Relazione al Convegno organizzato dall'ISSiRFA su I nuovi statuti delle Regioni ad autonomia ordinaria, Roma, Sala del Cenacolo, 4 luglio 2005

SOMMARIO:
1. Premessa
2. Le disposizioni in materia di bilancio e contabilità
3. Le norme in materia di finanza regionale e di rapporti con gli enti locali
3.1 Contenuti attesi
3.2 Contenuti riscontrati negli statuti
3.2.1 Finanza regionale
3.2.2 Rispetto degli equilibri di bilancio e controlli sulla gestione
3.2.3 Partecipazione degli enti locali alla definizione delle politiche economiche e finanziarie delle regioni e finanziamento delle funzioni conferite.
4. Una valutazione di sintesi
NOTE
TABELLE


1. Premessa

La relazione si articola in due parti: la prima prende in esame le norme dei nuovi statuti delle regioni ordinarie in materia di bilancio e contabilità delle regioni; la seconda, le norme in materia di finanza, non limitandosi a quella regionale in senso stretto ma considerando anche i rapporti tra le regioni e gli enti locali, in particolare per quanto riguarda il finanziamento delle funzioni conferite e il coinvolgimento dei secondi nella definizione delle politiche regionali di intervento economico e finanziario.
Per ciascuno dei due temi generali sopra indicati (bilancio e finanza) è stata elaborata una tabella di sintesi nella quale vengono, in primo luogo, esplicitati gli aspetti specifici di cui si è andata a verificare la trattazione negli statuti. Per ciascuno di tali aspetti e per ogni regione viene, poi, indicato se è stato effettivamente trattato e, in caso di esito positivo, il riferimento agli articoli più significativi sullo specifico aspetto di volta in volta considerato.
Gli statuti presi in esame sono i nove entrati in vigore (Calabria, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Marche, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria). Sono presi in considerazione anche quelli di Abruzzo e Campania che, approvati in prima lettura, se nel frattempo non fosse finita la legislatura regionale sarebbero divenuti testi definitivi, suscettibili solo di una seconda approvazione senza modifiche o di un rigetto in blocco.
Il reperimento delle norme in oggetto è stato ovviamente più agevole negli statuti dotati di indice – cosa che, pur essenziale per la leggibilità di questi documenti, manca in quelli di Calabria, Lazio, Liguria e Umbria – e, in generale, per le norme in materia di bilancio, contabilità e finanza regionale in senso stretto, essendo esse quasi sempre accorpate in un apposito Titolo (o Capo, come in Liguria). Più complessa è stata invece l’individuazione delle norme sul finanziamento delle funzioni conferite e sulla partecipazione degli enti locali alla definizione delle politiche regionali. In primo luogo, va osservato che in due statuti (Lazio e Puglia) non esiste un apposito titolo (o parte di esso, come in Abruzzo e in Piemonte) dedicato ai rapporti con gli enti locali. Ma anche dove tale titolo esiste, non sempre esso comprende tutte le disposizioni attinenti in modo specifico agli aspetti menzionati. Così, le norme sul finanziamento delle funzioni conferite, in Liguria sono inserite nel Titolo attinente all’azione regionale e in Umbria in quello relativo alla finanza della regione.


2. Le disposizioni in materia di bilancio e contabilità
Nell’ambito di questo tema le norme statutarie fanno riferimento soprattutto alla disciplina del bilancio di previsione e del rendiconto. Disposizioni in materia si riscontrano in tutti gli statuti salvo le accezioni seguenti:
· Toscana, che per entrambi gli aspetti rinvia semplicemente alla legge di contabilità regionale;
· Calabria, che detta disposizioni per il rendiconto ma, per il preventivo, rinvia alla legge di contabilità
· Marche, che, al contrario, rinvia alle norme di contabilità per il rendiconto e fornisce alcune indicazioni sul bilancio di previsione.
Negli statuti in cui l’argomento viene affrontato, viene sempre sancito l’obbligo, per la regione, di predisporre il bilancio di previsione e il rendiconto e di approvarli con apposita legge.
Nei termini di cui sopra tali disposizioni sono, in definitiva, non particolarmente utili perché ripetitive di disposizioni già contenute nelle leggi di contabilità regionali – alle quali, comunque, vengono sempre fatti ampi rinvii - e perché sanciscono obblighi a cui la regione non potrebbe comunque sottrarsi.
Nella maggior parte degli statuti si entra, tuttavia, in maggiori dettagli, fissando:
· i tempi massimi per la presentazione al Consiglio regionale dei progetti di legge relativi al bilancio di previsione annuale e pluriennale e/o quelli per l’approvazione definitiva della relativa legge. In particolare, le scadenze per la presentazione del ddl e per l’approvazione della legge sono previste in Abruzzo, Emilia Romagna, Marche e Piemonte (1). Gli statuti della Liguria e dell’Umbria, fissano invece (al 31 dicembre) solo la scadenza per l’approvazione della legge;
· i tempi massimi per la presentazione e/o per l’approvazione del rendiconto. I termini per la presentazione del d.d.l. sono previsti in Emilia Romagna (30 giugno), nonché in Piemonte e Umbria (30 aprile). Quelli per l’approvazione, in Abruzzo e Calabria (30 giugno), in Emilia Romagna (31 dicembre), in Liguria (30 settembre) e in Piemonte (31 luglio);
· i tempi massimi per la durata dell’esercizio provvisorio, previsti in tutti gli statuti, compresi quello della Toscana (che, in materia di bilanci fa un rinvio integrale alla legge di contabilità) e quelli di Campania, Lazio e Puglia, i quali pur contenendo disposizioni sul bilancio, non prevedono alcun termine specifico per gli altri aspetti sopra considerati (2).
Sempre con riferimento ai preventivi e ai rendiconti va osservato che, in alcuni casi, gli statuti prevedono anche:
· un’apposita sessione consiliare destinata all’approvazione dei bilanci (ad esempio in Liguria) (3);
· l’obbligo che il bilancio sia redatto in modo tale da assicurare la trasparenza, la semplicità e la leggibilità (ad esempio in Umbria);
· il coordinamento del sistema di classificazione delle entrate e delle spese “con le norme della legge dello Stato” (Marche e Campania);
· l’obbligo di predisporre la legge finanziaria - per altro già adottata da tutte le regioni ordinarie - in alcuni casi specificandone i contenuti (ad esempio, in Abruzzo e in Campania si precisa che essa possa contenere “esclusivamente norme con effetti finanziari” e, in Piemonte, che possa essere accompagnata da provvedimenti collegati);
· i documenti di programmazione e di verifica dell’attività svolta che ogni anno devono essere predisposti dalla Giunta. Ad esempio: da un lato il Documento di programmazione economica e finanziaria regionale (DPEFR) è esplicitamente indicato come punto di riferimento essenziale per la redazione del bilancio di previsione in Abruzzo, Marche, Piemonte (4); dall’altro, in Calabria, Campania, Piemonte e Puglia, si obbliga la Giunta a predisporre ogni anno una relazione specifica sullo stato di attuazione dei documenti di programmazione e sui risultati raggiunti (5);
· i controlli che la regione deve esercitare sui bilanci degli enti dipendenti dalla regione. In quasi tutti gli statuti considerati è almeno previsto l’obbligo di allegare i consuntivi degli enti al rendiconto della regione. Ma in alcuni, come ad esempio in quello delle Marche, si entra anche nel merito delle verifiche che la regione deve sistematicamente effettuare.
Le norme a cui sopra si è fatto riferimento indubbiamente hanno un certo rilievo, in quanto fissano principi generali a cui il legislatore ordinario dovrà attenersi nella gestione finanziaria e contabile della regione. Inoltre, i loro contenuti possono essere considerati “strategici” al fine di creare le premesse per una gestione funzionale delle risorse, soprattutto da parte di enti, come le regioni, che necessariamente devono operare in stretta collaborazione con altri soggetti e, in primo luogo, con gli enti locali.
Bisogna tuttavia chiedersi se tali principi, in quanto contenuti negli statuti, assumano un potere cogente maggiore di quanto non avrebbero se fossero semplicemente richiamati nelle leggi di contabilità regionale. In altre parole, c’è da chiedersi se la scelta fatta dalla maggior parte delle regioni di introdurli nello statuto, consentirà effettivamente di ridurre il manifestarsi di eventi non certo positivi – ma ora piuttosto frequenti - come ad esempio l’approvazione del bilancio di previsione ad esercizio finanziario già avviato.
Tenendo conto di quanto sopra osservato, potrebbe forse essere ritenuta più coerente la scelta effettuata dalla regione Toscana che, per quanto riguarda gli aspetti fin qui menzionati - fatta salva l’indicazione della durata massima dell’esercizio provvisorio - si è semplicemente limitata a rinviare a quanto previsto nella propria legge di contabilità.

3. Le norme in materia di finanza regionale e di rapporti con gli enti locali
3.1 Contenuti attesi
Come si è accennato nel paragrafo introduttivo, questa parte della relazione è volta a verificare quali principi sono contenuti negli statuti delle regioni ordinarie in merito a due temi: quello della finanza regionale in senso stretto e quello dei rapporti tra regioni e enti locali.
Prima di entrare nel merito dei contenuti delle norme, sembra opportuno richiamare cosa ci si sarebbe atteso che gli statuti appena approvati avessero detto su questi due aspetti indubbiamente importanti e di attualità.
Innanzi tutto le regioni sono già un livello di governo di grande rilievo dal punto di vista economico e finanziario: basti pensare che esse sono direttamente responsabili della gestione di quasi il 25% del totale della spesa pubblica e che, in alcuni settori, tale quota sale a ben oltre il 50% fino ad arrivare a quasi il 100% in una materia di fondamentale importanza quale è quella dell’assistenza sanitaria. D’altra parte, le regioni sono anche un punto di riferimento essenziale per quanto riguarda il finanziamento degli enti locali visto che, soprattutto per le spese in conto capitale, comuni e province dipendono già in larga misura dalle risorse assegnate da questo livello di governo: attualmente il 30% delle spese delle regioni (al netto di quelle per l’assistenza sanitaria) sono costituite da trasferimenti agli enti locali e, nei bilanci di questi ultimi, il 25% delle entrate da utilizzare per finanziare investimenti provengono da trasferimenti delle regioni.
Con l’attuazione della riforma del Titolo V della Costituzione dovrebbe significativamente aumentare la quota della spesa pubblica gestita dalle regioni e, soprattutto, la loro importanza nei confronti degli enti locali. E’, infatti, molto probabile che – come già si è verificato per il cosiddetto decentramento amministrativo di cui alla legge 59 del 1997 - il conferimento delle nuove competenze previsto nel titolo V avvenga in due stadi: dallo Stato alle regioni e, poi, nel rispetto del principio di sussidiarietà, dalle regioni agli enti locali.
Quali principi ci si sarebbe dunque attesi che venissero esplicitati in statuti elaborati proprio in questa fase di transizione?
Certamente è comprensibile che in essi venga ribadita l’autonomia finanziaria delle regioni sia dal lato delle entrate che da quello delle spese. E’, infatti, evidente che un decentramento senza autonomia finanziaria sarebbe un decentramento fittizio nel quale i livelli di governo sub centrali sarebbero più che altro “agenzie” del centro, cosa che, per le regioni, si è ampiamente verificata soprattutto nel corso degli anni ’70 e ’80. Va però osservato che l’attuale articolo 119 della Costituzione tutela già in modo esplicito l’autonomia finanziaria delle regioni e degli enti locali e che, con diverse sentenze, la Corte Costituzionale, pur in assenza di una formale attuazione dell’articolo 119, ne ha già applicato i contenuti non consentendo allo Stato comportamenti che, con il vecchio articolo 119, sarebbero stati pienamente legittimi.
Tenendo conto di quanto sopra affermato, negli statuti sarebbe stato altrettanto importante o, forse, più importante, introdurre principi che fornissero garanzie sulla volontà delle regioni di esercitare la loro autonomia in modo responsabile. Dal punto di vista finanziario ciò significa, ad esempio, l’impegno delle regioni: ad operare in modo trasparente; a contribuire attivamente al risanamento della finanza pubblica; a coinvolgere gli enti locali nella definizione delle politiche economiche e finanziarie; a rispettare e a valorizzare la loro autonomia di entrata e di spesa.
In relazione agli argomenti richiamati, cosa emerge dai nuovi statuti regionali?

3.2 Contenuti riscontrati negli statuti
3.2.1 Finanza regionale.
Tutti gli statuti, tranne quello della Toscana, si preoccupano di definire, in modo più o meno esteso, il concetto di autonomia finanziaria. Già l’articolo 119 della Costituzione sottolinea chiaramente l’estensione e i confini di questo aspetto. Le disposizioni degli statuti in materia, quindi, finiscono in generale per rifarsi al testo della norma costituzionale, richiamando, in particolare: l’autonomia di entrata e di spesa, la possibilità di istituire e gestire tributi propri, in qualche caso l’impossibilità di contrarre mutui se non per spese di investimento (Calabria, Campania e Lazio) o l’impegno a non ostacolare – con l’esercizio della propria autonomia di entrata - la libera circolazione delle persone e delle cose, nonché il diritto al lavoro nel territorio nazionale (Calabria). Negli statuti di Abruzzo, Calabria e Marche si sottolinea che la regione partecipa all’assegnazione di trasferimenti dello Stato e, in quello della Campania, anche alla definizione del fondo perequativo. Trattandosi di regioni che, finora, hanno beneficiato largamente di fondi statali, queste norme non fanno altro che ribadire il diritto a continuare ad ottenerle.
Sarebbe stato, invece, molto più significativo, trovare, negli statuti delle regioni economicamente più sviluppate, l’impegno a partecipare attivamente al sostegno delle spese di quelle con minore capacità fiscale. Tra quelle qui esaminate un impegno di questo tipo ci si sarebbe aspettati di trovarlo almeno negli statuti di Piemonte, Emilia Romagna, Toscana e Lazio. Di esso, tuttavia, non vi è traccia, salvo un riferimento generico in quello della Toscana, per altro inserito in un Titolo che nulla ha a che vedere con finanza riguardando gli “Altri rapporti istituzionali” (6).
Nei termini di cui sopra, si può quindi affermare che le norme in materia di finanza regionale fin qui esaminate non aggiungono nulla di costruttivo a quanto già previsto nell’art. 119 della Costituzione. Anche in questo caso potrebbe quindi essere condivisa la scelta della Toscana di non trattare il tema della finanza, implicitamente rinviando alla norma costituzionale.
Negli statuti di alcune regioni si trovano, tuttavia, ulteriori articoli attinenti alla finanza che vanno oltre quanto previsto nell’art. 119 e che sottolineano l’intenzione della regione di usare dell’autonomia finanziaria in modo responsabile. Al riguardo si possono citare i casi seguenti:
· l’art. 60, c. 2, dello statuto della Campania, che consente aumenti delle imposte regionali e delle aliquote regionali di imposte statali “solo per finanziare spese di investimento o per migliorare o istituire servizi pubblici, espressamente indicati nella legge che dispone l’aumento”;
· l’art. 67, c. 3, dello statuto dell’Emilia Romagna, nel quale si afferma che “Con legge la Regione recepisce e dà attuazione ai principi contenuti nello statuto del contribuente, con particolare riferimento ai principi di chiarezza e trasparenza delle norme e alla relativa retroattività”;
· l’art. 17, c. 2, dello statuto del Lazio, in base al quale l’ammontare delle risorse derivanti dall’imposizione fiscale e da altre fonti dovrà essere determinato dalla legge finanziaria regionale “al fine di non superare il limite complessivo della pressione fiscale stabilito negli atti di programmazione economica e finanziaria” (senza specificare se tali “atti” debbano necessariamente essere della regione).

3.2.2 Rispetto degli equilibri di bilancio e controlli sulla gestione.
Date le dimensioni delle risorse attualmente gestite dalle regioni – e quelle sensibilmente maggiori che verranno gestite ad attuazione avvenuta del conferimento di funzioni di cui al vigente Titolo V – è evidente che il comportamento finanziario di ciascuna potrà influire in modo percepibile sull’efficacia delle politiche di risanamento della finanza pubblica e sul rispetto, da parte del Paese, degli impegni presi in sede comunitaria. Il fatto di prevedere, anche negli statuti, delle regole o dei principi generali volti a favorire l’uso efficiente delle risorse e una gestione del bilancio in equilibrio, sarebbe quindi un segnale importante della volontà della regione di dare un proprio contributo positivo ad una questione di interesse generale, oltre che locale.
Negli statuti, tuttavia, questo aspetto non appare adeguatamente valorizzato. A prescindere dal fatto che in alcuni mancano riferimenti espliciti in proposito, negli altri sono presenti soprattutto disposizioni che si limitano a sancire l’obbligo di garantire adeguata copertura alle leggi che comportino nuove ed ulteriori spese rispetto a quelle previste in bilancio o a prevedere in modo generico l’istituzione di forme di controllo interno sulla gestione delle risorse. Inoltre, negli statuti di Calabria, Campania e Lazio – come si è visto - viene ammesso il ricorso all’indebitamento solo per spese di investimento, cosa per altro già resa obbligatoria dal comma 6 dell’art. 119 Cost..
Detto questo in generale, va anche osservato che in alcuni statuti possono essere individuate norme di maggiore interesse. Al riguardo si può segnalare:
· l’impegno a “concorrere al raggiungimento degli obiettivi di convergenza e di stabilità derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea” (Marche, art. 51, c.1)
· l’istituzione del collegio dei revisori dei conti e l’affidamento a tale organo di specifiche funzioni di controllo sul rendiconto (Campania, art. 67, cc. 3 e 4) o, più in generale, sulla gestione complessiva delle risorse (Abruzzo, art. 65 e Umbria art. 78);
· l’istituzione, nel Lazio (art. 70), di un apposito Comitato regionale di controllo contabile al quale spetta riferire al Consiglio regionale “sulla gestione del patrimonio immobiliare della Regione, sul rispetto del bilancio regionale di previsione, sull'adeguatezza e completezza della documentazione contabile, sulla regolarità degli adempimenti fiscali, sul rendiconto generale regionale”;
· in Piemonte (art. 71), l’attribuzione esplicita al Consiglio regionale della “verifica dell’efficacia delle leggi regionali e dei rendimenti dell’attività amministrativa”, riconoscendogli anche piena autonomia per quanto riguarda la definizione degli strumenti e delle misure idonee a raggiungere lo scopo.

3.2.3 Partecipazione degli enti locali alla definizione delle politiche economiche e finanziarie delle regioni e finanziamento delle funzioni conferite.
In questo ambito esistono indubbiamente spazi significativi per scelte autonome e innovative da parte delle regioni e ci si sarebbe attesi che le regioni li avessero sfruttati in modo adeguato, se non altro per evitare atteggiamenti di chiusura da parte degli enti locali. Tanto più che questi ultimi, finora, hanno spesso dimostrato di fidarsi maggiormente dello Stato.
In merito alla partecipazione degli enti locali alle scelte in materia di finanza e programmazione, l’analisi degli statuti mette in evidenza, in effetti, un atteggiamento tendenzialmente costruttivo da parte delle regioni. A prescindere dai richiami generici all’opportunità di una consultazione degli enti locali sulle politiche della regione, sono di particolare rilievo le norme, presenti in tutti gli statuti, che includono in modo esplicito la finanza e la programmazione tra le materie rispetto alle quali è necessario ottenere il parere dei Consigli delle Autonomie locali (CAL) (7). Un caso interessante, ma in senso negativo, è quello della Campania. Mentre sulle proposte di legge attinenti agli enti locali il CAL è chiamato obbligatoriamente ad esprimere un parere entro trenta giorni, sul bilancio, sul PRS e sul DPEFR – nonostante l’importanza e la complessità di questi documenti – il parere non è obbligatorio e i giorni concessi per esprimerlo si riducono a venti (art. 22).
Per quanto riguarda invece le disposizioni sul finanziamento delle funzioni regionali conferite agli enti locali, i risultati sono, in generale, poco confortanti: in alcuni statuti nulla di specifico viene detto in proposito (8) e nella maggior parte degli altri ci si limita a prevedere l’impegno della regione ad assicurare la copertura delle spese e le necessarie dotazioni di personale. Disposizioni di questo tipo appaiono del tutto inadeguate, soprattutto se si tiene conto di quanto previsto nella Costituzione per il finanziamento delle funzioni conferite dallo Stato agli enti territoriali. Visto che nell’articolo 119 sono indicati i criteri volti a tutelare esplicitamente l’autonomia di spesa di questi ultimi, ci si sarebbe attesi che anche negli statuti delle regioni venissero adottati criteri simili in relazione al finanziamento delle funzioni da esse trasferite: cioè, contenimento al massimo dei trasferimenti vincolati e copertura delle spese soprattutto mediante il decentramento di parte del gettito tributario della regione e l’assegnazione di fondi a destinazione libera.
Solo tre statuti contengono indicazioni che vanno in questa direzione.
Ci si riferisce, in particolare:
· all’art 47 dello statuto della Calabria, che prevede l’assegnazione agli enti locali di una quota delle entrate ordinarie della regione ripartite in base a criteri definiti con la partecipazione degli stessi enti locali;
· all’art. 73 dello statuto dell’Umbria che – dopo aver sottolineato l’esigenza del coordinamento dell’“autonomia finanziaria e tributaria” della regione con quella di comuni e province – affida al legislatore ordinario il compito di disciplinare “forme e strumenti di perequazione a favore degli enti territoriali che presentino minore capacità fiscale, anche al fine di contribuire alla rimozione degli squilibri economici e sociali, di promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà e di favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona”.
· all’art. 64 dello statuto della Toscana che prevede esplicitamente la confluenza in un unico fondo di tutte le risorse destinate dalla regione al finanziamento delle funzioni conferite. Per i criteri di riparto si rinvia alla legge ordinaria, soggetta al parere del CAL e, a consuntivo, a verifiche di funzionalità della spesa condotte d’intesa con gli enti locali.

4. Una valutazione di sintesi
L’analisi delle norme in materia di contabilità e finanza svolta sugli 11 statuti presi in considerazione può fornire qualche utile suggerimento alle regioni che devono ancora approvarli.
Il primo è di evitare disposizioni sostanzialmente inutili in quanto sanciscono obblighi a cui la regione non potrebbe comunque sottrarsi perché previsti nella Costituzione e/o perché da considerare principi generali validi per tutte le pubbliche amministrazioni. Rientrano in questa fattispecie, ad esempio, le disposizioni relative all’approvazione con legge del bilancio di previsione e del rendiconto, o il divieto di assumere mutui se non per spese di investimento.
Il secondo è di evitare di precisare nello statuto termini perentori che rischiano di essere sistematicamente disattesi, anche per motivi non imputabili esclusivamente alla regione. Ad esempio, fissare un termine per la presentazione al Consiglio del disegno di legge sul bilancio di previsione e per la sua approvazione definitiva può risultare velleitario in quanto la prassi finora costantemente seguita di approvare la legge finanziaria dello Stato alla fine del mese di dicembre, impedisce alla regione di disporre degli elementi di informazione essenziali ai fini della costruzione di un bilancio attendibile prima dell’inizio dell’esercizio al quale esso si riferisce.
Il terzo è di utilizzare lo statuto soprattutto per introdurre norme che offrano garanzie ai soggetti con i quali la regione deve necessariamente interagire e che possono essere ragionevolmente preoccupati della prospettiva di un rafforzamento del ruolo di questo livello di governo, in conseguenza dell’attuazione della riforma del Titolo V della Costituzione. La Toscana è forse quella che ha adottato nel modo più rigoroso tale approccio, preoccupandosi soprattutto (o esclusivamente) di garantire agli enti locali la più ampia partecipazione alla definizione delle politiche regionali e, almeno in prospettiva, forme di finanziamento delle funzioni conferite sicuramente moderne e capaci di valorizzare la loro autonomia decisionale.
La regione, tuttavia, interagisce direttamente anche con lo Stato – e, quindi, con la collettività nazionale – e con i cittadini del proprio territorio. Vanno quindi apprezzate le norme, presenti in alcuni degli statuti esaminati, volte ad offrire garanzie anche a questi soggetti. Ad esempio: quelle che prevedono limitazioni all’aumento delle entrate proprie, quelle che impegnano la regione ad attuare lo statuto del contribuente, quelle che affermano la volontà della regione di contribuire al risanamento della finanza pubblica, quelle che valorizzano il metodo della programmazione e che favoriscono i controlli per un uso funzionale delle risorse.
Da questo punto di vista sarebbe stata molto opportuna, come evidenziato in precedenza, anche l’assunzione dell’impegno, in particolare da parte delle regioni con maggiore capacità fiscale, a contribuire attivamente alla perequazione finanziaria a favore delle aree meno avvantaggiate. Si tratta indubbiamente di un nodo la cui soluzione è essenziale nel processo attualmente in corso di modifica della forma di stato in senso federale. Ma ad esso, negli statuti esaminati, non si trovano riferimenti espliciti.


NOTE
(1) Tutte le regioni citate individuano il 31 ottobre come il termine massimo per la presentazione del d.d.l. di bilancio al Consiglio, salvo il Piemonte che lo fissa al 30 settembre. Il temine per l’approvazione della legge di bilancio è sempre al 31 dicembre.
(2) La durata dell’esercizio provvisorio è fissata in 3 mesi nel Lazio e nell’Umbria e in 4 mesi in tutte le altre regioni.
(3) In questa regione, nonché in Calabria, è inoltre previsto che sulla legge di bilancio e su altre leggi in materia finanziaria possa essere posta la questione di fiducia con l’obbligo di scioglimento del Consiglio, qualora la fiducia richiesta dalla Giunta non venga accordata (in proposito cfr. L. Ronchetti, “Rapporti tra Giunta e Consiglio”, in Camera dei Deputati, Rapporto sullo stato della legislazione 2004-2005 tra Stato, Regioni e Unione europea, Camera dei deputati, Roma, 2005 pag. 140)
(4) In Abruzzo e nelle Marche sono anche previsti i termini massimi per l’approvazione del DPEFR da parte del Consiglio. In Puglia e in Umbria si specificano, invece, quali sono i documenti fondamentali di programmazione della regione: nella prima oltre al DPEFR, vengono citati il piano regionale di sviluppo (PRS), la legge finanziaria, il bilancio di previsione e il rendiconto; nella seconda il DPEFR, il PRS e Piano urbanistico.
(5) A titolo di esempio si riporta quanto previsto nello statuto della Calabria. In base all’art. 53 c. 2 la Giunta è tenuta a presentare insieme al rendiconto “una relazione sullo stato della programmazione economico-sociale della regione, dei piani settoriali e dei singoli progetti concernenti servizi ed opere della regione, con l’indicazione dei costi e dei risultati finanziari ed operativi”
(6) Ci si riferisce all’art. 68, c. 3, nel quale si afferma che la regione ricerca forme di coordinamento con le altre regioni anche “per ridurre gli squilibri nei livelli di sviluppo” e “per affermare indirizzi volti alla coesione e alla solidarietà sociale”.
(7) Una eccezione è la Puglia che, pur prevedendo il Consiglio delle autonomie locali, rinvia la sua disciplina alla legge ordinaria.
(8) Ciò vale, in particolare, per gli statuti di Marche, Piemonte e Puglia.

TABELLE
Le tabelle possono essere scaricate in formato pdf

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