugno, Qualche interrogativo sulla revisione costituzionale e i suoi possibili limiti, in Studi in on. di G. Ferrara, II, Torino, 2005, p. 616 ss.;).

[3] Altra sarebbe la valutazione qualora, non avendosi da risolvere l’antinomia normativa di disposizioni poste da un solo atto, si potesse guardare alla successione delle leggi nel tempo a prescindere da qualunque considerazione sulla collocazione delle previsioni normative. Tra gli atti di due distinti legislatori si deve ritenere senz’altro prevalente, infatti, il criterio cronologico su quello meramente logico (di cui parlo di seguito).

[4] In ossequio al principio di razionalità formale delle norme (i.e. la loro coerenza interna), enucleato dal giudice delle leggi ex art. 3 Cost., la legge, infatti, non può mai collidere con il principio logico della non contraddizione (Corte cost. n. 172/1996 e n. 113/2015). Nel caso delle norme di valore costituzionale, l’esigenza della razionalità formale appare ancora più forte in ragione della necessità, di carattere più generale, di consentire agli elettori, in caso di ricorso al referendum costituzionale, “di conoscere in maniera chiara e univoca quale sarà l’impatto della riforma costituzionale sul testo costituzionale” (A. Alberti, Note intorno alla fase referendaria costituzionale, Rivista AIC, n. 4, 2016, p. 13).

[5] Con specifico riferimento agli EAV assume rilevanza il solo primo periodo di detto comma. Il secondo concerne, infatti, il mutamento delle circoscrizioni delle Città metropolitane. Può essere utile qui rilevare, tuttavia, che questa seconda parte della disposizione può ragionevolmente individuarsi come norma di carattere integrativo-strumentale rispetto all’art. 117, secondo comma, lett. p), che costituisce il fondamento costituzionale per la potestà legislativa statale di istituzione-perimetrazione delle Città metropolitane (v. Corte cost. sent. n. 50/2015). Non vi sono dubbi dunque sulla sussistenza, in questo caso, delle tipiche caratteristiche delle norme di carattere finale non derogatorie.

[6] R. Tarchi, Disposizioni transitorie e finali (premessa), in AAVV, Disposizioni transitorie e finali I-XVIII – Leggi costituzionali e di revisione costituzionale (1948-1993), in Commentario della Costituzione fondato da Branca G. e continuato da Pizzorusso A., Bologna-Roma, 1995, p. 47.

[7] Tarchi, ibidem, p. 51.

[8] V. Corte cost. sent. n. 1146/1988, secondo la quale i valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana “non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali”; giacché, se cosi fosse, “si perverrebbe all’assurdo di considerare il sistema delle garanzie giurisdizionali della Costituzione come difettoso o non effettivo proprio in relazione alle sue norme di più elevato valore”.

[9] Rinvio, per un approfondimento, al mio lavoro su La competenza legislativa sui profili ordinamentali generali degli enti di area vasta, in federalismi.it, n. 5, 2016, p. 10 ss.

[10] In mancanza di una deroga così intesa, infatti, l’ordinamento degli EAV sarebbe riconducibile alla medesima materia di cui all’art. 117, secondo comma, lett. p), Cost., giacché già adesso le nuove province riordinate dalla legge Delrio sono formule organizzative di secondo grado rispetto ai comuni; e non ritengo che il legislatore, a seguito della eventuale decostituzionalizzazione delle province, non avrebbe più titolo per disciplinare gli EAV come speciali forme associative dei comuni. Questa norma derogatoria determinerebbe, dunque, sia di allargare lo spettro delle soluzioni praticabili per l’eventuale riordino degli EAV, anche in forma non associativa dei comuni, sia di sottrarre questa materia al procedimento bicamerale perfetto.

[11] L’ordinamento costituzionale – che pur, certamente, non è composto dal solo testo costituzionale – presuppone la forza ordinante dei principi e dei valori inscritti in Costituzione. Non sono, infatti, “le singole disposizioni che messe insieme compongono l’ordinamento”, in quanto, in tal caso, “ci troveremmo di fronte a una disordinata sommatoria di testi, non ad un ‘sistema’ normativo” (A. Barbera, Costituzione della Repubblica italiana, Enc. Dir., Annali, VIII, Milano, 2015, p. 265).

[12] Cfr. G. Silvestri, Poteri dello Stato (divisione dei), in Enc. Dir., XXXIV, Milano 1985, p. 713.

[13] Così C. Tubertini nel suo intervento in questo seminario.

[14] Cfr. M. Di Folco, La riforma dell’area vasta, in F.S. Marini e G. Scaccia (a cura di), Commentario alla riforma costituzionale del 2016, Napoli, 2016, p. 321 ss.

[15] M. Di Folco, ibidem, pp. 320-321.

[16] La quale, superando la logica di governo per livelli separati (cd. sistema millefoglie), estende e perfeziona il disegno avviato con la legge Delrio (v. G. Gardini, Crisi e nuove forme di governo territoriale, in Istituzioni del federalismo, n. 3, 2015, pp. 554-555).

[17] Non va confusa, infatti, la voluntas legis con le possibili intenzioni soggettive dei componenti dell’organo legislativo. A maggior ragione, ciò, con riferimento ad una legge costituzionale che per sua natura non è un atto di maggioranza ma è soggetta, qualora non si sia raggiunto il più ampio consenso popolare (quello almeno dei due terzi dei componenti delle camere), alla conferma popolare esplicita o implicita. In ogni caso, comunque, la ricerca dell’intenzione soggettiva del legislatore non si potrebbe mai porre in contrasto con i principi fondamentali della Costituzione.

[18] Quello che si rinviene negli artt. 70 e 117 Cost., cui vanno aggiunte le materie di cui agli articoli 79, 119, 122 e 133 della Costituzione.

[19] Per la considerazione che la mera decostituzionalizzazione delle province avrebbe determinato, altrimenti, l’illegittimità costituzionale sopravvenuta delle norme legislative che le concernono v. M. Di Folco, op. cit., p. 316. Così anche G. Gardini, Brevi note sulla incostituzionalità sopravvenuta della legge Delrio, in federalismi.it, n. 19, 2016 e.

[20] La Corte cost. ha accertato sin dalla sua prima sentenza (n. 1/1956) il possibile effetto abrogativo diretto delle norme costituzionali rispetto a quelle di legge ordinaria. In particolare, però, potrà ritenersi abrogata la disposizione legislativa che si ponga in contrasto con la nuova norma costituzionale solo allorquando vi sia un elevato grado di sovrapponibilità normativa tra il disposto legislativo e quello costituzionale (sent. 40/1972). In caso di dubbio, invece, sarà compito esclusivo della Corte medesima la declaratoria dell’eventuale illegittimità costituzionale sopravvenuta delle norme di legge previgenti.

[21] Secondo M. Di Folco (op. cit., p. 326) tra i profili ordinamentali generali relativi agli EAV, di competenza dello Stato, potrebbe rientrare anche l’individuazione delle loro funzioni fondamentali. Non si può escludere che il legislatore statale, in sede di attuazione, possa indirizzarsi anche in questa direzione. In mancanza, però, di una legge statale che confermi o ridefinisca le funzioni fondamentali degli EAV (attualmente provinciali), non si può nemmeno escludere che – venuta meno la copertura costituzionale nel senso indicato – possa affermarsi in via interpretativa, all’inverso, l’illegittimità costituzionale sopravvenuta delle disposizioni della legge Delrio che individuano le funzioni fondamentali delle province-EAV, occupando queste uno spazio ora proprio del legislatore regionale.

[22] V. art. 1, commi 2 e 3, della legge 5 giugno 2003, n. 131, adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3 e v. Corte cost. sentt. 401/2007, 270/2003 e 376/2002.

[23] Cfr. F. Merloni, Sul destino delle funzioni di area vasta nella prospettiva di una riforma costituzionale del Titolo V, in Istituzioni del federalismo, n. 2, 2014, p. 216; G. Gardini, Crisi, cit., p. 543.

[24] Le leggi di attuazione del cit. art. 40, co. 4, sono così qualificate da M. Di Folco, op. cit, p. 321. Questa classificazione è da condividere giacché tali leggi appaiono necessarie per evitare la paralisi delle funzioni cd. di area vasta (cfr. Corte cost. sent. 29/1987).

[25] Sulla configurazione della legge Delrio come legge di attuazione del cit. art. 40, co. 4, v. G. Gardini, Crisi, cit. p. 544.

[26] Al riguardo, può essere sufficiente richiamare il precedente concernente la XIII d.f.t., primo e secondo comma, della Costituzione, per la cui cessazione degli effetti si è provveduto con la legge cost. n. 1/2002.

[27] Sul carattere obbligatorio degli EAV v. anche M. Di Folco, op. cit., p. 320, che pur segue una diversa linea interpretativa.

[28] Secondo M. Di Folco, op. cit., p. 318, ad es., ci sarebbero prevalenti ragioni a sostegno di una “lettura svalutativa” circa le implicazioni derivanti dalla “infelice collocazione sistematica” dell’art. 40, co. 4 della cit. legge di riforma.

[29] V. gli interventi di G. Piperata e A. Sterpa in questo seminario.

[30] Paventa un disegno di provincializzazione delle regioni S. Mangiameli (La vicenda delle province, in La riforma della costituzione, Instant book del Corriera della sera, p. 230). Di un processo “inevitabile” di amministrazione delle regioni parla invece F. Fabrizzi (Il nuovo disegno del sistema locale, in federalismi.it, n. 12, 2016, p. 4).

[31] Per la distinzione tra differenziazione autonoma e differenziazione eteronoma o eterodiretta v. G. Gardini, Crisi, cit., p. 542.

[32] Appare condivisibile che la costituzione di un apposito ente rappresenti un’opzione giuridicamente vincolata (così M. Di Folco, op. cit. p. 320.

[33] Cfr. F. Merloni, op. cit, p. 244.

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