Sommario:

1. Dall’unità alla molteplicità: l’esempio nazionale e i modelli regionali

2. Le soluzioni pensate negli statuti e nelle leggi regionali

3. Segue: … e quelle sperimentate

4. La legge comunitaria regionale nel sistema di fonti utilizzate per l’adattamento dell’ordinamento regionale all’ordinamento europeo

5. La legge comunitaria regionale come forma di raccordo orizzontale nei rapporti Giunta-Consiglio

6. Dalla molteplicità all’unità: le leggi comunitarie regionali e le forme di raccordo verticali, tra Enti locali, Regioni e Stato

7. Considerazioni conclusive

 

 

1. Dall’unità alla molteplicità: l’esempio nazionale e i modelli regionali.

 

L’attuazione del diritto europeo ha costituito da sempre un punto tormentato della partecipazione dell’Italia all’Unione europea, considerato che le lungaggini del sistema interno, ormai note per quanto concerne il procedimento legislativo, mal si conciliano con le esigenze di celerità che invece caratterizzano i processi decisionali europei.

Com’è noto, per tentare di corrispondere agli impegni derivanti dalla partecipazione all’Unione europea e ricomporre le tensioni determinate dalla non tempestiva e completa attuazione del diritto, la legge La Pergola (l. 9 marzo 1989 n. 86) aveva introdotto a livello nazionale la legge comunitaria annuale, che consisteva in un “modello organico e tempestivo di adeguamento dell’ordinamento italiano all’ordinamento comunitario”, che abbandonava “una volta per tutte la logica dell’emergenza e dei rattoppi incentrata sulle ‘deleghe tampone”, “regolando in maniera stabile i meccanismi di attuazione, l’informazione al Parlamento sui processi normativi ed i rapporti tra Stato e Regioni in materia comunitaria”(1).
Quantitativamente, l’introduzione di un meccanismo di tal sorta ha portato ad un forte ridimensionamento dei procedimenti di infrazione a carico dell’Italia (2), per tali ragioni è stato confermato dalla legislazione successiva, anche nel nuovo quadro costituzionale. Qualitativamente, le caratteristiche strutturali della legge comunitaria nazionale, che nel vecchio modello come nel nuovo è in buona parte diretta all’individuazione e alla disciplina di diverse modalità di produzione di norme (in attuazione del diritto europeo), portano ad affermare che essa contenga norme sulla produzione, oltre che norme di produzione (3).
La riforma del Titolo V della Costituzione ha riconosciuto a Regioni e Province autonome la potestà di attuazione ed esecuzione degli atti dell’Unione europea (art. 117 Cost. comma 5), con la precisazione che tale potere non è completamente libero, ma deve essere esercitato “nel rispetto delle norme di procedura stabilite dalla legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza” (4). Se da un lato, difatti, alle Regioni è attribuita la “competenza generale”, per cui è giocoforza dedurre che ad esse spetti oramai un consistente compito di attuazione ed esecuzione del diritto dell’Unione europea,  dall’altro, non va dimenticato come, anche in un sistema decentrato, lo Stato sia l’unico responsabile nei confronti dell’Unione europea per l’adempimento degli obblighi, essendo per questa indifferente la ripartizione di competenze vigente nei singoli Stati membri (5)
A dare attuazione alla citata disposizione costituzionale è intervenuta la l. 4 febbraio 2005 n. 11 (c.d. legge “Buttiglione”) (6) che ha mantenuto lo schema previsto nella legge La Pergola, ma, in linea con il nuovo assetto “multilivello”, ad esso ha aggiunto alcuni meccanismi di informazione e collaborazione, finalizzati a garantire la tempestiva attuazione del diritto europeo da parte di Stato e Regioni nelle rispettive materie di competenza “sulla base dei principi di sussidiarietà, di proporzionalità, di efficienza, di trasparenza e di partecipazione democratica”.
Più in particolare, la legge n. 11 del 2005 ha disciplinato una procedura preparatoria che si snoda in una fase informativa a “doppio senso”: la prima “dall’alto verso il basso”, in cui le Regioni e le Province autonome sono informate degli atti normativi e di indirizzo emanati dagli organi dell’Unione europea (7); la seconda “dal basso verso l’alto”, in cui le Regioni e le Province autonome “verificano lo stato di conformità dei propri ordinamenti in relazione ai suddetti atti e ne trasmettono le risultanze alla Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento per le politiche comunitarie con riguardo alle misure da intraprendere”(8).
Sulla base di tale rapporto collaborativo viene poi predisposta la legge comunitaria annuale, la cui cadenza permette il periodico adeguamento dell’ordinamento nazionale all’ordinamento europeo.    
Per quanto riguarda più specificamente il livello regionale, la legge dispone che nelle materie di propria competenza le Regioni e le Province autonome possano dare immediata attuazione alle direttive europee (9), senza indicare le modalità attraverso cui questa debba avvenire (10). Se l’utilizzo del verbo modale (potere) deve considerarsi improprio, in quanto le Regioni non possono ritenersi libere nell’an, anche per effetto dell’art. 117 Cost. comma 1, il quomodo sembra invece rimesso alla libera scelta regionale, nel rispetto dei principi sulle fonti del diritto (11).  
In questo quadro, le Regioni si sono dotate di leggi ad hoc, che hanno affrontato, spesso con discipline molto articolate, la partecipazione dell’ente regionale al processo europeo. Pertanto, pur essendo libere di attuare la normativa europea attraverso la tipologia di atti che ritengano all’uopo opportuna, le ragioni poste alla base dell’introduzione e del consolidamento in sede nazionale del meccanismo procedurale della legge comunitaria hanno spinto molti legislatori regionali a replicare nel contesto regionale tale strumento (12), sulla falsariga del modello sperimentato, e ormai consolidato, a livello nazionale.
Il favor per questa scelta emerge, implicitamente, anche dalla formulazione dell’art. 8, comma 5, lett. e), della legge n. 11 del 2005 che, nel disciplinare il contenuto della relazione al disegno di legge comunitaria, menziona le “leggi annuali di recepimento eventualmente approvate dalle Regioni e dalle Province autonome”(13). Su questa possibilità anche la Corte costituzionale, in occasione del giudizio di legittimità della prima legge comunitaria regionale della regione Friuli Venezia Giulia (14), sembra aver eliminato ogni dubbio, affermando che la legittimità dell’intervento regionale va valutata esclusivamente in relazione alla competenza. 
Ma il contesto regionale si presenta ben diverso da quello nazionale. Rilevano anzitutto le dimensioni più ridotte dell’ordinamento e la forma di governo, che ha visto affermarsi una netta preponderanza degli esecutivi, ed in particolare del Presidente della Giunta, sui Consigli (15)
Il presente lavoro si propone di analizzare le soluzioni pensate e sperimentate in sede regionale riguardo alla legge comunitaria regionale ed i riflessi che l’introduzione di una fonte specifica può avere nei rapporti tra gli attori coinvolti nell’attuazione del diritto europeo (gli organi di governo regionali, da un lato, e gli enti locali e lo Stato, dall’altro). La finalità non è solo di verificare la misura del ricorso a tale strumento e quanto esso si discosta dal modello nazionale, ma anche di valutare come esso possa essere funzionale sia all’ordinamento regionale che ad un sistema multilivello, quale è quello che si realizza tra l’Unione europea, lo Stato e le Regioni.

 

 

2. Le soluzioni pensate negli statuti e nelle leggi regionali.

 

Le Regioni hanno previsto lo strumento della legge comunitaria regionale (16) in diversi atti regionali: negli Statuti, nelle leggi che disciplinano la partecipazione regionale ai procedimenti di formazione e attuazione del diritto europeo e nei regolamenti dei Consigli.
I nuovi Statuti regionali hanno dedicato un gran numero di disposizioni al processo decisionale europeo (17), anche se nella generalità dei casi queste si presentano come enunciazioni di principio che rinviano, per la disciplina di dettaglio, alla legge regionale (18). Solo alcune di esse contengono dei riferimenti più specifici riguardanti la legge comunitaria regionale (19) ma raramente scendono nel dettaglio (20).
La disciplina dei procedimenti di attuazione trova dunque la sua base nella legislazione ad hoc sulla partecipazione alla fase ascendente e discendente del diritto europeo (21), di cui la maggior parte delle Regioni si è dotata a seguito delle riforme costituzionali.
Ad eccezione della normativa campana (22) che tuttavia riporta “ambiguamente” nel titolo la dicitura “legge comunitaria regionale” tutte le leggi regionali di procedura prevedono il ricorso alla “legge comunitaria regionale” come strumento privilegiato per il periodico adeguamento dell’ordinamento regionale all’ordinamento europeo (23). Anche la denominazione utilizzata è la medesima (quella di “legge comunitaria regionale”), con alcune eccezioni dovute principalmente alla nuova denominazione dell’Ue, cui le più recenti normative regionali si sono adeguate (per cui in Sicilia essa prende il nome di 'Legge sulla partecipazione della Regione all'Unione europea', in Sardegna quella di 'Legge europea regionale', in Veneto quella di “legge regionale europea”, in Puglia quella di “Legge UE regionale”), mentre non assume alcuna definizione nella regione Umbria in cui viene indicata con l’espressione “legge regionale di recepimento”. 
A livello procedurale, vi sono talune particolarità che distinguono la legge comunitaria regionale da una comune legge regionale: essa è presentata dalla Giunta al Consiglio ed è quasi sempre esaminata in una apposita sessione comunitaria, tenendo conto degli atti di indirizzo formulati dal Consiglio e sulla base della verifica di conformità dell’ordinamento regionale all’ordinamento europeo (contenuta in una relazione allegata alla stessa legge, v. infra) (24). Talvolta sono specificati taluni termini (utili per regolare la tempistica), che possono riguardare la presentazione del progetto di legge (25) o la sua approvazione (26). In tutti i casi è prescritta l’indicazione nel titolo della dicitura specifica (“legge comunitaria regionale”) e dell’anno di riferimento, che dovrebbe costituire, oltre ad un elemento di buona tecnica legislativa, anche un obbligo riflesso della previsione di cui all’art. 16 comma 2 della l. n. 11 del 2005. Come anticipato, in tutte le Regioni la legge comunitaria è accompagnata da una relazione sullo stato di conformità dell’ordinamento regionale (che in Molise è denominata “nota aggiuntiva”), mentre solo nelle Regioni Valle D’Aosta, Veneto e Abruzzo è prescritto esplicitamente che essa venga trasmessa per conoscenza al Presidente del Consiglio dei Ministri-Dipartimento per le politiche comunitarie.  
Occorre sottolineare la diversità di effetti che discendono dall’inserimento di tali aspetti procedimentali nello Statuto oltre che nella legge sulla partecipazione alla fase ascendente e discendente. Solo nella prima ipotesi (27), infatti, la violazione di tali formalità procedimentali dunque anche la scelta di procedere all’attuazione del diritto europeo tramite una comune legge regionale nei casi in cui non sia previsto un procedimento di attuazione “urgente” dovrebbe condurre all’illegittimità costituzionale per violazione indiretta dell’art. 123 Cost. (considerando lo Statuto come norma interposta)(28). Tale effetto dovrebbe prodursi, peraltro, anche nel caso in cui lo Statuto rinviasse alla legge sulla partecipazione al procedimento europeo per i dettagli del procedimento sinteticamente delineato (29).
I contenuti essenziali delle leggi comunitarie regionali sono modulati sulla falsariga della legge comunitaria statale, considerato che in esse si trovano: disposizioni volte a dare attuazione ed esecuzione al diritto europeo, agli atti adottati dalle Istituzioni e alla giurisprudenza europea; disposizioni modificative o abrogative di leggi regionali in contrasto con gli obblighi comunitari; disposizioni che autorizzano la Giunta ad attuare atti normativi comunitari in via regolamentare e/o amministrativa, dietro indicazione di principi e criteri direttivi (30). Alcune Regioni aggiungono, inoltre: disposizioni per l’attuazione di programmi regionali cofinanziati dall’Unione europea (Emilia-Romagna, Abruzzo, Valle D’Aosta); l’indicazione del termine entro cui deve avvenire l’adozione di ogni ulteriore atto regionale di attuazione cui la legge eventualmente rimandi (Emilia-Romagna, Sardegna, Lombardia, Veneto), utile per “assicurare la tempestività del recepimento delle direttive”; l’allegazione degli elenchi degli atti normativi comunitari che non necessitano di recepimento, in quanto di diretta applicazione per il loro contenuto sufficientemente specifico, ovvero perché l’ordinamento regionale risulta già conforme (così, ad esempio, le Regioni Basilicata, Sicilia, Puglia e Friuli Venezia Giulia; nella Regione Molise invece tali elenchi sono contenuti nella nota aggiuntiva) (31).

 

 

3. Segue:… e quelle sperimentate

 

Se l’esigenza di garantire il periodico e tempestivo adeguamento dell’ordinamento regionale all’ordinamento europeo ha portato molte Regioni a riproporre nel contesto regionale il meccanismo della legge comunitaria nazionale, uno sguardo alla legislazione regionale adottata negli ultimi anni rivela anche un effettivo ricorso ad essa, considerato che dal 2005 sono state adottate 14 leggi comunitarie regionali, così distribuite: 5 nel Friuli Venezia Giulia (32), 4 nella Valle D’Aosta (33), 2 nelle Marche (34), 2 in Abruzzo (35) e 1 in Emilia Romagna (36)
Seppure tale processo sembri avvenire con una certa lentezza, è positivo che il numero delle Regioni che ha adottato la legge comunitaria regionale sia significativamente aumentato nell’ultimo biennio rispetto al periodo precedente; inoltre, considerato che la maggior parte delle leggi di procedura risale proprio all’ultimo biennio, è da ipotizzare che il numero delle Regioni che ricorreranno effettivamente a tale strumento continui ad aumentare. 
Continuano a distinguersi per la costanza sia la Regione Friuli Venezia Giulia, la quale è stata la prima a prevedere tale strumento dal 2004 ed ha adottato ogni anno la legge comunitaria (ad eccezione dell’ultimo biennio), che la Valle D’Aosta.
Analizzando il contenuto delle leggi comunitarie regionali finora adottate, si nota che esse sono prevalentemente composte da norme di diretta attuazione, così come da disposizioni di modifica o sostituzione di leggi già vigenti, mentre solo in tre casi (37) vi si rinvengono anche disposizioni di rinvio o disposizioni che autorizzano la giunta ad adottare regolamenti di attuazione o atti amministrativi. Tale contenuto lascia in verità un po’ sorpresi, considerato che il nuovo riparto costituzionale attribuisce la potestà regolamentare alle Regioni in tutte la materie non comprese nella competenza esclusiva statale e, anche in queste, prevede la possibilità di una delega alle Regioni, per cui ci si aspetterebbe un utilizzo più consistente della fonte secondaria.
Tra le leggi comunitarie sinora adottate la più strutturata è la l.r. FVG n. 9 del 2006 (Legge comunitaria 2005), che contiene, oltre a disposizioni di diretta attuazione e di modifica, anche: una disposizione di attuazione per rinvio (38); l’indicazione delle direttive attuate in via regolamentare, con rinvio ad un allegato, il cui testo è modificabile “con decreto del Presidente della Regione, previa deliberazione della Giunta regionale, in particolare, ai fini dell'adeguamento dei medesimi ad ulteriori sopravvenuti atti comunitari”; sempre nella medesima legge comunitaria sembra invece farraginosa, in quanto “dilatoria”, la disposizione che rinvia l’attuazione di una direttiva ad una successiva legge regionale.
Le caratteristiche strutturali delle leggi comunitarie sinora adottate, che nella quasi totalità dei casi si limitano all’attuazione diretta del diritto europeo, portano a sostenere che esse contengono norme di produzione, piuttosto che norme sulla produzione, come avviene nel caso della legge comunitaria nazionale. Sorge dunque l’interrogativo in merito a cosa dovrebbe distinguere le leggi comunitarie regionali dalle altre leggi regionali di recepimento del diritto europeo, considerato che dal confronto tra le due tipologie sembra non vi sia alcuna differenza, se non riguardo all’espressa menzione nell’epigrafe della locuzione “legge comunitaria regionale”.
Vi sono casi, inoltre, in cui una comune legge di attuazione del diritto europeo si configura come un provvedimento ben più complesso delle “formali” leggi comunitarie. A tal proposito basti citare le leggi adottate in attuazione della direttiva sul mercato interno (direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006), non qualificate come leggi comunitarie regionali (39), ma il cui contenuto non si differenzia da quello delle leggi comunitarie regionali adottate per l’attuazione della medesima direttiva (40). Nella Regione Abruzzo, inoltre, anteriormente alla legge comunitaria con cui viene attuata la direttiva sul mercato interno, risulta adottata una ulteriore legge (41) per l’attuazione della medesima direttiva, il cui contenuto particolarmente ampio e il riferimento a settori ulteriori rispetto a quelli regolati dalla direttiva che intende attuare superano lo scopo della “legge comunitaria regionale” propriamente detta.
È bene specificare che questi casi sono strettamente correlati all’oggetto della direttiva europea, poiché l’analisi della maggior parte delle leggi regionali che hanno dato attuazione alla normativa comunitaria (42) rivela un contenuto delle leggi molto più semplice e circoscritto.
Certamente, pur in tali casi, se dal punto di vista materiale le leggi comunitarie finora adottate sembrano poter assimilarsi ad una comune legge di recepimento del diritto europeo, restano ferme le particolarità procedimentali (supra), che invece le distinguono nel genus delle leggi regionali di recepimento.

 

 

4. La legge comunitaria regionale nel sistema di fonti utilizzate per l’adattamento dell’ordinamento regionale all’ordinamento europeo

 

Per quanto riguarda l’attuazione della legislazione di procedura sopra analizzata, il punto più critico non attiene tanto alla omologazione della legge comunitaria regionale al resto della legislazione regionale, quanto alla predilezione delle fonti secondarie o degli atti amministrativi per l’attuazione del diritto europeo (43) a prescindere dalla procedura della legge comunitaria regionale.
I dati riguardanti gli atti complessivamente adottati dalle Regioni in attuazione del diritto europeo ricavati sia dalla relazione alla legge comunitaria statale, contenente in allegato l’elenco delle direttive recepite e comunicate al Dipartimento per le politiche comunitarie, che da rapporti specifici (44) lasciano intendere quanto sia ancora eterogeneo il panorama regionale.
Tuttavia, i dati a vario modo recuperati non corrispondono al carico che dovrebbe spettare agli enti locali e regionali in materia, che secondo il “Libro Bianco sulla Governance Multilivello” del Comitato delle Regioni del 17-18 giugno 2009 dovrebbe riguardare “circa il 70% della normativa europea”.
Il differenziale potrebbe essere un indicatore dello spazio occupato dal legislatore statale nell’esercizio del “potere sostitutivo cedevole” (45) il quale, per la modalità in cui è costruito, si configura piuttosto come “un modo ordinario di attuare il diritto comunitario”, che non solo può oltrepassare la divisione di competenze, ma finisce per avere un “effetto premiante nei confronti della ‘pigrizia’ regionale, perché le Regioni inadempienti sanno che possono contare sull’intervento suppletivo statale, mentre le Regioni più attive, nei rari casi in cui emanano una norma di attuazione precorrendo l’atto statale, si trovano esposte a ricorsi davanti alla Consulta” (46).
In verità, non solo di “pigrizia” si tratterebbe, perché la causa di tale situazione sembra doversi rintracciare soprattutto nella perdurante incertezza del riparto di materie, ormai nota anche per quanto riguarda la riforma costituzionale, che incide nella individuazione del diritto europeo la cui attuazione è di competenza regionale. La problematica della corretta individuazione degli spazi di competenza legislativa, che richiede la predisposizione di adeguati strumenti di collaborazione (47) (v. infra), ha portato all’introduzione dell’art. 1 comma 7 nella legge comunitaria 2007 (l. n. 34 del 2008), secondo cui “il Ministro per le politiche europee ogni sei mesi informa altresì la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica sullo stato di attuazione delle direttive da parte delle regioni e delle province autonome nelle materie di loro competenza, secondo modalità di individuazione delle stesse, da definire con accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.”. Così nell’Accordo tra il Governo, le Regioni e Province autonome, le Province, i Comuni e le Comunità montane sulle modalità di attuazione degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea e sulle garanzie di informazione da parte del Governo (concluso ai sensi dell’articolo 9, comma 2 lettera c) del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281) del 24 gennaio 2008, all’art. 1 comma 2 è stato previsto che “il Governo, nell’ambito della predisposizione della legge comunitaria, promuove il coordinamento con le Regioni e Province autonome, anche su richiesta delle medesime, per individuare le direttive o altri atti comunitari incidenti in materie di competenza statale e regionale”; per tale motivo, “il governo si impegna a garantire alle Regioni e alle Province autonome una informazione tempestiva e completa” (art. 2, comma 2).
Nonostante tali modifiche, le problematiche riguardanti la concreta definizione dei rispettivi ambiti di competenza sono ancora attuali e richiedono l’individuazione di ulteriori meccanismi collaborativi, anche su impulso regionale. 

 

 

 

5. La legge comunitaria regionale come forma di raccordo orizzontale nei rapporti Giunta-Consiglio.

 

L’introduzione nel sistema delle fonti regionali di una legge ad hoc per l’attuazione del diritto europeo ha delle ripercussioni sulla forma di governo regionale, o meglio sulle relazioni tra Giunta e Consiglio.
Di per sé l’attuazione del diritto europeo richiede la predisposizione di strutture e strumenti in grado di raccordare gli organi regionali e metterli in condizione di svolgere i loro compiti, che possono sintetizzarsi in: funzioni di indirizzo politico e controllo del Consiglio e funzioni di iniziativa e obblighi di informazione della Giunta: profili cui hanno dedicato specifica attenzione molte leggi di procedura (48).
Per il vero, la natura dei rapporti tra gli organi regionali discende dall’insieme di una serie di elementi ulteriori (49), ormai previsti nella maggior parte degli ordinamenti regionali: come l’istituzione di una commissione consiliare permanente che si occupa specificamente delle questioni di diritto europeo, pur non escludendo la trattazione dei medesimi aspetti nell’ambito di altre commissioni consiliari per le singole materie; o la previsione di una sessione comunitaria del Consiglio, in cui, oltre all’approvazione della legge comunitaria (laddove prevista), in genere si delibera la formulazione di indirizzi del Consiglio alla Giunta e si verifica lo stato di attuazione del diritto europeo a livello regionale (50).
In merito al procedimento di attuazione della normativa europea, è particolarmente significativa l’attenzione dedicata dalla normativa regionale citata al processo di verifica dello stato di conformità dell’ordinamento regionale al diritto europeo (richiesto alla Regione dalla l. 11/2005, art. 8, commi 3-4), che risulta fondamentale anche per il coordinamento dei vari livelli istituzionali coinvolti nell’adattamento dell’ordinamento (Stato – Regioni). 
Importante a fini prevalentemente interni è invece la previsione della verifica di attuazione della legge comunitaria regionale (51) o la procedura di monitoraggio sull’attuazione della legge di procedura, che tuttavia comprende anche l’attuazione della legge comunitaria regionale (52). Essa costituisce un momento di verifica che si aggiunge alla verifica “costante”, effettuata sempre e comunque, e alla verifica sullo stato di conformità dell’ordinamento regionale all’ordinamento europeo, che di norma ha cadenza annuale. 
La verifica dello stato di conformità dell’ordinamento regionale al diritto europeo (definita talvolta periodica, altre costante) è effettuata in genere dalla Giunta e confluisce in una relazione inviata al Consiglio regionale in occasione della sessione comunitaria, in quanto costituisce tendenzialmente la base su cui è poi predisposta la legge comunitaria regionale (alla quale è spesso allegata). La relazione è inoltre trasmessa al Consiglio dei ministri per contribuire alla redazione della legge comunitaria nazionale (53). Quanto al contenuto della relazione, nella maggior parte dei casi le leggi di procedura si limitano a prescrivere che essa riferisca sullo stato di conformità dell’ordinamento regionale (per cui si presume contenga l’elenco degli atti comunitari recepiti o in attesa di essere recepiti) ed indichi le eventuali procedure di infrazione a carico dello Stato per inadempienze imputabili alla Regione (54). Altre volte viene richiesta l’indicazione dello stato di avanzamento dei programmi di competenza della Regione e delle misure che si intendono adottare per l’attuazione delle politiche comunitarie per l’anno in corso (55); spesso fornisce anche l’elenco delle direttive da attuare in via regolamentare o amministrativa (56).
In un sistema di relazioni istituzionali caratterizzato dall’esigenza di raccordi orizzontali tra Giunta e Consiglio si comprende l’importanza rivestita da uno strumento di questo tipo, idoneo a svolgere una pluralità di funzioni: di informazione, da parte della Giunta; di controllo, da parte del Consiglio, su cui si fonda la successiva funzione di indirizzo. Si intuisce, inoltre, quanto spazio di partecipazione può spettare al Consiglio, normalmente escluso dai processi di attuazione nei casi in cui vengono utilizzate le fonti secondarie al di fuori del meccanismo della legge comunitaria regionale (57).

 

 

 

6. Dalla molteplicità all’unità: le leggi comunitarie regionali e le forme di raccordo verticali, tra Enti locali, Regioni e Stato. 

 

La legge comunitaria regionale può rivelarsi uno strumento prezioso nel quadro dei rapporti tra enti locali, Regioni e Stato, potendo incentivare la partecipazione di quei livelli territoriali che sono ai margini del processo decisionale europeo (enti locali), ma al tempo stesso  contribuire ad una visione complessiva del grado di adattamento dell’ordinamento italiano all’ordinamento europeo da parte dello Stato, unico responsabile a livello sopranazionale.
Il primo punto ha trovato la sua disciplina nelle fonti regionali, che hanno a vario titolo affrontato la partecipazione degli enti locali e delle altre parti sociali al procedimento di approvazione della legge comunitaria regionale.
Generalmente sono le leggi regionali di procedura a soffermarsi sulla partecipazione  degli enti locali, anche se talvolta sono presenti dei riferimenti statutari:  ad esempio lo Statuto della Regione Lombardia prevede che “ai processi di adeguamento e di attuazione della normativa comunitaria partecipano le autonomie territoriali” (art. 39, comma 6). Il grado di coinvolgimento e partecipazione delle autonomie è diverso: così la legge dell’Emilia Romagna prevede la consultazione degli enti locali da parte della Commissione competente in occasione dell’esame della legge comunitaria, attraverso la convocazione di apposita udienza conoscitiva, cui possono seguire ulteriori incontri tecnici; le leggi delle Regioni Basilicata, Puglia e Calabria, sempre nell’ambito del procedimento di formazione della legge comunitaria annuale e dei lavori previsti nella sessione comunitaria, assicurano adeguate forme di partecipazione e di consultazione degli enti locali al processo normativo comunitario; meno incisiva la legge del Molise che, limitandosi ad un’informazione costante agli enti locali sull’attuazione delle politiche comunitarie di loro interesse, non contempla forme di vera e propria partecipazione.
Spesso la partecipazione degli enti locali avviene tramite il Consiglio delle Autonomie Locali (58). Per tale ragione, il più delle volte la disciplina della partecipazione degli enti locali trova la sua sedes materiae nelle previsioni legislative che riguardano i CAL, piuttosto che nella normativa sulla partecipazione ai processi europei (59)
I rapporti tra Stato e Regioni (dunque tra legge comunitaria statale e legge comunitaria regionale) sono invece disciplinati direttamente dalla legge n. 11/2005 che, al fine di coordinare i ruoli dei soggetti coinvolti nei processi di attuazione del diritto europeo, prevede obblighi di informazione e collaborazione reciproci, i quali confluiscono nella fase di predisposizione della legge comunitaria annuale (v. art. 8 della legge n. 11/2005). Tra questi assumono particolare importanza, da un lato, la previsione secondo cui “nelle materie di loro competenza le regioni e le province autonome verificano lo stato di conformità dei propri ordinamenti in relazione ai suddetti atti e ne trasmettono le risultanze alla Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento per le politiche comunitarie con riguardo alle misure da intraprendere”, dall’altro lato, quella riguardante l’elenco degli atti normativi con i quali nelle singole regioni e province autonome si è provveduto a dare attuazione alle direttive nelle materie di loro competenza (predisposto dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano e trasmesso alla Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento per le politiche comunitarie “in tempo utile e, comunque, non oltre il 25 gennaio di ogni anno”). Essi, infatti, sono funzionali alla verifica dello stato di conformità dell’ordinamento interno, complessivamente inteso, all’ordinamento europeo; quindi risultano fondamentali per la predisposizione della legge comunitaria nazionale e per la valutazione della necessità di attivare i poteri sostitutivi nei confronti delle Regioni, al fine di evitare procedure di infrazione a livello europeo.
Come rilevato, le Regioni hanno disciplinato spesso molto dettagliatamente il processo di verifica dello stato di conformità, ma l’esame delle relazioni allegate alle leggi comunitarie rivela che, nella pratica, il contributo delle stesse è ancora insufficiente, sia per il limitato numero di Regioni che comunicano i dati, sia perché, anche laddove raccolti, gli stessi appaiono incompleti.
Tale circostanza non costituisce un aspetto organizzativo con effetti puramente interni.  Il funzionamento non effettivo del meccanismo di comunicazione degli atti di recepimento delle direttive, difatti, non è senza conseguenze, se si considera che il Governo è tenuto a notificare i provvedimenti nazionali di attuazione alla Commissione europea per non incorrere in infrazioni (60).

 

 

7. Considerazioni conclusive.

 

L’analisi della disciplina e dell’utilizzo della legge comunitaria regionale rende possibili alcune considerazioni sui vantaggi dell’introduzione di una fonte ad hoc per l’attuazione del diritto europeo, considerato che, in un sistema complesso in cui è presente un’articolazione di competenze, le esigenze prioritarie rispetto all’attuazione del diritto europeo riguardano la celerità di adattamento e il coordinamento tra i livelli.
Le modifiche apportate all’ordinamento regionale nell’ultimo decennio denotano la presa di coscienza da parte delle Regioni della complessità e dell’impegno che proviene dalla partecipazione all’UE, oltre che del ruolo che esse sono chiamate a svolgere in fase di attuazione del diritto europeo in un sistema multilivello.
Così, la scelta di replicare a livello regionale il modello della legge comunitaria statale ha portato a configurare un subsistema del livello nazionale, che tende formalmente a rispecchiarne le caratteristiche principali ma finisce per discostarsene quanto alla sostanza.
Il suo inquadramento tra le fonti contenenti norme di produzione anziché sulla produzione, come invece può essere qualificata la legge comunitaria statale, infatti, sembra doversi ricondurre alle dimensioni e alle peculiarità dell’ordinamento regionale, che ad esempio non ammette l’uso della delegazione legislativa. Vero è che la legge comunitaria regionale potrebbe meglio utilizzare i regolamenti di delegificazione, per la razionalizzazione e semplificazione dell’ordinamento, in quelle discipline che non necessitano di una copertura legislativa (61), ma anche tale considerazione non appare particolarmente pregnante qualora si pensi che le Regioni dispongono di meccanismi ad hoc per il  riordino e la semplificazione normativa.
L’esigenza del coordinamento tra i livelli ha invece stimolato la previsione di una serie di strumenti di raccordo, in grado di incrementare la collaborazione sia tra organi interni alla Regione, che tra questa e il livello nazionale (sintomatico in questo senso è la relazione sullo stato di attuazione del diritto europeo).
In questa prospettiva, la predilezione per una fonte legislativa ad hoc, come la legge comunitaria regionale, può portare a riequilibrare le relazioni istituzionali in “materia europea”, che attualmente appaiono sbilanciate a favore degli esecutivi regionali (62), considerato che nei fatti la maggior parte della normativa comunitaria viene attuata per il tramite di atti secondari. Una valorizzazione del ruolo delle assemblee legislative regionali nell’attuazione del diritto comunitario sta rivestendo una importanza sempre maggiore, anche in considerazione del rilievo che ad esse viene dato nella normativa nazionale ed europea (63).
La concreta potenzialità della legge comunitaria regionale sembra andare oltre la garanzia di adeguamento unitario dell’ordinamento regionale al diritto europeo, configurandosi piuttosto come un’importante strumento “conoscitivo”, che può costituire il punto di riferimento unitario per tutti i soggetti coinvolti nella fase di attuazione (Stato, Regioni, enti locali, amministrazioni), e “partecipativo” per tutti i soggetti interessati dal diritto europeo, del pubblico e del privato (associazioni imprenditoriali) (64).
Essa costituisce infine un fondamentale strumento di “raccordo” orizzontale e “verticale”, la cui corretta e completa implementazione può supplire alle problematiche che ancora sussistono nelle procedure di adattamento dell’ordinamento interno al diritto europeo. Attraverso essa, infatti, può trovarsi una soluzione alle problematiche riguardanti la ridefinizione del riparto di competenze che spesso seguono all’attuazione del diritto europeo, secondo un modello che appare più concordante con l’art. 117 Cost. comma 1.
Per il vero, il punto critico della nuova fonte riguarda il suo effettivo impiego. Dal punto di vista quantitativo, infatti, la ricognizione e l’analisi dei provvedimenti adottati dalle Regioni in attuazione del diritto europeo rivela un consistente ricorso a fonti regolamentari e atti amministrativi. Dal punto di vista qualitativo emerge invece che, anche laddove adottata, la legge europea regionale non sempre si pone come momento centrale della fase di attuazione, rappresentando il più delle volte una tra le diverse leggi adottate a tal fine. 
Vi è, dunque, ancora un certo “impaccio” del legislatore regionale italiano quanto alla gestione della fase di attuazione.
La causa di tale situazione non sembra riconducibile alla interdipendenza tra fase discendente e fase ascendente (e dunque alla scarsa partecipazione regionale alla fase ascendente), se solo si pensi che tra la formazione del diritto europeo e la sua attuazione potrebbe intercorrere un lasso temporale tale da consentire anche un cambio di legislatura, e dunque anche i componenti in seno agli organi regionali (65).
Il nodo cruciale starebbe invece nella perdurante incertezza che sussiste in merito all’individuazione dei rispettivi ambiti di competenza, che richiede un’adeguata informazione e collaborazione tra Stato e Regioni nella specifica fase di attuazione, la cui soluzione gioverebbe ad entrambi i livelli (66), ugualmente sottoposti al limite del rispetto del diritto europeo.
Questo presuppone, per quanto riguarda il versante regionale, una struttura organizzativa interna “specializzata”, in grado di monitorare lo stato di attuazione del diritto europeo nell’ordinamento regionale e proporre soluzioni adeguate a livello nazionale. L’analisi dell’organizzazione regionale (67) ha mostrato che, pur con un certo rilento, molte Regioni stanno giocando la loro parte, individuando soluzioni efficienti e presentandosi talvolta come un proficuo laboratorio di sperimentazione.



 

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(1) A. Celotto, La nuova legge comunitaria 2007. Tendenze attuali nella fase ascendente e discendente del processo comunitario, in Il ruolo del Governo nella formazione e applicazione del diritto dell’Unione europea. Le peculiarità di un sistema costituzionale multilivello, a cura di S. Baroncelli, Torino 2008, 194. Secondo l’autore, “caratteristica essenziale della “legge comunitaria” è il suo essere soltanto in parte un provvedimento attuativo di obblighi comunitari, non costituendo la fonte esaustiva delle esigenze attuative, ma il punto di riferimento obbligato per tutti i soggetti coinvolti nel procedimento di attuazione. Con essa il Parlamento innesca una serie di procedimenti “a cascata”, coinvolgendo – a seconda dei casi – l’autonomia legislativa delegata del Governo, l’autonomia amministrativa regolamentare e l’autonomia legislativa regionale”. Per una ricostruzione storica del processo di adeguamento dell’ordinamento italiano all’ordinamento comunitario, fino all’introduzione dello strumento della legge comunitaria statale, e per un’analisi di come questa fonte sia stata utilizzata nella prassi A. Pitino, Verso una nuova legge comunitaria, Stato e Regioni tra l’attuazione del titolo V e il nuovo trattato che adotta una costituzione per l’Europa, Torino 2005; F. Bientinesi, L’evoluzione della legge comunitaria nella prassi applicativa e nelle riforme istituzionali, in Rass. Parl. 2004, 849 ss.; A. Celotto-G. Pistorio, Diciotto anni di “legge comunitaria”, in U. De Siervo (a cura di), Osservatorio sule fonti, Torino 2006, 54 ss.; S. Viticci, Il modello statale per il recepimento delle direttive, in Il recepimento delle direttive dell'Unione europea nella prospettiva delle regioni italiane : modelli e soluzioni, a cura di C. Odone-G. Di Federico, Napoli, 2010, 121 ss..

(2) Per alcuni dati sulla situazione italiana in merito all’attuazione del diritto europeo e sui problemi che ancora sussistono nonostante l’introduzione del meccanismo della legge comunitaria, V. Boncinelli, Il mancato recepimento e la violazione del diritto comunitario imputabili a comportamenti, omissioni e ritardi del Governo, in Il ruolo del Governo nella formazione e applicazione del diritto dell’Unione europea, cit., 203 ss.

(3)  Sui rapporti tra norme sulla produzione e fonti di produzione A. D’Atena, Lezioni di diritto costituzionale, Torino 2006, 151-152: “Onde uno schema triadico, una sequenza, anche cronologica, alla stregua della quale al principio – all’origine – è la norma sulla produzione, cui segue la fonte – cioè il fatto da essa contemplato -, seguita, a propria volta, dalla norma”.

(4) Com’è noto, le Regioni sono rimaste per molto tempo ai margini del processo di integrazione europea, al punto da far coniare l’espressione “cecità federale” (traduzione del termine tedesco Landesblindheit, utilizzato da H.P. Ipsen). Per una ricostruzione delle fasi che hanno portato le Regioni a partecipare al processo di attuazione del diritto europeo, con particolare attenzione all’evoluzione dell’ordinamento prima e dopo la riforma costituzionale A. D’Atena, Diritto regionale, Torino 2010, 343ss.; A. Anzon, I poteri delle Regioni nella transizione dal modello originario al nuovo assetto costituzionale, Torino 2005; E. Di Salvatore,  L'identità costituzionale dell'Unione Europea e degli stati membri. Il decentramento politico-istituzionale nel processo di integrazione, Torino 2008; M. Cartabia-V. Onida, Le Regioni e l’Unione Europea, in Trattato di diritto amministrativo europeo, diretto da M.P. Chiti e G. Greco, II, Milano 2007, 991 ss.; L. Domenichelli, Le Regioni nella Costituzione europea. Elogio delle virtù nascoste della consultazione, Milano 2007. Per un’analisi comparata degli strumenti di partecipazione degli enti regionali e locali alla fase ascendente e discendente v. lo studio realizzato dall’Issirfa, Procedure per la partecipazione delle autorità regionali e locali al processo europeo di Policy Making nei vari Stati membri, Comitato delle Regioni 2005.

(5) Di qui la previsione del potere sostitutivo statale, da leggersi congiuntamente anche con l’art. 120 comma 2. Sul potere sostitutivo statale nei confronti delle Regioni E. Gianfrancesco, Il potere sostitutivo, in AA.VV. (a cura di T. Groppi-M. Olivetti), La Repubblica delle autonomie. Regioni ed enti locali nel nuovo titolo V, Torino, 2001, 183 ss.; A. Police, Il potere sostitutivo dello Stato nei confronti delle regioni: condizioni e limiti di esercizio, in Aa.Vv., I controlli sulle autonomie nel nuovo quadro istituzionale, Giuffré, Milano, 2007, 653 ss.

(6) “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”, pubblicata nella G.U. n. 37 del 15 febbraio 2005. Per un commento alla legge M. Cartabia-L.Violini, Le norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari, in Le Regioni, 2005, n. 4, 475 ss.

(7) L’informazione delle Regioni e delle Province autonome deve avvenire per il tramite della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano e della Conferenza dei Presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle Province autonome (art. 8 comma 2). È poi previsto che il Presidente del Consiglio o il Ministro per le politiche comunitarie verifichi (con la collaborazione delle amministrazioni interessate) lo stato di conformità dell’ordinamento interno e ne trasmetta le risultanze tempestivamente (con cadenza almeno quadrimestrale) agli organi parlamentari competenti, alla Conferenza Stato-Regioni e a quella dei Presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle Province autonome, per la formulazione di ogni “opportuna osservazione” (art. 8 comma 3 prima parte).

(8) Art. 8 comma 3 (seconda parte).

(9) Fanno l’eccezione le materie oggetto di potestà legislativa concorrente, per le quali la legge comunitaria nazionale deve indicare: i principi fondamentali non derogabili dalla legge regionale o provinciale sopravvenuta e prevalenti sulle contrarie disposizioni eventualmente già emanate dalle Regioni e dalle Province autonome (art. 16 comma 1, seconda parte).

(10) La l. n. 11 del 2005, difatti, si limita a stabilire che “i provvedimenti adottati (…) devono recare nel titolo il numero identificativo della direttiva attuata e devono essere immediatamente trasmessi in copia conforme alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le politiche comunitarie.”

(11) Secondo i quali, ad esempio: è vietato alle leggi regionali istituire fonti ad essa concorrenziali; non sono ammissibili i decreti legislativi e i decreti leggi, che costituiscono, in ambito statale, le due fonti privilegiate per l’attuazione del diritto europeo. 

(12) Il suggerimento sull’introduzione della legge comunitaria regionale trovava sostegno tra i funzionari regionali (R. De Liso, Una proposta: la legge comunitaria regionale, in Osservatorio sul federalismo, www.federalismi.it), nella Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome (v. documento di Palermo del 31 ottobre 2002 disponibile su www.regioni.it) così come nella Conferenza dei Presidenti delle Assemblee Legislative delle Regioni e delle Province autonome (v. IV Commissione di studi per lo “Sviluppo delle procedure relative alla partecipazione delle Assemblee legislative regionali alla formazione e attuazione del diritto comunitario; con attenzione anche alle ricadute territoriali nei rapporti con gli enti locali, i CAL e CREL, nella loro differente valenza istituzionale”. Documento finale disponibile su www.parlamentiregionali.it; per una ricostruzione sintetica dei vari documenti v. C. Odone, Il recepimento regionale delle direttive in Italia, in Il recepimento delle direttive dell'Unione europea nella prospettiva delle regioni italiane, cit., pag 80-81); ma sembra trovare un indiretto fondamento anche in alcuni atti della Commissione europea (v. la Raccomandazione del 12 luglio 2004 sul corretto recepimento delle direttive che incidono sul mercato interno e la Raccomandazione del 29 giugno 2009 sulle misure per migliorare il funzionamento del mercato unico). Anche se favorevole all’introduzione di una fonte di questo tipo, tuttavia, la possibilità di prevedere leggi comunitarie regionali da parte delle Regioni è stata ritenuta da una parte della dottrina non ammissibile, poiché in tal modo sarebbero state dettate norme generali in materia di procedure d’attuazione del diritto comunitario, riservate alla legge statale dalla Costituzione (sul punto P. Bilancia, Regioni ed attuazione del diritto comunitario, in Ist. Federalismo 2002, 56-57; che tuttavia si esprimeva positivamente quanto all’introduzione di tale fonte nell’ordinamento regionale ad opera del legislatore statale). Per l’opinione positiva, invece P. Ivaldi, Esecuzione e attuazione regionale degli atti normativi dell’Unione europea, in Regioni ed autonomie territoriali nel diritto internazionale ed europeo (a cura di L. Daniele), Napoli 2006, 200-203; P. Caretti, Il ruolo delle Regioni nella formazione e attuazione del diritto comunitario, in S. Baroncelli (a cura di), Il ruolo del Governo nella formazione e applicazione del diritto dell’Unione europea, cit., p. 250.  

(13) Sul riconoscimento indiretto dell’ammissibilità di leggi comunitarie regionali nella l. 11 del 2005, M. Cartabia-L. Violini, Le norme generali sulla partecipazione, cit. 507.

(14) La legge regionale era la n. 11 del 2005 e la sentenza la n. 398 del 2006

(15) Sulla forma di governo regionale S. Mangiameli, Letture sul regionalismo italiano, Il Titolo V tra attuazione e riforma della riforma, Torino 2011, cap. I.

(16) In dottrina gli studi sulla legge comunitaria regionale non sono numerosissimi, per un primo commento: A. Adinolfi, Nuove procedure per l’attuazione delle direttive comunitarie nelle materie di competenza regionale: verso le “leggi comunitarie regionali”?, in Rivista di diritto internazionale, 2004, 759 ss.; F. Furlan, Recenti sviluppi in materia di attuazione della normativa comunitaria da parte delle Regioni, in Riv. It. Di dir. pubbl. comunitario, 2005, 125 ss.; P. Mazzina, La 'legge comunitaria regionale' alla prova con la 'fluidità' del sistema delle fonti e con l'esigenza di una maggiore responsabilità delle Regioni, in Rassegna di diritto pubblico europeo, 2007, vol. 6, fasc. 1, 125- 151; e più approfonditamente P. Vipiana, Le leggi comunitarie regionali: un innovativo strumento per l'attuazione delle direttive comunitarie da parte delle regioni, in Quad. reg. 2007, n. 2-3; 449 ss; C. Bertolino, Il ruolo delle Regioni nell’attuazione del diritto comunitario. Primi passi significativi e profili problematici, in Le Regioni, n. 6/2009, 1249 ss.; M. Fragassi, La partecipazione delle Regioni alla “fase discendente” del processo normativo comunitario: la legge comunitaria regionale, in G. Carpani-T. Groppi-M. Olivetti-A. Siniscalchi, Le Regioni italiane nei processi normativi comunitari dopo la legge n. 11/2005, Il Mulino 2007, 111 ss.

(17) Gli estremi degli statuti ordinari e gli articoli concernenti i rapporti con l’Unione europea sono i seguenti: Statuto della Regione Abruzzo, art. 4; Statuto della Regione Calabria: l.r. n. 25/2004, artt. 3, 28, 42; Statuto della Regione Campania: l.r. n. 6/2009, artt. 9 e 10; Statuto della Regione Emilia Romagna: l.r. n. 13/2005, art. 12; Statuto della Regione Lazio: L. Stat. 1/2004, artt.10, 11 e 32; Statuto della Regione Liguria: L. Stat. 1/2005, artt. 4, 16; Statuto d’autonomia della Lombardia, l. Stat. n. 1/2008, artt. 6 e 39; Statuto della Regione Marche: art. 2; Statuto della Regione Molise, art. 67; Statuto della Regione Piemonte: l.r. Stat. n. 1/2005, artt. 15 e 42; Statuto della Regione Puglia: l.r. n. 7/2004, art. 9; Statuto della Regione Toscana: l.r. stat. n.1/2010, art. 70; Nuovo Statuto della Regione Umbria: l.r. n. 21/2005, art. 25; Statuto del Veneto (adottato in seconda deliberazione l’11/01/2012), art. 4-18.

(18) Per un esame più specifico di tale aspetto, S. Aloisio, L’attuazione del diritto comunitario nei nuovi statuti regionali, in Le fonti del diritto, oggi. Giornate di Studio in onore di Alessandro Pizzorusso. Pisa, 3-4 marzo 2005, Pisa, 2006, p. 303 ss.; B. Sardella, “La dimensione comunitaria” dei nuovi statuti regionali, in Ist. Fed. 2007, fasc. 3-4, pag. 431-477.

(19) In alcuni casi vi è un riferimento indiretto (St. Emilia Romagna, art. 12, la Regione “determina con legge il periodico recepimento delle direttive e degli altri atti normativi comunitari che richiedono un intervento legislativo”; St. Umbria: “La Regione procede con legge al periodico recepimento delle direttive e degli altri atti normativi comunitari che richiedono un intervento legislativo.”) in altri il riferimento è diretto (St. Molise, art. 67: “Con legge regionale sono stabiliti modalità e tempi per l’approvazione dell’annuale legge comunitaria regionale. La legge comunitaria, nei casi in cui deferisce al regolamento regionale l’attuazione degli atti dell’Unione europea, ne stabilisce i criteri e i principi direttivi.”; St. Piemonte, art. 42 “Sessione per la legge comunitaria regionale. 1. La Regione, con legge comunitaria regionale, adegua periodicamente la propria normativa all'ordinamento comunitario. 2. I lavori del Consiglio regionale per l'approvazione della legge comunitaria regionale sono organizzati in una apposita sessione da tenersi entro il 31 maggio di ogni anno.”; nello St. Veneto c’è un riferimento nell’art. 33 sulle funzioni del Consiglio, quando afferma che “approva annualmente la legge regionale europea e delibera i provvedimenti generali attuativi degli atti dell’Unione europea”).

(20) St. Regione Lazio: “1. La Regione adegua il proprio ordinamento a quello comunitario. 2. Assicura l’attuazione della normativa comunitaria nelle materie di propria competenza, di norma attraverso apposita legge regionale comunitaria, nel rispetto della Costituzione e delle procedure stabilite dalla legge dello Stato. 3. La legge regionale comunitaria, d’iniziativa della Giunta regionale, è approvata annualmente dal Consiglio nell’ambito di una sessione dei lavori a ciò espressamente riservata. 4. Con la legge regionale comunitaria si provvede a dare diretta attuazione alla normativa comunitaria ovvero si dispone che vi provveda la Giunta con regolamento. La legge regionale comunitaria dispone comunque in via diretta qualora l’adempimento agli obblighi comunitari comporti nuove spese o minori entrate o l’istituzione di nuovi organi amministrativi”; Lo Statuto più ampio e completo sembra essere quello della Regione Lombardia che all’art. 39 prevede l’adozione di una “apposita” legge regionale comunitaria, la quale provvede a dare diretta attuazione alla normativa europea (qualora l’adempimento agli obblighi comunitari comporti nuove spese o minori entrate, l’individuazione di sanzioni amministrative o l’istituzione di nuovi organi amministrativi), o dispone che all’attuazione si possa provvedere, nell’ambito dei principi da essa determinati, con regolamenti regionali o per via amministrativa (indicando specificatamente gli atti normativi comunitari). Anche il procedimento di approvazione presenta evidenti analogie con l’omologo nazionale, considerato che: il progetto di legge regionale comunitaria è presentato annualmente dal Presidente della Regione ed è approvato dal Consiglio nell’ambito di una sessione dei lavori a ciò espressamente riservata (le disposizioni del regolamento generale garantiscono poi la piena informazione del Consiglio regionale e il suo diretto coinvolgimento nella procedura); Per un’analisi più approfondita della disciplina europea prevista negli Statuti regionali v. P. Vipiana, op. cit., 457 ss.

(21) Friuli Venezia Giulia (l.r. n. 10/2004 e l.r. n. 17/2007, artt. 17 e 18); Valle D’Aosta (l.r. n. 8/2006); Marche (l.r. n. 14/2006); Calabria (l.r. n. 3/2007); Umbria (l.r. n. 23/2007); Emilia Romagna (l.r. n. 16/2008); Molise (l.r. n. 32/2008); Campania (l.r. n. 18/2008); Toscana (l.r. n. 26/2009); Basilicata (l.r. n. 31/2009); Abruzzo (l.r. n. 22/2009); Sicilia (l.r. n. 10/2010); Sardegna (l.r. n. 13/2010); Puglia (l.r. n. 24/2011); Lombardia (l.r. n. 17/2011); Veneto (l.r. n. 26/2011). Si ricorda brevemente che alcune Regioni avevano adottato norme di procedura per l’adeguamento della normativa regionale alle direttive comunitarie anche prima della riforma del Titolo V della Costituzione, come le Regioni Toscana (L.R. 37/1994), Liguria (L.R. 44/1995), Veneto (L.R. 30/1996), Basilicata (L.R. 30/1997) e Sardegna (L.R. 20/1998).

(22) La l.r. n. 18/2008 è molto sintetica, limitandosi a prevedere che, per l’attuazione del diritto europeo, la Regione adempie con regolamento, provvedimento amministrativo o con legge (articolo 3).

(23) Quasi tutte le leggi prevedono l’annualità della legge comunitaria mentre alcune solo la periodicità (Emilia Romagna e Toscana).

(24) Fa eccezione la legge di procedura dell’Emilia Romagna, secondo cui la relazione sullo stato di conformità dell’ordinamento regionale all’ordinamento comunitario viene esaminata congiuntamente al programma legislativo della Commissione europea (art. 5). Si ritiene essa individui una soluzione adeguata poiché, nella distinzione delle due fasi, permette alla legge comunitaria di essere veramente calibrata sulla relazione e alla relazione di costituire uno strumento su cui può attestarsi la funzione di controllo e di indirizzo politico del Consiglio.

(25) La presentazione del progetto di legge deve avvenire: nelle regioni Basilicata e Marche entro il 31 maggio di ogni anno, nella regione Molise entro il 1 luglio, nelle regioni Abruzzo, Valle D’Aosta e Sardegna entro il 31 marzo di ogni anno, nelle regioni Sicilia, Puglia e Friuli Venezia Giulia il 30 aprile, nella Regione Veneto entro aprile; nella Regione Calabria entro il 1 giugno, nella Regione Umbria entro il 30 giugno di ogni anno; nella Regione Lombardia entro il 31 gennaio di ogni anno.

(26) Per l’approvazione della legge sono previsti come termini: nella Regione Abruzzo, il 31 luglio di ogni anno; nella Regione Lombardia, il 31 marzo di ogni anno; nella Regione Umbria, un termine non precisato, ma che consenta alla Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome di predisporre l’elenco di cui all’art. 8, comma 5, lett a) della l. 11/2005 e di trasmetterlo alla Presidenza del Consiglio non oltre il 25 gennaio di ogni anno.

(27) Che si verifica nei casi dello Statuto del Lazio e dello Statuto della Lombardia (v. nota 20)

(28)  La previsione, infatti, rientrerebbe nel contenuto eventuale dello Statuto che, se posto, non può non dispiegare vincoli giuridici a carico del legislatore ordinario della Regione, condizionando l’esercizio delle competenze regionali (si aderisce in tal modo alla tesi seguita da A. D’Atena, Diritto regionale, Torino 2010, 104 ss., e S. Mangiameli, Letture sul regionalismo italiano, Torino 2011, 138-142). L’uso del condizionale nel testo (dovrebbe) discende dalla constatazione della diversa tesi seguita dalla Corte Costituzionale, che anche con il nuovo titolo V ritiene non vincolante il contenuto eventuale dello Statuto, (Corte Cost., sent. n. 2/2004). 

(29) è il caso dello Statuto del Molise (v. nota 19). 

(30) In tale prospettiva rientra anche la possibilità di autorizzare l’attuazione delle direttive mediante regolamenti di esecuzione e attuazione, nonché, nelle materie non coperte da riserva assoluta di legge, mediante regolamenti di delegificazione (v. ad esempio le l.r. di FVG e Puglia).

(31) Per un più completo esame delle leggi di procedura e dei rispettivi elementi innovativi si rinvia a C. Odone, Il recepimento regionale delle direttive in Italia, cit., 83 ss.

(32) Friuli Venezia Giulia: l.r. n. 11/2005 (Legge comunitaria 2004); l.r. n. 9/2006 (Legge comunitaria 2005); l.r. n. 14/2007 (Legge comunitaria 2006); l.r. n. 7/2008 (Legge Comunitaria 2007); l.r. n. 13/2009 (Legge comunitaria 2008). 

(33) Valle D’Aosta: l.r. n.. 12/2011 (Legge comunitaria regionale 2011); l.r. n. 16/2010 (Legge comunitaria 2010); l.r. n. 12/2009 (Legge comunitaria 2009); l.r. n. 8/2007 (Legge comunitaria 2007).

(34) Marche: l.r. n. 36/2008 (Legge comunitaria regionale 2008): l.r. n. 7/2011 (Legge comunitaria regionale 2011).

(35) Abruzzo: l.r. n. 59/2010; l.r. n. 44/2011.    

(36) Emilia Romagna: l.r. n. 4/2010 (legge comunitaria regionale per il 2010).

(37) È il caso della l.r. Umbria n. 15/2010 e delle due leggi comunitarie della Regione Abruzzo.

(38) Art. 4. Attuazione per rinvio: “1. Ai sensi dell'articolo 4, comma 2, lettera a), della legge regionale n. 10/2004, le direttive comunitarie elencate all'allegato G in materia di alimentazione per gli animali di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), aventi contenuto incondizionato e sufficientemente specifico, trovano applicazione nell'ambito dell'ordinamento regionale”.

(39) Il riferimento è alle seguenti leggi regionali : l.r. Abruzzo, n. 5/2010;  l.r. Liguria n. 14/2011, integrata e modificata da l.r. Liguria n. 23/2011; l.r. Piemonte n. 38/2009. Non è il caso della l.r. n. 15/2010 della Regione Umbria, che non reca nel titolo la denominazione di legge comunitaria regionale, in quanto la legge regionale di procedura non prevede tale denominazione, ma la cui natura è sostanzialmente quella di una legge comunitaria regionale, considerato che il contenuto particolarmente ampio della legge supera l’attuazione della direttiva indicata in epigrafe, configurandola come un provvedimento omnibus volto ad adeguare l’ordinamento regionale all’ordinamento europeo.

(40) L.r. Emilia Romagna n. 4/2010; l.r. Marche n. 7/2011; in Valle D’Aosta l’attuazione di tale direttiva ha coinvolto ben tre leggi comunitarie, l.r. n. 12/2011; l.r. n.16/2010; l.r. n.12/2009.

(41) Regione Abruzzo: l.r. n. 5/2010, “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento giuridico regionale agli obblighi derivanti dalla direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, nonché, per la semplificazione e miglioramento dell’efficacia dell’azione amministrativa della Regione e degli Enti locali per le attività aventi rilevanza economica, e per la manutenzione normativa di leggi regionali di settore”.

(42) L’indagine esclude, oltre a quelle appena esaminate, anche le leggi di modifica e le leggi abrogate:  l.r. Calabria n. 6/2008; l.r. Emilia Romagna n. 12/ 2011; l.r. Emilia Romagna n. 3/2007; l.r. Emilia Romagna, n. 11/2006, l.r. Emilia Romagna n. 15/2002; l.r. Friuli Venezia Giulia, n. 10/2003; l.r. Liguria n. 35/2006; l.r. Liguria n. 31/2002; l.r. Lombardia n. 24/2008; l.r. Marche n. 8/2007, l.r. Marche n. 18/2004; l.r. Puglia n. 30/2007; l.r. Sardegna n. 5/2007; l.r. Veneto n. 13/2008; l.r. Veneto n. 24/2007; l.r. Veneto n. 13/2005; l.r. Veneto n. 6/2006;

(43) Per un’analisi delle diverse soluzioni individuate dagli Statuti con riferimento alla distribuzione tra le fonti della materia comunitaria C. Bertolino, op. cit., 1278-1279;

(44) Per una ricognizione di tali dati si rinvia ai rapporti curati dall’Issirfa (disponibili sul sito www.issirfa.it nella sezione Rapporti Issirfa) oltre alle relazioni allegate alla legge comunitaria nazionale (che in verità non sono complete, considerato che gli atti amministrativi adottati in attuazione della normativa europea non sono soggetti all’obbligo annuale di comunicazione previsto nella l. 11 del 2005, art. 8, comma 5, lett. E).

(45) Com’è noto, il meccanismo della clausola di cedevolezza (previsto e richiamato in diverse disposizioni della l. n. 11/2005: art. 9, comma 1, lett. H); art. 10; art. 11, comma 8; art. 13; art. 16 comma 3) si sostanzia nell’intervento dello Stato in materie regionali ai fini dell’adempimento degli obblighi derivanti dall’Unione europea. Tali atti si applicano solo alle Regioni e alle Province autonome che non hanno adottato una normativa di attuazione, a decorrere dalla scadenza del termine stabilito per l’attuazione della norma comunitaria, e perdono efficacia dalla data di entrata in vigore della normativa di attuazione regionale o provinciale.

(46) S. Baroncelli, La partecipazione dell’Italia alla governance dell’Unione europea nella prospettiva del Trattato di Lisbona. Un’analisi sulle fonti del diritto nell’ottica della fase ascendente e discendente, in S. Baroncelli (a cura di), Il ruolo del Governo nella formazione e applicazione del diritto dell’Unione europea, cit., Torino 2008, 159.

(47) Sul punto G. Pastore, La governance interistituzionale nell’attuazione regionale delle direttive comunitarie, in S. Baroncelli (a cura di), op. cit., pag. 256-264. Per rendersi conto dell’estensione del campo occupato dal legislatore statale nell’esercizio del potere sostitutivo è sufficiente analizzare i decreti legislativi di recepimento delle direttive concernenti la clausola di cedevolezza.

(48) Le leggi di procedura sopra menzionate hanno affrontato il tema degli elementi di dialogo e collaborazione tra Consiglio e Giunta secondo un diverso grado di approfondimento, focalizzandosi talvolta su una delle due funzioni e non mancando di differenziarsi per taluni aspetti. Tra le leggi che hanno disciplinato entrambi gli aspetti vi sono quelle di Abruzzo, Basilicata e Molise. Più sintetiche le normative che si riferiscono ad uno dei due punti: come quella toscana e quella campana. La legge dell’Emilia Romagna affronta specificamente il tema degli obblighi informativi (peraltro “reciproci” tra Giunta e Assemblea), pur se, a differenza delle precedenti, si presenta con un contenuto molto articolato; anche nella legge di procedura della Regione Veneto sono previsti obblighi di informazione reciproca tra Giunta e Consiglio.

(49) L’esigenza di una maggiore collaborazione tra enti, secondo modalità difficilmente delineabili a priori, ha portato alcune normative regionali a inserire un rinvio ai regolamenti del Consiglio regionale (es: l.r. Veneto) o alle deliberazioni della Giunta e dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale (l.r. Abruzzo, n. 22/2009, art. 8; l.r. Emilia Romagna, n. 16/2008, art. 13) per la disciplina di ulteriori aspetti organizzativi interni (sia alla Giunta, che al Consiglio), i quali affrontano anche il tema dei raccordi tra le strutture esistenti all’interno della regione, nonché tra queste e le analoghe strutture a livello nazionale ed europeo. Per quanto riguarda i rapporti Giunta-Consiglio si rinvia a C. Bertolino, Il ruolo delle Regioni nell’attuazione del diritto comunitario. Primi passi significativi e profili problematici, in Le Regioni, 2009, n. 6, 1280-1289. Per l’analisi di alcuni aspetti organizzativi inseriti negli Statuti, nelle leggi e nei regolamenti anche C. Odone, Il recepimento delle direttive in Italia, cit., 83 ss.. Per l’approfondimento di due esperienze specifiche, quella del Friuli Venezia Giulia, in cui vi è stata la prima e più costante sperimentazione della legge comunitaria, e quella dell’Emilia Romagna, che invece ha predisposto un efficace organizzazione interna volta a valorizzare il ruolo dell’Assemblea (v. i contributi di G. Pastore, in S. Baroncelli (a cura di), Il ruolo del Governo nella formazione e applicazione del diritto dell’Unione europea, cit., 267 e 280).

(50) Talvolta, è previsto un contenuto più specifico della sessione, come l’esame del programma legislativo annuale della Commissione europea (l.r. Emilia Romagna, n. 16/2008, art. 5; nello stesso senso l.r. Abruzzo n. 22/2009, art. 4), o la verifica dello stato di avanzamento dei programmi cofinanziati da risorse comunitarie e attivati a livello regionale (l.r. Basilicata n. 31/2009, art. 6). Rispetto allo scenario generale, si differenzia la normativa della regione Campania, in cui la sessione comunitaria si svolge in seno alla Giunta (l.r. Campania n. 18/2008, art. 5), che, entro un mese dal suo svolgimento, presenta al Consiglio un rapporto sullo stato di attuazione delle politiche comunitarie. 

(51) Essa è prevista nella legge dell’Abruzzo, n. 22/2009, art. 6, e deve effettuarsi entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge comunitaria regionale, sempre attraverso una relazione presentata dal Presidente della Giunta (ovvero dal Componente della giunta competente per le politiche comunitarie) alla Commissione Consiliare competente, previa deliberazione della Giunta regionale. In Sardegna è previsto che la relazione allegata alla legge comunitaria riferisca sull’attuazione della legge europea dell’anno precedente, motivando in ordine agli adempimenti omessi.

(52) Essa è prevista nella legge della Regione Veneto, art. 17: “Trascorsi tre anni dall’entrata in vigore della presente legge la Giunta regionale e la commissione consiliare competente in materie europee, per le parti di rispettiva competenza, presentano al Consiglio regionale una relazione sull’attuazione della legge e delle procedure da essa previste, riferendo in particolare circa la partecipazione alla formazione degli atti dell’Unione europea e l’attuazione del sistema informativo di cui all’articolo 10”.

(53) Questi profili sono comuni alle diverse normative, anche se non mancano previsioni discordanti, secondo cui la verifica di conformità è effettuata dal Consiglio, o meglio dalla Commissione consiliare competente per gli affari comunitari, che è tenuta a dare informazioni alla Giunta e alle commissioni consiliari competenti (l.r. Campania, n. 18/2008, art. 4; l.r. Molise, n. 32/2008, art. 4; l.r. Marche, art. 5). Anche in questi casi, tuttavia, vi sono dei meccanismi che riequilibrano il sistema riportandolo verso il primo modello: è quanto accade, ad esempio, nella normativa della regione Molise in cui, oltre alla previsione di una nota aggiuntiva della Giunta alla legge comunitaria (art. 5, comma 2), v’è anche la presentazione da parte della Giunta al Consiglio del rapporto sullo stato di attuazione della normativa comunitaria di interesse regionale e delle politiche comunitarie (all’art. 8 comma 2; così anche la l.r. Marche, art. 8).

(54) È il caso della l.r Basilicata, n. 31/2009, art. 3, e della l.r. Toscana, n.26/2009, art. 7.

(55) Per le Regioni che prevedono un contenuto più articolato della relazione v. l.r. Toscana n. 26/2009, art. 6; l.r. Campania n. 18/2008, art. 5.  

(56) Più complessa appare la situazione del Molise che, come già anticipato, si caratterizza per la presenza di due distinti documenti (la nota aggiuntiva e il rapporto sullo stato di attuazione della normativa), il cui diverso contenuto lascia prefigurare si tratti di due atti distinti (per il contenuto della nota aggiuntiva v. l.r. Molise, n. 32/2008, art. 5 comma 2, per il contenuto del rapporto sullo stato di attuazione della normativa comunitaria v. art. 8 comma 2).

(57) L. Spadacini, Integrazione europea e ordinamenti regionali: la debolezza dei Consigli, cit., pag 409-416, il quale sottolinea che anche nell’ordinamento regionale la scelta della fonte utilizzabile per l’attuazione del diritto europeo, legge piuttosto che regolamento, non sottende solo esigenze di efficienza del procedimento, sul presupposto che la seconda fonte sia più snella e tempestiva, ma riguarda aspetti della forma di governo (pag 409 ss.); per tale motivo, notevole rilevanza hanno le disposizioni che allocano la funzione regolamentare presso il Consiglio piuttosto che alla Giunta. 

(58) Così lo Statuto della Regione Abruzzo (art. 4 comma 3) prevede che “la Regione contribuisce alla formazione, esecuzione e attuazione degli atti della Unione europea, sentito il Consiglio delle Autonomie locali nelle materie attinenti all'organizzazione territoriale locale, alle competenze e alle attribuzioni degli Enti Locali o che comportino entrate e spese per gli Enti stessi”; anche la legge della Regione Umbria n. 20/2008 disciplina il parere obbligatorio del CAL nella fase di recepimento degli atti normativi europei; simile è il caso della legge di procedura della Sardegna che, nell’ottica dei rapporti tra i diversi livelli di governo, prevede un parere obbligatorio da parte del Consiglio delle autonomie locali (art. 10) sul disegno di legge europea regionale.

(59) Per altri riferimenti di questo tipo v. C. Odone, Regioni e diritto comunitario: il quadro delle norme di procedura e l’attuazione regionale delle direttive CE, in Le istituzioni del federalismo, 2007, 3-4: 335-337.

(60) Sulle conseguenze di una comunicazione incompleta v. i contributi di G. Di Federico (cap. I) e M. Lombardo (cap. V) nel lavoro a cura di C. Odone e G. Di Federico, Il recepimento delle direttive dell'Unione europea nella prospettiva delle regioni italiane : modelli e soluzioni, cit.

(61) In questa direzione anche il documento elaborato dai Presidenti delle Regioni in sede di Conferenza a Palermo il 31 ottobre 2002, Il recepimento degli atti normativi comunitari. Una proposta: la legge comunitaria regionale, in www. regioni.it.

(62) L. Spadacini, Integrazione europea e ordinamenti regionali: la debolezza dei Consigli, in Le istituzioni del federalismo, 2007, 353 ss., che precisa: “la legge comunitaria regionale potrebbe divenire lo strumento attraverso il quale rendere più piena la partecipazione consiliare all’attuazione del diritto comunitario, prevedendo un iter legislativo apposito, e limitando i poteri normativi della Giunta” (pag. 394). Al lavoro si rimanda per una panoramica delle soluzioni introdotte negli ordinamenti regionali allo scopo di rafforzare la posizione dei Consigli nelle materie attinenti all’integrazione europea, che secondo l’autore sarebbero ancora insufficienti.

(63) Il riferimento è alla l. 11 del 2005 per quanto riguarda il livello nazionale e al trattato di Lisbona per quanto riguarda il livello europeo.

(64)  In dottrina, sulla multilevel governance L. Domenichelli, Le Regioni nella Costituzione europea. Elogio delle virtù nascoste della consultazione, Milano 2007, 55 ss.

(65) Su tali considerazioni v. S. Baroncelli, La partecipazione dell’Italia alla governance dell’Unione europea nella prospettiva del Trattato di Lisbona, cit., 278-283; anche G. Pastore, la governance, cit. 267.

(66) Sulla collaborazione interistituzionale nella fase discendente e per un esame delle esperienze di collaborazione Stato-Regione e dei rapporti collaborativi interregionali, v. G. Pastore, La governance interistituzionale, 264 ss.

(67)  Per una ricognizione delle soluzioni normative e organizzative messe a punto dalle Regioni per far fronte al loro accresciuto ruolo nei rapporti con l’ordinamento europeo P. Ciccaglioni, Le strutture regionali per la gestione degli affari europei, Milano 2010.

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