Paolo Colasante*

Immigrazione e figli: il problema dell’acquisto della cittadinanza da parte del figlio di stranieri nato in Italia
 
1. Introduzione. La riapertura del dibattito sull’attribuzione della cittadinanza ai figli degli stranieri nati in Italia
 
I flussi migratori sono un avvenimento epocale che ha prodotto profondi cambiamenti nella società italiana. Tra l’altro, in un arco di tempo, tutto sommato, alquanto limitato, ciò ha determinato un fenomeno peculiare come quello dei figli di stranieri nati in Italia, che, nell’attuale fase storica, ha riaperto il dibattito sulla riforma della legge sulla cittadinanza, nel senso del riconoscimento dello ius soli.
Nell’ambito della XVII legislatura, un primo (e finora isolato) risultato in questo senso ha coinciso con l’emanazione di una prima prescrizione di un certo rilievo, contenuta nel c.d. decreto del fare (d.l. n. 69 del 2013, convertito in legge n. 98 del 2013), il cui art. 33 ha apportato delle modifiche alla disciplina concernente l’acquisto della cittadinanza da parte del figlio di stranieri nato in Italia.
In ogni caso, alla luce della riapertura del dibattito, già da tempo (6 maggio 2013), il Sole 24 Ore ha pubblicato un articolo, con cui si è tentato un conteggio di quanti sarebbero i nuovi cittadini, se si applicasse la regola dello ius soli[1].
Da lì si apprende che, applicando la regola ai soli figli di stranieri residenti in Italia, nati nel 2011 (quindi, non retroattivamente), i cittadini italiani aumenterebbero di 80.000 unità.
Al di là del puro e semplice dato demografico, che pure è interessante, ci si deve domandare quali benefici deriverebbero a coloro che sono nati in Italia da figli di immigrati residenti in Italia, grazie al riconoscimento della cittadinanza. Oppure, per “rovesciare” i termini della questione, ci si potrebbe chiedere da cosa vengono attualmente esclusi costoro, fra cui i diritti politici (e, in primis, il diritto di voto)[2]. Non è, però, questa la sede per dar conto del dibattito dottrinale e giurisprudenziale cui ha dato luogo l’interpretazione dell’art. 2 Cost. e della Parte prima della Costituzione e tramite il quale si sono cercati di riconoscere i diritti spettanti al cittadino e quelli (civili e sociali) spettanti anche allo straniero[3]. In queste pagine, invece, il principale interesse è costituito dal problema dell’accesso allo status civitatis dei figli di stranieri nati in Italia.
 
2. La potestà degli Stati in materia di cittadinanza
 
E’ bene sin d’ora precisare che nessuno studio è (né sarà mai) in grado di fornire una “soluzione” – per così dire – necessaria al problema ora posto. Infatti, non è revocabile in dubbio il principio secondo cui ogni Stato è totalmente libero di disciplinare a proprio libito l’istituto della cittadinanza (pur con il limite dell’ordine pubblico internazionale), in quanto non esistono norme di diritto internazionale generale in materia[4]. Questo principio rispecchia “il contenuto autenticamente politico delle scelte che l’ordinamento è chiamato a operare rispetto all’estensione soggettiva del perimetro dei propri consociati”[5] e da cui deriva che “l’attribuzione della cittadinanza configurerebbe un atto di volontà dello Stato del tutto incoercibile sul piano della normazione internazionale”[6]. Resta, in sostanza, affidata allo Stato la scelta del/dei criterio/i sulla base dei quali attribuire la cittadinanza[7].
Né potrebbe ritenersi che il diritto convenzionale cui gli Stati membri danno vita per rimediare ai conflitti di cittadinanza (positivi o negativi, a cui conseguono rispettivamente la c.d. doppia cittadinanza o l’apolidia) depauperino questa potestà esclusiva. Invero, è esattamente il contrario, in quanto è per via di quella esclusiva potestà che scaturiscono i menzionati conflitti ed è su quella stessa base sovrana che gli Stati si “impegnano” per risolverli.
Questa precisazione serve a delimitare il campo dell’indagine, nel senso che, dal punto di vista dottrinale, è possibile solo rilevare le aporie o – sarebbe meglio dire – gli anacronismi della disciplina della cittadinanza; non anche giungere a conclusioni ulteriori che paventino una diversa soluzione costituzionalmente necessitata.
Infatti, dalla Carta non provengono indicazioni che stabiliscano il “verso” della disciplina della cittadinanza, se si ricorda che le uniche norme della Carta che riguardano questa materia sono l’art. 22 e l’art. 117, comma 2, lett. i), Cost. Il primo si limita a disporre che “nessuno può essere privato, per motivi politici, (…) della cittadinanza”. Il secondo (nel testo introdotto dalla riforma costituzionale del 2001) attribuisce al legislatore statale la competenza esclusiva in materia di cittadinanza.
Da quanto premesso, deriva il modesto “compito” che vorrebbe realizzare questo contributo, nel senso che esso può solo limitarsi a prendere atto degli “scollamenti” fra la disciplina vigente e la realtà di fatto, la cui rilevanza è, perciò, destinata a essere utile solo in prospettiva de jure condendo. Si può, ad esempio, sin da subito osservare quanto la dottrina non ha mancato di rilevare, e cioè che, secondo l’id quod plerumque accidit, il criterio dello ius soli è prevalente in quegli “Stati a carattere immigratorio e/o con problemi demografici”[8] ed entro questo novero parrebbe attualmente collocabile anche l’Italia.
Inoltre, altri spunti di riflessione possono provenire dall’analisi comparata delle discipline di altri Paesi.
 
3. La disciplina italiana sull’acquisto della cittadinanza da parte degli stranieri nati Italia
 
Anzitutto, occorre sgombrare il campo da un equivoco. Nella parte in cui regola l’ipotesi dell’acquisto della cittadinanza da parte dei figli di stranieri nati in Italia, la normativa nazionale già contempla un’ipotesi di ius soli (in senso lato e temperato).
Infatti, ai sensi dell’art. 4, comma 2, della legge n. 91 del 1992, “lo straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età, diviene cittadino se dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana entro un anno dalla suddetta data”.
Si tratta, all’evidenza, dell’unico caso in cui il legame con il territorio è di per sé idoneo a far sorgere in capo all’interessato un vero e proprio diritto a divenire cittadino italiano. Le ulteriori condizioni poste dalle norme possono al più far parlare di un’ipotesi di ius soli “condizionato”, ma pur sempre di ius soli si tratta. 
Dall’analisi della fattispecie normativa possiamo trarre le seguenti indicazioni: (1) l’acquisto della cittadinanza non opera “di diritto”, ma è subordinato a un’esplicita richiesta; (2) questa richiesta va formulata a pena di decadenza entro un anno dal compimento della maggiore età; (3) l’acquisto della cittadinanza è subordinato alla regolarità del soggiorno del minore, la quale è – per ovvie ragioni – a sua volta legata alla regolarità del soggiorno dei genitori di quest’ultimo; (4) l’acquisto della cittadinanza è subordinato al requisito della residenza ininterrotta in Italia.
Non appare inutile rilevare come la vigente disciplina risulti essere persino più restrittiva di quella contenuta nell’art. 3 della legge 13 giugno 1912, n. 555, secondo cui colui che era nato da genitori stranieri residenti in Italia da almeno dieci anni acquistava la cittadinanza nelle tre ipotesi disciplinate dai nn. 1, 2 e 3 della disposizione menzionata[9]. La prima (che interessa poco ai fini del presente studio) nel caso in cui avesse prestato servizio militare o accettato un impiego dello Stato. La seconda se fosse stato residente in Italia al compimento della maggiore età e avesse dichiarato entro l’anno successivo di eleggere la cittadinanza italiana. La terza nel caso in cui fosse residente nel territorio dello Stato da almeno dieci anni e non avesse dichiarato di voler conservare la cittadinanza straniera entro l’anno successivo al raggiungimento della maggiore età[10].
Perciò, nella seconda fattispecie, contemplata dalla legge del 1912, non era neppure necessaria un’espressione di volontà da parte del cittadino per conseguire la cittadinanza italiana. Di tale dichiarazione vi sarebbe stato casomai bisogno solo laddove questi non avesse voluto acquisire la cittadinanza.
Non così nella prima ipotesi, la quale comunque si palesa ben più favorevole di quella attualmente prevista, se sol si pensa che essa non richiedeva la sussistenza del requisito – ma sarebbe più opportuno dire dei requisiti – della residenza legale e ininterrotta.
La subordinazione dell’acquisto della cittadinanza alla residenza legale, pur rispondendo all’esigenza di fungere da deterrente nei confronti di permanenze in Italia prive di un titolo di soggiorno, è problematica, perché il minore, al momento del compimento della maggiore età, potrebbe subire una conseguenza negativa per via di una circostanza che è stata sino allora sottratta al suo controllo. Tuttavia, occorre rilevare che la giurisprudenza è già più volte intervenuta sul punto, con un’interpretazione di questo requisito che ne tempera la rigidità (sul punto, v. infra).
Peraltro, la normativa ora vigente mostra un eccessivo rigore nel richiedere che la residenza in Italia da parte del minore sia stata ininterrotta (dal momento della sua nascita sino al compimento della maggiore età), mentre secondo la legge del 1912 era sufficiente che il soggetto nato in Italia da genitori stranieri fosse residente in Italia all’atto del compimento della maggiore età.
Proseguendo a ritroso, si potrebbe osservare come la disposizione vigente trova la propria origine nella prima codificazione moderna, il Code civil (1804), il quale, nel Libro I, Titolo I, Capitolo I, dedicava l’art. 9 all’acquisto della cittadinanza da parte del figlio di stranieri nato in Francia. La disposizione prevedeva che “ogni individuo nato in Francia da uno straniero può, nell’anno successivo al raggiungimento della maggiore età, richiedere lo status di francese”, senza che la residenza nel territorio nazionale in quel momento avesse alcun rilievo a tal fine. Infatti, anche laddove residente all’estero, vi era la possibilità di acquisire la cittadinanza francese, purché il soggetto si impegnasse a eleggere domicilio in Francia entro un anno.
Già da questa breve comparazione “storica” emerge una certa “rigidità” della normativa italiana vigente, la quale è stata solo parzialmente temperata dal recente art. 33 del d.l. 21 giugno 2013, n. 69 (convertito dalla l. 9 agosto 2013, n. 98). Tale disposizione, rubricata “semplificazione del procedimento per l’acquisto della cittadinanza per lo straniero nato in Italia”, al comma primo prevede che al minore nato in Italia “non sono imputabili eventuali inadempimenti riconducibili ai genitori o agli uffici della Pubblica Amministrazione, ed egli può dimostrare il possesso dei requisiti con ogni idonea documentazione”. Invero, questa disposizione, nella parte in cui si riferisce agli inadempimenti incolpevoli del minore, non fa altro che recepire un pressoché pacifico approdo giurisprudenziale[11]. Maggiormente innovativo è, invece, nella parte in cui prevede una – per così dire – “libertà di prova” nella dimostrazione del possesso dei requisiti. Altrettanto innovativo appare pure il contenuto normativo del comma secondo della medesima disposizione, secondo cui “gli ufficiali di stato civile sono tenuti, nel corso dei sei mesi precedenti il compimento del diciottesimo anno di età, a comunicare all’interessato, nella sede di residenza quale risulta all’ufficio, la possibilità di esercitare il diritto di cui al comma 2 del citato articolo 4 della legge n. 91 del 1992 entro il compimento del diciannovesimo anno di età. In mancanza, il diritto può essere esercitato anche oltre tale data”. Quest’“onere” di comunicazione posto in capo agli ufficiali di stato civile può senza dubbio costituire un utile ausilio per tutti coloro che, in prossimità del compimento della maggiore età, non abbiano ancora adeguata contezza della disciplina vigente in materia. Inoltre, la mancata comunicazione produce l’effetto di evitare la maturazione della decadenza dal diritto di richiedere la cittadinanza entro il 19esimo anno di età (verificatasi la quale allo straniero non rimarrebbe che richiedere l’attribuzione della cittadinanza per naturalizzazione), consentendo così all’interessato di formulare la richiesta in qualunque momento.
 
 
3.1. La natura della situazione giuridica soggettiva di cui è titolare il figlio di stranieri nato in Italia ai fini dell’acquisto della cittadinanza italiana. Il riparto di giurisdizione
 
In dottrina, è stato rilevato che la posizione giuridica soggettiva degli “aspiranti cittadini” è diversa, a seconda del criterio adottato. Vi sono infatti dei criteri di attribuzione della cittadinanza che operano automaticamente e altri che si basano su una valutazione discrezionale dello Stato-amministrazione[12].
Il secondo caso ricorre per la c.d. naturalizzazione e l’atto attributivo della cittadinanza ha – non a caso – il nomen juris di concessione.
Fra i criteri che operano automaticamente vengono annoverati lo ius sanguinis (è cittadino colui che nasce da un genitore che già sia cittadino); lo ius soli (è cittadino colui che nasce nel territorio dello Stato); la iuris communicatio (comunicabilità della cittadinanza da parte di un membro della famiglia all’altro) e il beneficio di legge[13].
L’ipotesi del beneficio di legge ricorre quando la norma detta dei requisiti al cui verificarsi la cittadinanza è automaticamente attribuita, senza la necessaria interposizione di alcun atto statale. Nel caso della vigente legge sulla cittadinanza, tutte le fattispecie contemplate nell’art. 4, fra cui vi è anche il caso che qui interessa, ossia quello del figlio di stranieri nato in Italia, costituiscono espressione del criterio menzionato. Infatti, come già si accennava sopra, la disciplina dedicata a questa ipotesi, se da un lato integra un caso di ius soli (in quanto subordina l’attribuzione della cittadinanza alla nascita in Italia), dall’altro, pone una serie di condizioni ulteriori di cui già si è detto, dal cui contestuale verificarsi consegue l’effetto automatico stabilito dalla legge.
La differenza fra le due ipotesi dal punto di vista sostanziale, che riguarda la discrezionalità, o meno, dello Stato-amministrazione nel riconoscere la cittadinanza italiana, si riflette giocoforza sul piano processuale, nel senso che i criteri che operano automaticamente danno luogo ad una situazione giuridica qualificabile in termini di diritto soggettivo. Viene, perciò, in rilievo l’art. 9 c.p.c., ai sensi del quale sono di competenza del Tribunale ordinario – tra l’altro – le controversie relative allo status delle persone.
Non così per i criteri che non operano automaticamente e che sottendono un potere discrezionale dello Stato. A queste ipotesi corrisponde una situazione di interesse legittimo, da cui deriva la giurisdizione del Giudice amministrativo[14].
 
4. Un’analisi comparata: la disciplina dell’acquisto della cittadinanza da parte del figlio di stranieri nato nel territorio nazionale in Francia, Germania, Regno Unito e Spagna
 
Risulta utile, a questo punto, analizzare le normative di alcuni altri Paesi europei per verificare come questi abbiano disciplinato la fattispecie della cittadinanza del figlio di stranieri nato nel territorio dello Stato. Non si considerano le ipotesi, ordinariamente disciplinate – per ovvie ragioni – con particolare favore, del caso in cui il figlio di stranieri rischi di rimanere apolide ovvero sia adottato da un cittadino. Ci si limita, perciò, a verificare le fattispecie di ius soli (condizionato, o meno) vigenti in Francia, in Germania, nel Regno Unito e in Spagna[15].
In Francia, la disciplina della cittadinanza è contenuta nel Codice civile. In particolare, per ciò che qui interessa, rilevano le disposizioni degli artt. 19-3 e 21-7. Secondo la prima previsione normativa, è francese il figlio, legittimo o naturale, nato in Francia quando almeno uno dei due genitori vi sia nato, qualunque sia la sua cittadinanza.
Inoltre, ai sensi dell’art. 21-7 c.c., modificato dalla legge di riforma del 16 marzo 1998, n. 98-170, ogni bambino nato in Francia da genitori stranieri acquisisce automaticamente la cittadinanza francese al momento della maggiore età se, a quella data, ha la propria residenza in Francia o vi ha avuto la propria residenza abituale durante un periodo, continuo o discontinuo, di almeno 5 anni, dall’età di 11 anni in poi. Peraltro, le autorità pubbliche e gli istituti di insegnamento sono tenuti ad informare le persone interessante sulle disposizioni normative in materia[16].
In Germania, vigono regole più restrittive. Infatti, secondo il § 4, comma 3, della legge sulla cittadinanza (Staatsangehörigkeitsgesetz – StAG) del 22 luglio 1913, come modificato dalla legge di riforma del diritto sulla cittadinanza (Gesetz zur Reform des Staatsangehörigkeitsrecht) del 15 luglio 1999, entrata in vigore il 1 gennaio 2000, i figli di stranieri che nascono in Germania acquisiscono automaticamente la cittadinanza tedesca, purché almeno uno dei genitori risieda abitualmente e legalmente nel Paese da almeno otto anni e goda del diritto di soggiorno a tempo indeterminato[17].
E’, invece, più ampio il “ventaglio” delle chances offerte dalla legislazione del Regno Unito, in cui la disciplina della cittadinanza è dettata dal British Nationality Act del 1981 (più volte riformato nel corso degli anni), il cui art. 1, sezione 1, dispone che la persona nata nel Regno Unito acquista la cittadinanza, se uno dei genitori sia legalmente stabilito (settled) nel Regno Unito. Inoltre, secondo la sezione 3 dello stesso articolo, la persona nata nel Regno Unito può diventare cittadino (mediante la procedura di registration) se, mentre egli è ancora minore di età, uno dei suoi genitori diventa tale oppure si stabilisce nel Paese. Un’ultima possibilità è data dalla sezione 4, in cui si stabilisce che può, altresì, richiedere l’acquisto della cittadinanza colui che, nato nel Regno Unito da genitori stranieri, abbia ivi vissuto per i dieci anni successivi alla nascita non assentandosi per più di 90 giorni. In tal caso, non è previsto alcun limite temporale per formulare l’istanza[18].
Nell’ambito della legislazione del Regno Unito, ci si limita, infine, a segnalare (in quanto argomento estraneo al presente contributo) il c.d. sistema a punti[19], il quale consiste in una previa valutazione di alcuni requisiti – concernenti specificamente le competenze e le esperienze professionali, di formazione e di studio – dell’aspirante cittadino, al fine di inserirlo in un percorso per l’acquisto della cittadinanza.
In Spagna, la materia della cittadinanza è disciplinata dal Codice civile (artt. 17-28, modificati con la legge n. 36 del 2002). La persona nata in Spagna da genitori stranieri acquista la cittadinanza, (1) se almeno uno di essi è anch’egli nato nel territorio dello Stato (art. 17, comma 1, lett. b); (2) se risiede per un anno in Spagna, purché dimostri una buona condotta civica e un sufficiente grado di integrazione nella società spagnola (combinato disposto dei commi 2, lett. a, e 4 dell’art. 22). In quest’ultima ipotesi, pare, però, residuare la possibilità di una valutazione discrezionale da parte dell’autorità amministrativa, visto che il Ministro della giustizia può respingere la richiesta con decisione motivata per ragioni di ordine pubblico o d’interesse nazionale (art. 21, comma 2). Il provvedimento negativo può essere impugnato in via amministrativa.
Da questa breve analisi, sembra possibile trarre alcuni elementi comuni alle legislazioni degli Stati europei considerati. In primo luogo, emerge un certo favore, ai fini della concessione della cittadinanza, per gli stranieri di “seconda” generazione o di “terza”, atteso che la nascita del genitore nel territorio dello Stato presuppone anche i genitori di questi si trovassero nel medesimo territorio al momento della nascita. Infatti, si è visto come alcuni ordinamenti (Francia e Spagna) attribuiscano direttamente la cittadinanza al minore nato nel territorio nazionale, se almeno uno dei genitori è nato nello stesso Paese.
Inoltre, secondo la legislazione tedesca e britannica, la “posizione” dei genitori assume rilievo sotto un altro profilo, e cioè in ragione del radicamento di costoro (o di almeno uno di essi) nel territorio nazionale, per la cui dimostrazione si richiede un periodo di residenza legale e abituale.
Contemplano, infine, fattispecie in cui la situazione genitoriale è irrilevante ai fini dell’acquisto della cittadinanza le legislazioni (1) francese, in cui è subordinato alla residenza abituale per 5 anni dall’età di 11 anni in poi; (2) britannica, dalla quale vengono richiesti dieci anni di residenza abituale dal momento della nascita; (3) spagnola, in cui, in via di principio, basterebbe un solo anno di residenza, ma che, tuttavia, prevede anche altre condizioni. Pertanto, solo in Germania vi sono ipotesi di acquisto della cittadinanza per ius soli, ma strettamente dipendenti da requisiti che devono essere soddisfatti dai genitori del soggetto nato nel territorio nazionale.
 
5. Il dibattito attuale e le proposte di riforma. Considerazioni conclusive
 
Sulla scorta del dibattito in corso, di cui si è dato conto nel paragrafo introduttivo, nonché – verosimilmente – sotto l’influsso della comparazione con le normative straniere, da cui emerge uno spirito piuttosto restrittivo delle norme italiane (pari solo a quelle tedesche) riguardanti l’acquisto della cittadinanza da parte del figlio di stranieri nato in Italia, nel corso dell’attuale legislatura sono state formulate numerose proposte di riforma della legge n. 91 del 1992[20].
Dall’inizio della legislatura (15 marzo 2013) alla fine del 2013, nella sola Camera dei deputati risultano essere stati depositati 13 progetti di legge in materia[21], il cui esame è stato attribuito alla Commissione Affari Costituzionali. Fra questi, due non riguardano minimamente l’acquisto della cittadinanza da parte del figlio di stranieri nato in Italia[22]. I restanti, fra cui ve n’è uno d’iniziativa popolare[23], sono pressoché tutti accomunati dalla stessa idea di riforma dell’art. 1 della l. n. 91 del 1992, aggiungendo al comma primo le seguenti due ipotesi di cittadinanza per nascita.
In base alla prima, è cittadino chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri di cui almeno uno è regolarmente soggiornante in Italia e ivi residente senza interruzioni da almeno un certo numero di anni che nelle singole proposte di legge tendono a differenziarsi, nel senso che la residenza ininterrotta deve, secondo alcune proposte, protrarsi per cinque anni[24], secondo altre per tre anni[25] o per un solo anno[26].
In base alla seconda, è cittadino chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri di cui almeno uno sia nato in Italia e ivi soggiorni legalmente. Anche in questo caso, le proposte si differenziano in riferimento al requisito della residenza, nel senso che alcune richiedono che questa si sia ininterrottamente protratta per almeno un anno[27], mentre altre non fanno alcun riferimento a questo requisito temporale[28].
In ogni caso, nello stesso progetto di legge, il requisito temporale richiesto ai fini della seconda ipotesi è sempre meno gravoso rispetto a quello previsto nella prima ipotesi, stante il fatto che la nascita del genitore in Italia (richiesta nella seconda ipotesi) già di per sé dovrebbe garantire un maggiore legame di quel genitore con la comunità statale.
Per entrambe le ipotesi varrebbe inoltre la regola secondo cui la dichiarazione per l’acquisto della cittadinanza spetterebbe all’esercente la potestà genitoriale o, in mancanza, al diretto interessato una volta compiuta la maggiore età.
Alla luce dell’intensità del dibattito e della notevole attività (di proposta) legislativa che orbita attorno a questo tema sembra che le forze politiche abbiano acquisito la consapevolezza della necessità di una riforma della disciplina della cittadinanza e che vi sia uno sforzo abbastanza condiviso in questo senso. Di questo impegno sembrano, peraltro, farsi carico anche gli amministratori locali, se sol si pensa che, con un provvedimento dalla natura evidentemente simbolica (oltre che propulsiva), già numerosi Sindaci hanno conferito ai figli degli immigrati residenti nel territorio comunale la cittadinanza onoraria.
 

* Assegnista di ricerca ISSiRFA-CNR.
[1] Cambiando legge sulla cittadinanza ci sarebbero 80mila nuovi italiani nel 2011, in ilsole24ore.com.
[2] Sul punto, v. E. Castorina, Introduzione allo studio della cittadinanza, Giuffré, Milano 1997, in part. 200-206; C. Corsi, Diritti fondamentali e cittadinanza, in Dir. Pubb., 2000, p. 793-816, in part. 805 ss; V. Placidi, Sviluppi nella disciplina tedesca in materia di cittadinanza, in Quad. Cost., 2003, p. 91-112, 91. Sulla possibilità che, a Costituzione vigente, possa essere introdotto il diritto di voto in favore degli immigrati residenti, ma non cittadini, v. L. De Grazia, Immigrazione, cittadinanza e diritti politici, in Archivio Giuridico, 2003, p. 363-380, in part. 372-377.
[3] Per una ricostruzione del problema accennato nel testo, si vedano gli atti del Convegno annuale dell’Associazione italiana dei costituzionalisti su “Lo statuto costituzionale del non cittadino”, Cagliari 16-17.10.2009. Le relazioni (V. Onida, Relazione introduttiva; P. Stancati, Le libertà; B. Caravita di Toritto, I diritti politici; B. Pezzini, I diritti sociali; E. Grosso, I doveri costituzionali; B. Nascimbene, Asilo e statuto di rifugiato; A. Pugiotto, Garanzie giurisdizionali; G. Franco Ferrari, Relazione conclusiva) sono reperibili sul sito internet dell’Associazione stessa. Nell’ordinamento italiano, il tema dell’attribuzione di diritti civili e sociali agli immigrati rileva in punto di riparto delle competenze fra Stato e Regioni. Sarebbe infatti affidata a queste ultime la realizzazione della c.d. cittadinanza sostanziale, tramite l’adozione di quelle misure che favoriscono l’integrazione degli immigrati. Resta invece attribuita alla competenza esclusiva dello Stato la regolazione della c.d. cittadinanza formale (i.e. i criteri di attribuzione della cittadinanza). Su questi aspetti, cfr. L. Ronchetti, La cittadinanza sostanziale tra Costituzione e residenza: immigrati nelle Regioni, in costituzionalismo.it, 7 novembre 2012; nonché i contributi presenti in Id. (a cura di), I diritti di cittadinanza dei migranti. Il ruolo delle Regioni, Giuffré, Milano 2012.
[4] C. Amirante, Cittadinanza (voce), in Enc. Giur., Treccani, Roma 1988, p. 1-22, 4. Né, allo stato attuale, il diritto europeo e, in particolare, l’istituzione della cittadinanza europea sono in grado di far vacillare questo principio. Cfr. Corte di Giustizia, sentenze 7 luglio 1992, causa C-369/90, Micheletti; 2 marzo 2010, causa C-135/09, Janko Rottmann, in commento alla quale si veda L. Montanari, I limiti europei alla disciplina nazionale della cittadinanza, in DPCE, 2010, p. 948-954; J. Shaw, La Corte europea di giustizia di fronte al diritto di cittadinanza: una sfida alla sovranità nazionale dei Paesi membri?, in Quad. Cost., 2010, p. 612-619. Ancora, sul tema dell’interazione fra cittadinanza europea e cittadinanza nazionale, v. T. De Pasquale, Problemi interpretativi della nozione giuridica di cittadinanza: un concetto «europeizzato» di diritto pubblico interno? La controversa relazione tra cittadinanza dell’Unione europea e cittadinanze nazionali degli Stati membri, in riv. It. Dir. Pub. Com., 2012, p. 445-479
[5] D. Porena, Il problema della cittadinanza. Diritti, sovranità e democrazia, Giappichelli, Torino 2011, 193. In senso analogo, v. V. Lippolis, Il significato della cittadinanza e le prospettive di riforma della legge n. 91 del 1992, in Rass. Parl., 2010, p. 151-164: “le regole per l’attribuzione della cittadinanza variano da Stato a Stato, in relazione ai valori fondanti l’identità nazionale. Storicamente, esse non rispondono ad astratte teorie giuridiche sull’universalità dei diritti, ma ad esigenze politiche, a visioni ideologiche e culturali che possono variare nel tempo. In definitiva, esse rispondono ad interessi concreti degli Stati” (151).
[6] D. Porena, Op. cit., 197.
[7] Per alcune posizioni dottrinali sulla classificazione dei criteri di attribuzione della cittadinanza, v. G. Cordini, Elementi per una teoria giuridica della cittadinanza, Cedam, Padova 1998, in part. 265-281; D. Porena, Il problema della cittadinanza, cit., 187-238; C. Amirante, Cittadinanza (voce), cit., 3.
[8] C. Amirante, Cittadinanza (voce), cit., 3.
[9] Sulla previgente legge n. 555 del 1912, v. almeno R. Clerici, Cittadinanza (voce), in Digesto delle discipline pubblicistiche, UTET, Torino 1989, p. 112-143, in part. 128-129; Id, Cittadinanza (voce), in Novissimo Digesto Italiano, UTET, Torino 1980, p. 1265-1276; C. Amirante, Cittadinanza (voce), cit.
[10] Occorre rilevare che sino alla riforma recata dalla legge 3 ottobre 1977, n. 753, l’art. 3 della legge n. 555 del 1912 faceva riferimento al compimento del 21° anno. La novella ha, perciò, adeguato il testo normativo alle sopravvenute norme sulla maggiore età.
[11] Dal punto di vista dell’“inopponibilità” all’interessato di eventuali inadempimenti dei genitori o della P.A., vengono in rilievo le seguenti recenti pronunce: Tribunale di Roma, sentenza 25 giugno 2013, n. 9315, secondo cui ha diritto all’acquisto della cittadinanza italiana lo straniero nato in Italia i cui genitori non avevano al momento della nascita la residenza anagrafica in Italia (residenza ottenuta solo 11 mesi dopo), poiché il concetto di residenza legale “non coincide con la residenza anagrafica né con la regolare residenza in Italia dei genitori”. Pertanto le norme secondarie (D.P.R. n. 572/93 e le circolari ministeriali) che richiedono ai fini dell’acquisto della cittadinanza italiana, residenza anagrafica e permesso di soggiorno dei genitori, sono in contrasto con la fonte primaria (legge n. 91/92) che richiede la sola residenza legale ininterrotta, e possono, di conseguenza, essere disapplicate dal giudice. Tribunale di Lecce, sentenza 11 marzo 2013, in base alla quale ha diritto di acquisire la cittadinanza italiana lo straniero nato in Italia, anche da genitori irregolari, che in possesso dei presupposti per ottenere la "legale residenza", non l'abbia sin dall'inizio ottenuta per omissione da parte dei soggetti affidatari, non avendo l'interessato, per motivi legati all'età, alcuna responsabilità per fatti o omissioni altrui. Tribunale di Reggio Emilia, decreto del 31 gennaio 2013, che ha ritenuto che ha diritto ad acquisire la cittadinanza il giovane straniero nato in Italia e che vi ha vissuto sino alla maggiore età anche se è mancata per alcuni anni l’iscrizione anagrafica. Infine, giova ricordare quanto statuito dal Tribunale di Pordenone, decreto n. 492 del 13 luglio 2012, secondo cui il minore vanta un diritto a risiedere in Italia ex se, cioè indipendentemente dalla situazione di legalità dei genitori, qualora sia nato sul territorio italiano e non vi siano motivi di ordine pubblico, originari o sopravvenuti, atti a giustificarne un’espulsione. Il concetto di residenza legale ad esso riferito deve essere interpretato in senso ampio, ovvero come assenza di motivi ostativi alla permanenza del suddetto minore nel territorio dello Stato e come diritto del medesimo di vivere con i suoi genitori soggiornanti in Italia.
[12] Su queste distinzioni, v. C. Amirante, Cittadinanza (voce), cit., 3.
[13] Parte della dottrina preferisce parlare di “cittadinanza elettiva” piuttosto che di beneficio di legge. Cfr. D. Porena, Il problema della cittadinanza, cit., 232; R. Clerici, La cittadinanza nell’ordinamento giuridico italiano, Padova 1993, 325.
[14] Cfr. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. IV, sentenza 17 gennaio 2007, n. 2724; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II-Quater, sentenza 5 dicembre 2012, n. 10176.
[15] Per un confronto fra le tradizioni di nazionalità e fra le discipline della cittadinanza che si sono susseguite in Francia e in Germania, v. l’approfondito studio di R. Brubaker, Cittadinanza e nazionalità in Francia e in Germania, trad. it., Il Mulino, Bologna 1997.
[16] Ai sensi dell’art. 21-11 c.c.fr., l’acquisto automatico può essere anticipato a 16 anni dallo stesso interessato, con dichiarazione sottoscritta dinanzi all’autorità competente, o può essere reclamata per lui dai suoi genitori a partire dai 13 anni e con il suo consenso. In tale ultimo caso, il requisito della residenza  abituale per 5 anni decorre dall’età di 8 anni.
[17] Sul modello di cittadinanza tedesca prima e dopo la riforma, v. V. Placidi, Sviluppi nella disciplina tedesca in materia di cittadinanza, in Quad. Cost., 2003, p. 91-112. Occorre ricordare che la legge tedesca sulla cittadinanza prevede anche il c.d. modello di opzione (Optionsmodell). Infatti, il § 29 dispone che quanti acquistano la cittadinanza tedesca per nascita, ove siano in possesso di una ulteriore cittadinanza straniera, sono tenuti a dichiarare, al raggiungimento della maggiore età, per iscritto, quale cittadinanza intendano conservare. L’interessato che non si pronunci entro ventitreesimo anno di età o che dichiari la propria volontà di conservare la cittadinanza straniera incorre nella perdita automatica della cittadinanza tedesca. Nella dottrina tedesca, per un commento della disciplina sulla cittadinanza e dei problemi da questa posti (con particolare riguardo all’Optionsmodell), v. A. Zimmermann, J. Schütte, M. Sener, Deutsche zweiter Klasse? Eine verfassungs-, europa- und völkerrechtliche Analyse der Optionsregelung nach §§ 29/40b Staatsangehörigkeitsgesetz, 2013, reperibile in http://www.institut-fuer-menschenrechte.de/uploads/tx_commerce/Studie_Deutsche_zweiter_Klasse.pdf; K. Mertens, Das neue deutsche Staatsangehörigkeitsrecht – eine verfassungsrechtliche Untersuchung, 2004, reperibile in http://www.jurawelt.com/sunrise/media/mediafiles/13773/tenea_juraweltbd72_mertens.pdf; M. Wiedemann, Die Neuregelung des deutschen Staatsangehörigkeitsrechts unter besonderer Berücksichtigung von Rechtsfragen mehrfacher Staatsangehörigkeit, 2005, reperibile in http://kops.ub.uni-konstanz.de/bitstream/handle/urn:nbn:de:bsz:352-opus-16715/Dissertation_Wiedemann_Acrobat7.pdf?sequence=1; C. Diehl, P. Fick, Deutschsein auf Probe, in Soziale Welt 63 (2012), p. 339 ss., online su http://www.soziale-welt.nomos.de/fileadmin/soziale-welt/doc/Aufsatz_SozWelt_12_04.pdf
[18] Un’analoga disciplina, ma di maggior favore è prevista, all’articolo 4, sezione 2, per chi, nato nel Regno Unito, abbia la cittadinanza britannica dei Territori d’Oltremare.
[19] V. l’art. 19 dell’UK Borders Act del 2007.
[20] Sulle proposte di riforma delle scorse legislature (in particolare, XV e XVI), v. Lippolis, Il significato della cittadinanza, cit., 158 ss.
[21] Si tratta dei progetti di legge AC nn. 9, 200, 250, 273, 349, 369, 404, 463, 494, 525, 707, 794, 945/XVII. Si segnala che fra i proponenti del progetto n. 463/XVII vi è l’ex Ministro Kyenge.
[22] AC nn. 404, 794/XVII.
[23] AC n. 9/XVII.
[24] Così nei progetti AC nn. 200, 273, 369, 463, 525/XVII.
[25] AC n. 494/XVII. Secondo questo progetto di legge è, altresì, necessario che il requisito sia soddisfatto da entrambi i genitori.
[26] AC nn. 9, 250/ XXVII.
[27] AC nn. 200, 273, 369, 463, 525/XVII.
[28] AC nn. 9, 250, 494/ XXVII.

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