Avvertenza: Intervento al Convegno dal titolo “Il sistema delle autonomie territoriali dopo la legge sul federalismo fiscale”, Consiglio delle Autonomie Locali della Regione Lazio, Roma 1 marzo 2010.
 
 
Il casuale ordine alfabetico mi consente di parlare in questa tavola rotonda per primo, ma anche subito dopo Guido Meloni che ha già toccato nella sua relazione - tra l’altro - quella che potremmo chiamare la “questione romana”. Vorrei tornare anch’io su questo argomento.
So che più avanti nella tavola rotonda il tema verrà ripreso da Alessandro Sterpa e sicuramente vi si soffermerà anche Beniamino Caravita di Toritto, in conclusione. Io vorrei spendere alcune parole, in particolare, sulla questione della Città metropolitana di Roma Capitale.
Mi sono assunto questo compito – vorrei chiarire – non tanto perché ritenga l’argomento più importante di altri, ma per completezza di trattazione. Devo anzi subito dichiarare un certo scetticismo sull’effettiva attuazione delle nuove previsioni concernenti le Città metropolitane, in genere, e quella di Roma, in particolare. Un ventennio esatto di inattuazione a partire dalla legge 142 del 1990 non può essersi accumulato, infatti, per via del caso e del destino avverso.
È certamente vero che l’ormai quasi decennale legge di revisione costituzionale del Titolo V della nostra Carta fondamentale ha rimosso il primo ostacolo per la loro istituzione: il diverso status delle città metropolitane rispetto agli altri enti locali. Il nuovo articolo 114, infatti, ha dato un fondamento costituzionale alle Città metropolitane al pari che ai Comuni e alle Province. La medesima disposizione costituzionale ha fatto però anche altro: ha modificato la nostra forma di stato, riconoscendo la pari ordinazione e la pari dignità istituzionale degli enti locali nei confronti delle Regioni e dello Stato. Di modo che adesso tutti questi soggetti istituzionali solo nel loro insieme trinitario costituiscono la “Repubblica una e indivisibile”. Non possiamo più assolutamente pensare, quindi, agli enti locali come enti derivati dallo Stato ma come soggetti componenti un nuovo sistema che non è ancora propriamente federale e che pur consente senz’altro un progressivo processo di federalizzazione della Repubblica.
A voler prender sul serio questa (nuova) disposizione costituzionale - nel suo combinato disposto con quel principio costituzionale fondamentale e progressivo della Costituzione del 1948, secondo il quale la Repubblica riconosce e promuove le autonomie locali (art. 5) - l’attuale più forte riconoscimento dovrebbe offrire a tali autonomie, dunque, una garanzia particolarmente intensa nei confronti di revisioni regressive. Ciò che renderebbe quantomeno arduo – se non del tutto astratto e improponibile, sia detto per inciso – l’intendimento di quanti vorrebbero non semplicemente razionalizzare e differenziare i livelli di governo territoriale, ma del tutto eliminare le autonomie territoriali provinciali. In un nuovo contesto costituzionale, peraltro, in cui lo Stato – che non è più senz’altro sinonimo di Repubblica – sembrerebbe dover rispettare il riconoscimento delle autonomie territoriali persino nell’esercizio dei più forti poteri unitari consentiti dalla sovranità popolare in sede di revisione costituzionale.
Se allora il pur virtuale riconoscimento costituzionale delle Città metropolitane consente di rimuovere un ostacolo formale per la loro effettiva istituzione – giacché altrimenti esse non potrebbero seriamente aspirare a sostituirsi ad altri enti locali costituzionalmente riconosciuti o, comunque, a ridimensionarne i poteri – è anche vero che il rafforzamento della vocazione autonomista dei Comuni e soprattutto, in questo caso, delle Province rende più solidi i rispettivi livelli territoriali di governo in quanto rappresentativi delle rispettive comunità territoriali e delle loro specifiche identità anche culturali. Il nuovo Titolo V, dunque, rende senz’altro più difficile calare dall’alto una soluzione per il governo delle aree metropolitane che comporti l’istituzione di nuovi enti territoriali (le città metropolitane e i comuni metropolitani) dall’incerta identità, anche se da ritenersi utili sul piano funzionale.
La legge 42, dal canto suo, cerca di rimuovere adesso altri ostacoli. Essa reca una disciplina transitoria che sospende e congela fino al 21 maggio 2012 le norme che disciplinavano in precedenza la materia (artt. 22-26 del TUEL del 2000). Non mi soffermerò qui - non avendone il tempo - sui dettagli di questa complessa disciplina. E’ da notare tuttavia che questa nuova modificazione del procedimento istitutivo – regione-centrico secondo la legge 142 e bottom-up secondo il TUEL – è volta al raggiungimento di un sufficiente grado di consenso di tutti i soggetti interessati, ma senza concedere a nessuno un sostanziale potere di veto.
Le principali modifiche procedimentali introdotte sono cinque.
Le prime due riguardano la proposta di istituzione che dà inizio al procedimento. La Regione non ha più un ruolo centrale nel procedimento istitutivo (così come originariamente previsto dalla legge 142, secondo la quale questa aveva il compito di procedere alla delimitazione territoriale dell’area metropolitana sentiti i Comuni e le Province interessati) e il solo comune capoluogo o la sola provincia non possono impedire la formulazione della proposta istitutiva (così come accadeva con le previsioni del TUEL, secondo le quali occorreva la conforme proposta degli enti locali interessati per la delimitazione dell’area). La proposta spetta adesso al Comune capoluogo congiuntamente alla Provincia, o anche disgiuntamente da l’uno o l’altro di questi due soggetti qualora la proposta sia appoggiata da una minoranza qualificata dei comuni della provincia (20%) che rappresentino una maggioranza qualificata della popolazione residente nella provincia medesima (60%).
Altri due correttivi procedimentali riguardano la successiva fase, quella referendaria-autoidentificativa delle comunità territoriali.
In origine, la legge 142 non prevedeva un passaggio referendario, mentre il testo unico degli enti locali prevedeva tanti referendum quanti erano i Comuni. Per semplificare e ridimensionare il potere di contrasto dei Comuni minori dell’area (e più precisamente delle loro rispettive popolazioni), si prevede adesso un referendum unico provinciale con un solo computo unitario della maggioranza. Inoltre, viene escluso che gli oppositori occulti e trasversali della proposta possano beneficiare dell’astensionismo naturale in occasione del voto referendario (quell’astensionismo non generato cioè dal calcolo opportunistico di chi s’oppone all’esito favorevole della consultazione popolare). Infatti, solo nel caso in cui la Regione dia parere negativo è previsto un quorum di partecipazione, che, comunque, è del solo 30% degli aventi diritto. Non si tratta, quindi, di una soglia particolarmente difficile da superare e non offre un sicuro vantaggio per la tattica astensionista dei contrari.
Il quinto e ultimo correttivo procedimentale riguarda, invece, la delimitazione dell’area territoriale nella proposta istitutiva delle città metropolitane. E’ esclusa, infatti, la creazione di un’area metropolitana che vada al di là del territorio di una sola Provincia e anche la possibilità del mantenimento in vita di Province residuali rispetto al territorio della Città metropolitana (così come originariamente consentito dalla legge 142 e poi dal TUEL). I Comuni non inclusi nella prima delimitazione territoriale potranno successivamente optare tra l’inclusione o l’aggregazione ad altra Provincia contermine.
Questa scelta per certi versi appare irrazionale, perché città come ad es. Napoli o Milano sono sicuramente metropoli che vanno al di là del territorio della loro Provincia, ma è stata fatta probabilmente per impedire che – qualora l’area metropolitana non debba necessariamente coincidere, in tutto o in parte, col territorio provinciale – possano scattare quei meccanismi di maggiore complessità procedimentale necessari per procedere alla nuova delimitazione delle circoscrizioni territoriali (ai sensi dell’art. 133 se non anche 132 Cost.) ma, soprattutto, per evitare il rischio di più facili resistenze all’innovazione da parte del più ampio numero di soggetti istituzionali coinvolti (tutti portatori di propri interessi particolari).
Quelle che abbiamo fin qui richiamato sono le regole che valgono in generale per le Città metropolitane nelle Regioni a statuto ordinario, mentre per le Regioni a statuto speciale, tutte dotate del potere ordinamentale sugli enti locali, valgono regole particolari e differenziate su cui non possiamo qui soffermarci. La legge 42 pone però alcune disposizioni speciali anche per la città metropolitana di Roma capitale. Leggendo nel combinato disposto le disposizioni generali (art. 23) e quelle speciali (art. 24), si ricava che l’area metropolitana potrebbe persino coincidere con il solo territorio del Comune di Roma. La proposta di istituzione, infatti, spetta necessariamente al Comune congiuntamente alla Provincia, mentre sono escluse – in questo caso –  le ipotesi di proposta disgiunta dell’uno o dell’altro soggetto. Sappiamo, inoltre, che la perimetrazione della Città metropolitana comprende necessariamente il Comune capoluogo e almeno tutti i Comuni proponenti. Nel caso di Roma, però, l’unico Comune proponente è la città capoluogo della Provincia, della Regione, nonché capitale della Repubblica.
Almeno in base a una prima impressione, sembrerebbe, dunque, persino più facile istituire la Città metropolitana della Capitale, se questa insistesse sul solo territorio del Comune o su un’area allargata a un limitato numero di Comuni della prima cintura che si manifestassero disponibili. L’eccezionale dimensione territoriale e demografica di Roma è tale, d’altronde, da rendere quantomeno plausibile una simile soluzione. Si tenga conto, infatti, che l’estensione territoriale della sola città eterna non è di molto inferiore a quella dell’intera Provincia di Milano, coi suoi 134 Comuni.
Questa prima impressione tuttavia, appena si proceda nella lettura del testo della legge, è subito contraddetta dal fatto che l’attuale disciplina transitoria tiene ferma, anche in questo caso, la previsione secondo la quale la Provincia di riferimento cessa di esistere a decorrere dalla data di insediamento degli organi della Città metropolitana. Non si capisce bene, allora, quale sia la ratio di questa disposizione derogatoria. Tuttavia, al di là delle intenzioni, ciò che conta alla fine è che l’effetto prodotto da queste disposizioni speciali per Roma capitale risulta esattamente opposto all’impressione iniziale: non consentire l’esercizio disgiunto della proposta istitutiva renderà particolarmente arduo procedere all’effettiva creazione della Città metropolitana.
Si deve tener conto, peraltro, che le nuove funzioni amministrative che la legge 42 attribuisce a Roma capitale comprendono già, in tutto o in parte, le funzioni fondamentali tipiche che la stessa legge riconosce alle Città metropolitane, ovvero quelle funzioni che non coincidono con quelle fondamentali delle Province. Si tratta dei grandi settori dello sviluppo economico e sociale, della pianificazione territoriale e dei servizi pubblici. È vero che ci sono delle difformità nella formulazione delle rispettive competenze fra Città metropolitane e Roma capitale, ma non credo che sia utile - almeno qui, nel limitato tempo a mia disposizione - fare un preciso confronto letterale tra le diverse previsioni normative; peraltro, non ancora attuate. È presumibile, infatti, che al momento dell’attuazione (con i decreti legislativi rispettivamente previsti dal’art. 23.6 e 24.5) la specificazione di queste funzioni - in osservanza dei princìpi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione, ma anche, nel caso di Roma, del principio di funzionalità rispetto alle speciali attribuzioni di capitale della Repubblica - possa senz’altro consentire che la Città capitale si veda attribuite, nei settori predetti, funzioni almeno analoghe a quelle riconosciute o astrattamente riconoscibili alla generalità delle Città metropolitane. Tra le quali, si rammenti, si annoverano anche le piccole aree metropolitane di Venezia e Reggio Calabria.
In conclusione. Non so se gli accorgimenti introdotti dal nuovo art. 114 Cost. e dalle previsioni transitorie della legge 42 saranno in grado di consentire, adesso, l’effettiva istituzione delle Città metropolitane. Per Roma, in particolare, reputo però senz’altro poco probabile questa evenienza.
Ciò che più conta, tuttavia, è che - essendo la contestuale attuazione dell’art. 119 sul federalismo fiscale e dell’art. 114, u.c., la base dell’accordo politico che ha dato il via alla legge - Roma capitale (al contrario delle Città metropolitane) vedrà senz’altro la luce a meno che non salti l’attuazione della legge 42 nel suo insieme. E quando Roma capitale sarà nata verrà a svolgere – io ritengo – di fatto, pur senza averne l’etichetta, anche le funzioni tipiche della Città metropolitana; mentre la Provincia continuerà ad operare - quantomeno per tali funzioni - con l’esclusione del territorio di Roma. Si tenga conto, a questo riguardo, che la Provincia, pur escludendo la Capitale della Repubblica, rimane comunque il territorio più vasto e popolato dell’intera Regione.
Non sarà dunque, con ogni probabilità, un meccanismo di natura strutturale (la grande città metropolitana) a risolvere i problemi di scala più ampia rispetto al territorio del Comune di Roma, ma si dovrà percorrere la strada delle soluzioni di natura funzionale: gli accordi istituzionali tra Stato, Regione, Provincia e Città capitale. Sarà questo il meccanismo, delineato nel comma 6 dell’articolo 24 della legge 42 come soluzione in via transitoria, che ragionevolmente potrebbe diventare la migliore soluzione anche a regime.

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