Relazione al convegno organizzato dall’ISSiRFA su I nuovi statuti delle regioni ad autonomia ordinaria, Roma, Sala del Cenacolo, 4 luglio 2005


Sommario

1. Lo stato di avanzamento dei procedimenti di approvazione dei nuovi statuti.
2. Le fonti della materia.
2.1. Le norme scritte.
2.1.1. Le norme costituzionali.
2.1.2. Le norme statutarie derogatorie.
2.1.3. Le norme statutarie integrative.
2.1.4. Le norme legislative attuative.
2.1.5. Le norme dei regolamenti consiliari.
2.1.6. Le disposizioni di interpretazione (non autentica) della costituzione.
2.2. Le lacune della disciplina e l’interpretazione (dottrinale o giurisprudenziale) delle leggi regionali.
2.2.1. Interpretazione analogica ricavabile dalla legislazione statale.
2.2.2. Interpretazione analogica ricavabile dalla legislazione delle altre regioni.
3. Il procedimento legislativo statutario.
3.1. L’iniziativa e l’istruttoria.
3.2. La fase deliberativa.
3.3. La pubblicazione notiziale.
3.4. Il sub-procedimento referendario.
3.5. Il sub-procedimento contenzioso.
3.5.1. La questione del termine iniziale.
3.5.2. La questione del coordinamento dei due sub-procedimenti.
3.6. La promulgazione e la pubblicazione.
3.6.1. La questione della promulgazione parziale.
3.6.2. La questione dell’eventuale ruolo di controllo del presidente della regione.
4. I rimedi per i vizi formali del procedimento.
4.1. I giudizi della corte costituzionale promossi con ricorso governativo.
4.1.1. Il giudizio di legittimità costituzionale ex art. 123.
4.1.2. Il giudizio di legittimità costituzionale ex art. 127.
4.1.3. Il conflitto di attribuzione intersoggettivo.
4.2. Il giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale.
4.3. Il ruolo (eventualmente) svolto dall’organo di garanzia statutaria.
NOTE.


Tabella allegata



1. Lo stato di avanzamento dei procedimenti di approvazione dei nuovi statuti

Alla data del 30 giugno 2005:
Nove regioni hanno promulgato il nuovo statuto (Puglia, Calabria (1), Lazio, Toscana, Piemonte, Marche, Emilia–Romagna (2), Umbria (3) e Liguria);
Il consiglio della regione Abruzzo ha approvato un testo legislativo statutario in seconda lettura che - a seguito dell’impugnazione governativa - ha successivamente modificato con una nuova (prima) deliberazione in prima lettura senza votarlo in via definitiva entro la fine della legislatura;
La regione Campania ha approvato una deliberazione statutaria in prima lettura;
Le regioni Basilicata e Veneto hanno favorevolmente votato un testo in commissione;
Le regioni Molise e Lombardia non hanno adottato alcun testo in commissione.

Nella Tabella allegata sono schematicamente indicati i dati concernenti l’iter di formazione dei vari statuti. In tutte le regioni in cui si è conclusa la settima legislatura senza la definitiva approvazione consiliare delle rispettive deliberazioni legislative statutarie i corrispondenti progetti di legge sono, tuttavia, da considerarsi formalmente decaduti in conseguenza della rinnovata rappresentatività dei consigli medesimi (4).

2. Le fonti della materia

2.1. Le norme scritte

2.1.1. Le norme costituzionali

La specifica disciplina per il procedimento di formazione degli statuti è nell’art. 123, co. 2 e co. 3. Sono qui delineati tuttavia solo gli aspetti fondamentali dell’iter.
Più in generale, la costituzione non si occupa del procedimento di formazione della legge regionale, salvo: riservare allo statuto la regolazione del diritto di iniziativa e della pubblicazione delle leggi, nonché di eventuali referendum interni al procedimento legislativo (art. 123.1), riservare al consiglio l’esercizio della potestà legislativa (art. 121.2) e attribuire al presidente della giunta la promulgazione (art. 121). La regolazione essenziale del procedimento di formazione della legge si può tuttavia far rientrare nel contenuto necessario degli statuti, in quanto materia attinente tanto alla forma di governo quanto ai principi fondamentali di organizzazione e funzionamento delle regioni. La parte della disciplina non direttamente delineata dalla costituzione e non riservata agli statuti può essere rimessa dunque ad altre fonti. Vi è allora una serie di altre norme integrative o attuative di cui occorre tenere conto. Le prime valgono per le successive modifiche, mentre le seconde sono necessarie sin dalla prima approvazione degli statuti.

2.1.2. Le norme statutarie derogatorie

In primo luogo, però, occorre considerare l’ipotesi della derogabilità delle norme costituzionali che disciplinano il procedimento di formazione degli statuti. Più in generale, dopo la legge costituzionale n. 1 del 1999, è espressamente derogabile l’art. 122.5, I parte (che prevede l’elezione a suffragio universale e diretto del presidente della giunta regionale), ma lo stesso potrebbe forse valere anche in forma implicita (a partire dalla seconda parte della stessa disposizione che prevede che il presidente “eletto" – e dunque anche quello eletto dal consiglio regionale – nomina e revoca i componenti della giunta: potere che però appare chiaramente incompatibile con alcuni modelli della forma di governo parlamentare) (5).
Si può qui ricordare, in primo luogo, quella deliberazione legislativa statutaria della regione Marche che, tentando di derogare a norme costituzionali, intendeva attribuire al consiglio regionale (così denominato dall’art. 121.1 cost.) il nome, aggiuntivo, di parlamento e che la Consulta ha dichiarato costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 306/2002 (6).
Per quanto riguarda in particolare il procedimento di formazione/revisione dello statuto la questione ha assunto una certa concretezza sempre nella regione Marche, laddove in una prima bozza del progetto di legge statutaria si prevedeva di escludere l’eventualità della consultazione popolare confermativa in caso di approvazione consiliare a maggioranza dei due terzi, derogando in tal modo all’art. 123.3 (7). La possibilità di un tale potere di deroga si sarebbe potuta ricavare, in ipotesi, dall’inclusione nel contenuto necessario dello statuto della regolamentazione del referendum sulle leggi regionali (art. 123.1); ferma rimanendo, dunque, la necessità di disciplinare il referendum statutario, la regione avrebbe potuto liberamente dettagliarne le caratteristiche anche in deroga alla costituzione. L’ipotesi interpretativa, alquanto debole (8), è stata poi abbandonata dalla stessa regione Marche.

2.1.3. Le norme statutarie integrative

Il potere delle norme statutarie di integrare le disposizioni costituzionali nel rispetto della lettera e dello spirito delle disposizioni medesime non è questione dubbia (9).
Negli statuti, in concreto, si rinvengono - oltre a una serie di disposizioni meramente ripetitive del dettato costituzionale - norme integrative sul procedimento di formazione e di revisione statutaria. Si tratta di disposizioni originali ma di rilievo non sempre autonomo e che dunque non sempre introducono elementi di reale differenziazione rispetto alle altre regioni ma che, magari, esplicitano e chiariscono aspetti impliciti della disciplina costituzionale di portata generale.
Per quanto riguarda - ad esempio - la disciplina della revisione statutaria in generale nella maggior parte dei testi statutari si dispone che l’abrogazione totale dello statuto non è valida se non è contestuale alla deliberazione di quello nuovo (10). L’ipotesi, espressamente esclusa, dell’abrogazione secca non appare particolarmente probabile, ma da una simile integrazione, che dichiara la natura costituzionalmente obbligatoria della fonte-atto così denominata, si può facilmente ricavare l’esclusione di un’abrogazione senza sostituzione che riguardi anche i singoli contenuti necessari della medesima (11).

2.1.4. Le norme legislative attuative

Con riferimento all’art. 123 cost. non sono state adottate norme legislative statali di attuazione se non per quanto riguarda le modifiche alle norme sul funzionamento della corte costituzionale, di sicura competenza statale, resesi necessarie a seguito della legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3 che ha trasformato il ricorso sulle leggi regionali da preventivo in successivo (legge 5 giugno 2003, n. 131, art. 9.1).
Leggi regionali di adeguamento sono invece intervenute a disciplinare, in primo luogo, le modalità di svolgimento della consultazione popolare sulle leggi regionali statutarie ai sensi dell’art. 123.3 cost. e la promulgazione dello statuto (la legge dello stato è infatti competente solo per la disciplina dei referendum statali art. 117, lett. f e la promulgazione non è materia statutaria riservata) (12). Tutte le regioni che si sono date il nuovo statuto (ad eccezione della Puglia) vi hanno provveduto preliminarmente all’approvazione dello stesso in quanto trattasi di un istituto nuovo per il quale manca un’apposita disciplina e per il quale non può essere sufficiente riferirsi in via analogica a quella concernente i referendum regionali già previsti prima della novella costituzionale del 1999 (13).
Posta l’antecedenza logica e cronologica della legge che disciplina le modalità della consultazione referendaria rispetto a quella che approva lo statuto, un dubbio circa la legittimità di una legge regionale (ordinaria) di immediata attuazione della costituzione sarebbe potuto sorgere in virtù del fatto che la stessa costituzione riserva allo statuto la regolazione del referendum su leggi della regione. Esclusa senz’altro una riserva assoluta in materia si sarebbe potuto comunque ritenere necessaria una intermediazione della legge statutaria tra la costituzione e la (successiva) legge regionale ordinaria che ne disciplina le modalità di svolgimento. In tal caso tuttavia - salvo aderire alla tesi secondo la quale l’eventualità della consultazione popolare non si applicherebbe alla prima approvazione del nuovo statuto, ma solo alle sue successive modifiche (14) - si sarebbe posto il problema di come disciplinare il referendum per la prima approvazione degli statuti. L’unico rimedio, secondo questa impostazione, sarebbe dato da una legge statutaria stralcio delle procedure di modifica statutaria previste dai vecchi statuti da approvare prima dell’adozione di quello nuovo (15). Ad una simile interpretazione non hanno aderito le regioni che si sono dotate della nuova carta statutaria, compresa la regione Puglia che non ha preventivamente disciplinato le modalità di svolgimento della consultazione popolare in alcun modo. Molti statuti, anzi, affidano espressamente alla legge regionale il compito di disciplinare le modalità di svolgimento del cd. referendum statutario (16). E’ questa una previsione che presuppone la competenza regionale (e non statale) in materia di attuazione dell’art. 123.3 cost. e che assegna alla legge regionale ordinaria (e non ad altre fonti regionali) la disciplina di attuazione del referendum confermativo degli statuti previsto dalla costituzione. Tale norma, dunque, va correttamente intesa come riserva di legge regionale e non come rinvio ad una legge successiva, data la necessaria antecedenza dell’eventuale espressione di volontà popolare rispetto all’atto-statuto. Ciò che peraltro risulta confermato dal fatto che – come visto – tutte le regioni, tranne la Puglia, hanno disciplinato l’istituto referendario preventivamente all’approvazione della loro legge fondamentale.

2.1.5. Le norme dei regolamenti consiliari

Al di là di alcune parziali modifiche o integrazioni sono ancora, in genere, in vigore i regolamenti interni dei consigli approvati prima delle ultime modifiche costituzionali (17). Sono le norme dei regolamenti consiliari che, pur in assenza di una vera e propria riserva di competenza, regolano la fase centrale del procedimento di formazione delle leggi. Ciò ha fatto sorgere qualche dubbio in ordine alle norme applicabili all’esame e all’approvazione delle (speciali) leggi statutarie che devono essere adottate con “doppia deliberazione conforme”. Ad esempio, il testo già positivamente accolto in prima deliberazione è emendabile o anche soltanto sottoponibile a coordinamento formale nella seconda votazione? (18)
Si tratta comunque di norme di parziale e incerta sindacabilità da parte della corte costituzionale in quanto interna corporis acta (19).

2.1.6. Le disposizioni di interpretazione (non autentica) della costituzione

Diversamente dalle norme che integrano o fanno attuazione a livello regionale delle norme costituzionali sul procedimento di formazione degli statuti si pongono le disposizioni che operano nei coni d’ombra delle lacune costituzionali. Le interpretazioni della costituzione che sono qui presupposte (in mancanza, a breve distanza dalle revisioni costituzionali, di un diritto vivente o anche soltanto di interpretazioni dottrinali prevalenti) o raccolte in forma scritta (in presenza viceversa di un chiaro diritto vivente) sono integralmente condizionate dalla bontà della interpretazione fatta propria dalla legge e non hanno un’autonoma funzione normativa.
Un caso di questo genere si trova nelle leggi di disciplina del referendum sulle leggi regionali statutarie, le quali spesso non si sono limitate a disciplinare le modalità di svolgimento della consultazione popolare e la promulgazione ma hanno fissato le regole per risolvere la delicata questione della sovrapposizione temporale del procedimento referendario con quello concernente il giudizio di legittimità costituzionale, dato che i termini per l’iniziativa referendaria decorrono dalla stessa data di quelli fissati per il ricorso governativo (rispettivamente: tre mesi e trenta giorni dalla pubblicazione notiziale) (20). La prima regione ad intervenire in materia, prima ancora della sentenza della corte costituzionale che ponesse fine al dubbio (a seguito della l. cost. n. 1 del 1999 e della l. cost. n. 3 del 2001) circa la natura preventiva o successiva dell’eventuale giudizio di legittimità costituzionale rispetto alla promulgazione dello statuto (sent. 3 luglio 2002, n. 304), fu l’Emilia-Romagna (l.r. 25 ottobre 2000, n. 29). In questa legge si presuppone che il termine per promuovere la questione di legittimità costituzionale da parte del governo decorra dalla data della pubblicazione notiziale e non da quella della pubblicazione necessaria e conseguentemente si dispone che, qualora il governo promuova la questione di legittimità costituzionale, il termine per la richiesta del referendum popolare è sospeso (o interrotto) e comincia nuovamente a decorrere dalla data di pubblicazione della decisione della corte costituzionale. Le attività e le operazioni compiute prima della sospensione/interruzione conservano validità solo in caso di rigetto del ricorso (21).
Il governo, invece, nel testo del d.d.l. cd. La Loggia (art. 9) – nella originaria stesura approvata dal consiglio dei ministri il 19 aprile 2002 – aveva ritenuto successiva alla promulgazione la collocazione del ricorso sulle leggi statutarie. Fu dunque solo a seguito del sopraggiungere della notizia della decisione della corte (con la sent. n. 304 del 2002) che esso dovette adeguarsi all’interpretazione già fatta propria dalla regione Emilia-Romagna, emendando conseguentemente il testo definitivo del disegno di legge (approvato dal consiglio dei ministri lo stesso giorno dell’udienza della corte, il 20 giugno 2002).
Al di fuori del procedimento di formazione degli statuti un caso ancora più evidente che rivela la natura assolutamente non autonoma e non normativa di siffatte interpretazioni, qualora non siano solo presupposte ma anche scritte (22), è quello rappresentato da alcune leggi regionali che sono intervenute a definire le procedure per il giudizio di valutazione dell’insindacabilità dei consiglieri regionali ai sensi dell’art. 122.4 Cost. (23). A salvaguardia dell’autonomia e dell’indipendenza dei consiglieri regionali è specificato in queste leggi che il consiglio regionale è l’organo competente a valutare la insindacabilità della condotta eventualmente addebitata ad un proprio membro e, in particolare, che costituiscono esercizio delle funzioni di consigliere regionale le opinioni e i voti espressi nelle sedute degli organi regionali o comunque funzionalmente collegati alle attribuzioni del consiglio regionale.
Siffatte previsioni, rispetto a quella costituzionale – che si limita ad affermare che “i consiglieri regionali non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni” senza specificare altro – contengono un’addizione testuale che aderisce ad un filone interpretativo della citata disposizione costituzionale ormai consolidato (24). Qualora si dovesse intendere che, in queste ipotesi, la legge regionale abbia la forza necessaria per irrigidire l’interpretazione della previsione costituzionale si tratterebbe di disposizioni illegittime o perché incidenti in materia costituzionale o comunque - anche a voler ritenere possibile delle disposizioni integrative della disposizione costituzionale a livello regionale - in quanto rientranti tra i “principi fondamentali di organizzazione e funzionamento” della regione stessa, che l’art. 123.1, cost. riserva alla determinazione statutaria (insieme alla forma di governo e agli altri contenuti necessari degli statuti regionali). Qualora si ritenesse invece che siffatte disposizioni costituiscano una semplice ricognizione (per memoria) della norma costituzionale vivente (così come attualmente interpretata dalla corte costituzionale) e non determinino esse stesse - non avendo il potere di farlo – un ampliamento dell’oggetto della garanzia recata dall’art. 122 cost., ciò consentirebbe di individuare chiaramente il valore non innovativo di simili disposizioni, che opererebbero come una sorta di nota a margine al vero e proprio corpo normativo della legge regionale: un curioso caso di legislatore-glossatore.

2.2. Le lacune della disciplina e l’interpretazione (dottrinale o giurisprudenziale) delle leggi regionali

C’è da chiedersi, per quanto riguarda l’interpretazione delle fonti regionali (non previste dalle disposizioni sulla legge in generale), che uso possa farsi dell’analogia iuris. Entro quale misura cioè il principio generale di analogia possa considerarsi limitato dal carattere autonomo e territoriale di queste fonti.

2.2.1. Interpretazione analogica ricavabile dalla legislazione statale

Si può qui considerare il caso del rinvio normativo operato dalle leggi che disciplinano il referendum popolare confermativo delle cd. leggi statutarie o di governo nelle regioni Val d’Aosta (l.r. 22 aprile 2002, n. 4, art. 23) e Friuli Venezia Giulia (l.r. 27 novembre 2001, art. 21), per quanto non disposto dalle leggi regionali medesime, alle disposizioni della legge di disciplina del referendum costituzionale e degli altri referendum previsti dalla costituzione (l. 25 maggio 1970, n. 352), in quanto applicabili. E’ da chiedersi se si tratti qui di un vero rinvio normativo che opera solo per le regioni (speciali) che l’abbiano previsto o piuttosto se non debba operare in ogni caso in virtù di un principio generale di analogia presente nel nostro ordinamento giuridico (art. 12 delle cd. preleggi).
Questo argomento potrebbe essere decisivo per la regione Puglia che non ha disciplinato il referendum confermativo dello statuto prima della sua promulgazione. In questo caso infatti – per evitare il rischio che lo statuto promulgato possa considerarsi un atto giuridicamente inesistente per non avere avuto il corpo elettorale regionale l’effettiva possibilità di partecipare alla formazione della volontà dell’atto complesso – si potrebbe sostenere che sia utilizzabile, in via analogica, la disciplina concernente il referendum (abrogativo e consultivo) regionale già regolato prima della novella costituzionale del 1999 (25), ricorrendo - per quanto non direttamente applicabile - ad un’interpretazione sistematica dell’ordinamento della repubblica che deduca le disposizioni normative non ricavabili analogicamente dalla legislazione regionale, in via sussidiaria, direttamente dalla normativa statale sui referendum previsti dalla costituzione (ed in particolare quello costituzionale) (26).
Se così fosse, tuttavia, il presidente della regione avrebbe dovuto ritenere applicabile - adattandolo al procedimento di formazione dello statuto - l’art. 5 della legge 352 del 1970, provvedendo a certificare, attraverso la formula della promulgazione, che la legge sia stata approvata dal consiglio regionale a maggioranza assoluta dei suoi componenti e che nessuna richiesta del referendum previsto dall’art. 123.3 della costituzione sia stata presentata entro il termine di tre mesi dalla sua pubblicazione notiziale (27), ciò che invece non è in concreto avvenuto (28). A voler seguire questa tesi – per mettere in sicurezza lo statuto pugliese – sarebbe allora auspicabile che la sua promulgazione sia quantomeno rettificata (come correzione di errore materiale).

2.2.2. Interpretazione analogica ricavabile dalla legislazione delle altre regioni

Come abbiamo già accennato molte regioni sono intervenute a regolare gli effetti dell’esito del giudizio della corte costituzionale sul procedimento del referendum confermativo. Emilia-Romagna, Marche e Piemonte hanno previsto in particolare che, nel caso in cui la legge statutaria sia dichiarata solo parzialmente illegittima dalla corte costituzionale, il consiglio regionale delibera sui provvedimenti consequenziali da adottare e che, qualora si tratti di modifiche derivanti da esigenze di mero coordinamento testuale o formale, la deliberazione in questione non deve essere nuovamente approvata come legge nuova secondo il procedimento previsto dall’art. 123 cost. (o dagli statuti speciali per le leggi statutarie delle regioni e delle province ad autonomia speciale). Soltanto la regione Lazio, regolando la medesima questione, ha previsto che i soli provvedimenti consequenziali che consentono al consiglio regionale di approvare a maggioranza assoluta e con un’unica deliberazione modifiche al testo già approvato sono quelli consistenti nella soppressione delle disposizioni dichiarate incostituzionali ovvero in modifiche della legge tese esclusivamente a conformarsi alla sentenza nonché al mero coordinamento formale del testo. Questa disposizione appare molto più chiara e precisa di quella delle altre regioni che hanno regolato similmente il medesimo caso sia per l’espressa previsione che la deliberazione consiliare sia unica e approvata a maggioranza assoluta sia per la maggiore precisione nella definizione degli interventi meramente consequenziali.
Dal confronto di queste disposizioni si possono ricavare argomenti sia per analogia sia ragionando a contrario per la risoluzione delle questioni di legittimità costituzionale sollevati dal governo sulle leggi statutarie promulgate dalle regioni Emilia-Romagna e Umbria (29); la più chiara disposizione della legge del Lazio potrebbe aiutare a comprendere, infatti, la ratio e la portata effettiva della meno chiara disposizione legislativa emiliano-romagnola. Ancora più decisivo sarebbe l’uso dell’argomento per analogia o a contrario nel caso dell’Umbria, regione che, pur non prevedendo espressamente la possibilità di provvedimenti consequenziali sul testo della delibera legislativa da approvare dal consiglio in forma semplificata né un conseguente potere di promulgazione parziale da parte del presidente della regione, ha agito come se di quegli stessi poteri disciplinati da altre leggi regionali essa stessa potesse implicitamente disporre.

3. Il procedimento legislativo statutario

3.1. L’iniziativa e l’istruttoria

Le norme costituzionali non dispongono nulla sull’iniziativa e l’istruttoria delle leggi statutarie. L’iniziativa legislativa in genere è però riservata agli statuti (art. 123.1) mentre l’istruttoria è sempre disciplinata dai regolamenti interni dei consigli, per quanto la materia non sia espressamente riservata ad essi (30). Il solo statuto della Toscana pone una disposizione che disciplina specificamente il potere d’iniziativa per le modifiche statutarie (31). Gli statuti dell’Emilia-Romagna (art. 18.4) e della Puglia (art. 15.3) si limitano invece si limitano ad escludere l’iniziativa popolare per la revisione statutaria (32). In altri due statuti si prevede, inoltre, che le iniziative di revisione statutaria respinte dal consiglio non possano essere ripresentate (33) o prima che sia trascorso un anno dalla loro reiezione (Calabria, art. 58.2) o nel corso della stessa legislatura (Piemonte, art. 101.3). In ogni altro caso valgono le norme degli statuti sull’iniziativa e l’istruttoria legislativa in genere nonché le norme dei regolamenti consiliari.
In sede di prima attuazione, tuttavia, quasi tutte le regioni hanno adottato un procedimento speciale per la redazione del nuovo statuto. A questo fine tutti i consigli regionali hanno istituito delle commissioni per la definizione o l’esame in sede referente delle proposte dei nuovi statuti. Si è trattato, in genere, di commissioni speciali con l’eccezione dell’Emilia-Romagna, che ha istituito un’apposita commissione ordinaria per l’esame in sede preparatoria e referente delle proposte di revisione dello statuto (34), e della Puglia, che ha affidato la materia alla commissione consiliare permanente “Affari istituzionali”. Per la loro istituzione in Calabria, Umbria e Molise s’è provveduto con legge regionale (35), nelle Marche con modifica del regolamento consiliare, in Abruzzo, Basilicata, Lombardia e Piemonte con deliberazione consiliare non legislativa e, infine, in Veneto con decreto del presidente del consiglio regionale. I termini previsti per la definizione dei progetti, che variavano originariamente tra un minimo di sei mesi (Calabria) e un massimo rappresentato dalla durata dell’intera legislatura regionale (Liguria), con una media che si collocava al disotto dei due anni, sono stati successivamente generalmente prorogati.
Per quanto riguarda la composizione di dette commissioni, a parte la naturale variazione numerica dei membri, le particolarità di maggior rilievo sono da individuare nel fatto che in due casi sono stati chiamati a farne parte il presidente della giunta regionale (Piemonte) o un rappresentante di giunta (Calabria). Un’altra particolarità di rilievo è da rinvenire nella composizione paritetica tra maggioranza e opposizione che si riscontra in alcune regioni (Abruzzo, Molise). La presidenza delle commissioni è stata affidata in alcune regioni a un esponente della maggioranza (36) e in altre a un esponente dell’opposizione (37). In due casi è stata prevista invece un’alternanza alla carica, tra rappresentanti della maggioranza e rappresentanti dell’opposizione (38).
Compito affidato alle commissioni statuto è stato spesso anche quello di elaborare o esaminare in sede referente le proposte di revisione della legge elettorale regionale (39) e del regolamento consiliare (40). Una diversa ipotesi di coordinamento tra l’organo competente alla revisione dello statuto e l'altro cui spetta modificare il regolamento consiliare è stata quella prevista dalla regione Marche secondo la quale la commissione straordinaria per lo statuto esprime il proprio parere sulla proposta di modifica del regolamento interno prima che questa (elaborata dalla giunta per il regolamento) sia sottoposta all’assemblea.
In tutte le regioni si è previsto, o comunque concretamente realizzato, il coinvolgimento della società civile e degli enti locali. A tal fine si è proceduto, in particolare, all’audizione o alla consultazione delle formazioni e degli altri soggetti sociali. Molte regioni inoltre hanno espressamente previsto di avvalersi della consulenza di esperti (41). Nel Lazio uno schema di bozza di statuto è stato predisposto da una commissione di esperti per conto della giunta regionale che l’ha successivamente trasmesso al consiglio. Altre regioni, invece, hanno organizzato giornate di studio (Emilia-Romagna), nonché gruppi di ricerca misti (funzionari regionali – esperti esterni) che hanno avanzato proposte operative alla commissione (Toscana).

3.2. La fase deliberativa

L’art. 123.2 cost. dispone che lo statuto è approvato e modificato dal consiglio regionale con legge adottata a maggioranza assoluta dei suoi componenti con due deliberazioni successive votate ad intervallo non minore di due mesi.
La necessaria approvazione consiliare esclude senz’altro la formula assemblea statuente, con poteri deliberativi (42), ma forse non quella della “convenzione per lo statuto”, con mero potere propositivo, adottata dalla regione Friuli Venezia Giulia per la revisione del proprio statuto speciale (43). Tuttavia – come abbiamo appena visto – la quasi generalità delle regioni ha disposto un procedimento speciale di redazione dei nuovi statuti, con l’ampio coinvolgimento della società civile e degli enti locali e un significativo supporto di esperti in discipline giuridiche-pubblicistiche, ma tutto interno ai consigli regionali.
La necessità dell’approvazione a maggioranza assoluta dei componenti del consiglio comporta una riserva d’assemblea implicita che è stata esplicitata dal solo statuto della regione Umbria (art. 36.4).
La necessità di due deliberazioni successive implica l’assoluta identità del testo, inemendabile dunque in seconda votazione. Sono in particolare le leggi di disciplina del referendum popolare confermativo che chiariscono che la doppia deliberazione deve riguardare un identico insieme di parole (44) e che con la trasmissione al presidente della giunta regionale il presidente del consiglio attesta l’intervenuta doppia deliberazione conforme. Per il resto il procedimento di approvazione della legge è regolato dai (non adeguati e dunque lacunosi) regolamenti consiliari in vigore.
Nella prassi vanno considerati i casi dubbi dell’Umbria e del Lazio, relativi – rispettivamente – alla conformità del testo e alla doppia deliberazione a maggioranza assoluta.
In Umbria il testo approvato in seconda deliberazione non è stato del tutto conforme a quello sottoposto al voto in prima deliberazione. In questa occasione il consiglio ha, infatti, preliminarmente approvato alcune correzioni formali secondo le norme del proprio regolamento interno (45). Il dubbio circa la legittima applicazione di questa disposizione nasce dall’evidenza che per il simile procedimento di revisione costituzionale i regolamenti parlamentari non consentono nessuna modifica al testo (46) e nella pratica parlamentare non v’è precedente di correzioni formali su un testo di legge costituzionale da approvare in seconda lettura (47).
Nel Lazio la seconda deliberazione (svoltasi il 29 luglio del 2004) non è stata approvata a maggioranza assoluta e si è dubitato che la successiva dichiarazione d’invalidità della votazione (il successivo 3 agosto) costituisse un atto legittimo e, di conseguenza, che il nuovo statuto possa costituire un atto giuridicamente esistente, in quanto non approvato con due deliberazioni successive a maggioranza assoluta (48).
Il governo non ha promosso l’impugnativa né nel primo né nel secondo caso, forse in virtù del principio dell’insindacabilità degli interna corporis acta. Se è così, ciò è da ritenersi senz’altro corretto nel caso della regione Lazio, dove si sarebbero dovute valutare le modalità del voto esclusivamente sulla base del regolamento interno (49), ma non nel caso dell’Umbria, dove si sarebbe potuto contestare il potere di apportare modificazioni al testo dello statuto in seconda deliberazione in diretto contrasto con la procedura di approvazione prevista dalla costituzione (50).

3.3. La pubblicazione notiziale

La pubblicazione a fini notiziali, implicitamente deducibile dall’art. 123.3 cost. (51), è in genere regolamentata dalle leggi di disciplina del referendum confermativo (52).
Ciò che ci sembra in particolare da rimarcare è che alcune di queste leggi prevedono ipotesi di ripubblicazione, sempre ai fini notiziali, nel caso in cui il testo pubblicato subisca delle successive variazioni. Si tratta o di modifiche consequenziali all’eventuale giudizio di legittimità costituzionale o di modifiche indipendenti dal giudizio della corte. Sulle prime ci soffermeremo più avanti (quando parleremo del sub-procedimento contenzioso), per quanto riguarda le seconde, invece, solo le leggi dell’Emilia-Romagna e della provincia autonoma di Trento prevedono espressamente che il consiglio (regionale o provinciale) possa modificare (o revocare) la deliberazione legislativa statutaria già approvata anche durante la decorrenza del termine disposto ai fini della richiesta del referendum in maniera indipendente dal giudizio della corte.
In tal caso il procedimento di approvazione previsto dall’art. 123.2 cost. ricomincia dal principio e la nuova delibera legislativa statutaria, modificata o parzialmente abrogata, è nuovamente pubblicata ai fini notiziali nel testo risultante a seguito delle modifiche introdotte. In via di prassi l’ipotesi si è concretamente realizzata in Liguria, regione nella quale, a seguito del ricorso governativo (ma prima del giudizio della corte) sulla delibera legislativa statutaria, il consiglio regionale ha ritenuto di apportare delle modifiche al testo già deliberato ripubblicando la nuova deliberazione approvata (ai sensi dell’art. 123.2 cost.) (53). In tal senso si è inoltre indirizzato anche il consiglio della regione Abruzzo che, sempre a seguito del ricorso governativo, ha approvato una nuova prima deliberazione (54) di un testo modificato - in adeguamento ai rilievi dell’impugnativa - pur senza riapprovarlo in seconda deliberazione (e pubblicarlo nuovamente ai fini notiziali) prima del termine della legislatura da poco conclusasi (55).

3.4. Il sub-procedimento referendario

L’art. 123.3 cost. prevede che lo statuto è sottoposto a referendum popolare qualora entro tre mesi dalla sua pubblicazione ne faccia richiesta un cinquantesimo degli elettori della regione o un quinto dei componenti il consiglio regionale (56).
Per quanto riguarda le norme statutarie integrative di particolare rilievo è quella fissata dalla regione Emilia-Romagna secondo la quale, in caso di successive (parziali) modifiche relative a più argomenti, il referendum è articolato in più quesiti formulati, per temi omogenei, dall’organo di garanzia statutaria (art. 22.2) (57).
Per la concreta disciplina del procedimento di consultazione popolare tutte le regioni che hanno un nuovo statuto (ad eccezione della Puglia) hanno previamente approvato una legge di regolamentazione (58) (ma vi hanno già adempiuto anche il Veneto e l’Abruzzo) (59).
Dalle previsioni costituzionali si ricava chiaramente che il referendum statutario, come quello costituzionale, non è necessario ma, a differenza di quest’ultimo, è ad eventualità necessaria, in quanto non è previsto il caso che, in virtù dell’elevato livello di consenso realizzatosi nell’assemblea legislativa rappresentativa, si possa escludere la possibilità della consultazione popolare diretta. Ciò che è dubbio – e meritevole di attenzione – è però se l’approvazione del corpo elettorale concorra alla perfezione di un atto normativo complesso o piuttosto se il referendum non debba considerarsi un atto di controllo volto a condizionare l’efficacia di un atto già perfetto. La questione non è nuova ed è la stessa che già s’è posta per l’approvazione delle leggi costituzionali. A far pendere il piatto della bilancia molto più nettamente verso la tesi dell’atto complesso, nel caso del referendum statutario, sta già il fatto che la contrapposta tesi perde il suo migliore argomento: la previsione in base alla quale non si può dar ricorso alla consultazione popolare se la legge è stata approvata nella seconda deliberazione a maggioranza di due terzi dei componenti non trova applicazione per gli statuti regionali. In tal caso, infatti, per poter sostenere che la legge costituzionale è - anche qui - un atto complesso, pur con la necessaria assenza della manifestazione della volontà popolare (espressa o tacita), occorre ricorrere alla teoria del consenso popolare “presunto” (60), che è indubbiamente il punto più debole di questa dottrina.
Decisivi risultano però altri argomenti. Com’è noto la perfezione di un atto giuridico coincide con il momento in cui l’autorità competente a formarlo ne abbia definitivamente approvato il contenuto (61). Se dunque la delibera legislativa statutaria pubblicata a fini notiziali fosse un atto perfetto, non potrebbero più intervenire sul testo della legge né il consiglio (non prima della sentenza della corte costituzionale o del responso referendario) né il corpo elettorale (che potrebbe solo approvare o non approvare in toto il provvedimento). Entrambe queste affermazioni sono però false (alla luce dell’attuazione costituzionale).
Come abbiamo già rilevato (62), infatti, le leggi attuative dell’Emilia-Romagna e della provincia autonoma di Trento prevedono espressamente che il consiglio (regionale o provinciale) possa modificare o revocare la deliberazione legislativa statutaria già approvata anche durante la decorrenza del termine disposto ai fini della richiesta della consultazione popolare (in maniera indipendente dal giudizio della corte). In via di prassi l’ipotesi si è, inoltre, concretamente realizzata in Liguria e in Abruzzo. Inoltre, la regione Emilia-Romagna nel proprio statuto (art. 22) dispone – lo abbiamo appena visto – che per le variazioni statutarie, quando si tratti di modifiche parziali relative a più argomenti, il referendum confermativo è articolato in più quesiti per temi omogenei (63). In tal caso, dunque, il testo approvato dall’assemblea legislativa può essere direttamente modificato dalla volontà espressa dal corpo elettorale. In nessuna di queste ipotesi vi è stato peraltro il ricorso governativo.
La tesi del referendum come atto di controllo, sostenuta da qualcuno a partita ancora da giocare (64), non appare dunque più sostenibile alla luce della concreta attuazione costituzionale.

3.5. Il sub-procedimento contenzioso

3.5.1. La questione del termine iniziale

L’art. 123.2, ultima parte, prevede che il governo della repubblica può promuovere la questione di legittimità costituzionale sugli statuti regionali dinanzi la corte costituzionale entro trenta giorni dalla loro pubblicazione. Ma di quale pubblicazione si tratta? Di quella notiziale, preventiva rispetto alla promulgazione, prevista dall’art. 123.3 ai fini della richiesta del referendum o di quella necessaria, successiva alla promulgazione, a cui si riferisce l’art. 127 per l’impugnazione delle leggi in genere? A fronte dell’estrema incertezza dell’interpretazione di questa previsione è intervenuto il giudizio della corte costituzionale, la quale con la sent. 3 luglio 2002, n. 304 ha interpretativamente ricavato dall’art. 123 cost. che il controllo di legittimità costituzionale delle deliberazioni legislative statutarie ha natura preventiva e non successiva. La preoccupazione che ha mosso la corte (di una sovraesposizione in caso di un giudizio successivo ad un pronunciamento referendario del corpo elettorale su temi caldi della politica strillati dagli statuti o dalle successive campagne referendarie) è comprensibile e condivisibile - e da questo punto di vista la decisione può considerarsi senz’altro opportuna - anche se su un piano più strettamente giuridico formale gli argomenti di questa decisione appaiono elusivi e poco convincenti (65).
Occorre notare tuttavia che adottando una simile soluzione interpretativa la corte costituzionale – contrariamente a quanto potrebbe sembrare a prima vista in virtù del fatto che prima della legge di revisione costituzionale n. 3 del 2001 tutte le leggi regionali erano impugnate dal governo in via preventiva – ha determinato una situazione assolutamente nuova per il nostro ordinamento. In tal caso, infatti, il giudizio non è solo preventivo (rispetto alla promulgazione) ma è anche dato su un oggetto meramente potenziale (un atto giuridico non ancora perfetto, in quanto non ancora approvato – per espresso o per implicito – dal corpo elettorale e sul quale, come abbiamo visto, può ancora intervenire lo stesso consiglio regionale).
La corte ha così finito per riconoscersi un inedito ruolo da svolgere all’interno del procedimento di formazione degli statuti in una fase in cui il testo dello statuto non è ancora certo e definitivo (66), ma soprattutto ha determinato la conseguenza che i soli vizi di legittimità che potrebbero essere conosciuti dalla corte sono quelli che riguardano questa prima fase procedimentale (quella che si chiude con la pubblicazione notiziale). Vizi peraltro non tutti da essa sindacabili in virtù dell’antico feticcio (così come lo chiamava Barile) degli interna corporis acta.

3.5.2. La questione del coordinamento dei due sub-procedimenti

La soluzione accolta dalla corte determina, peraltro, un difficile problema di coordinamento del procedimento referendario con quello contenzioso, dato che i termini per l’iniziativa referendaria decorrono dalla stessa data di quelli fissati per il ricorso governativo (rispettivamente: tre mesi e trenta giorni dalla pubblicazione notiziale). Come abbiamo già più volte accennato, alcune leggi regionali di disciplina del referendum confermativo (Abruzzo (67), Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Marche, Piemonte, Provincia di Trento, Toscana, Umbria e Veneto) hanno fissato le regole per risolvere la delicata questione della sovrapposizione temporale del procedimento referendario con quello concernente il giudizio di legittimità costituzionale (68).
Secondo queste leggi (69), qualora il governo promuova la questione di legittimità costituzionale, il termine per la richiesta della consultazione popolare è sospeso (o interrotto) e comincia nuovamente a decorrere dalla data di pubblicazione della decisione della corte costituzionale nella gazzetta ufficiale della repubblica (70) o nel bollettino ufficiale della regione (71). Le attività e le operazioni eventualmente compiute prima della sospensione/interruzione conservano validità solo in caso di rigetto del ricorso (72). Occorre tuttavia chiedersi che cosa possa succedere nel caso in cui la legge statutaria sia dichiarata solo parzialmente illegittima dalla corte costituzionale, che è poi il caso ordinario qualora la decisione non sia di rigetto. Ciò determina senz’altro l’estinzione del procedimento referendario già avviato (con la richiesta) e le operazioni già eventualmente compiute perdono efficacia (73), in quanto è da escludere che un procedimento referendario cui ha dato inizio una richiesta concernente una delibera legislativa statutaria (nel testo ufficialmente pubblicato in via notiziale) possa proseguire con riferimento ad un testo anche solo parzialmente diverso. Ma questo determina anche l’estinzione dell’intero procedimento di approvazione della legge? Le regioni Emilia-Romagna, Lazio, Marche e Piemonte hanno ritenuto di no e hanno dunque previsto che in tal caso il consiglio regionale delibera (74) sui provvedimenti consequenziali da adottare e che qualora si tratti di modifiche consistenti nella soppressione delle disposizioni dichiarate incostituzionali (“coordinamento testuale”), ovvero derivanti da esigenze di mero coordinamento formale, la legge non debba considerarsi nuova e dunque il procedimento di approvazione non debba essere riavviato dal principio (75).
Soltanto la regione Lazio prevede espressamente la necessità di una nuova pubblicazione della delibera legislativa statutaria, nel testo adeguato a seguito della sentenza della corte costituzionale, al fine di consentire il computo di un nuovo termine a decorrere dalla data di ripubblicazione della legge per un’eventuale nuova richiesta di consultazione popolare (76). E’ da ritenere, tuttavia, che la necessaria identità testuale della deliberazione statutaria da sottoporre all’eventuale referendum confermativo con quella approvata dal consiglio regionale (nel testo pubblicato ai fini notiziali) imponga, in tutti i casi considerati, una nuova pubblicazione della delibera legislativa (comunque) modificata e un nuovo computo del termine. Particolarmente significativo è al riguardo l’analogo caso della Sicilia, che ha pubblicato in via notiziale il testo progressivamente modificato della propria recente legge elettorale regionale – che è legge statutaria o di governo – per ben tre volte (77). Diversa è invece la soluzione concretamente adottata in Umbria (78) e in Emilia-Romagna (79) in luogo della ripubblicazione del testo statutario.

3.6. La promulgazione e la pubblicazione

La costituzione affida la promulgazione delle leggi regionali al presidente della giunta (121.4; 123.3). La promulgazione degli statuti è però più precisamente regolata dalle leggi regionali di disciplina del referendum. Il computo dei termini e la formula promulgativa mutano infatti in relazione al fatto che sia stata presentata o meno una richiesta di referendum, che sia stata promossa o meno una questione di legittimità costituzionale e dall’esito dei relativi sub-procedimenti.
Le leggi regionali dettano disposizioni, inoltre, sulla denominazione e la numerazione degli atti-statuto da pubblicare nel bollettino ufficiale della regione. Lazio, Liguria, Marche, Piemonte e Toscana hanno optato per un’autonoma denominazione e numerazione dell’atto: “legge statutaria”, che ne marchi il carattere di species rispetto alle altre leggi regionali; mentre Calabria, Emilia-Romagna, Puglia e Umbria hanno preferito mantenere la denominazione e la numerazione ordinaria di “legge regionale”, che ne marchi l’appartenenza ad un comune, più ampio, genus (rimettendo alla titolazione della legge e alla formula di promulgazione le peculiarità procedurali di specie). Originale, invece, è la soluzione adottata dalla regione Toscana che ha adottato la denominazione di “statuto” senza alcuna numerazione, in quanto – in tutta evidenza – lo statuto può essere uno solo (art. 123.1 ciascuna regione “ha uno statuto”), parzialmente modificabile o integralmente sostituibile ma comunque destinato a mantenere la sua necessaria unicità e continuità nel corso del tempo (ne consegue pertanto, coerentemente, anche il divieto di abrogazione totale – esplicitato – e l’illegittimità di leggi statutarie che non siano di revisione dello statuto) (80).
Per quanto riguarda l’entrata in vigore nulla dispone la costituzione né specificamente per gli statuti né, dopo la riforma del titolo V, per le leggi regionali in genere. Le rare disposizioni dei vecchi statuti (adottati con legge statale) che si riferiscono all’entrata in vigore delle loro modificazioni sono inapplicabili per quelli nuovi (adottati con legge regionale). A disporre della propria entrata in vigore sono stati allora, in sette casi su nove, gli statuti nuovi: Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, e Toscana hanno previsto che essi entrano in vigore il giorno successivo alla data di pubblicazione (81); Calabria, Marche e Piemonte hanno invece applicato il termine ordinario per la vacatio legis degli stessi (che sono entrati in vigore il 15° giorno successivo alla data di pubblicazione) (82); in questo caso evidentemente è da intendersi che la sola norma che è entrata in vigore immediatamente è stata quella che disponeva il termine per la vacatio legis. Gli statuti di Puglia ed Umbria non hanno dettato disposizioni sulla loro entrata in vigore, ma hanno previsto il rispetto dell’ordinario termine di vacatio per le leggi regionali, salvo che queste non dispongano diversamente (83). Le nuove previsioni avranno dunque senz’altro efficacia per le successive modificazioni statutarie; l’entrata in vigore dei nuovi statuti dovrebbe essere stata regolata invece dalle disposizioni di quelli vecchi concernenti l’entrata in vigore delle leggi regionali (solo parzialmente vincolate dal vecchio art. 127 cost. che disponeva che la legge regionale entra in vigore non prima di 15 giorni dalla sua pubblicazione e, dunque, da ritenersi ancora in vigore fino alla vigenza dei nuovi statuti) (84). In entrambi i casi, a parte la precisazione formale, il termine per l’entrata in vigore sarebbe comunque stata la stessa (il 15° giorno successivo alla pubblicazione).

3.6.1. La questione della promulgazione parziale

Abbiamo detto del principio d’identità testuale della deliberazione statutaria pubblicata ai fini notiziali con quella da sottoporre al referendum confermativo (85). Se fosse però da ammettersi l’opinione espressa dal consiglio di stato, in due pareri formulati per le regioni Emilia-Romagna e Umbria (86), secondo la quale “il testo normativo deve conservare la propria identità dalla prima deliberazione consiliare alla promulgazione che ha per oggetto il testo approvato dal consiglio”, tutte le previsioni che autorizzano i presidenti delle giunte alla promulgazione parziale delle deliberazioni legislative statutarie adeguate in via meramente consequenziale alle sentenze di accoglimento parziale della corte costituzionale (una norma di legge in Emilia-Romagna e una risoluzione del consiglio regionale in Umbria) sarebbero da considerarsi illegittime.
E’ noto d’altronde che la corte costituzionale ha sempre escluso un autonomo potere di promulgazione parziale del presidente della giunta regionale in passato (87). Sembrerebbe necessaria, pertanto, quantomeno un’apposita deliberazione consiliare che valuti i provvedimenti consequenziali da adottare, approvata con la stessa maggioranza necessaria per l’adozione dello statuto: a maggioranza assoluta (ciò che è espressamente previsto nel solo caso del Lazio e che, comunque, non è concretamente avvenuto nel caso dell’Umbria e dell’Emilia-Romagna) (88). E’ poi da chiedersi se per l’adozione di una simile soluzione sia sufficiente una disposizione di legge regionale ordinaria e se un’ipotesi del genere sia estensibile anche laddove non sia espressamente prevista (come nel caso dell’Umbria).
Per la prima questione vi è da ricordare che, mentre il vecchio testo dell’art. 127 cost. prima della riforma del 2001 disciplinava direttamente la promulgazione della legge regionale (di cui la legge statutaria è una species) (89), nel nuovo titolo V questo potere continua ad essere attribuito al presidente della giunta regionale ma non è più direttamente disciplinato; né si può dire, d’altronde, che la promulgazione rientra tra i contenuti strettamente necessari dello statuto ai sensi dell’art. 123.1. Pienamente legittima pare dunque la scelta di regolarla con legge regionale.
Per quanto riguarda la seconda questione, la valutazione da compiere è più incerta. Essendo tuttavia la promulgazione un atto della sequenza formativa della legge di dubbia natura giuridica ma sicuramente non espressione del potere legislativo (90) sembra difficilmente ammissibile che una simile ipotesi possa sfuggire allo stretto rispetto del principio di legalità.
Se dunque sono questi i termini della questione, la promulgazione parziale dello statuto – avvenuta senza che l’ipotesi fosse stata previamente disciplinata dalla legge e senza che la deliberazione non legislativa del consiglio che l’autorizzava fosse adottata a maggioranza assoluta – sembra, comunque, non rispondente ai requisiti minimi di legittimità. In ogni caso, come abbiamo visto, è stata concretamente rimessa alla valutazione della corte costituzionale la più radicale questione circa la sussistenza di un principio costituzionale che impone l’identità testuale della legge statutaria dalla prima deliberazione alla promulgazione. Se così fosse, risulterebbero illegittime - ovviamente - non solo le disposizioni che prevedono il caso dell’adeguamento meramente consequenziale agli effetti delle sentenze di illegittimità costituzionale sul testo della deliberazione legislativa statutaria ma anche quelle previsioni che consentono al corpo elettorale di approvare solo pro parte le leggi di modifica statutaria a contenuto non omogeneo (in Emilia-Romagna). Pure qui infatti verrebbe meno l’identità testuale dell’atto (91).

3.6.2. La questione dell’eventuale ruolo di controllo del presidente della regione

Sebbene la posizione del presidente della giunta regionale sia notevolmente diversa da quella del presidente della repubblica, ci si deve chiedere se ed entro quali limiti esso possa esercitare un potere di controllo in sede di promulgazione. I nuovi statuti non prevedono un potere di veto presidenziale sulle leggi regionali, anche se è da condividersi l’opinione che dopo le revisioni del titolo V ciò sarebbe stato astrattamente possibile, almeno per quanto riguarda il controllo di merito (l’opportunità politica dei provvedimenti), attenendo ciò alla materia della cd. forma di governo (92).
Per quanto riguarda invece il potere di controllo sulla manifesta illegittimità sostanziale dei provvedimenti, in funzione di garanzia, una simile ipotesi oltre a risultare improponibile, in considerazione della forte caratterizzazione di parte e della posizione di non-terzietà del presidente della giunta regionale (93), sarebbe stata comunque non legittimamente perseguibile se l’intenzione fosse stata quella di affidare al presidente un ruolo di garante della costituzione e non di garante dello statuto regionale.
Quello che a noi interessa considerare qui è però se il presidente della giunta, in qualità di presidente della regione, possa o debba esercitare un controllo sulla legittimità formale della legge (e dunque una funzione notarile), pur in assenza di un espresso potere di rinvio, e rifiutare la promulgazione della legge formalmente irregolare o giuridicamente inesistente.
Se è vero infatti che la promulgazione è un atto dovuto, è anche vero che il presidente della giunta può essere rimosso con decreto motivato del presidente della repubblica quando abbia compiuto atti contrari alla costituzione o gravi violazioni di legge (secondo quanto previsto dall’art. 126.1). Certamente tutti gli elementi essenziali del procedimento di formazione degli statuti sono già direttamente indicati in costituzione (a differenza di quanto accade per le comuni leggi regionali) ma potrebbe mai un vizio formale dello statuto arrivare al punto di “incidere sui principi che connotano il ‘nucleo duro’ dell’ordinamento costituzionale”? (94)
Si consideri qui un’ipotesi di scuola, che pur tuttavia prende spunto dalla esperienza concreta realizzatasi con la formazione dei nuovi statuti: se il presidente della giunta promulgasse lo statuto nonostante l’esito sfavorevole del referendum confermativo ovvero senza aver indetto il referendum regolarmente richiesto o senza che la richiesta potesse essere effettivamente presentata; ciò non lascerebbe trasparire “la pervicace e chiara volontà di superare i limiti posti dalla costituzione all’autonomia regionale”? (95) Un simile comportamento non sarebbe in grado di incidere sul principio democratico e sul principio della sovranità popolare della nostra repubblica?
A connotare la gravità di una siffatta violazione potrebbe contribuire d’altronde l’estrema difficoltà di trovare altri possibili rimedi contro i vizi formali degli statuti (e lo vedremo nel successivo paragrafo).
Occorre allora considerare con estrema serietà questa ipotesi perché – dopo che la corte costituzionale ha ritenuto di dover considerare preventivo il proprio giudizio – rischiano di sfuggire a qualunque controllo e sanzione i vizi del procedimento che seguano la pubblicazione notiziale e la eventuale decisione della corte e anche - qualora dovesse confermarsi la pur parziale insindacabilità degli interna corporis acta - buona parte di quelli relativi alla fase precedente. E’ auspicabile pertanto che il presidente della giunta regionale adempia al suo ruolo istituzionale di controllo notarile che certifichi il testo autentico della legge e che a tal fine sia pienamente responsabilizzato per garantire il rispetto della legalità costituzionale.

4. I rimedi per i vizi formali del procedimento

Valutiamo adesso quali possono essere i rimedi per i vizi formali del procedimento che siano sfuggiti a questo primo filtro.

4.1. I giudizi della corte costituzionale promossi con ricorso governativo

4.1.1. Il giudizio di legittimità costituzionale ex art. 123

In conseguenza della sentenza della corte costituzionale (n. 304/2002), che ha definitivamente chiarito che l’eventuale giudizio di legittimità costituzionale può essere promosso dal governo in via preventiva rispetto alla promulgazione (entro trenta giorni dalla pubblicazione notiziale della deliberazione legislativa statutaria approvata dal consiglio), i soli vizi di legittimità che potrebbero essere sollevati nel ricorso governativo sono quelli che riguardano questa prima fase procedimentale: l’iniziativa e l’istruttoria, la fase deliberativa e la pubblicazione notiziale. In tutti questi casi le norme costituzionali di parametro per le questioni di legittimità formale hanno la necessità di essere integrate o da norme degli statuti o anche, in misura assai rilevante, da norme dei regolamenti interni dei consigli regionali. Si presenta qui pertanto il noto problema dell’insindacabilità o comunque della parziale sindacabilità degli interna corporis acta. La corte tuttavia – nella sua giurisprudenza – ha affermato la sua competenza quando si tratti di accertare l’osservanza delle norme costituzionali sul procedimento di formazione delle leggi (96). Il citato caso del Lazio (dove si contestavano le modalità del voto espresso dal consiglio regionale esclusivamente sulla base del proprio regolamento interno) sembra rientrare dunque tra le ipotesi di non sindacabilità; mentre quello dell’Umbria (dove si contestava la non conformità del testo approvato con doppia deliberazione, secondo quanto prescritto direttamente dalla costituzione) potrebbe rientrare tra le ipotesi di vizi sindacabili (97).

4.1.2. Il giudizio di legittimità costituzionale ex art. 127

Di fronte all’evidenza dell’insuperabile difficoltà di garantire altrimenti la legittimità formale degli statuti già promulgati e pubblicati, per i possibili vizi delle fasi necessarie o eventuali del procedimento legislativo successive alla pubblicazione notiziale, il consiglio dei ministri ha deciso recentemente di impugnare gli statuti dell’Emilia-Romagna e dell’Umbria (98).
La questione è già stata accennata. In entrambe queste regioni i rispettivi consigli hanno deliberato -in via consequenziale a due sentenze di accoglimento parziale delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dai relativi ricorsi del governo - di apportare le sole modifiche necessarie a eliminare le disposizioni dichiarate illegittime dalla corte e al coordinamento formale del testo, autorizzando di conseguenza il presidente della giunta alla promulgazione parziale della deliberazione legislativa statutaria originariamente approvata dal consiglio. In tal modo si è ritenuto di non dover ricominciare da capo il procedimento di approvazione dell’atto.
Abbiamo già considerato in precedenza la questione di merito. Dobbiamo qui chiederci però se un simile ricorso sia ammissibile. Non sembrano esserci ostacoli insormontabili. La legge statutaria rappresenta, infatti, una specie del genere “legge regionale”. La disposizione di cui all’art. 123.2 è certamente norma speciale rispetto a quella generale di cui all’art. 127.1 ma, se è vero – come ha ricostruito la corte costituzionale – che la pubblicazione di cui si parla nel primo caso è quella notiziale e nel secondo quella necessaria, la norma speciale è soltanto parzialmente derogatoria rispetto a quella generale, che resta applicabile nei casi residui. Non è, infatti, pensabile che possano sfuggire al giudizio di legittimità costituzionale le successive fasi del procedimento di formazione degli statuti. La Consulta dunque potrebbe ritenere ammissibili i ricorsi per i soli vizi (formali) che non avessero potuto costituire oggetto dell’impugnativa ai sensi dell’art. 123.2.

4.1.3. Il conflitto di attribuzione intersoggettivo

La scelta operata dal governo dell’impugnativa successiva degli statuti di Umbria ed Emilia-Romagna si poneva in immediata alternativa a l’unica altra strada immaginabile per il contenzioso costituzionale: quella del conflitto di attribuzione avverso l’atto di promulgazione, nei cui confronti questo rimedio è da ritenersi senz’altro utilizzabile (99). Strada però più incerta sotto il profilo dell’interesse al ricorso. Anche nel caso del conflitto per menomazione – allorquando il ricorrente non rivendica la titolarità del potere esercitato – occorre dimostrare, infatti, la pur indiretta lesione del proprio ambito di attribuzioni costituzionali. Perché dunque risulti ammissibile un ricorso sollevato a tutela del rispetto dello speciale procedimento di approvazione dello statuto, allorquando il potre di impugnativa governativa ex art. 123.2 cost. sia già esaurito, occorrerebbe che la corte costituzionale – in maniera innovativa rispetto alla giurisprudenza pregressa – accetti di riconoscere allo stato anche in questo tipo di giudizio l’interesse di ricorrere a tutela dell’ordinamento generale della repubblica (100) per garantire il diritto oggettivo alla legittimità dell’atto e non un proprio diritto pubblico soggettivo, direttamente o indirettamente leso (101).

4.2. Il giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale

Le tre diverse ipotesi che abbiamo formulato per un ricorso governativo si scontrano però con un limite fondamentale di questo tipo di impugnative: la non obbligatorietà dell’azione. Il governo “quando ritenga” può (e non deve) promuovere il ricorso (102). Ne consegue il rischio di una sua scarsa attenzione nei confronti dei profili di legittimità formale o, peggio, della disparità di trattamento tra regioni diverse (103). Cosa che può accadere per ragioni chiaramente politiche ma anche, più banalmente e insidiosamente, per problemi di natura funzionale degli uffici governativi preposti al controllo. Come rimediare a questo genere d’inconveniente?
La questione di legittimità costituzionale sollevata in via incidentale potrebbe costituire il rimedio proprio alla parzialità o alla disattenzione del governo (104). Il principale problema in questo caso non è tanto la questione della scarsa rilevanza che hanno in genere le norme statutarie in questo tipo di giudizio. Trattandosi in questi casi di vizi di forma – che potrebbero determinare la nullità-inesistenza dell’atto o la sua (pur sanabile) attuale inefficacia – non vi è dubbio che il loro eventuale accertamento determinerebbe un generalizzato vizio dei presupposti di un qualunque atto conseguente (ad es. di una successiva legge che preveda e disciplini una sanzione amministrativa). Il rimedio sarebbe dunque, almeno astrattamente, applicabile ed anche molto efficace, potendo funzionare come una specie di azione popolare nei confronti di questo genere di vizi (essendo molti i soggetti potenzialmente interessati all’osservanza delle leggi delle regioni). Il vero problema è però rappresentato in questo caso dal tempo eccessivamente lungo che potrebbe impiegare una questione del genere a giungere all’esame della corte costituzionale, quando le conseguenze di un eventuale giudizio d’illegittimità sarebbero difficilmente tollerabili. Da questo punto di vista la situazione forse potrebbe migliorare un po’ qualora fosse la corte stessa – come giudice a quo – a sollevare la questione dinnanzi a se medesima appena venga in questione un atto che sullo statuto affetto da vizio di forma derivi la sua (presunta) autorità. E in caso di vizi statutari paralleli, trattati in maniera discriminatoria dal governo, si potrebbe forse pensare anche all’uso dello strumento dell’illegittimità costituzionale consequenziale (è evidente tuttavia che alla luce dell’uso che la corte ha sempre fatto di questo istituto ciò rappresenterebbe un’evidente forzatura).
Qualora poi il vizio di forma dovesse presentarsi come un caso di nullità-inesistenza (per difetto di una volontà dell’atto complesso) o anche, secondo alcuni, come un vizio insanabile dell’atto che ne determini l’inefficacia giuridica (105), si dovrebbe correttamente ritenere inoltre – in tal senso la stessa difesa regionale nella questione risolta dalla sent. n. 378/2004 – che ogni giudice sarebbe direttamente abilitato a disapplicare lo statuto in ogni causa che comportasse l’applicazione dello stesso, senza la necessità di rimettere la questione alla corte costituzionale. Si tratta qui, tuttavia, di un sindacato diffuso che non esclude quello accentrato della corte costituzionale sulla legittimità della legge (106) e la Consulta, nella richiamata sentenza, pur dichiarando nella specie inammissibile l’atto d’intervento del consigliere di minoranza, non sembrerebbe negare la propria competenza a giudicare della legittimità della legge statutaria anche - e a maggior ragione - per questo tipo di vizi (107).

4.3. Il ruolo (eventualmente) svolto dall’organo di garanzia statutaria

Per le sole successive modifiche degli statuti si deve considerare, infine, il ruolo che potrebbe essere svolto, laddove previsto (108), dall’organo di garanzia statutaria. Diverse regioni stabiliscono, infatti, che tale organo, oltre alla competenza ad esprimere pareri sulla conformità dei progetti di legge o di regolamento allo statuto, dirime i conflitti di attribuzione fra gli organi regionali (109).
Come abbiamo visto il caso della regione Puglia (110) ha posto in particolare evidenza la possibilità di un concreto conflitto tra il potere di promulgazione del presidente della giunta regionale e il potere confermativo del corpo elettorale regionale. E’ chiaro allora che in un’ipotesi di questo genere, che si realizzi in uno di questi ordinamenti regionali, il comitato promotore della consultazione popolare (che è organo straordinario della regione) potrebbe attivare la competenza dell’organismo di garanzia statutaria in caso di contestazione circa la corretta attuazione della legge di disciplina del referendum confermativo e, più in generale, delle fonti regionali che regolano (in armonia con la costituzione) il procedimento di formazione della legislazione statutaria.

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NOTE

(1) La l.r. Calabria, 20 aprile 2005, n. 11, integrazione della legge regionale 19 ottobre 2004, n. 25, recante: “Statuto della Regione Calabria”, ha aggiunto il comma 5-bis all’art. 59 dello statuto (norme transitorie e finali).
(2) Il consiglio dei ministri con delibera del 20 maggio 2005 ha deciso di impugnare la l.r. 31 marzo 2005, n. 13, statuto della regione Emilia-Romagna, pubblicata sul BUR n. 61 del 1 aprile 2005, per violazione del quadro costituzionale relativo al procedimento formativo dello statuto regionale ai sensi degli articoli 123, 117, co.1, 127, 134, 1, 3 e 48 della costituzione.
(3) Il consiglio dei ministri con delibera del 13 maggio 2005 ha deciso di impugnare la l.r. 16 aprile 2005, n. 21, statuto della regione Umbria, pubblicata sul BUR n. 17 del 18 aprile 2005, per violazione dei criteri procedimentali stabiliti dall’art. 123 della costituzione.
(4) Sulla possibilità di riesaminare con una procedura d’urgenza i progetti di statuto approvati in prima deliberazione, e decaduti per fine legislatura, in analogia a quanto prevedono i regolamenti parlamentari per i progetti di legge statale approvati da un solo ramo del parlamento (art. 107 CD e art. 82 SR) si vedano le osservazioni di A. Lucarelli, La prima deliberazione statutaria: tra ineffettività giuridica ed effettività politica, in www.federalismi.it, 2005, n. 7.
(5) Sulla possibile derogabilità dell’art. 122.5, II parte, v. M. Olivetti, Nuovi statuti e forma di governo delle regioni, Bologna, 2002, p. 157 ss. e, più in generale sul rapporto tra la competenza statutaria in materia di “forma di governo” e le disposizioni costituzionali relative agli organi regionali ed ai rapporti fra di essi, v. inoltre p. 135 ss.
(6) Si tratta precisamente della deliberazione legislativa statutaria del consiglio regionale della regione Marche adottata, in seconda deliberazione, il 25 settembre 2001, recante “Consiglio regionale – Parlamento delle Marche”.
(7) v. bozza di statuto della regione Marche del 6 febbraio 2003, art. 28, in I nuovi Statuti regionali: i testi in elaborazione, senato della repubblica, servizio studi, dossier n. 337, marzo 2003.
(8) Per la ricostruzione e la critica della quale v. F. Drago, Possono le regioni modificare il procedimento di formazione delle norme statutarie?, in www.federalismi.it , 2003, n. 4.
(9) Sui limiti dell’autonomia statutaria si vedano in particolare le sentenze n. 304 del 2002, n. 196 del 2003 e n. 2 del 2004. Che questi limiti, tuttavia, possano derivare solo da norme chiaramente deducibili dalla costituzione è messo in particolare evidenza dalla sentenza n. 313 del 2003, la quale riconosce senza esitazioni che spetta alle regioni colmare i vuoti di normazione della disciplina costituzionale nell’esercizio della propria potestà statutaria.
(10) Abruzzo, art. 86.4; Calabria, art. 58.3; Emilia-Romagna, art. 73.6; Lazio, art. 76.2; Piemonte, art. 101.2; Toscana, art. 79.3; Umbria, art. 84.5.
(11) cfr. M. Olivetti, op. cit. , p. 84.
(12) In precedenza, prima della legge costituzionale n. 1 del 1999, gli statuti non formavano oggetto di promulgazione regionale (sulla dubbia legittimità delle disposizioni dei vecchi statuti che prevedevano la promulgazione regionale degli atti di revisione degli statuti v. A. D’Atena, Statuti regionali ordinari, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1993, XXX, p. 1) e, prima della legge costituzionale n. 3 del 2001, la promulgazione delle leggi regionali era disciplinata direttamente dalla costituzione (art. 127.2 v.t.).
(13) Un espresso affidamento alla legge regionale della disciplina del referendum sulle leggi statutarie o di governo delle regioni a statuto speciale è stato invece fatto dalla legge costituzionale n. 2 del 2001.
(14) A. Ruggeri, La riforma costituzionale del Titolo V e i problemi della sua attuazione, con specifico riguardo alle dinamiche della normazione ad al piano dei controlli, relazione al seminario di Bologna del 14 gennaio 2002, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, p. 49.
(15) La legittimità di leggi statutarie stralcio è stata ammessa dalla sent. della corte cost. n. 304 del 2002.
(16) Calabria, art. 59.2; Emilia-Romagna, art. 22.1; Lazio, art. 76.3; Marche, art. 57.1; Piemonte, art. 101.4; Puglia, art. 17.3; Umbria, art. 84.4.
(17) La sola regione Calabria ha adottato – successivamente all’entrata in vigore del nuovo statuto – un nuovo regolamento interno del consiglio regionale approvato con delibera del consiglio 27 maggio 2005, n. 5 (in BUR 1 giugno 2005, n. 10, s.s. n. 1). Il regolamento è stato, invece, solo parzialmente modificato o integrato in Abruzzo, Basilicata, Campania, Lazio, Marche, Piemonte, Toscana e Veneto.
(18) v. infra 3.2. quanto concretamente accaduto in Umbria.
(19) v. infra 4.1.1.
(20) Sulle incongruenze sulla sequenza formativa degli statuti e sulle diverse possibili soluzioni per risolvere la questione dell’interferenza tra i due procedimenti v. A. D’Atena, La nuova autonomia statutaria delle regioni in Rass. parlam. 2000, p. 610 ss. (ora in L’Italia verso il “federalismo”. Taccuini di viaggio , Milano, 2001, p. 185 ss.).
(21) Sul carattere meramente interpretativo di questa legge v. già – ma assai criticamente sulla legittimità di una simile soluzione – N. Zanon, Referendum e controllo di costituzionalità sugli Statuti regionali: chi decide qual è la corretta lettura dell’art. 123. Cost.? (Note minime su una legge regionale che interpreta la costituzione) , in Le regioni, 2000, p. 985 ss.
(22) Sulla non illegittimità delle enunciazioni materialmente inserite in un atto-fonte regionale ma a cui non può essere riconosciuta alcuna efficacia giuridica v. adesso le sentt. della corte cost. nn. 372, 378 e 379 del 2004. Secondo la corte, infatti, siffatte proposizioni, anche qualora incidano su materie eccedenti la sfera di attribuzione regionale, risultano comunque prive di idoneità lesiva.
(23) Liguria, l.r. 12 novembre 2001, n. 38; Piemonte, l.r. 19 novembre 2001, n. 32; Toscana, l.r. 14 aprile 2003, n. 21; Lazio, l.r. 1 dicembre 2003, n. 38; Lombardia, l.r. 28 ottobre 2004, n. 26.
(24) v. da ultimo corte cost., sent. n. 76 del 2001.
(25) v. l.r. Puglia 20 dicembre 1973, n. 27 e succ. mod.
(26) Legge 25 maggio 1970, n. 352, norme sui referendum previsti dalla costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo.
(27) Disposizioni analoghe a quella prevista dall’art. 5 della legge 352 del 1970 si ritrovano in tutte le leggi delle regioni che hanno approvato una specifica disciplina regionale del nuovo istituto referendario (v. l.r. Emilia-Romagna, 25 ottobre 2000, n. 29, art. 10; l.r. Calabria, 10 dicembre 2001, n. 35, art. 3; l.r. Marche, 23 dicembre 2002, n. 28, art. 3; l.r. Toscana, 17 gennaio 2003, n. 6, art. 3; l.r. Veneto, 7 novembre 2003, n. 28, art. 3; l.r. Abruzzo, 234 gennaio 2004, n. 5, art. 3; lr. Umbria, 28 luglio 2004, n. 16, art. 4; l.r. Lazio, 3 agosto 2004, n. 8, art. 3; l.r. Piemonte, 13 ottobre 2004, n. 22, art. 3).
(28) Lo statuto della regione Puglia, pubblicato in via notiziale sul BUR n. 17 del 11 febbraio 2004 (senza l’avvertimento che entro tre mesi 1/50 degli elettori della regione o 1/5 dei componenti del cons. reg. potessero richiedere il referendum popolare), è stato adottato con la seguente formula di promulgazione: “Il Consiglio regionale ha approvato; Il presidente della Giunta regionale promulga la seguente legge” (l.r. 12 maggio 2004, n. 7, pubblicata nel BUR n. 57 del 12 maggio 2004).
(29) v. supra nt. n. 2 e n. 3.
(30) Com’è noto però secondo la più autorevole dottrina si può considerare a riguardo l’esistenza di una vera e propria riserva costituzionale implicita (v. T. Martines, Il Consiglio regionale (1981), in Opere, III, Milano, 2000, pp. 674-675).
(31) Attribuendolo a ciascun consigliere regionale e alla giunta e rimettendo al regolamento del consiglio di disciplinare le procedure di consultazione del CAL e degli enti e delle organizzazioni rappresentative della società (toscana) sulle proposte di modifica dello statuto. Disponendo inoltre l’inammissibilità delle proposte di abrogazione totale dello statuto, senza sostituzione (art. 79)
(32) Nello stesso senso v. anche la deliberazione legislativa statutaria approvata in prima lettura in Campania nella scorsa legislatura (art. 56.6).
(33) La stessa limitazione del potere d’iniziativa legislativa non è, almeno esplicitamente, disposta per il caso dell’eventuale reiezione popolare espressa mediante il referendum.
(34) l.r. 19 febbraio 2001, n. 4, revisione degli articoli 16 e 52 dello statuto regionale approvato con legge n. 336 del 9 novembre 1990.
(35) Calabria, l.r. 18 dicembre 2000, n. 21 (mod. da l.r. 18/2002); Molise, l.r. 7 settembre 2000, n. 41 (e poi l.r. n. 3/2001); Umbria, l.r. 12 gennaio 2001, n. 1.
(36) Nei consigli delle regioni Abruzzo, Calabria, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte e Veneto.
(37) Nei consigli delle regioni Basilicata, Campania, Puglia, Toscana e Umbria.
(38) Nei consigli delle regioni Emilia-Romagna e Molise.
(39) Così in Calabria, Campania, Lombardia, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Toscana e Umbria.
(40) Così in Abruzzo, Calabria, Campania, Lombardia, Molise, Puglia, Umbria e Veneto.
(41) Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Lombardia, Marche, Molise e Umbria.
(42) Per una pronta critica a questa soluzione “suggestiva” v. G.M. Salerno, Sulla proposta di istituire cd. assemblee “costituenti” regionali (15 aprile 2002), sul sito dell’AIC (www.associazionedeicostituzionalisti.it).
(43) La l.r. FVG 2 aprile 2004, n. 12 ha istituito un’assemblea rappresentativa della comunità regionale, così denominata, con il compito di esaminare, discutere e proporre al consiglio regionale un documento finale in ordine ai contenuti della nuova carta statutaria, secondo il modello della “Convenzione europea”. L’A. cit. alla nt. precedente esclude però, in ogni caso, la legittimità dell’istituzione, con semplice legge regionale ordinaria, di organismi assembleari esterni ai consigli regionali “dotati di poteri incidenti, anche se solo di fatto, sul procedimento di redazione degli statuti” (ibidem).
(44) v. in tal senso per “testo” il Vocabolario della lingua italiana Treccani IV, Roma, 1994, ad vocem lemma n. 3.1.a: “Il contenuto di uno scritto o d’uno stampato, ossia l’insieme delle parole che lo compongno, considerate non solo nel loro significato ma anche nella forma precisa con cui si leggono nel manoscritto o nell’edizione a cui ci si riferisce.
(45) Approvato con l.r. 16 aprile 1998, n. 14, art. 53.
(46) v. art. 99 reg. CD e art. 123 reg. SR.
(47) v. sul punto G. Severini, Tormentate vicende della deliberazione statutaria umbra del 2004, in www.federalismi.it, 2005, n. 9, pp. 2-4 e p. 6.
(48) Sulla questione v. E. Rossi, L’approvazione dello statuto del Lazio ed il “controllo” del Governo, nel forum di Quad. cost. (www.forumcostituzionale.it), nonché gli interventi di S. Ceccanti - E. Rossi e A. Chiappetti, in www.federalismi.it, 2004, n. 22, Sulla procedura di approvazione dello statuto della regione Lazio.
(49) v. in tal senso A. Iurleo, Ulteriori riflessioni in merito alla procedura di approvazione dello statuto della Regione Lazio e sull’esame svolto dal Governo, in www.federalismi.it , 2004, n. 23.
(50) cfr. G. Severini, op. loc. cit.
(51) Negli statuti di alcune regioni (Calabria, 59.6; Liguria, 76.3; Marche, 57.2; Piemonte, 102) si prevede espressamente la cd. pubblicazione a fini notiziali, in costituzione solo presupposta. E’ da segnalare però l’errata formulazione delle disposizioni delle regioni Calabria e Marche che si riferiscono alla pubblicazione del “presente statuto” (che in quanto tale è da intendersi già promulgato e definitivamente pubblicato) e non, come del tutto ovvio, a quella delle successive leggi di modificazione dello stesso. Occorre qui pertanto un’interpretazione correttiva.
(52) Secondo le quali il testo della legge statutaria (solo le leggi dell’Abruzzo, della Liguria e della Toscana parlano più correttamente della deliberazione consiliare di adozione dello statuto ovvero di modifica dello stesso) è pubblicato sul BUR con l’indicazione della data della seconda approvazione e con l’avvertenza che, entro tre mesi dalla data di pubblicazione, almeno 1/50 degli elettori della regione o 1/5 dei componenti del consiglio regionale possono fare richiesta di procedere al referendum popolare confermativo. Solo in alcune regioni è prescritto che debba essere specificato il numero degli elettori, calcolato sulla base delle liste elettorali per l’elezione del consiglio regionale, e dei consiglieri regionali che possono richiedere il referendum (Abruzzo, Umbria e Toscana).
(53) v. Tabella allegata.
(54) Nonostante la nuova deliberazione la regione ha comunque deciso di costituirsi in giudizio innanzi alla corte cost. (ric. n. 106/2004).
(55) v. Tabella allegata.
(56) Dall’ulteriore disposizione costituzionale secondo la quale “lo statuto sottoposto a referendum non è promulgato se non è approvato dalla maggioranza dei voti validi” si ricava che la pubblicazione di cui si parla è antecedente alla promulgazione (cd. pubblicazione notiziale) e che non è richiesto un quorum di partecipazione per la validità della consultazione popolare.
(57) Questa previsione non si applica senz’altro alla revisione totale dello statuto, caso in cui – per la stessa logica interna della disposizione in esame – “è sottoposto a referendum l’intero testo approvato dall’assemblea legislativa regionale, sul quale si esprime un unico voto”. E’ dubbio tuttavia che una simile norma possa ritenersi legittima anche se riferita esclusivamente alle modifiche parziali dello statuto. Qualora dalla costituzione si ricavi un principio di identità testuale della legge statutaria dalla prima deliberazione alla promulgazione, una simile disposizione è da considerare senz’altro illegittima (cfr. cons. stato, I, 12 gennaio 2005, n. 12036/04); qualora, invece, dal testo costituzionale si desuma solo la necessaria corrispondenza tra il testo pubblicato ai fini notiziali e quello da sottoporre al referendum confermativo, una previsione del genere potrebbe avere un’attuazione non necessariamente illegittima (v. infra 3.5.2. e 3.6.1).
(58) Per la problematica relativa all’attuazione dell’art. 123.3 cost. v. supra 2.1.4.
(59) l.r Emilia-Romagna, 25 ottobre 2000, n. 29; l.r. Calabria, 10 dicembre 2001, n. 35; l.r. Marche, 23 dicembre 2002, n. 28; l.r. Toscana, 17 gennaio 2003, n. 6 (modificata dalla l.r. 15 novembre 2004, n. 60 e dalla l.r. 24 novembre 2004, n. 66); l.r. Veneto, 7 novembre 2003, n. 28; l.r. Abruzzo, 23 gennaio 2004, n. 5 (modificata dalla l.r. 13 dicembre 2004, n. 43); l.r. Umbria, 28 luglio 2004, n. 16; l.r. Lazio, 3 agosto 2004, n. 8 (modificata dalla l.r. 17 febbario 2005, n. 9, art. 63); l.r. Piemonte, 13 ottobre 2004, n. 22; l.r. Liguria, 24 dicembre 2004, n. 31. Vanno inoltre considerate, per analogia di materia, le leggi di disciplina del referendum popolare confermativo delle cd. leggi statutarie o di governo delle regioni speciali e delle province autonome (Sicilia, l.r. 23 ottobre 2001, n. 14; Friuli Venezia Giulia, l.r. 27 novembre 2001, n. 29; Val d’Aosta, l.r. 22 aprile 2002, n. 4; Bolzano, l.p. 17 luglio 2002, n. 10; Trento, l.p. 1 ottobre 2002, n. 13; Sardegna, l.r. 28 ottobre 2002, n. 21).
(60) C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1976, II, p. 1229.
(61) v. alla voce Perfezione (di F. Bilancia) nel Dizionario costituzionale, a cura di M. Ainis, Bari, 2000, p. 340.
(62) v. supra 3.3.
(63) La consulta di garanzia statutaria provvede, nei modi e tempi stabiliti dalla legge, a formulare i relativi quesiti.
(64) cfr. M. Olivetti, op. cit. , p. 98 ss.
(65) Sul punto per ulteriori osservazioni dello scrivente si rinvia a Chi ha paura degli statuti regionali?, in www.federalismi.it, 2005, n. 1, pp. 2-4, ma soprattutto v. B. Caravita, L’autonomia statutaria, in Le regioni, 2004, pp. 313-317, e M. Carli, L’autonomia statutaria, in Commentario della costituzione, Legge cost. 22 novembre 1999, n. 1, Bologna-Roma, 2002, pp. 216-219; S. Mangiameli, La nuova potestà statutaria delle regioni davanti alla corte costituzionale in Giur. cost. , 2002, pp. 2364-2365.
(66) Abbiamo visto infatti che il consiglio può decidere di apportare modifiche al testo (ricominciando il procedimento) anche prima dell’eventuale giudizio della corte cost. o dell’eventuale consultazione popolare e che il corpo elettorale (in Emilia-Romagna) può approvare delle parti e non altre di una deliberazione legislativa statutaria di contenuto non omogeneo. Inoltre, almeno secondo le previsioni di alcuni statuti regionali (v. infra 3.5.2 e 3.6.1.), il consiglio potrebbe autorizzare il presidente della giunta regionale alla promulgazione parziale del testo dello statuto così come risultante a seguito della soppressione delle disposizioni dichiarate incostituzionali (e ciò è concretamente avvenuto in Emilia-Romagna e Umbria). La corte, in questo caso, interviene dunque direttamente nel processo di progressiva formazione del testo dello statuto senza che sia necessario avviarne nuovamente dal principio il procedimento di approvazione (soluzione prospettata in dottrina da R. Bin, E se la Corte costituzionale dichiarasse illegittimi gli Statuti regionali? Problemi del dopo, in www.forumcostituzionale.it, 7 novembre 2004).
(67) La diversa soluzione, per il coordinamento del procedimento referendario con quello concernente il giudizio di legittimità costituzionale, adottata in un primo momento dalla regione Abruzzo con la l.r. 23 gennaio 2004, n. 5 (v. anche l’art. 86 della deliberazione statutaria approvata dal consiglio regionale, in prima e seconda lettura, il 20 luglio e il 21 settembre 2004 e pubblicata sul BUR del successivo 8 ottobre) è stata successivamente così modificata dalla l.r. 13 dicembre 2004, n. 43. Si prevedeva nel testo originario della legge abruzzese non l’interruzione/sospensione dell’eventuale procedimento referendario già avviato nel caso in cui sia stata promossa la questione di legittimità costituzionale ma si disponeva una doppia pubblicazione della delibera legislativa statutaria: la prima al fine di consentire l’eventuale impugnazione da parte del governo; la seconda, decorso inutilmente il termine per il ricorso governativo o dopo la sentenza della corte costituzionale e le eventuali deliberazioni consequenziali del consiglio regionale, al fine della richiesta del referendum popolare confermativo.
(68) Solo la regione Liguria ha ritenuto, inoltre, di fissare nel proprio statuto le modalità di coordinamento del procedimento referendario con l’eventuale giudizio di legittimità costituzionale prevedendo ellitticamente che, nel caso in cui il governo abbia promosso la questione di legittimità costituzionale, il referendum – il cui procedimento risulta evidentemente sospeso – ha luogo successivamente alla decisione della corte costituzionale (art. 76).
(69) cit. supra 3.4.
(70) Abruzzo, Emilia-Romagna, Lazio, Marche, Piemonte, prov. autonoma di Trento, Umbria e Veneto.
(71) Liguria e Toscana.
(72) l.r. Abruzzo, art. 4; l.r. Emilia-Romagna, art. 11; l.r. Lazio, art. 4; l.r. Liguria, art. 3; l.r. Marche, art. 17-18; l.r. Piemonte, art. 13; l.r. Toscana, art. 4; l.p. Trento, art. 16; l.r. Umbria, art. 3; l.r. Veneto, art. 19.
(73) Così hanno espressamente previsto le regioni Abruzzo, Toscana, Umbria e Veneto, nonché la provincia di Trento. Di scarsa intelligibilità è invece la disposizione recata dalla l.r. Liguria la quale dispone (art. 3.3) che “nel caso in cui la Corte costituzionale respinga il ricorso, le operazioni referendarie eventualmente compiute prima della sospensione del termine conservano efficacia; al contrario tali operazioni perdono efficacia qualora venga pronunciata l’illegittimità totale della deliberazione statutaria ovvero venga pronunciata l’illegittimità parziale della medesima e le parti dichiarate incostituzionali coincidano con l’oggetto della richiesta referendaria”. Tuttavia, in considerazione dell’evidenza che le parti dichiarate incostituzionali coinciderebbero sempre e comunque con l’oggetto della richiesta referendaria che investirebbe necessariamente l’intera deliberazione statutaria in base all’art. 1.3, della medesima legge regionale, l’ipotesi qui formulata parrebbe da assimilare pienamente a questo genere di previsioni legislative. Su questa disposizione il governo, con delibera del consiglio dei ministri del 11 febbraio 2005, ha deciso di promuovere l’impugnativa alla corte costituzionale proprio in quanto essa – in mancanza di un’interpretazione correttiva – sembrerebbe prevedere che la richiesta referendaria possa non riguardare l’intero testo statutario, in contrasto con il disposto di cui all’art. 123.3, cost. (v. ricorso n. 27 depositato l’1 marzo 2005 e pubblicato in BUR Liguria, 22 giugno 2005, I, n. 5).
(74) Solo la regione Lazio prevede espressamente che tale deliberazione sia unica e approvata a maggioranza assoluta ma ciò è probabilmente da estendersi implicitamente anche alle altre regioni.
(75) Anche la prov. autonoma di Trento prevede espressamente il caso del seguito alle sentenze di illegittimità costituzionale parziale (art. 16.5); tuttavia il diverso procedimento di approvazione previsto per le leggi provinciali di governo (a deliberazione unica) non rende in questo caso utile la comparazione.
(76) Similmente v. però anche la l. prov. Trento che prevede espressamente la necessità di una nuova pubblicazione della delibera legislativa statutaria, nel testo risultante a seguito della sentenza della corte cost. o a seguito delle modifiche introdotte dal consiglio, al fine di consentire il computo di un nuovo termine per un’eventuale nuova richiesta di referendum (art. 16, commi 4, 5 e 6).
(77) Si tratta della l.r. 3 giugno 2005, n. 7, il cui testo è stato pubblicato a fine notiziale sulla GURS n. 39 del 17 settembre 2004, ripubblicato con omissione delle parti impugnate dal commissario dello stato sulla GURS n. 40 del successivo 24 settembre e nuovamente ripubblicato, sulla GURS n. 48 del 12 novembre 2004, a seguito dell’entrata in vigore della l.r. 5 novembre 2004, n. 15, che (all’art. 56.2) ha disposto la soppressione del titolo II della delibera legislativa statutaria (approvata dall’assemblea regionale il 5 agosto 2004) in quanto contenente una disciplina non attinente alle elezioni regionali da approvare con lo speciale procedimento previsto per la legge elettorale regionale.
(78) Dove, successivamente alla sent. della corte cost. 29 novembre 2004 n. 378 (pubbl. nella GU del 15 dicembre 2004 e nel BUR di pari data), è stato pubblicato nel BUR n. 55 del 22 dicembre 2004 il verbale delle operazioni referendarie con il quale il consiglio regionale - preso atto dell’intenzione di tre elettori di avviare l’iniziativa popolare ai sensi della legge regionale di disciplina del referendum confermativo - ha disposto la formulazione del quesito referendario avente ad oggetto l’approvazione del nuovo statuto regionale nel testo “risultante a seguito della sentenza della corte costituzionale” (ivi ripubblicata ai fini della “inequivocabilità” del quesito).
(79) In questa regione il cons. reg., con deliberazione assunta a maggioranza dei presenti, ha preso atto della sent. corte cost. n. 379/2004 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del terzo periodo del dell’art. 45.2 della delibera statutaria approvata il 14 settembre 2004 a norma dell’art. 123 cost. (pubblicata sul BUR n. 173 del 21 dicembre 2004) e ha ritenuto di non compiere alcuna ulteriore modifica o intervento di coordinamento testuale o formale sul testo della delibera statutaria ai sensi di quanto previsto dall’art. 11, co. 5, della l.r. 29 del 2002 (delibera n. 638 del 18 gennaio 2005, con allegato il testo dello statuto senza più la norma soppressa dalla decisione della corte). Questa deliberazione tuttavia – diversamente da quella della regione Umbria – non è stata pubblicata sul bollettino ufficiale della regione ai fini della medesima inequivocabilità dell’oggetto dell’eventuale referendum.
(80) cfr. M. Olivetti, op. cit. , pp. 82-83.
(81) Emilia-Romagna, art. 73.4; Lazio, art. 77; Liguria, art. 77.1; Toscana, art. 80.1. Solo nel Lazio la disposizione comprende espressamente il caso delle modifiche successive.
(82) Calabria, art. 59.6; Marche, art. 57.3; Piemonte, art. 102.2.
(83) Puglia, art. 53; Umbria, art. 38.1.
(84) Le previsioni di queste disposizioni, infatti, non risultano incompatibili con l’abrogazione della norma costituzionale.
(85) supra 3.5.2.
(86) Cons. stato, I, 12 gennaio 2005, n. 12036/04 e n. 12054/04. Opinione poi fatta propria dai ricorsi governativi contro gli statuti di queste stesse regioni (v. supra nt. 2 e nt. 3).
(87) cfr. S. Mabellini, La promulgazione parziale nei rapporti tra Stato e Regioni: problematiche vecchie e nuove nella prospettiva delle riforme costituzionali, in Giur. cost., 2000, p. 3378 ss.
(88) Appare di assoluto rilievo la previsione presente nello statuto della regione Calabria secondo la quale il testo approvato dal consiglio (già pubblicato a fini notiziali) debba promulgarsi nel “suo testo integrale”. Sembrerebbe chiaramente esclusa pertanto la possibilità del presidente della giunta regionale di disporre la promulgazione parziale della legge statutaria, come previsto e/o concretamente avvenuto in alcune regioni a seguito di una sentenza della corte costituzionale che ne abbia dichiarato la parziale illegittimità costituzionale.
(89) I vecchi statuti, che erano approvati con legge della repubblica, non costituivano oggetto di promulgazione regionale. Alcune regioni, tuttavia, con norme di dubbia legittimità avevano previsto la promulgazione regionale degli atti di revisione statutaria (cfr. A. D’Atena, Statuti regionali, cit. , p.1).
(90) v. per tutti P. Giocoli Nacci, Promulgazione, in Enc. Giur. Treccani, XXIV, 1991, p. 2 ss. e S.M. Cicconetti, Promulgazione e pubblicazione delle leggi, in Enc. Dir., XXXVII, Milano, 1988, p. 100 ss.
(91) v. supra 3.4.
(92) cfr. M. Olivetti, op. cit. , p. 339 ss.
(93) In base ai nuovi statuti, infatti, il presidente della giunta regionale “fa parte” del consiglio regionale (cfr. L. Ronchetti, Rapporti tra giunta e consiglio, in Osservatorio sulla legislazione (cur.), Rapporto sullo stato della legislazione 2004-2005, camera dei deputati, 2005, parte II, p. 142).
(94) Così come vengono individuati gli atti contrari a costituzione da Martines, Ruggeri, Salazar, Lineamenti di diritto regionale, Milano, 2005, p. 354.
(95) ibidem.
(96) v. sent. n. 9 del 1959.
(97) v. supra 3.2.
(98) v. supra nt. 2 e 3.
(99) v. V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, II, 2, La Corte costituzionale, Padova, 1984, p. 445, nonché la stessa corte cost., sent. 20 gennaio 1977 n. 40.
(100) Come riconosciuto per il giudizio di legittimità costituzionale anche successivamente alla riforma del titolo V (v. sent. 274/2003).
(101) Un timido tentativo in questo senso è stato tentato dallo stato con il ricorso che è stato definito dalla sent. n. 306/2003 ma, nello specifico, senza successo in quanto la corte cost. lo ha considerato alla stregua di un mero errore di denominazione dell’atto introduttivo del giudizio.
(102) Dubbio è in dottrina se il ricorso governativo avverso la legge regionale sia manifestazione di una funzione neutrale di garanzia o di una valutazione discrezionale di natura politica (v. sul punto N. Zanon, op. cit. , p. 989).
(103) Pur ritenendosi oggetto di valutazione non strettamente giuridica la scelta circa l’impugnativa delle leggi regionali occorrerebbe in ogni caso, tuttavia, che il governo rispettasse il principio di imparzialità e non-discriminazione (art. 97 Cost.). In questo senso v. ancora Zanon (ibidem).
(104) La corte cost. ha ritenuto invece inammissibile l’atto d’intervento del terzo (nella specie un consigliere regionale) nel giudizio di legittimità costituzionale in via di azione ex art. 123 o 127 cost. (v. sent. n. 378/2004).
(105) cfr. F. Modugno, Legge (vizi della) , in Enc. dir. , XXIII, Milano, 1973, p. 1018.
(106) ibidem.
(107) cfr. in tal senso G. Severini, op. cit. , pp. 5-6.
(108) Nei nuovi statuti manca la previsione dell’istituzione di un simile organo nella sola regione Marche.
(109) Calabria, Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Piemonte e Toscana.
(110) v. supra 2.2.1.

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