(Contributo al Seminario "L'impatto della crisi sulla tutela dei diritti nelle Regioni. La prospettiva italiana, spagnola ed europea", organizzato dall’ISSiRFA-CNR, dalla LUMSA e dall’Università di Macerata e svoltosi a Roma, presso il Dipartimento di Giurisprudenza della LUMSA, il 13 novembre 2014).


1. Premessa
2. Le nuove modifiche alla legge per il governo del territorio (l.r. Lombardia n. 12/2005) 3. Conclusioni
 
 
 
1. Premessa
Senza dover marginalizzare la libertà religiosa, e per essa l'esercizio del culto, a fenomeno strettamente privato[1], la sua tutela dovrebbe, al contrario, essere garantita in termini di effettività posto il suo indiscusso carattere fondamentale. Sembra perciò doversi rifiutare una qualsiasi accezione "territoriale" della libertà religiosa e ciò nel duplice significato, da un lato, di tutelare la libertà religiosa contro fenomeni di territorializzazione preesistenti e, dall'altro, di tutelarla da contrari fenomeni di ri-territorializzazione da parte di nuove confessioni[2]. Il tema degli edifici di culto rivela dunque tutta la sua problematica attualità proprio perché, se non correttamente gestito, rischia di ostacolare la libertà religiosa di alcuni favorendo quella di altri, con la scusa di preservare comunità autoctone e ponendo invece le basi per nuove pericolose guerre di religione.


2. Le nuove modifiche alla legge per il governo del territorio (l.r. Lombardia n. 12/2005)
È recentissima l'introduzione di alcune significative modifiche alla l.r. Lombardia 11 marzo 2005, n. 12. Con la l.r. 3 febbraio 2015, n. 2, infatti, sono stati riformulati i "Principi per la pianificazione delle attrezzature per i servizi religiosi"[3]. La nuova legge regionale consta di due soli articoli tuttavia di portata sostanziale significativa ed atta ad incidere sull'esercizio della libertà religiosa.
All'art. 1 lett. a) si introduce una modifica all'art. 4, co. 2 della l.r. n. 12/2005, estendendosi anche "al piano per le attrezzature religiose di cui all'art. 72" la valutazione ambientale dei piani cui Regioni ed enti locali devono provvedere ai sensi del medesimo art. 4, co. 1.
Le innovazioni di cui alle lett. b) e c) sono ancora più significative e riguardano, rispettivamente, gli artt. 70 e 72 della l.r. n. 12/2005.
Il nuovo articolo 70 è dotato di un nuovo secondo comma, cui fanno seguito i neo-introdotti commi 2 bis, 2 ter, 2 quater. La prima incisiva distinzione è, da un lato, tra Chiesa cattolica e culti muniti di intesa già approvata con legge statale e, dall'altro, "enti delle altre confessioni religiose" i quali devono presentare una serie di requisiti aggiuntivi e cumulativi, quali: a) presenza diffusa, organizzata e consistente a livello territoriale e un significativo insediamento nell'ambito del comune in cui devono effettuarsi gli interventi; b) gli statuti di tali enti devono esprimere il carattere religioso delle loro finalità istituzionali e il rispetto dei valori e dei principi della Costituzione.
Inoltre, ai sensi del comma 2 ter solo le confessioni munite di intesa approvata con legge e gli "enti delle altre confessioni religiose" prive di intesa devono altresì dotarsi di una convenzione a fini urbanistici con il Comune interessato, non necessaria invece rispetto alla Chiesa cattolica. Come si evince dal comma 2 quater, infine, la valutazione circa la sussistenza dei requisiti menzionati è rimessa ad una consulta regionale che deve essere istituita e nominata con provvedimento della Giunta regionale.
L'art. 72 della l.r. n. 12 cit. è stato completamente sostituito e gli attuali sette commi di cui consta prevedono requisiti ulteriormente restrittivi in ordine alla possibilità di insediamento di edifici di culto. É infatti necessaria l'adozione del Piano dei Servizi nonché del Piano delle attrezzature religiose, in cui vengono specificamente individuate, dimensionate e disciplinate in base alle esigenze locali, le aree che possono accogliere attrezzature religiose o destinate alle stesse. L'adozione del Piano delle attrezzature religiose è presupposto necessario per poter installare tali nuove attrezzature e nel procedimento per la sua adozione "vengono acquisiti i pareri di organizzazioni, comitati di cittadini, esponenti e rappresentanti delle forze dell'ordine oltre agli uffici provinciali di questura e prefettura al fine di valutare possibili profili di sicurezza pubblica". In base al comma 4 è ribadita la facoltà per i comuni di indire referendum in ordine a tale Piano.
Infine, ai sensi del comma 7, il suddetto Piano deve prevedere: strade di collegamento di adeguate dimensioni ed opere di urbanizzazione primaria la cui assenza o inadeguatezza deve essere colmata a carico dei richiedenti l'installazione della nuova struttura religiosa; distanze minime tra le aree e gli edifici da destinare alle diverse confessioni religiose; obbligatoriamente un'area destinata a parcheggio in misura prestabilita (il 200% della superficie lorda di pavimento dell'edificio) ed eventualmente anche un "minimo di posteggi determinati su coefficienti di superficie convenzionati"; un impianto di video-sorveglianza che copra tutti gli ingressi e sia collegato con la Forza Pubblica; servizi igienici adeguati e strutture per l'accessibilità dei disabili; "la congruità architettonica e dimensionale degli edifici di culto previsti con le caratteristiche generali e peculiari del paesaggio lombardo, come individuate nel PTR" (piano territoriale regionale).

2.1. Profili critici
La libertà religiosa ricomprende, come pacificamente riconosciuto, la costruzione di edifici per il suo esercizio[4]. Un primo profilo critico che viene in rilievo, a prima lettura della l.r. in commento, attiene alla previsione di una serie di requisiti aggiuntivi che gli enti delle altre confessioni religiose devono possedere rispetto alla Chiesa cattolica e ai culti la cui intesa sia stata recepita con legge.
Bisogna chiedersi in proposito se questi requisiti ulteriori siano ragionevoli, proporzionati ovvero possano dar luogo ad una ingiustificata disparità di trattamento.
Ma andiamo con ordine. Come anticipato, è necessaria ai sensi del nuovo art. 4 co. 2 che i piani per le attrezzature religiose siano sottoposti a valutazione ambientale da parte della Regione e degli enti locali. La valutazione ambientale è quel procedimento amministrativo complesso, disciplinato dal d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e successive modifiche, in recepimento della Direttiva 2001/42/CE che ha tra i suoi obiettivi quello di “garantire un elevato livello di protezione dell'ambiente e di contribuire all'integrazione di considerazioni ambientali all'atto dell'elaborazione e dell'adozione di piani e programmi al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile, assicurando che, ai sensi della presente direttiva, venga effettuata la valutazione ambientale di determinati piani e programmi che possono avere effetti significativi sull'ambiente”.
Richiedere tale Valutazione anche per il piano per le attrezzature religiose, quale voce autonoma,  sembrerebbe implicare una duplicazione di procedimenti, nella misura in cui già il piano territoriale regionale (PTR) è sottoposto a Valutazione ambientale posto che la pianificazione territoriale ricomprende, tra le altre, le opere di urbanizzazione secondaria in cui si collocano le attrezzature religiose[5].
Altro aspetto discutibile è poi la sostanziale imposizione, ai sensi del nuovo art. 70 c. 2 ter, della stipula di una convezione urbanistica solo nei confronti dei culti dotati di intesa e degli enti delle altre confessioni religiose, introducendosi sostanzialmente una norma promozionale[6] avente come destinatario la Chiesa cattolica.
Sempre di stampo restrittivo appaiono altresì le previsioni di cui al comma 2 bis lett. a) dell'art. 70. I requisiti della "presenza diffusa, organizzata e consistente a livello territoriale"[7] ed il "significativo insediamento nel territorio" in cui si chiede l'installazione dell'attrezzatura religiosa, sembrano da un lato evocare concetti indeterminati e generici e dall'altro comprimere la libertà religiosa riducendola ad un dato statistico[8].
Sotto altro profilo, posto che un riscontro sostanziale a cui ancorare la natura di enti religiosi, nella giurisprudenza costituzionale, si rinviene in una pluralità di fattori[9], tra cui il richiamo allo statuto dell'ente stesso, la previsione di cui all'art. 70, co. 2 lett. b) sembra comunque in linea con tale orientamento nella parte in cui si prevede che "i relativi statuti esprimono i carattere religioso delle loro finalità". Maggiori perplessità invece nella parte in cui "i relativi statuti esprimono....il rispetto dei principi e dei valori della Costituzione", in ragione dell'apparente introduzione di limiti ulteriori, peraltro introdotti da una legge regionale, rispetto a quelli prescritti[10].
Le previsioni di cui al nuovo art. 72 appaiono altrettanto ingiustificate nella misura in cui attribuiscono una sostanziale ampia discrezionalità all'Amministrazione. Per l'installazione delle attrezzature religiose, come visto, è infatti necessaria l'adozione di un piano apposito e di un piano presupposto (cd. piano servizi), cui esso accede, la cui mancata adozione impedisce qualsiasi nuova installazione[11].
La discrezionalità relativa all'an dell'adozione del Piano delle attrezzature religiose è ancor più accentuata dalla necessaria acquisizione di una serie di pareri, da ritenersi obbligatori ("vengono acquisiti"), provenienti da una serie di soggetti alcuni non sufficientemente individuati e titolati[12].
Il comma 7 dell'art. 72 nel richiedere ancora degli ulteriori requisiti di carattere urbanistico non sembra tener conto della circostanza che porre a carico dei richiedenti anche le spese di realizzazione delle opere inadeguate o mancanti può menomare il libero esercizio del culto. Sebbene sia astrattamente ragionevole attribuire a chi richiede l'installazione di una certa opera l'onere di provvedere ai carichi urbanistici del caso, una siffatta previsione mostra tutta la sua irragionevolezza nella misura in cui impedisce la costruzione di un luogo di culto ad un ente religioso che non è in grado di sostenere le relative spese di urbanizzazione connesse. Infatti, fermo restando che è materia di discussione considerare la libertà religiosa come un diritto sociale a prestazione[13] – per cui dovrebbe essere lo Stato a farsi carico delle spese relative al culto – essa, invece, come diritto di libertà deve essere effettivamente garantito.
Apprezzabile sembra invece l'utilizzo della terminologia di "attrezzatura religiosa" che sembra cogliere la diversità delle strutture adibite al culto da parte delle varie confessioni religiose[14]. Tuttavia, latamente intesa, l'espressione "attrezzatura religiosa" potrebbe determinare una ulteriore compressione sostanziale dell'esercizio della libertà religiosa, poiché non riferita al solo edificio di culto bensì più in generale a qualsiasi struttura che abbia finalità ovvero funzionalità religiosa[15].
Altresì discutibile sotto il profilo della ragionevolezza appare la previsione di cui al comma 4 dell’art. 72, laddove si sottopone a referendum l’esercizio di un diritto di libertà[16].
Infine, nella carrellata di requisiti di discutibile ragionevolezza richiesti dal comma 7 dell’art. 72, emergono in particolare la previsione di un numero elevato e predefinito di parcheggi – non collegato all’utenza alla cui fruizione è in concreto destinato il luogo di culto – nonché, attraverso il richiamo alla “tutela del paesaggio lombardo”, l’introduzione di una norma “anti-minareto”, probabile trasposizione della norma prevista nella Costituzione Svizzera a seguito del referendum del 2009[17].

2.2. La giurisprudenza amministrativa di settore
Come osservato in dottrina, almeno con riferimento all'esperienza lombarda, gli interventi correttivi della giurisprudenza solo in minima parte hanno sanato lo squilibrio tra imposizione normativa urbanistica ed esercizio della libertà religiosa[18]. Le principali questioni attengono al titolo edilizio necessario per il cambio di destinazione d’uso volto all’utilizzo a scopo di culto, all’uso di fatto (cultuale) di un immobile adibito ad altra funzione, alla necessità del rispetto della normativa edilizia e di sicurezza ed alle possibili ricadute in termini di aggravio del carico urbanistico.
Già sotto la vigenza della precedente normativa urbanistica si era posto il problema relativo alla qualificazione di "luogo di culto" richiedendosi, a tal fine, il rispetto della normativa urbanistica solo per i locali destinati in modo effettivo e stabile all'esercizio del culto[19].
In proposito, anche di recente il Tar Lombardia ha ritenuto illegittima la diffida del Comune di astenersi dall'attività di culto, nella specie islamico, nell'immobile sede dell'associazione culturale poiché non era stato dimostrato "l'effettivo svolgimento di attività di culto...non parendo sufficiente la presenza di poche persone intente a pregare"[20].
Il Consiglio di Stato, in un recente parere[21] richiesto nell'ambito di un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, ha invece ritenuto legittima la diffida del Comune ad effettuare riunioni di preghiera in locali residenziali, in contrasto con la normativa antincendio e la destinazione urbanistica della zona. D'altra parte la destinazione urbanistica non può essere ignorata, anche a fronte della prassi invalsa presso molti gruppi religiosi di cambiare la destinazione d'uso dei locali ottenuti ed utilizzati come associazione culturale[22]. Come rilevato, infatti, la precarietà della situazione si connette con le modalità con cui l'esercizio del culto può concretizzarsi nel tessuto urbano e allo spazio che viene ad esserne interessato[23].
Non è tuttavia pacifico se il cambio di destinazione d'uso incidente a fini urbanistici il quale implica l'alterazione della funzione originaria dell'immobile con conseguente assunzione in via permanente di una diversa funzione, possa aver luogo pur in assenza di opere[24]. Il problema si pone, peraltro e sotto il diverso profilo edilizio, in ordine all'individuazione del titolo edilizio necessario: infatti, in base all'art. 52 comma 3 bis, l. reg. Lombardia n. 12 del 2005 "i mutamenti di destinazione d'uso di immobili, anche non comportanti la realizzazione di opere edilizie, finalizzati alla creazione di luoghi di culto e luoghi destinati a centri sociali, sono assoggettati a permesso di costruire" - e ciò per evitare che, attraverso la liberalizzazione dei cambi di destinazione d'uso stabilita dall'art. 51, l. reg. Lombardia n. 12 del 2005, siano realizzate innovazioni di grande impatto sul tessuto urbano senza un preventivo esame da parte dell'amministrazione[25]. Come osservato in dottrina, proprio per la libertà lasciata alle regioni dal T.U. n. 380/2001 in ordine all'individuazione del titolo edilizio necessario a fronte di mutamenti d'uso dell'immobile, si registrano diverse soluzioni[26]. Il punto allora è verificare se le soluzioni più restrittive, sia sotto il profilo urbanistico che edilizio, siano compatibili con la Costituzione nella misura in cui incidono concretamente sull'esercizio della libertà religiosa[27]: se, infatti, ai sensi dell'art. 117 Cost. "il governo del territorio" è materia ricadente nella competenza concorrente Stato-Regioni (comma 3), i rapporti tra Stato e confessioni religiose sono di competenza esclusiva statale (comma 2, lett. c). Nell’ambito della competenza concorrente in relazione al “governo del territorio” è comunque rimessa allo Stato la predisposizione dei principi fondamentali di riferimento entro cui la legislazione regionale può operare: sembra invece che le previsioni introdotte dalla l. r. in esame ne travalichino i confini ponendo limiti irragionevolmente restrittivi all’utilizzo del territorio, oltretutto soggettivamente diversificati rispetto ai fruitori. Si osservi inoltre, in proposito, che di recente il legislatore statale è intervenuto, con il d.l. Sblocca Italia, introducendo proprio un nuovo principio fondamentale la cui portata sulla normativa regionale appare potenzialmente incisiva: il nuovo art 23 ter del T.U. dell’edilizia prevede infatti che “il cambio di destinazione d’uso all’interno della stessa categoria funzionale è sempre ammesso. Le Regioni […]adeguano la propria legislazione ai principi della legislazione statale” (v. nota 24).
A monte di una siffatta normativa urbanistica restrittiva sembra configurarsi una presunzione assoluta secondo cui "si ritiene che la creazione di un edificio di culto..in una zona non prevista per questo tipo di espansione, produce immediatamente nel breve e lungo termine una serie di problematiche che...richiedono un controllo primario dell'amministrazione comunale sulla compatibilità delle nuove destinazioni"[28]
In ogni caso, secondo la prevalente giurisprudenza, "l'uso di fatto" di un certo immobile non è ritenuto di per sé rilevante poiché è necessario provare l'uso (religioso) in via esclusiva e in difformità rispetto alla destinazione originaria impressa nel titolo edilizio[29], fermo restando che all'interno della medesima categoria urbanistica non possono richiedersi diversi titoli abilitativi per il cambio di destinazione d'uso[30].


3. Conclusioni
La normativa regionale recentemente introdotta presenta dunque profili di incostituzionalità, tenuto conto delle criticità evidenziate[31]. Parametro costituzionale di riferimento appare in primo luogo ed in generale l'art. 117 comma 1 Cost. - ancor prima dell'art. 117 commi 2 lett. c) ed m)[32] - laddove la legge regionale in questione non sembra rispettare né la Costituzione né i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali[33]. L'esercizio visibile del culto rientra, come evidenziato, nel diritto di libertà religiosa sancito dall'art. 19 Cost. e, a livello sovranazionale, dagli artt. 9, 13 e 14 CEDU, 17 e 19 TFUE e 10 della Carta di Nizza, ed anche questi parametri risultano violati, per il tramite degli art. 10 e 11 Cost.
In presenza di un diritto fondamentale si richiede una particolare attenzione al legislatore nell'introduzione di norme idonee a restringerlo, potendosi ammettere un simile effetto solo se ragionevole. Può altresì riscontrarsi una significativa disparità di trattamento (art. 3 Cost.) tra Chiesa cattolica, confessioni con intesa e "altre confessioni" in ragione dei requisiti ulteriori richiesti a queste ultime. D’altra parte lo stesso art. 8 Cost. non impone parità di trattamento tra le confessioni religiose ma solo un’eguale libertà delle stesse[34].
Ugualmente è sospetta di incostituzionalità la suddetta normativa nella parte in cui elegge ad effettivi interlocutori dell'Autorità "organizzazioni e comitati di cittadini", nonché laddove di fatto subordina l'esercizio di un diritto fondamentale alla volontà popolare tramite referendum.
Si ha la sensazione che la normativa in commento rappresenti, più che un ragionevole e ponderato esercizio della potestà legislativa regionale, una presa di posizione "politica" nei confronti della costruzione di un certo tipo di edifici di culto riconducibile ad una specifica categoria di fedeli, ossia le Moschee.
Indubbiamente si tratta di una vicenda complessa, posto che nella religione islamica si fondono una serie di aspetti non solo religiosi ma anche politici che ne rendono più ardua l'accettazione; ad acuire la questione peraltro un rilevante fenomeno migratorio da gestire che, rendendo la società italiana sempre più multiculturale, ha ampliato le esigenze di regolamentazione e tutela di nuove comunità locali.
Non si possono tuttavia disciplinare differenti aspetti e diritti solo nell'ottica dell'ordine pubblico ovvero del controllo dei flussi migratori[35]. Oltretutto l'ordine pubblico non appare affatto garantito attraverso l'introduzione di normative irragionevolmente restrittive che, come nel caso di specie, riguardando diritti fondamentali, dovrebbero invece assicurarne a tutti l'esercizio, a prescindere da condizioni di reciprocità. Pur essendo vero che tali edifici di culto, per le loro peculiari caratteristiche, possono incidere sul paesaggio locale e più in generale sullo spazio pubblico, ed a prescindere dal fatto che la loro esistenza comunque rientra nel diritto di libertà religiosa, appare ben più pericoloso per la sicurezza e l’ordine pubblico non consentire l’emersione del culto. Una normativa serve non solo per regolamentare vicende e bilanciare diritti ma anche per educare[36]: educare la popolazione ospite e quella ospitante a convivere, accettando e rispettando i rispettivi valori. Sembra proprio che questa volta il legislatore regionale abbia fallito.
 
 
 
[1] Sul rischio di una religione "nei confini del tempio" v. C. Cardia, Libertà religiosa tra storia e diritto, in Quad. di Iustitia, 2014, n. 7, 27 e ss.
[2] F. Dimichina, Brevi note sul tema della territorializzazione dei diritti di libertà religiosa, 20 gennaio 2014, in www.statoechiese.it, 10 e 28.
[3] La l.r. 3 febbraio 2015, n. 2 pubblicata sul B.U.R.L. del 5 febbraio 2015 n. 6, è già stata ribattezzata la "Legge anti moschee" per l'introduzione di una serie di regole di fatto più restrittive in realtà nei confronti di tutti i culti: v. Pirellone, passa la legge antimoschee: regole più rigide e telecamere obbligatorie, La Repubblica, 27.1.2015; La legge anti-moschee blocca tutti i culti: polemica in Lombardia, La Stampa, 2.2.2015; Nuovi edifici di culto: il Consiglio approva la legge per le future edificazioni, in lombardiaquotidiano.com, 27.1.2015. Tra i primi commenti in dottrina, v: A. Tira, La nuova legge regionale lombarda sull'edilizia di culto: profilo di illegittimità e ombre di inopportunità, 2015, in  www.olir.it; P. Rappellino, Nuove moschee la legge lombarda sul filo di rasoio, 6.2.2015, in www.agensir.it; A. Ferrari, La nuova legge lombarda sui luoghi di culto: una risposta sbagliata al pluralismo culturale e religioso, 2.2.2015, in www.oasicenter.eu.
[4] Già Corte Cost., 24 novembre 1958, n. 59. Ex multis: N. Marchei, La legge della Regione Lombardia sull'edilizia di culto alla prova della giurisprudenza amministrativa, 31 marzo 2014, 12, 1, in www.statoechiese.it; I. Bolgiani, Regioni e fattore religioso, Milano, 2012, 73; G. Casuscelli, Il diritto alla moschea, lo Statuto lombardo e le politiche comunali: le incognite del federalismo, settembre 2009, 9, 1 e 9, in www.statoechiese.it; S. Ferrari, Gli edifici di culto delle minoranze religiose in Italia, 12 gennaio 2009, 2, in www.islamicità.it; P. Cavana, Lo spazio fisico della vita religiosa (luoghi di culto), in V. Tozzi, G. Macrì, M. Parisi, Proposta di riflessione per l'emanazione di una legge generale sulle libertà religiose, Torino, 2010, 211; L. Buscema, Libertà di culto ed azione amministrativa: profili critici e linee evolutive, in ww2.unime.it, 1; G. Giovetti, Il diritto ecclesiastico di produzione regionale, Milano, 1997, 173.
[5] Art. 44, L. 22 ottobre 1971, n. 865; Art. 16, comma 8, D. P. R. 6 giugno 2001, n 380. Per pacifica giurisprudenza, v.: Tar Campania, Salerno, II, 21 giugno 2012, n. 1287 secondo cui "i prefabbricati autorizzati ed utilizzati per le attività di culto e servizi religiosi vanno inquadrati nell'ambito delle opere di urbanizzazione secondaria di cui all'art. 44, l. n. 865 del 1971, trattandosi di opere di interesse generale, tali dovendosi considerare tutti gli edifici direttamente destinati alla fruizione della collettività dei fedeli indipendentemente da ogni denominazione". Però, v.: d.m. 2 aprile 1968 n. 1444 che inquadrava le attrezzature religiose tra quelle di interesse collettivo. V.: F. Zanchini di Castiglionchio, voce Edifici di culto, in Enc. giur., XIII, 1996, § 4.3.
[6] Sulla necessaria ragionevolezza delle norme promozionali, v.: G. Di Cosimo, Coscienza e Costituzione, Milano, 2000, 130 e ss. Come da molti Autori rilevato [cfr. G. Anello, cit.] dal dato testuale sembra emergere uno "scollamento" con conseguente duplicazione dei requisiti richiesti: da un lato la convenzione deve essere stipulata tra enti rappresentativi e Comuni; dall'altro, non ad essi bensì alle confessioni si richiedono i caratteri della presenza diffusa, organizzata e consistente ecc di cui al comma 2 bis lett. a) e b). Già in passato la Corte Costituzionale ha rilevato l’illegittimità di norme discriminatorie di altre confessioni rispetto alla Chiesa cattolica; in particolare, in materia di finanziamenti v.: Corte Cost., 27 aprile 1993, n. 195; Id., 8-16 luglio 2002, n. 346.
[7] Perplessità sul significato da attribuire al suddetto requisito in ragione della sua intrinseca genericità e quindi della  sostanziale discrezionalità attribuita alla Consulta regionale che, ai sensi del comma 2 quater dell'art. 70, deve valutarne la sussistenza. Ci si chiede in proposito se sia sufficiente considerare il dato statistico ovvero vi siano altri indici che la Consulta debba considerare, quali ad esempio studi di settore. In proposito, v. : E. Rebessi, Diffusione dei luoghi di culto islamici e gestione della conflittualità. La moschea di Via Urbino a Torino come studio di caso, in Polis Working Papers [online], dicembre 2011, n. 194, 3 e ss. Tuttavia, le perplessità di fondo nascono dalla considerazione che l'esercizio della libertà religiosa non può essere subordinato alla presenza di un numero minimo di fedeli aderenti ad una confessione, potendo, questo dato, semmai rilevare residualmente in ordine alle dimensioni del luogo di culto. Cfr.: Q. Camerlengo, Libertà religiosa, in A. Morelli, L. Trucco, Diritti e autonomie locali, Torino, 2014, 236; A. Licastro, Libertà religiosa e competenze amministrative decentrate, novembre 2010, in www.statoechiese.it, 26-27. Inoltre, in ordine alla legittimità  del parere preventivo ed obbligatorio della Consulta regionale rispetto al diritto delle confessioni di organizzarsi sulla base dei propri statuti ai sensi dell'art. 8 comma 2 Cost., v.: G. Anello, La legge cd. "anti-moschee" della Regione Lombardia: moniti mnesici a tutela della libertà religiosa, fra Costituzione e Convenzione europea, 17 febbraio 2015, in www.sidi-isil.org. Per un commento alla l.r. Lombardia n. 12/2005 antecedente alle odierne modifiche, v.: N. Marchei, La legge della Regione Lombardia sull'edilizia di culto alla prova della giurisprudenza amministrativa, op. cit., 6. Per considerazioni analoghe in ordine al criterio del "numero di adesioni alla confessione", rispetto alla l. r. Marche 12/1992, v.: F. Boschi, Edilizia di culto e anagrafe religiosa, in Interessi religiosi e legislazione regionale, Atti del Convegno di Studi Bologna 14-15 maggio 1993, a cura di R. Botta, Milano, 1994, 248.
[8] Il riferimento al dato statistico tout court è criticabile, tuttavia rimane comunque necessario far riferimento anche ad indici quantitativi al fine di evitare l’introduzione di nozioni “individualistiche” di confessioni religiose. Cfr., di recente: Tar Lazio, Roma, I, 3 luglio 2014, n. 7068. D’altra parte, anche a voler intendere il servizio religioso quale servizio pubblico è imprescindibile far riferimento al relativo bacino d’utenza.  
[9] Corte Cost., 27 aprile 1993, n. 195 cit., richiama precedenti riconoscimenti pubblici, statuto e comune considerazione.
[10] L'art. 8, co. 2 Cost. pone il solo limite dell'assenza di contrasto con l'ordinamento giuridico italiano. In proposito, cfr.:  Corte Cost., 19 gennaio 1988, n. 43 secondo cui “al riconoscimento da parte dell’art. 8, secondo comma, Cost., della capacità delle confessioni religiose, diverse dalla cattolica, di dotarsi di propri statuti, corrisponde l’abbandono da parte dello Stato della pretesa di fissarne direttamente per legge i contenuti. Con questa autonomia istituzionale, che esclude ogni possibilità di ingerenza dello Stato nell’emanazione delle disposizioni statutarie delle confessioni religiose” ponendo perciò il principio secondo cui il limite al diritto riconosciuto alle confessioni religiose dall’art. 8 Cost. di darsi i propri statuti, purché ‘non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano’ si può intendere riferito “solo ai principi fondamentali dell’ordinamento stesso e non anche a specifiche limitazioni poste da particolari disposizioni normative”.
[11] Il successivo comma 5 alla cui stregua "i comuni...sono tenuti ad adottare il piano delle attrezzature religiose entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge regionale" non sembra avere un'efficacia concretamente cogente sia perché non sono previste sanzioni sia perché è prevista l'approvazione del piano in questione unitamente al nuovo PGT. Sulla necessità della previsione di aree apposite nell'ambito della pianificazione generale v.: Cons. Stato, IV, 16 marzo 2012, n. 1488 secondo cui "nelle zone destinate dal piano regolatore generale a residenza, attività terziarie e ricettive ed altre consimili, non può essere realizzato un edificio di culto, in quanto esso rientra tra le attrezzature pubbliche o collettive, per la cui realizzazione devono essere riservate adeguate aree, da individuarsi appositamente in sede di formazione degli strumenti urbanistici generali". Sulle problematiche derivanti dalla presenza di una pluralità di piani e sui criteri per la soluzione dei possibili conflitti tra loro, v.: E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2014, 346.
[12] Il riferimento è alle organizzazioni e ai comitati di cittadini, rispetto a cui manca la specificazione di un qualsiasi criterio di individuazione, potendo quindi potenzialmente acquisirsi il parere di un numero di soggetti difficilmente determinabile a priori, con le evidenti ripercussioni sulla durata del procedimento di adozione del Piano. Tale previsione dunque, se da un lato sembra aggravare il procedimento, dall'altro si pone a fondamento di un generale interesse procedimentale a partecipare al procedimento nei confronti di una cerchia di soggetti non solo molto estesa ma non aprioristicamente individuabile, con i conseguenti problemi relativi alla legittimazione all'impugnazione. Cfr.: E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, op. cit., 309.
[13] In senso critico sulla persistente distinzione tra diritti di libertà e diritti sociali, posto che questi ultimi condividono con i primi lo “statuto tipico dei diritti fondamentali”: C. Santarelli, Diritti sociali e nuovi vincoli di bilancio, 2012, www.scienzepolitiche.uniroma3.it. In generale: A. Pisaneschi, Diritto costituzionale, Torino, 2014, 465; G. Pino, Diritti sociali. Analisi teorica di alcuni luoghi comuni, 2014, www.unipa.it
[14] L'espressione generica ben si attaglia alla natura polifunzionale di alcuni edifici di culto (in primis, le moschee). Cfr.:E. Rebessi, Diffusione dei luoghi di culto islamici e gestione della conflittualità. La moschea di Via Urbino a Torino come studio di caso, op. cit., 6-7. Sul punto, v. anche: Parere del Comitato per l'Islam italiano, Luoghi di culto islamici, 2011, in www.coreis.it; R. Mazzola, La questione dei luoghi di culto alla luce elle proposte di legge in materia di libertà religiosa. Profili problematici, in V. Tozzi, G. Macrì, M. Parisi, Proposta di riflessione per l'emanazione di una legge generale sulle libertà religiose, Torino, 2010, 206. Sulla problematicità della definizione di luogo di culto, v.: A. Fabbri, L'utilizzo di immobili per lo svolgimento dell'attività di culto, 16 dicembre 2013, in www.statoechiese.it, 7. Cfr.: I. Bolgiani, Attrezzature religiose e pianificazione urbanistica: luci e ombre, 23 settembre 2013, in www.statoechiese.it, 12.
[15] In proposito, l'utilizzo di locali adibiti al culto da parte di soggetti religiosi che operano in veste di associazioni culturali. Sul punto: Cons. Stato, IV, 27 ottobre 2011, n. 5778. Sulle problematiche connesse all'individuazione del luogo di culto rispetto alla qualifica di attrezzature religiose, v.: I. Bolgiani, Attrezzature religiose e pianificazione urbanistica: luci e ombre, op. cit., 7. In senso critico sull'ampiezza di tale nozione: N. Marchei, La legge della Regione Lombardia sull'edilizia di culto alla prova della giurisprudenza amministrativa, op. cit., 12.
[16] Già dall’art. 19 Cost. discende che il diritto di costruire un edificio di culto non può essere sottoposto a referendum. Per un tentativo passato di violare tale diritto, v. ddl n. 1246 del 4 giugno 2008 in cui si stabiliva anche, con particolare riferimento alle moschee, una distanza minima di un km tra un edificio di culto e l’altro.
[17] Dispone attualmente la Costituzione svizzera che “l’edificazione di minareti è vietata”. Cfr.: A. Jovinelli, Svizzera. Votazione federale del 29 novembre 2009: il divieto di edificazione dei minareti entra in Costituzione, 2010, in www.dpce.it.
[18] Così: N. Marchei, La legge della Regione Lombardia sull'edilizia di culto alla prova della giurisprudenza amministrativa, op. cit., 5 e 9. Per una sintesi degli strumenti urbanistico-edilizi di cui avvalersi per la realizzazione di un edificio di culto, v.: F. Botti, Edifici di culto e loro pertinenze, consumo del territorio e spending review, 15 settembre 2014, in www.statoechiese.it, 11.
[19] Tar Lombardia, Brescia, I, 21 maggio 2012, n. 866.
[20] Tar Lombardia, Milano, II, 12 gennaio 2015, n. 36.
[21] Cons. Stato, I, parere 29 luglio 2014, n. 2489. Cfr.: Cons. Stato, IV, 27 novembre 2010, n. 8298.
[22] In tal senso, v.: Tar Lombardia, Milano, II, 4 gennaio 2013, n. 21 secondo cui "è illegittimo il diniego al permesso di costruire che adduce come ragione ostativa al rilascio del titolo la circostanza che una associazione si definisca, a volte come associazione culturale, altre volte come luogo di culto. Non appare implicare alcuna illegittimità la circostanza che l'Associazione possa cumulare entrambe le finalità, di culto e culturale, tra loro non incompatibili". Cfr.: Tar Lombardia, Milano, 28 dicembre 2009, n. 6226 che, con riferimento ad un'ipotesi di mutamento destinazione d'uso da laboratorio artigianale a luogo di culto di una associazione islamica qualifica "illegittima una ordinanza con la quale un Comune ha ingiunto il ripristino della originaria destinazione d'uso adottato per alcune opere di trasformazione realizzate prima dell'entrata in vigore della suddetta legge, atteso che, in base al regime previgente, occorreva distinguere i mutamenti di destinazione d'uso secondo che fossero conformi o non conformi alle previsioni urbanistiche (cfr. art. 52 e 53 l. reg. n. 12 del 2005) e che le opere di manutenzione straordinaria richiedevano una semplice d.i.a., la cui mancanza non può dar luogo alla demolizione delle opere e, nel caso di inottemperanza, alla loro acquisizione gratuita". Cfr.: F. Botti, Edifici di culto e loro pertinenze, consumo del territorio e spending review, op. cit., 13-15 e 18, che indica quali limiti alla realizzazione di tali opere la compatibilità urbanistica, la disponibilità degli spazi e il rispetto degli indici di edificabilità. Sulla riconducibilità delle sedi dei centri culturali islamici (da parte della l.r. Lombardia in questione, già con la precedente novella del 21 febbraio 2011) tra le opere di urbanizzazione secondaria e sulla necessità di valutare caso per caso la finalità religiosa delle relative associazioni, v.: I. Bolgiani, Regioni e fattore religioso, op. cit., 76-77.
[23] A. Fabbri, L'utilizzo di immobili per lo svolgimento di attività di culto, 16 dicembre 2013, n. 40, in www.statoechiese.it, che osserva come "l'azione che questi fedeli pongono in essere, la condivisione della preghiera, non qualifica l'ambiente utilizzato come edificio di culto, neppure in via temporanea durante l'azione cultuale". Cfr.: Tar Lombardia, Milano, II, 8 novembre 2013, n. 2485, secondo cui "in base alla l.rg. n. 12 del 2005 (art 70 ss.) ciascun comune è tenuto ad individuare nel Piano dei Servizi aree da destinare a servizi religiosi. Si tratta di un vero e proprio obbligo funzionale a garantire alla popolazione la possibilità di esercitare le pratiche di culto mediante la realizzazione sul territorio di attrezzature all'uopo destinate. L'obbligo tuttavia riguarda esclusivamente il dato complessivo, nel senso che ogni comune deve avere nel proprio territorio aree destinate alle suddette funzioni. Non necessariamente invece debbono essere accolte tutte le richieste formulate dai singoli enti interessati".
[24] Si deve distinguere tra cambio di destinazione d'uso strutturale e funzionale, quest'ultimo caratterizzato dall'assenza di opere. Tuttavia, v.: Tar Lazio, Roma, I quater, 4 ottobre 2012, n. 8297, in cui si chiarisce la necessità del permesso di costruire anche a fronte di un semplice cambio di destinazione d’uso senza opere, se esso interviene tra due categorie edilizie funzionalmente autonome poiché tale mutamento va ad incidere sul carico urbanistico dell’immobile. Ritiene sufficiente la SCIA edilizia per il cambio di destinazione d’uso senza opere: L. r. Toscana, 10 novembre 2014, n. 65  (artt. 98 e 135 c. 1 lett. b). Oltre alla regione Toscana, allo stato attuale, solo la regione Liguria (l.r. 41/2014) e la regione Umbria (l.r. 1/2015) si sono adeguate alla nuova normativa di cui all’art. 23 ter del T.U. dell’edilizia come modificato dal d.l. Sblocca Italia n. 133/2014, secondo cui: “È mutamento della destinazione d’uso rilevante ogni forma di utilizzo dell’immobile o di singola u.i. diversa da quella originaria, con o senza opere, che comporti il passaggio ad una diversa categoria funzionale tra le cinque seguenti: residenziale; turistico-ricettiva; produttiva e direzionale; commerciale; rurale. La destinazione d’uso di un fabbricato o di unità immobiliari è quella prevalente in termini di superficie utile. Il cambio d’uso all’interno della stessa categoria funzionale è sempre ammesso. Le Regioni entro il 10 febbraio 2015 adeguano la propria legislazione ai principi della disposizione statale, in mancanza decorso il termine si applica la norma statale”. Deve ritenersi che, nonostante la scadenza del termine, le altre regioni possano comunque ancora intervenire posto che la loro potestà normativa non si esaurisce, vertendosi nella materia concorrente “governo del territorio”. In ogni caso, la portata di principio fondamentale della disposizione di cui all’art. 23 ter cit. ha l’effetto di travolgere le disposizioni regionali contrarie, in mancanza di adeguamento, in primis quella della legge reg. Lombardia che, al contrario, ancora richiede il permesso edilizio per il cambio di destinazione d’uso.
[25] Sul punto: Tar Lombardia, Brescia, I, 22 settembre 2011, n. 1320. In senso critico, cfr.: Tar Lombardia, Milano, II, 10 ottobre 2013, n. 2272 che rileva come "l'art. 5 comma 3, N.t.a. del piano delle regole del PGT adottato [...]stabilisce che "ai fini del rapporto tra mutamento di destinazione d'uso e opere connesse si fa riferimento al limite temporale previsto dall'art. 52 comma 3, l. reg. n. 12 del 2005". In sostanza, in base a questa norma, deve considerarsi mutamento di destinazione d'uso con opere quello attuato entro il termine di dieci anni dal momento della realizzazione di un precedente intervento edilizio. Come si vede questa norma estende di molto la portata applicativa della legge regionale, prevedendo che gli interventi edilizi realizzati non prima di dieci anni dal momento del mutamento di destinazione d'suo rendono applicabile la disciplina riservata ai mutamenti di destinazione d'uso attuati con opere anche ai mutamenti di destinazione d'uso attuati senza opere. Si badi bene che questa disposizione si applica quando, a seguito dell'intervento edilizio, l'operatore abbia effettivamente impresso all'immobile interessato dall'intervento stesso la funzione indicata nel titolo edilizio: in caso contrario - quando cioè, in spregio alle disposizioni contenute nel titolo edilizio, l'immobile sia sin da subito adibito alla nuova funzione - la giurisprudenza della sezione ha chiarito che il mutamento di destinazione d'uso deve considerarsi sempre attuato con opere".
[26] Cfr.: L. R. Piemonte, 25 marzo 2013, n. 3; L. R. Liguria, 5 aprile 2012, n. 10; L. R. Marche, 18 giugno 1986, n. 14. Sul punto, v.: A. Fabbri, L'utilizzo di immobili per lo svolgimento di attività di culto, op. cit., 4. Cfr.: N. Fiorita,  Relazione sulla legislazione regionale relativa al fenomeno religioso, Osservatorio legislativo interregionale, Roma, 6-7 febbraio 2003, in www.consiglio.regione.toscana.it, par. 4. Analizza le leggi regionali in materia distinguendole secondo tre modelli principali: I. Bolgiani, Attrezzature religiose e pianificazione urbanistica: luci e ombre, op. cit., 10.
[27] Pacifico infatti che "l'edilizia di culto rappresenta sicuramente un settore fondamentale dell'azione della legislazione regionale in quanto, nell'ambito della pianificazione urbanistica, la normativa regionale influisce sugli spazi dedicati all'esercizio del culto": P. Annicchino, Libertà religiosa e autonomie federali e regionali, in A. Morelli, L. Trucco, Diritti e autonomie locali, Torino, 2014, 251. Cfr.: A. Licastro, Libertà religiosa e competenze amministrative decentrate, op. cit., 9-10 e 13, in cui si rileva che "pur in assenza di esplicite indicazioni al riguardo nel testo novellato dell'art. 117 Cost., si deve tuttavia ritenere che la fissazione dei principi essenziali in ordine all'intera gamma dei diritti fondamentali sia tutt'ora materia riservata alla legislazione statale".
[28] A. Fabbri, L'utilizzo di immobili per lo svolgimento di attività di culto, op. cit., 6. Nel cambio di destinazione d’uso rilevante a fini urbanistici si colloca anche l’ipotesi di passaggio ad un’attività diversa da quella originaria, il che può implicare squilibri sotto il profilo dell’aumento del carico urbanistico ed è per questo rimessa al Comune la valutazione di tale incidenza. Cfr.; Tar Lombardia, Brescia, 29 maggio 2013, n. 522, secondo cui il “Comune è senz'altro titolare dell'astratto potere di sanzionare l'uso di un locale difforme dalla destinazione, ma che nel caso di specie l'uso difforme non può essere identificato con il mero fatto che nel locale si svolga la preghiera, del venerdì o di altra ricorrenza”, in quanto “ai sensi del noto art. 19 della Costituzione, nessun soggetto può ordinare ad altro, in sintesi estrema, di non pregare a casa propria. Identico precetto, va aggiunto per completezza, si desume dall'ordinamento europeo, cui ai sensi degli artt. 11 e 117 Cost. il nostro si conforma: in primo luogo, la libertà di religione e di culto è riconosciuta anche dall'art. 9 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, esecutiva in Italia per la l. 4 agosto 1955 n°848; in secondo luogo, la libertà di religione è riconosciuta anche dall'art. 10 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, o Carta di Nizza, 7 dicembre 2000”. Conforme: Tar Veneto, II, 27 gennaio 2015, n. 91.
[29] Tar Piemonte, Torino, II, 13 dicembre 2012, n. 1346. Di recente: Tar Lombardia, Milano, II, 12 gennaio 2015, n. 36. Apparentemente contrario Cons. Stato, I, parere n. 2489/2014: in realtà ciò che in questo caso inibisce l'esercizio del culto sembra piuttosto essere il pericolo per la pubblica sicurezza determinato dalla presenza di un elevato numero di persone in un luogo chiuso e inidoneo, per ragioni di capienza, a garantire il rispetto della disciplina igienico-sanitaria ovvero antincendio [conforme: Tar Lombardia, Milano, III, 8 giugno 2012, n. 1618]. Sotto il profilo urbanistico, invece, è semmai da ritenersi "indiziario" l'uso che implica libero ed indifferenziato accesso all'immobile e non limitato agli iscritti: Tar Lombardia, Brescia, I, 8 marzo 2013, n. 242. Dal che si desume che il diverso uso (religioso) prevalente può costituire presunzione ma solo relativa. Afferma che l'uso occasionale o anche di fatto non determina l'applicabilità dell'art. 52 l.r. Lombardia n.12/2005: L. Buscema, Libertà di culto ed azione amministrativa: profili critici e linee evolutive, op. cit., 11. 
[30] Così: Cons. Stato, IV, 4 novembre 2011, n. 4854.
[31] È di recente stesura, da parte di diverse comunità religiose, l’istanza al governo per la promozione dell’azione di impugnazione della legge regionale dinanzi alla Corte Costituzionale: Luoghi di culto, religioni unite contro la legge della Regione, 7.3.2015, in www.santegidio.org. Con delibera del Consiglio dei ministri del 12 marzo 2015 (reperibile su www.affariregionali.it) è stata decisa l’impugnazione della l. reg. in questione ai sensi dell’art. 127 Cost., evidenziando altresì la violazione di ulteriori parametri: rispetto all’art. 70 degli artt. 117 c. 2 lett. a) Cost. per contrasto con i principi europei ed internazionali in materia di libertà di religione e di culto; artt 10, 17 e 19 TFUE; artt. 10, 21 e 22 della Carta di Nizza;  rispetto all’art. 72 degli artt. 117 c. 2 lett. h) Cost. che riserva la materia dell’ordine pubblico alla competenza esclusiva statale e 118 , c. 3 Cost. che affida alla sola legge statale il potere di disciplinare forme di coordinamento fra Stato e Regioni nella materia della sicurezza pubblica. Infine risulterebbe violato anche l’art. 117 c. 2 lett. l) che riserva allo Stato la materia dell’ordinamento civile: nella specie l’attribuzione della facoltà ai Comuni di prevedere nuove attrezzature religiose contrasta con quanto dispone il D. M. n. 1444/1968 laddove stabilisce che nei piani regolatori comunali devono individuarsi almeno 2 mq per abitante da destinare ad attrezzature di interesse comune, tra cui rientrano quelle religiose.
[32] In proposito, già: V. Tozzi, La disciplina regionale dell'edilizia di culto, in Interessi religiosi e legislazione regionale, Atti del Convegno di Studi Bologna 14-15 maggio 1993, a cura di R. Botta, Milano, 1994, 35. Cfr.:I. Bolgiani, Regioni e fattore religioso, op. cit., 61.
[33] In tal senso anche I. Bolgiani, Regioni e fattore religioso, op. cit., 53.
[34] M. Canonico, Tutela penale del sentimento religioso ed attuazione normativa della Costituzione dopo oltre mezzo secolo, in Dir. e Rel., 2007, 1, 201.
[35] Rileva la persistenza in Italia di una "visione dell'Islam come problema di politiche migratorie e, in particolare, di ordine pubblico": N. Colaianni, Alla ricerca di una politica del diritto sui rapporti con l'Islam (Carta dei valori e Dichiarazione d'intenti), gennaio 2009, in www.statoechiese.it, 2. Cfr.: N. Fiorita, Possibili soluzioni normative alle esigenze del culto islamico, in Coscienza e libertà, 2003, n. 23, 106 e ss. Per un'analisi del fenomeno: V. Tozzi, La libertà religiosa in Italia e nella prospettiva europea, 10 novembre 2014, in www.statoechiese.it, 32 e ss. Per un'analisi del fenomeno dell'immigrazione rispetto all'attività legislativa statale e regionale, v.: E. Gianfrancesco, Gli stranieri, i diritti costituzionali e le competenze di Stato e Regioni, 7 marzo 2014, in www.amministrazioneincammino.it
[36] Per un positivo esempio di regolamentazione, v.: L. Zannotti, La costruzione di una moschea: l'esempio di Colle Val d'Elsa, 27 ottobre 2014, in www.statoechiese.it. Con riferimento alla costruzione di luoghi di preghiere "multi-religiosi": G. Fusco, La condivisione dei luoghi sacri: l'istituto della destinazione al culto alla prova della interculturalità, in A. Fuccillo, Esercizi di laicità interculturale e pluralismo religioso, Torino, 2014, 251. In senso critico invece: F. Botti, Edifici di culto e loro pertinenze, consumo del territorio e spending review, op. cit., 80. Cfr. Sull’esperienza fiorentina: B. Imbergamo, M. Fabbri, M. Mugnai, S. Givone, Why discuss about a Mosque through a participatory process, in www.volontariatoepartecipazione.eu. Per un recente report, v.: B. Conti, Towards a pluralistic society: good practices in the integration and social inclusion of Muslim in Italian cities, 2013, in www.eui.eu

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