Studio tratto da ISSiRFA-CNR, Terzo Rapporto annuale sullo stato del regionalismo in italia (2004)(di cui costituisce il XIII capitolo).


SOMMARIO:
1. Due cappelli: il cittadino come paziente e come contribuente.
2. Finanziamento centrale, spesa decentralizzata.
3. La fissazione dei prezzi dei fattori di produzione.
4. La ridefinizione degli impegni dello stato e delle regioni.
5. Impegni credibili – La lunga ombra dell’articolo 32.
6. Impegni credibili – L’emendamento costituzionale governativo.
7. L’ineluttabilità delle scelte – Tre tipi di trade-offs.
8. Il caso del Canada.
9. Presupposti per la riduzione dei trade-offs italiani.
10. Federalismo e solidarietà nazionale.
11. Un nuovo dibattito nazionale sulla sanità
NOTE




1. Due cappelli: il cittadino come paziente e come contribuente.

Secondo il premio Nobel per l'Economia per l'anno 1986, James Buchanan, il disegno del National health service britannico (NHS) è caratterizzato da un'incoerenza logica. Dal momento che le sue prestazioni, al momento del consumo, sono per la maggior parte gratuite, la domanda da parte dei cittadini, in qualità di pazienti, è illimitata. Come contribuenti, invece, i cittadini sono riluttanti a sostenere relativamente l'intero onere finanziario necessario per soddisfare in pieno tale domanda (1). Dal momento che l'ammontare complessivo delle risorse destinate al NHS è stabilito nell’ambito del bilancio dello stato e non da processi decisionali all'interno del NHS stesso, la storia del servizio sanitario pubblico è contraddistinta da liste di attesa e da una domanda che in complesso rimane insoddisfatta. Inoltre, la quota del prodotto interno lordo (PIL) destinata all'assistenza sanitaria pubblica nel Regno Unito è stata per molti anni una fra le più basse nei paesi occidentali.
Una serie di fattori spiegano perché il Regno Unito è riuscito a tenere sotto stretto controllo la spesa sanitaria pubblica. Fra questi va sottolineato il fatto che la pubblica amministrazione britannica si è sempre dimostrata molto innovativa nell'elaborare politiche miranti a promuovere l'economicità e l'efficienza nell'utilizzo delle risorse nel settore pubblico. Ma di uguale importanza è il successo con cui il governo centrale nel Regno Unito è riuscito ad ottenere, da parte dei governi subcentrali, il rispetto praticamente completo delle direttive da esso emanate. Ciò è stato reso possibile dal fatto che il sistema di governo è altamente centralizzato; esiste una forte linea verticale di comando, mediante la quale il Ministero della Sanità esercita un controllo stretto e dettagliato sui livelli periferici. Ad esempio, per molti anni, i direttori generali degli enti sanitari locali venivano nominati dal Ministro e potevano essere, ed erano, licenziati per non aver rispettato le istruzioni arrivate dal centro. Questo ha significato che sono stati in genere rispettati i tetti di spesa stabiliti dal governo centrale.
In Italia il Servizio sanitario nazionale (SSN) è stato modellato esplicitamente con riferimento al NHS. Nella relazione al disegno di legge sull'istituzione del SSN si affermava che i livelli di assistenza sarebbero stati fissati "tenendo esplicito conto delle risorse finanziarie disponibili” (2). Dato che le prestazioni erogate dal SSN dovevano essere gratis al momento del consumo, anche in Italia il servizio pubblico ha sempre incontrato una domanda mai completamente soddisfatta. Inoltre, come nel Regno Unito, la percentuale riservata al finanziamento della spesa sanitaria pubblica è stata inferiore in Italia rispetto a quella registrata in molti altri paesi industriali. Tuttavia, se Buchanan avesse confrontato i due servizi sanitari nazionali, avrebbe notato altre due incoerenze inerenti al sistema di governance del SSN.


2. Finanziamento centrale, spesa decentralizzata

La prima incoerenza riguarda l'allocazione intergovernativa di responsabilità in materia di sanità, dove l'Italia si contraddistingue in modo fondamentale dal Regno Unito. Il NHS è finanziato tramite trasferimenti centrali, ma nello stesso tempo è anche soggetto ad un controllo stretto dal centro. Il SSN è stato anch’esso finanziato in grande parte con fondi centrali, ma inserito in un sistema di governo che, col passare del tempo, è diventato sempre più decentrato. Solo pochi anni prima della creazione del nuovo servizio sanitario, per la precisione nel 1970, il sistema tributario è stato sostanzialmente centralizzato e, quindi, quando si è dovuto decidere come finanziare il SSN, era naturale optare per lo strumento di trasferimenti centrali. Tale scelta aveva una logica ancora più forte, tenuto conto del fatto che, nel 1978, le regioni venivano considerate come braccia amministrative periferiche del governo centrale. Tuttavia, col passare del tempo, le regioni sono diventate sempre più attive nel rivendicare la loro autonomia nell'amministrazione dei servizi sanitari all'interno del loro territorio e hanno ottenuto a questo riguardo un certo appoggio da parte della giurisprudenza costituzionale ed ordinaria.
Presto si è capito che il finanziamento centrale combinato con un'autonomia locale non trascurabile sul lato della spesa rappresentava una ricetta per l'irresponsabilità fiscale da parte delle regioni e, al contrario del NHS, il SSN ha di regola superato i tetti di spesa stabiliti dal Ministero del Tesoro (3). Per la verità, il superamento dei tetti è stato attribuibile, specialmente negli anni '80, in parte all'incapacità dei ministeri della Sanità e del Tesoro di monitorare adeguatamente e tempestivamente il comportamento di spesa delle unità sanitarie locali, ma col passare del tempo è stato dovuto in modo crescente al limitato potere del governo centrale di incidere sull'amministrazione della sanità a livello locale.
La seconda incoerenza del sistema di governance del SSN riguarda la questione dei diritti dei cittadini all'assistenza sanitaria. Nel Regno Unito, i diritti dei cittadini alle prestazioni sono essenzialmente quelle che decide il NHS (cioè lo stato) e la giurisprudenza ha generalmente evitato di pronunciarsi in merito. In Italia, invece, l'art. 32 della Costituzione stabilisce che i cittadini hanno il diritto alla salute e che gli indigenti possiedono il diritto all'assistenza sanitaria. Inoltre, la giurisprudenza ha definito tale diritto in modo estensivo per cui, di fatto, tutti i cittadini avrebbero il diritto di accedere, a carico del SSN, alla maggior parte delle prestazioni mediche rese possibili dalla scienza medica, a patto che siano prescritte dai propri medici. Ciò può vincolare fortemente il processo decisionale su cosa dovrebbe e non dovrebbe essere erogato (e finanziato) dal servizio pubblico. In più, la definizione ampia del diritto all'assistenza sanitaria ha incoraggiato le regioni ad attribuire ancora minore credibilità ai tetti di spesa centrali. In un certo senso, l'art. 32 Cost. fornisce loro un solido alibi contro l’accusa di spese eccessive, permettendo di sostenere che non hanno fatto nient'altro che rispettare la Costituzione, anzi, che non potevano fare altro.


3. La fissazione dei prezzi dei fattori di produzione

Le regioni possono fare appello ad un secondo alibi contro le accuse di comportamenti di spesa irresponsabili. La spesa complessiva a livello regionale è determinata in parte da decisioni fermamente nelle mani delle regioni e che riguardano l'utilizzazione dettagliata delle risorse umane e fisiche a loro disposizione. L'entità di importanti voci di spesa, però, è fortemente influenzata dal governo centrale, giacchè è quest'ultimo a negoziare i prezzi pagati per i fattori di produzione, in particolare la remunerazione del personale SSN e degli erogatori convenzionati, nonché i prezzi dei farmaci. Sono state negoziate a livello nazionale anche le norme chiave che governano le modalità di utilizzo del personale e degli erogatori convenzionati. Ciò ha significato che le regioni si sono sentite legittimate a sostenere di aver potuto esercitare soltanto un limitato controllo sull'andamento della spesa sanitaria complessiva. E' da sottolineare che le regioni sono state sottoposte a comportamenti opportunistici e sleali da parte dello stato, ad esempio la sistematica e consapevole sotto-stima delle conseguenze sul fabbisogno finanziario delle regioni dei nuovi contratti di lavoro oppure dei nuovi accordi con gli erogatori (per non parlare della consapevole sotto-stima del tasso di inflazione reale) (4). Ciononostante, le regioni potrebbero essere state a volte tentate di sfruttare l'influenza delle autorità centrali sui prezzi dei fattori di produzione come alibi per nascondere il proprio utilizzo inefficiente delle risorse.


4. La ridefinizione degli impegni dello stato e delle regioni

I problemi derivanti da queste caratteristiche del sistema di governance del SNN fino all'inizio degli anni '90 non venivano affrontate con molto vigore. Si registrava in quel periodo una crescente pressione per un sostanziale trasferimento di potere alle regioni e contemporaneamente l'Italia si è trovata di fronte alla necessità assoluta di portare ordine nelle finanze pubbliche ormai in profonda crisi. Il decreto legislativo n. 502 del 1992 e successive modifiche ha reiterato i principi fondamentali sottostanti il SSN, già enunciati nella legge n. 833 del 1978, ma ha anche mirato ad un riconfigurazione dei rapporti fra lo stato e le regioni. In particolare, l'obbligo finanziario del governo centrale riguardante il SSN doveva essere definito ex ante sulla base del costo complessivo stimato di un pacchetto di prestazioni essenziali da garantire in modo uniforme in tutto il paese. Qualsiasi altra spesa, dovuta all'erogazione di prestazioni non comprese nel pacchetto o spiegabile in termini di diseconomie od inefficienza da parte della regione o unità' sanitaria locale, doveva essere a carico della regione, da finanziare con le entrate proprie. Queste innovazioni, tuttavia, sono rimaste essenzialmente sulla carta.
Durante gli anni '90, una serie di aggiustamenti sono stati apportati al disegno originale del 1992, miranti in particolare a garantire alle regioni l'autonomia fiscale necessaria per rendere credibile il loro obbligo di coprire le uscite in eccesso del contributo finanziario del governo centrale programmato. Un provvedimento chiave a questo riguardo è stato il decreto legislativo n. 446 del 1997, che ha delineato un piano governativo per la crescita graduale dell'autonomia fiscale regionale negli anni successivi. Si è cercato inoltre di accelerare il processo di responsabilizzazione delle regioni tramite un accordo fra lo stato e le regioni, firmato nel 2001 (5). Tale patto ha legato in modo diretto ed esplicito il contributo finanziario al SSN da parte del governo centrale alla spesa necessaria per garantire il pacchetto di prestazioni sanitarie da garantire a tutti cittadini, a prescindere dal luogo di residenza (i c.d. livelli essenziali di assistenza - LEA). L'accordo del 2001 ha anche posto, come condizione per qualsiasi ulteriore aiuto finanziario centrale alle singoli regioni, l'obbligo di intraprendere le azioni necessarie per eliminare i loro debiti pregressi ed eventuali disavanzi futuri. Da non dimenticare che originariamente i LEA sono stati concepiti come uno strumento per promuovere l'interesse nazionale nel SSN, cioè per proteggerlo da possibili forze centrifughe tendenti a creare 21 servizi sanitari regionali. Soltanto successivamente i LEA sono stati anche adoperati come arma per contenere la spesa. Presto il duplice uso dei LEA si è rivelato un difficile connubio.
L'accordo ha contributo efficacemente a porre argini ai disavanzi del SSN soltanto per un breve periodo e il Ministero del Tesoro ha gradualmente abbandonato i LEA come strumento per il contenimento della spesa (6). Il problema principale risiede nel modo in cui sono stati definiti i LEA. Esso consiste nello specificare quelle prestazioni che non fanno parte del pacchetto di servizi garantiti e quelle prestazioni che possono essere fornite soltanto in determinati contesti, ad esempio in day hospital piuttosto che in degenza ospedaliera ordinaria. Tale approccio riflette le difficoltà tecniche, cliniche e legali connesse con l'esclusione dai LEA di importanti pacchetti di prestazioni già abitualmente erogate dal SSN, ma di non comprovata o scarsa efficacia clinica. Ciò ha significato che praticamente tutte le prestazioni già disponibili a carico del SSN sono incluse esplicitamente o tacitamente nei LEA. Dovrebbe essere più facile decidere di non inserire prestazioni nuove nel pacchetto garantito, ma questo avrebbe nell'immediato un effetto trascurabile sul costo complessivo dei LEA.


5. Impegni credibili – La lunga ombra dell’articolo 32

La lunga ombra dell'art. 32 Cost. incombeva sulla definizione dei LEA, con tutta probabilità scoraggiando una definizione più incisiva dell'elenco delle prestazioni da escludere dal pacchetto garantito. A sua volta, ciò potrebbe aver facilitato l'accettazione, da parte della giurisprudenza, dei LEA stessi. Proprio mentre i LEA perdevano il loro appeal al Ministero del Tesoro come strumento per contenere la spesa sanitaria, essi incominciavano a servire alle regioni come alibi da utilizzare per giustificare il non rispetto dei tetti di spesa governativi e quindi per essere esentate dall'obbligo di finanziare i loro disavanzi con le entrate proprie. In un'epoca di austerità permanente, i LEA rappresentavano una eccellente alternativa per le regioni rispetto ad un generico appello all'art. 32 Cost.. L'imperativo a contenere la spesa pubblica è diventata così impellente che è sempre più difficile resistere alle richieste del governo centrale per la specificazione più concreta ed operativa dei rispettivi obblighi finanziari dello stato e delle regioni nei confronti del SSN. In apparenza, i LEA sembrano soddisfare questa esigenza, ma, dato il modo in cui vengono definiti, non costituiscono in realtà un vincolo di bilancio particolarmente oneroso. I LEA sono diventati ancora più interessanti quale alibi per le regioni dopo la riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001, che ha rafforzato il loro status costituzionale.


6. Impegni credibili – L’emendamento costituzionale governativo

Come già osservato, la strategia del sottofinanziamento del SSN consiste da parte dello stato nel formulare previsioni artificialmente basse sulle spese obbligatorie del SSN (e quindi sul fabbisogno finanziario delle regioni), deliberatamente minimizzando le conseguenze finanziarie di variazioni nelle maggiori voci di spesa, come quelle per il personale (dovute, per esempio, ad un nuovo contratto collettivo) o per prestazioni convenzionate (dovute a nuovi tariffari) o farmacologiche (dovute ad incrementi di prezzo negoziati con l’industria). Comprensibilmente, questa strategia ha creato ostilità da parte delle regioni, poiché le ha rese responsabili di incrementi di spesa su cui non avevano alcun controllo. Questo comportamento sleale da parte del Tesoro può aver incoraggiato le regioni ad essere meno responsabili di quanto avrebbero potuto essere nel loro comportamento di spesa e certamente ha dato loro un alibi nel non rispettare i tetti di spesa stabiliti dal governo centrale.
Il disegno di legge governativo, la c.d. “Riforma dell’ordinamento della Repubblica” (7), tuttora all’esame delle Camere, a prima vista sembra offrire un modo per smontare questo alibi. Secondo l’art. 39, co. 10, del disegno di legge, spetta alle regioni la potestà legislativa esclusiva in materia di assistenza ed organizzazione sanitaria. Anche se le regioni godono già di un’autonomia sostanziale nel settore dell’assistenza sanitaria, è plausibile che l’intenzione sia quella di dare loro un maggiore controllo sopra questioni come personale, erogatori convenzionati e altri fattori chiave di produzione, nella convinzione che, senza tale potere, la devoluzione nel settore dell’assistenza sanitaria - probabilmente il settore chiave per le regioni – rimanga significativamente circoscritta.
Questa modifica completerebbe un processo già in corso, per il quale le regioni stanno accumulando poteri relativamente al personale del SSN e ad alcune categorie di erogatori convenzionati. Per esempio, hanno responsabilità per i concorsi e per stipulare accordi con medici di medicina generale e medici in genere, relativamente alle mansioni del personale medico e all’organizzazione dei servizi. A seguito della modifica costituzionale proposta, le regioni potrebbero assumere la responsabilità di negoziare le retribuzioni e le condizioni chiave dell’impiego per il personale del SSR nonché le tariffe per gli erogatori con rapporti convenzionati presso lo stesso SSR. Si potrebbero anche ipotizzare regioni che negozino i prezzi dei farmaci con le singole case farmaceutiche. Qualora si verificasse un simile trasferimento di responsabilità, l’Italia diventerebbe per certi aspetti simile al Canada, dove le province hanno ampi poteri per questioni inerenti medici e altro personale medico e per altri fattori di produzione come i farmaci. Oltre e più che avere l’effetto di accrescere l’autonomia regionale in sé, questa modifica costituzionale potrebbe avere il merito di indebolire uno degli alibi utilizzati dalle regioni per difendersi dall’accusa di spesa eccessiva. Tuttavia ci sono problemi in merito alla legittimità, fattibilità e opportunità di un tale scenario.
Le perplessità sulla sua legittimità non dovrebbero avere fondamento. Per esempio si è detto che la diversità interregionale, che potrebbe risultare nelle retribuzioni del personale e nelle condizioni di impiego, potrebbe tradursi in significative differenze geografiche nella disponibilità e nella qualità dell’assistenza e lo stesso potrebbe valere anche per gli erogatori convenzionati. Si potrebbero anche creare problemi per i LEA. Tuttavia, potrebbe verificarsi precisamente l’opposto se le regioni usassero i loro nuovi poteri per ottenere un uso più razionale di risorse umane e servizi, di quanto sia attualmente possibile con contratti e accordi nazionali. Si è anche sostenuto che spostare la contrattazione per i medici a livello regionale “rischia di mettere in discussione il livello nazionale di un servizio fondamentale come quello sanitario” (8), ma sembra un’osservazione troppo generale per essere convincente. Da ultimo, si potrebbe sostenere che spostare la contrattazione collettiva a livello regionale violi l’art. 3 Cost., in quanto pubblici dipendenti avrebbero trattamenti economici diversi a seconda della loro regione di impiego. Un rilievo, quest’ultimo, un po’ esagerato.
Potrebbe esserci un reale problema di fattibilità dovuto all’azione sindacale, nella forma di pressioni di categoria, di scioperi, ecc. Le maggiori organizzazioni sindacali sono contrarie alla contrattazione decentrata, temendo che sarebbe sempre al ribasso e che ad essere tutelati sarebbero sempre le categorie più forti. In effetti, alcune organizzazioni vorrebbero rafforzare il contratto nazionale piuttosto che diminuirne l’importanza (9). Ogni tentativo di decentralizzare la negoziazione dei contratti di lavoro nel settore sanitario genererebbe probabilmente alti costi in termini di conflitto tra il personale e il SSN e interruzioni dei servizi.
In ogni caso, non sembra che valga la pena di pagare tali costi se, come sembra probabile, la regionalizzazione della responsabilità per i fattori di produzione dovesse comportare un incremento anziché la riduzione della spesa pubblica sanitaria. Nello scenario qui considerato, invece della contrattazione statale con organizzazione nazionali, 21 regioni e province autonome si impegnerebbero, ciascuna, in contrattazioni separate con le organizzazioni regionali per i medici e le altre categorie del personale e con le associazioni regionali degli erogatori convenzionati. A parte i nuovi costi di transazione così generati, la contrattazione diffusa significherebbe porre fine alla situazione di monopolio bilaterale (quello dello stato, che tratta in termini paritari con un altro monopolio, quello delle potenti associazioni sindacali). La frammentazione del SSN condurrebbe anche ad una diminuzione del potere monopsonistico del servizio sanitario pubblico, cioè la possibilità di ottenere prezzi e altre condizioni favorevoli dai fornitori di fattori di produzione, in virtù del fatto che il SSN è virtualmente il solo acquirente di tali fattori. Le regioni maggiori, con forte capacità tecnica, potrebbero essere in grado di negoziare in condizioni di parità con i sindacati, ma altre regioni rischierebbero di diventare ostaggi dei sindacati locali, spalleggiati dalle loro organizzazioni nazionali. Il sistema sanitario pubblico canadese è una rete di servizi sanitari provinciali e ci sono stati periodi in cui singole province si sono trovate in netto svantaggio nella contrattazione sui tariffari con le associazioni mediche. Considerando come alcune regioni in Italia hanno usato i poteri di cui già dispongono nel settore dell’impiego e della remunerazione del personale, per esempio assumendo guardie forestali o stabilendo la remunerazione dei membri eletti delle assemblee regionali, è realistico considerare il rischio di collusione tra regione e personale. Tale collusione è ancora più probabile se le regioni ritengono che i tetti di spesa posti dal governo centrale non siano credibili per le ragioni sopra illustrate.
Queste brevi considerazioni suggeriscono che sarebbe opportuno adottare una maggiore cautela nella formulazione dell’art. 39, co. 10, del disegno di legge per la riforma dell’ordinamento della Repubblica (10). Ciò significa, però, che rimane intatto il secondo alibi, in merito a chi fissa i prezzi dei fattori di produzione.


7. L’ineluttabilità delle scelte – Tre tipi di trade-offs

L’analisi precedente porta alla conclusione che continuano ad esistere, forse addirittura rafforzandosi, le incongruenze logiche del sistema di governo del SSN delineate in questo capitolo. Ciò è grave, dato lo stato critico della finanza pubblica italiana e le scarse prospettive di crescita economica a medio termine. L’Unione europea richiede che l’Italia porti il deficit di bilancio al di sotto del 3% del PIL entro il 2007 e che proceda ad una sistematica e sostanziale riduzione del debito pubblico ben al di sotto dell’attuale 106% del PIL.
A parte ciò che è richiesto dall’Unione europea, il debito deve essere in ogni caso tagliato per ridurre il suo peso morto sulla qualità di vita dei cittadini e per rendere disponibili risorse per investimenti nelle infrastrutture sociali ed economiche necessarie per migliorare la competitività internazionale dell’Italia. Considerando a quanti settori sono destinate le risorse pubbliche, ciò significa che, a medio termine, non si può incrementare significativamente, in termini reali, la spesa sanitaria pubblica e che anzi la si dovrebbe anche ridurre. Ne consegue che in futuro ci dovrà essere una maggiore identità tra spesa sanitaria pianificata ed effettiva.
Un passo positivo in questa direzione potrebbe essere focalizzare il dibattito in merito all’assistenza sanitaria pubblica sulla fattibilità di gestire un servizio sanitario pubblico basato sui diritti nel contesto di un sistema di governo decentralizzato e in una situazione di estrema austerità finanziaria. Un utile punto di partenza per tale dibattito potrebbe essere riconoscere esplicitamente che c’è interdipendenza tra diritti all’assistenza sanitaria, controllo della spesa e devoluzione. Gli economisti considerano questa problematica in termini di c.d. trade-offs.
In sostanza, maggiore peso si dà alla definizione e al soddisfacimento dei diritti all’assistenza sanitaria, più problematica sarà la ricerca delle modalità di controllo della spesa; viceversa, più si dà importanza al contenimento della spesa, più restrittivi si deve essere nel tradurre il diritto costituzionale all’assistenza sanitaria in obblighi operativi a fornire servizi. In altre parole, non possiamo garantire l’accesso di tutti i cittadini a tutti i servizi offerti dalla medicina moderna e allo stesso tempo mantenere costante la spesa pubblica o addirittura ridurla.
Nello stesso modo, maggiore enfasi diamo alla devoluzione o all’incremento dell’autonomia regionale, più difficile sarà imporre condizioni sull’utilizzo da parte delle regioni dei finanziamenti centrali; invece, maggiore sarà il peso dato al controllo della spesa pubblica, più vincolate dovranno essere le regioni nell’uso dei trasferimenti statali. E’ un illusione pensare di poter effettivamente contenere la spesa pubblica e contemporaneamente essere in grado di concedere una sempre più ampia libertà di azione alle regioni.
Infine, c’è un trade-off tra la promozione dell’interesse nazionale nell’assistenza sanitaria e il perseguimento di una politica di devoluzione. Se si attribuisce grande importanza al primo aspetto, si devono porre espliciti limiti alla diversità territoriale; se invece si enfatizza il diritto delle regioni di stabilire e attuare le loro priorità, si deve accettare di pagare il prezzo di ciò, con un ridotto potere da parte del centro di promuovere un servizio sanitario solidaristico, definito in termini di livelli minimi di uniformità geografica. Naturalmente i tre tipi di trade-offs interagiscono tra loro.


8. Il caso del Canada

Qui può essere utile un esempio concreto (11). Secondo la costituzione canadese, la responsabilità per l'assistenza sanitaria spetta alle province, ma non esiste alcun limite all'esercizio dello spending power federale (cioè la discrezionalità del governo federale di spendere in qualsiasi campo e la possibilità, quindi, di influenzare il comportamento delle province). Mentre si stava costituendo ex novo il sistema sanitario pubblico negli anni '50 e '60, il governo federale, allo scopo di incoraggiare la partecipazione delle singole province, ha assunto un impegno di spesa nei confronti delle province quasi senza limite massimo, per aiutarle a finanziare il nuovo servizio. Il trasferimento federale alle province era legato direttamente alla dinamica della spesa provinciale: maggiore la spesa provinciale per la sanità, più alto il contributo federale. Il governo federale copriva il ruolo di pagatore passivo e, quindi, non era in grado né di prevedere la sua spesa in campo sanitario, né di programmare le sue uscite complessive. Ciò costituiva un forte limite alla sua capacità di elaborare delle politiche macroeconomiche efficaci.
Nel 1977, è stata drasticamente modificata la formula usata per calcolare il contributo federale alla sanità. Una parte significativa del potere impositivo federale è stata trasferita alle province ed è stato spezzato il legame fra il contributo federale alle singole province e il livello complessivo della loro spesa sanitaria. La nuova formula si riferiva principalmente alla popolazione provinciale e, aspetto di grande importanza, non teneva alcun conto dei bisogni sanitari della popolazione né della spesa necessaria per soddisfarli, salvo usare come punto di riferimento la spesa sanitaria complessiva nell'anno zero del nuovo sistema di finanziamento. Differenze inter-provinciali nella capacità fiscale venivano compensate tramite un fondo perequativo nazionale. La formula è soggetta a revisione periodica. Nel tempo, questo approccio ha generato un considerevole conflitto inter-governativo, ma il governo federale ha raggiunto il suo scopo principale, quello di poter tener sotto stretto controllo la propria spesa nel settore sanitario.
Questo esito è stato possibile soltanto perché il governo federale ha rifiutato di definire i suoi impegni finanziari di fronte alle province in base a supposti bisogni sanitari della popolazione. Ciò non ha significato rinunciare alla promozione dell’interesse nazionale in sanità. Infatti, a partire dal 1977, il governo federale ha esercitato attivamente il suo spending power per indurre le province a rispettare gli standard sanitari nazionali. Per poter beneficiare dei trasferimenti sanitari federali, le province devono impegnarsi a rispettare cinque principi chiave: universalismo di copertura; globalità di prestazioni; libero accesso all'assistenza; trasferibilità inter-provinciale del diritto all'assistenza; amministrazione pubblica del programma sanitario provinciale. E’ varia la precisione con la quale i principi sono definiti e quello della globalità in particolare è lasciato abbastanza nel vago.
Per concludere, un controllo maggiore da parte del governo federale sul suo impegno finanziario per la sanità è stato ottenuto al prezzo di accettare una definizione assai generica dei diritti dei cittadini canadesi all'assistenza sanitaria pubblica. Questa scelta è stato facilitata dal fatto che non esiste in Canada un diritto costituzionale all'assistenza sanitaria e la giurisprudenza è stata riluttante ad intervenire in materia. Permane, invece, una forte tradizione di solidarietà nazionale che aiuta a spiegare l'insistenza da parte del governo federale sugli standard sanitari nazionali. D'altronde, l'autonomia delle province è stata rispettata dal punto di vista formale, dal momento che non sono obbligate ad accettare trasferimenti federali. In aggiunta, il governo federale ha adottato un approccio abbastanza morbido nell'applicare i cinque principi. In altre parole, si è riusciti a diminuire il trade-off fra il controllo della spesa e l'interesse nazionale, da una parte, e l'autonomia provinciale, dall'altra.


9. Presupposti per la riduzione dei trade-offs italiani

Se si volesse ridurre sensibilmente i trade-offs attualmente operanti in Italia fra l'interesse nazionale in sanità, la devoluzione e il contenimento della spesa, dovrebbero essere soddisfatte alcune condizioni. Primo: occorrerebbe ridefinire i LEA sul modello dell'esperienza di altre federazioni. Secondo: sarebbe necessario devolvere un'ulteriore e consistente quota del potere impositivo alle regioni. Terzo: andrebbe rivisto il livello di autonomia riconosciuto alle regioni nell'organizzazione e gestione dei servizi sanitari. Quarto: il governo centrale dovrebbe poter imporre delle condizioni per l'accesso ai trasferimenti e dovrebbe farle rispettare, seppure in modo flessibile.
Qualsiasi tentativo di soddisfare la prima condizione incontrerebbe il problema certamente non trascurabile che ai LEA, come attualmente definiti, è stato ormai attribuito uno status iconico da parte del Ministero della Sanità, della giurisprudenza, di molti giuristi e, forse, delle stesse regioni. In altre parole, essi stanno rapidamente acquistando un valore assoluto. Sforzi atti a realizzare la seconda condizione con tutta probabilità incontrerebbero la resistenza del Ministero del Tesoro, ansioso di ridurre la pressione fiscale complessiva.
Gli ultimi due presupposti, invece, devono essere soddisfatti se il governo centrale vuole recuperare il proprio spending power nel campo sanitario. Riguardo il primo, l'Italia possiede ancora alcuni gradi di libertà a proposito di quanta ulteriore autonomia si debba concedere alle regioni. Minore sarà il potere aggiuntivo trasferito, minori saranno i trade-offs fra il decentramento e il contenimento della spesa e fra il decentramento e l'interesse nazionale in sanità. Ciò significherebbe, quindi, valutare l'opportunità di ritirare la proposta di emendamento costituzionale contenuta nell'art. 39, co. 10, del disegno di legge governativo ora all'esame del Parlamento. Infine, per quanto concerne la quarta condizione, in mancanza di una significativa ridefinizione dei LEA per renderli più concreti ed cogenti, sarebbe forse consigliabile porre fine alla tendenza attuale di concedere i finanziamenti alle regioni senza vincoli effettivi, o almeno attenuarla, date le conseguenze negative che questa politica comporta per lo spending power centrale.


10. Federalismo e solidarietà nazionale

Tutte le federazioni mature attribuiscano un notevole peso al principio di solidarietà nel settore sanitario (12). Tuttavia, l'esperienza dimostra che occorre accettare un trade-off fra questo principio e quello della condivisione di potere fra diversi livelli di governo. Il Canada, come già osservato, riesce a promuovere la solidarietà in sanità tramite la fissazione degli standard nazionali. Per evitare, però, di essere accusato di infrangere l'autonomia provinciale, il governo centrale ha definito tali standard in termini piuttosto generali, specialmente quello della globalità delle prestazioni, ed ha evitato di applicarli in modo eccessivamente rigoroso. L'Australia, per promuovere l'interesse nazionale, ricorre ad una strategia molto diversa. Per garantire un grado di uniformità geografica accettabile nell'erogazione dell'assistenza farmaceutica e dell'assistenza medica ambulatoriale, il governo federale ha assunto direttamente la responsabilità per la gestione di questi servizi. Inoltre stabilisce delle condizioni abbastanza dettagliate per la concessione di fondi federali ai singoli stati per l'assistenza ospedaliera, campo che è di loro responsabilità. Va sottolineato, tuttavia, che tali condizioni vengono negoziate fra il governo federale ed i singoli stati (13).
Negli Stati Uniti, il peso reale attribuito al principio di solidarietà in sanità è assai alto, contrariamente a ciò che ritengono molti osservatori europei. Il governo federale assegna agli stati trasferimenti generosi per il programma Medicaid (l'assistenza sanitaria per le persone a basso reddito) e fissa numerose condizioni sulle modalità del loro utilizzo. In generale, tuttavia, agli stati viene lasciata una notevole discrezionalità nella interpretazione delle condizioni federali. L'obiettivo è quello di trovare un equilibbrio accettabile fra il desiderio, da parte degli stati, di godere della massima flessibilità nell'amministrazione del Medicaid nella loro realtà locale, e l'ambizione del governo federale di massimizzare il numero di persone a basso reddito aiutate dal programma. In confronto agli altri paesi qui considerati, dal governo federale americano viene dato un peso maggiore al principio di solidarietà rispetto a quello attribuito al contenimento della spesa. Come conseguenza, la spesa federale e degli stati è cresciuta notevolmente in termini reali negli ultimi anni e il pendolo comincia, forse, ad oscillare a favore del controllo della spesa (14).


11. Un nuovo dibattito nazionale sulla sanità

Ogni paese deve scegliere i propri trade-offs, cioè raggiungere l'equilibrio più largamente accettabile fra diversi (e apparentemente incompatibili) obiettivi. Tale equilibrio cambierà, con tutta probabilità, nel tempo. Il nuovo dibattito nazionale sul SSN, qui prospettato, dovrebbe mirare a comprendere meglio quali siano gli obiettivi reali del SSN e quale sia la vera natura dell'incompatibilità fra essi ed altri importanti obiettivi nazionali. Soltanto allora saremo in grado di prendere delle decisioni ragionate circa la forma futura del SSN e del decentramento in Italia.

NOTE

(1) J.M. BUCHANAN, The inconsistencies of the National Health Service, Londra, Institute of Economic Affairs, 1965.
(2) Camera dei Deputati, "Relazione al disegno di legge sull'istituzione del Servizio sanitario nazionale", Atti parlamentari della Camera dei Deputati, 1252, seduta del 26 marzo 1977.
(3) Per la storia dell’andamento della spesa sanitaria in Italia negli anni ’80, cfr. E. VERONESI, "La questione finanziaria nell'evoluzione del Servizio sanitario nazionale 1980-1992", in G FRANCE (a cura di), Concorrenza e servizi sanitari, Quaderni per la ricerca, Serie studi, 33, Roma, Istituto di Studi sulle Regioni, 1994, pp. 169-188.
(4) Per una conferma da parte del governo centrale del perseguimento di questa strategia, si veda Ministero del Tesoro, Ministero della Sanità, Relazione sulla spesa sanitaria negli anni 1989-1992, Roma, Centro Stampa, Sistema Informativo Sanitario, 1994.
(5) Conferenza permanente per i rapporti tra lo stato, le regioni e le province autonome, "Accordo 8 agosto 2001", Gazzetta ufficiale, 6 settembre 2001, pp. 11-14 e d.p.c.m 29 novembre 2001.
(6) Per una valutazione critica dell'accordo e dei livelli essenziali di assistenza, cfr.: G. FRANCE, "L'accordo dell'8 agosto 2001 e i livelli essenziali di assistenza", in ISSiRFA, Primo rapporto annuale sullo stato del regionalismo in Italia (2002), Milano, Giuffrè, 2003, pp. 263-268; G. FRANCE, "I livelli essenziali di assistenza: un caso italiano di 'policy innovation'", in G. FIORENTINI (a cura di), I servizi sanitari in Italia: 2003, Bologna, Il Mulino, 2003, pp. 73-103.
(7) Atto Senato n. 2544.
(8) Il Sole/24 Ore – Sanità, 13-19 gennaio 2004, p. 4.
(9) Cfr., ad esempio, e. MARRO, “Salari, pronta la riforma delle imprese: alla ‘tedesca’”, Corriere della sera, 12 luglio 2005.
(10) Si può osservare tuttavia che l’ultimo contratto di lavoro per il personale del SSN è stato già frutto di un accordo fra l’ARAN ed organismi rappresentanti l’insieme delle regioni.
(11) Per un esame dettagliato del caso canadese, cfr. G: FRANCE, "Standard nazionali e conflitti intergovernativi in Canada", in G. FRANCE (a cura di), Federalismo, regionalismo e standard sanitari nazionali: quattro paesi, quattro approcci, Milano, Giuffrè, 2001, pp. 125-167.
(12) Cfr. K. BANTING, S. CORBETT (a cura di), Health policy and federalism. A comparative perspective on multi-level governance, Montreal, McGill-Queen's University Press, 2002; F. TARONI, "Federalismo sanitario: la produzione locale di un bene pubblico nazionale", in G. FIORENTINI (a cura di), I servizi sanitari in Italia - 2002, Bologna, Il Mulino, 2002, pp. 73-90.
(13) Cfr. E. BUGLIONE, "Standard nazionali e concertazione tra livelli di governo in Australia", in G. FRANCE (a cura di), Federalismo, regionalismo e standard sanitari nazionali: quattro paesi, quattro approcci, Milano, Giuffrè, 2001, pp. 39-86.
(14) G. FRANCE, Light and shade: health insurance, national standards and federalism in America, Roma, ISSiRFA, 2005 (dattiloscritto).

Menu

Contenuti