AVVERTENZA: Il contributo costituisce il paragrafo introduttivo al capitolo “La giurisprudenza costituzionale nel biennio 2006-2007” del volume Issirfa, Quinto Rapporto annuale sullo stato del regionalismo in Italia  (Milano, Giuffré, 2008).
Il testo è completato dalle tabelle allegate, elaborate dall’ISSiRFA-CNR.
Per la documentazione si rinvia a: Corte costituzionale, Servizio Studi, Relazione sulla Giurisprudenza costituzionale del 2007, 14 febbraio 2008; Servizio Studi del Senato, Ufficio sulle questioni regionali e delle autonomie locali, Il contenzioso Stato-Regioni: dati quantitativi, giugno 2008, n. 17.
 

IL CONTENZIOSO E LA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE  NEL REGIONALISMO ITALIANO DOPO IL 2001  
 
Il biennio 2006-2007 inaugura una nuova stagione dei rapporti tra Stato e autonomie. Che la stagione non finisca presto dipende dalla volontà dei soggetti coinvolti.
Se si adottano il contenzioso e la giurisprudenza costituzionale di interesse regionale come chiave di lettura privilegiata, sebbene parziale e limitata, del regionalismo italiano, si potrebbe considerare terminata, infatti, la fase di assestamento della riforma del Titolo V.
Dopo anni di iperconflittualità e di confusione, il biennio qui considerato e, in particolare il 2007, rassicura sulla faticosa stabilizzazione del contenzioso Stato-Regioni apertosi con la riforma costituzionale del 2001.
Da allora il contenzioso ha tracciato la traiettoria di una parabola: se nel 2000 i ricorsi presentati dallo Stato contro le leggi regionali e dalle Regioni contro le leggi statali sono stati 25, con l'entrata in vigore della riforma si è avuto un immediato aumento del loro numero con ben 95 ricorsi nel 2002 e 98 nel 2003 fino all'apice dei 115 nel 2004.
Sin dall’entrata in vigore del nuovo riparto di competenze tra Stato e Regioni, quindi, i dati quantitativi hanno suscitato preoccupazione sotto due profili: da un lato, un così nutrito contenzioso rifletteva una forte conflittualità tra gli enti in ordine all’interpretazione della riforma costituzionale, dall’altro, questa mole di ricorsi rischiava di  incidere sulla natura del giudice costituzionale. Nel 2004, infatti, per la prima volta in quasi cinquant’anni di storia della Corte le decisioni assunte nel giudizio in via diretta hanno superato quelle adottate in via incidentale.
L’anno successivo, il 2005, segnava un altro passaggio importante: a fronte di 99 ricorsi, per la prima volta dal 1988, le decisioni assunte nell’ambito del giudizio in via principale sono state più di 100. Nel 2006 questo dato si è ulteriormente rafforzato con 111 ricorsi e 112 decisioni.
Il 2007, invece, ha segnato un brusco ridimensionamento del contenzioso con soli 52 ricorsi. Il rallentamento della conflittualità tra enti sembrerebbe trovare conferma anche nella prima metà del 2008, con sole 25 sopravvenienze. Tale dato è sintomo di una maturazione del regionalismo italiano in una direzione meno competitiva, tendenza che si auspica non muti al variare delle maggioranze politiche.
Se in questi anni, tranne che nel 2003, è lo Stato ad aver presentato il maggiore numero di ricorsi (337 a fronte dei 232 ricorsi regionali), questo dato numerico deve essere letto, però, alla luce di alcune considerazioni. In particolare le Regioni adottano complessivamente molte più leggi dello Stato, mentre le leggi statali sono poche ma di grandi dimensioni. Basti pensare che la gran parte dei ricorsi regionali interessano le leggi finanziarie dello Stato, sempre più nel corso degli anni trasformatesi in provvedimenti omnibus. Di conseguenza le Regioni rispetto allo Stato, con minor numero di ricorsi, sollevano un maggior numero di questioni.  Tra le Regioni la Toscana ha il primato del maggior numero di ricorsi presentati (42 dal 2002 a metà 2008), mentre il Molise è la sola Regione ad non aver presentato alcun ricorso in tutti questi anni.
Grazie all’intensa attività della Corte, e anche alla severità con cui essa ha giudicato l’ammissibilità delle questioni, alla fine del 2007 restavano pendenti 85 ricorsi e 9 conflitti intersoggettivi.
A fronte della mole del contenzioso che si è accumulato è necessario, infatti, spostare l'attenzione sul giudicato della Corte costituzionale. Deve darsi atto alla Corte, innanzitutto, di aver saputo fronteggiare questo stato emergenziale con continui miglioramenti del rapporto tra atti di promuovimento e decisioni assunte: il lieve calo del saldo positivo tra ricorsi promossi e quelli decisi nel giudizio principale (da 24 nel 2006 a 17 nel 2007) è controbilanciato, infatti, dal saldo positivo di 16 conflitti intersoggettivi risolti in più rispetto ai 12 del 2006.
Per ottenere questi risultati la Corte ha negli anni perfezionato la pratica della separazione e della riunione dei ricorsi: in particolare, l’assenza di omogeneità delle questioni sollevate nello stesso ricorso ha spinto la Corte a optare per una trattazione separata delle questioni prive di collegamento, per poi eventualmente riunire nello stesso giudizio le questioni analoghe proposte in diversi ricorsi. Nel solo 2007 sono state separate 31 e riunite 26 questioni.
La Corte, forte di anni di giurisprudenza che ha sciolto i nodi più complessi della riforma del Titolo V, è stata inoltre in grado di procedere con maggiore celerità nella trattazione dei giudizi, abbreviando di anno in anno i giorni che decorrono dalla pubblicazione dell’atto di promuovimento, fino a impiegare lo stesso tempo a decidere di un giudizio in via incidentale e in via principale, nonché di un conflitto intersoggettivo.
Anche in base ai dati del giudicato, dopo anni di progressivo aumento delle decisioni adottate sul contenzioso Stato-Regioni, il 2007 inverte la tendenza. Se si contavano 29 decisioni nel 2002, 57 nel 2003, 97 nel 2004, 101 nel 2005 e 112 nel 2006, con il 2007 vi sono state solo 76 pronunce. Questa forte contrazione troverebbe conferma anche nei dati relativi alla prima metà del 2008 (39 decisioni).
Tale riduzione segna il 2007 come l’anno in cui, dopo tre anni consecutivi, si è arrestata la continua ascesa del peso specifico del contenzioso Stato-Regioni che è tornato a rappresentare meno del 20% dell'attività della Corte. Percentuale che resta comunque ben al di sopra di quel 7% che il giudizio in esame occupava prima dell'entrata a regime della riforma, ma decisamente al di sotto dell’incidenza, pari ad un terzo, registratasi nel 2006. La Corte ha potuto, quindi, dedicarsi nell’ultimo anno maggiormente alla propria vocazione a essere giudice dei diritti, piuttosto che arbitro delle competenze.
Questa constatazione risulta, però, attenuata alla luce del dato disaggregato in base al tipo di decisione. Distinguendo tra sentenze e ordinanze, il rapporto tra giudizio in via principale e incidentale nel 2007 risulta, infatti, meno impari, dato che nel primo sono state rese 58 e nel secondo 65 sentenze, con una differenza di sole 7 decisioni di merito. L’inversione di tendenza rispetto al predominio delle sentenze nel giudizio in via diretta (82 a fronte delle 70 nel giudizio in via incidentale nel 2006) – sebbene confortante - è dal punto di vista quantitativo (ancora) poco rilevante. Il giudizio in via principale, infatti, continua ad rappresentare quasi la metà del giudizio di merito della Corte, assorbendo gran parte delle sue energie nel contenzioso sulle competenze.
Il profilo arbitrale della giurisprudenza emerge anche nella accresciuta negoziazione tra enti in pendenza dei ricorsi, testimoniata dal sempre più alto numero di casi di estinzione del giudizio (tra giudizio principale e conflitti 18 nel 2006, 24 nel 2007) e casi di cessazione della materia del contendere (in tutto 25 nel 2006, 13 nel 2007). Nelle more del giudizio, infatti, sovente la parte resistente, e in particolare modo le Regioni, hanno modificato, abrogato o sostituito le disposizioni impugnate, facendo venir meno l’interesse del ricorrente.
Tale dato negoziale troverebbe, invece, nella prima metà del 2008 un rallentamento, con solo 4 casi di estinzione di giudizio in via diretta e una cessazione di un conflitto, entrambi promossi dalle Regioni.
Questa diminuzione potrebbe rafforzare un altro dato numerico che suggerisce, invece, un ritorno, anche nella giurisprudenza di interesse regionale, a una Corte dei diritti. Si tratta del dato sul processo in via incidentale avente ad oggetto la legge regionale, adottata dopo la riforma del 2001che arriva a contare nel 2006  29 e nel 2007  21 decisioni.  A metà del 2008 si contano già 20 decisioni adottate su leggi regionali applicabili a controversie sorte dinanzi ai giudici comuni.
L’incremento di queste questioni di legittimità potrebbe indicare una trasformazione della legge regionale: da mera norma di dettaglio solo formalmente equiparata alla legge nazionale a fonte normativa sempre più materialmente pariordinata alla legge dello Stato. Si tratta di leggi in materia di edilizia popolare, spesa sanitaria, pubblici dipendenti, infrastrutture, farmacie. In tal modo anche il giudizio della Corte tornerebbe ad avere ad oggetto prevalentemente i diritti coinvolti dalla legislazione, a prescindere dal tipo di legge (statale o regionale), piuttosto che dall’ambito di competenza interessato.
In questo tipo di giudizio sulle leggi regionali la Corte - mentre nel 2006 ha adottato raramente una decisione di merito (7 sentenze) - nel 2007, pur senza perdere occasione per dichiarazioni di manifesta inammissibilità e infondatezza delle questioni sollevate, ha accolto (con 13 sentenze) ben 25 questioni di legittimità costituzionale promosse con ordinanze di rinvio.
Nel giudizio in via principale, in termini assoluti, invece sono state soprattutto le Regioni a ottenere una dichiarazione di illegittimità delle disposizioni statali. È pur vero, tuttavia, che le Regioni, molto più spesso dello Stato, hanno provveduto nelle more del giudizio contro le loro leggi a modificare, abrogare o sostituire le disposizioni impugnate, dando in via di fatto ragione allo Stato con conseguente estinzione del giudizio e cessazione della materia (18 e 5).
Di tutte le questioni giudicate in via principale nel 2007, comunque, i capi di dispositivo di illegittimità costituzionale delle norme impugnate sono stati (45, con 3 dichiarazioni di illegittimità consequenziale: 26 su ricorso delle Regioni, 19 su ricorso dello Stato) decisamente inferiori alle dichiarazioni di non fondatezza delle questioni (70 di cui 4 con sentenza interpretativa di rigetto: 55 su ricorso delle Regioni, 19 su ricorso dello Stato). Se, poi, si confrontano i capi di dispositivo con il totale delle questioni sollevate, le Regioni hanno presentato fondatamente e correttamente ricorso solo in un quinto dei casi, lo Stato invece in circa la metà.
Oggetto principale di contenzioso sono stati nel 2007, da entrambi i ricorrenti, il contenimento e i vincoli della spesa, la tutela della concorrenza, la tutela dell’ambiente e della salute e le professioni.
I conflitti intersoggettivi del 2007 sono stati, invece, tutti promossi dalle Regioni e, tra quelli considerati ammissibili, l’accoglimento o il rigetto dei ricorsi sono stati rispettivamente 7. I conflitti sollevati annualmente sono restati più o meno stabili nel tempo, dopo un forte rialzo registratosi nel 2002 (28), e sempre hanno visto le Regioni e le Province autonome come principali ricorrenti. In questo tipo di giudizio la Sicilia ha il primato dei ricorsi (15 dal 2002 a metà del 2008) mentre la Basilicata, il Lazio e la Puglia non hanno mai presentato alcun ricorso.
In conclusione l’abnorme sviluppo del contenzioso Stato-Regioni dinanzi alla Corte costituzionale ha conosciuto da ultimo un riassorbimento, anche se il livello di conflittualità resta alto e comunque più intenso di quello che caratterizzava i rapporti intersoggettivi prima della revisione costituzionale del 2001.
Anche alla prova dei fatti, quindi, questa riforma è risultata difficile e complessa. Deve darsi atto alla Corte costituzionale di aver saputo gestire gli effetti dirompenti della novella costituzionale, anche in assenza dei necessari e ancora attesi strumenti di attuazione. Le difficoltà che ha incontrato la Corte, oltre a essere addebitabili a una non felice lettera della revisione costituzionale, sono da ricollegare anche alla “qualità” della legislazione, in particolare di quella statale. Le leggi statali - sostanzialmente innovative - sono sempre meno numerose ma sempre più corpose e disomogenee (con l’esempio emblematico della legge finanziaria), con ricadute non indifferenti anche sul piano del contenzioso Stato-Regioni.
Le leggi regionali, invece, sempre più, sembrerebbero contenere discipline sostanzialmente significative, tanto da risultare rilevanti ai fini della risoluzione di controversie sorte tra privati o tra privati con le amministrazioni pubbliche.
I dati qui commentati, d’altra parte, consentono di nutrire aspettative sulla capacità degli enti di ricercare la soluzione dei problemi di competenza secondo il principio della leale collaborazione, nelle sedi politicamente ritenute più adatte piuttosto che dinanzi ai giudici costituzionali.
 
 
Indice delle tabelle
 

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