Relazione presentata al Convegno su «Lo Stato in periferia e l’assetto del governo regionale e locale», organizzato da  Italiadecide  alla Camera dei Deputati il 22 ottobre 2012.
 

 
1. La comparazione tra i diversi sistemi di organizzazione territoriale degli Stati rivela la sua utilità non solo se si colgono gli aspetti di comunanza e di differenziazione tra gli ordinamenti considerati, ma soprattutto se la comparazione riesce a produrre le proposte che consentono di avvantaggiarsi nel proprio sistema della conoscenza degli altri modelli esaminati.
Di qui la necessità che la comparazione debba essere svolta nella maniera più accurata possibile e con la consapevolezza che la finalità non è il trasferimento sic et sempliciter di una disposizione costituzionale o di un singolo Istituto giuridico da un ordinamento ad un altro, bensì il confronto tra modelli il più possibile omogenei con l’obiettivo di mutuare soluzioni sperimentate, rivelatesi efficaci e soprattutto compatibili con le condizioni e le esigenze di un ordinamento dato (1).
Le predette considerazioni di metodo, che valgono in generale per qualsiasi studio comparatistico, rilevano anche con riferimento al tema della rappresentanza territoriale negli Stati decentrati, oggetto di attenzione, circoscritto nel caso di specie allo studio della posizione del Prefetto in Francia, e del Delegato del Governo nelle Comunità Autonome in Spagna, in relazione alla posizione del Prefetto italiano(2).
 
2. Rispetto alla Francia, con la quale ci accomuna l’origine napoleonica dell’Istituto prefettizio(3), si deve registrare una diversità di evoluzione connessa, non solo al modo in cui si è evoluta la legislazione nei due paesi, ma anche alla diversità storica che li ha caratterizzati nell’arco di circa due secoli.
Si deve sottolineare anzitutto la diversità dell’evoluzione della democrazia e dell’avvicendarsi delle costituzioni che hanno permesso di mantenere in Francia una nozione di “ordine pubblico”, come categoria costituzionale(4), mentre in Italia tale nozione è stata del tutto esclusa dalla Costituzione repubblicana ed ha mantenuto un significato solo dal punto di vista materiale(5). In secondo luogo si deve tenere conto della diversa considerazione dei diritti fondamentali, che gioca un ruolo non indifferente in quanto, mentre in Francia la tutela dei diritti ruota attorno al c.d. “blocco di costituzionalità” (6), cui si sono aggiunte le forme di tutela europee (CEDU e CFDUE) (7), in Italia è affidata ancora prevalentemente al catalogo costituzionale(8). Infine, non si deve trascurare che la presenza del Prefetto nel territorio pone in relazione il rappresentante dello stato con gli enti territoriali e, da questo punto di vista, gioca un ruolo non indifferente la diversa configurazione della Regione nei due ordinamenti (9).
 
3. Per puntualizzare la figura del Prefetto in Francia occorre distinguere, preliminarmente, due nozioni tipiche del diritto amministrativo di quel Paese: la decentralizzazione e la deconcentrazione: la prima corrisponde all’attribuzione di una certa autonomia ad una collettività che si amministra liberamente attraverso consigli elettivi e sotto il controllo del governo; la seconda si caratterizza per l’intervento di una autorità statale non centrale(10).
Il prefetto, in tale ordinamento, risulta quindi una tipica forma di deconcentrazione dello Stato: assume infatti il ruolo di rappresentante dello Stato nel territorio del Dipartimento, le cui procedure di nomina sono disciplinate dalla Costituzione.
In base all’art. 72, u. c., Cost.  “Nelle collettività territoriali della Repubblica, il rappresentante dello Stato (è il) rappresentante di ciascun membro del governo, è responsabile in materia di interessi nazionali, controllo amministrativo e rispetto delle leggi”.
In generale, l’intervento del Prefetto riguarda la sfera della politica e, soprattutto, quella dell’amministrazione (11).
Politicamente il Prefetto ha il ruolo di mediare tra il potere centrale, gli amministrati e i loro eletti; trasmette le richieste ai ministri competenti, dopo averle istruite, analizzate e valutate con proprio parere e, soprattutto, assicura una costante informazione al Governo centrale su quanto accade nella circoscrizione affidatagli, anche con riferimento ai movimenti dell’opinione pubblica; in altre parole, è la principale fonte di informazione del governo centrale.
Dal punto di vista amministrativo, il Prefetto svolge a livello territoriale una serie di funzioni proprie dello Stato. In primo luogo, è l’autorità di polizia amministrativa e, in tale qualità, adotta le misure necessarie al mantenimento dell’ordine pubblico. Le nozioni di polizia e di ordine pubblico vanno rapportate non solo alla tranquillità della vita sociale, ma soprattutto alle misure che riguardano le attività umane in relazione a determinati ambiti tra cui anche la tutela dell’ambiente. Rispetto agli individui può adottare prescrizioni e autorizzazioni; dispone altresì per l’ordine pubblico delle forze di polizia ed esegue le decisioni giudiziarie.
In secondo luogo, il Prefetto partecipa al controllo dei comuni, dei dipartimenti, delle collettività infraregionali e delle persone giuridiche di diritto pubblico (établissements publics) di livello dipartimentale, anche con riguardo al controllo di bilancio.
In terzo luogo, il Prefetto è il responsabile dell’amministrazione civile dello Stato nel dipartimento, eccetto alcuni casi, quali esattamente: la giustizia, l’educazione nazionale e l’Amministrazione fiscale. Per assolvere a questa funzione è dotato di specifici poteri: può ricevere deleghe dai ministri ed è titolare del potere ordinamentale sui servizi deconcentrati dello Stato; assegna – a chi designa come “capo progetto” – il compito di animare e coordinare l’azione di più servizi, allorquando si tratta di azioni concorrenti per la messa in opera di una medesima politica pubblica (in questa stessa ipotesi, può anche proporre al governo la fusione di più servizi); determina le disposizioni concernenti le procedure che devono essere seguite per i processi riorganizzativi dell’amministrazione statale o di organismi responsabili di un servizio pubblico. I provvedimenti individuali possono essere assunti solo dal prefetto.
In quarto luogo, egli è l’animatore dell’economia del suo dipartimento, sia per la possibilità di ripartizione dei fondi per investimenti, e sia per i suoi rapporti con le forze sociali, imprese, sindacati, ecc.
Le disposizioni che disciplinano i poteri e le funzioni del Prefetto puntano al conseguimento di un doppio scopo: per un verso, si tende a realizzare la coerenza dell’azione dello Stato, evitando la suddivisione e la dispersione tra le diverse divisioni generali. La circostanza che nel corso degli anni la Francia abbia realizzato un’accentuata decentralizzazione aumentando i poteri locali e realizzando la regione, ha reso ancora più necessaria la figura di un rappresentante dello Stato dotato di forti poteri. Per altro verso, la deconcentrazione dei poteri presuppone effettivamente un centro di decisione realmente operativo. La scelta del Prefetto come punto di riferimento essenziale del trasferimento di competenza tende a contenere i rapporti diretti dei capi dei servizi con le amministrazioni centrali, in modo da evitare la risalita del potere di decisione, dal territorio al centro, e l’appesantimento della gestione.
La legislazione, nel perseguire gli obiettivi di un nuovo rafforzamento della deconcentrazione, ha consolidato il ruolo della circoscrizione dipartimentale, come centro territoriale per l’attuazione delle politiche nazionali ed europee; di qui la necessità del potenziamento dei poteri prefettizi (12).
 
4.  L’ordinamento francese si è regionalizzato in un arco di tempo abbastanza lungo; sin da subito è stata istituita la figura del Prefetto della Regione, che ha poi subito una progressiva evoluzione fino al suo rafforzamento avvenuto nel 2010 (13).
Il Prefetto della Regione è il prefetto del comune capoluogo di Regione ed ha in via di principio gli stessi poteri di rappresentanza e le medesime funzioni del Prefetto dipartimentale, riferite all’intera regione e assume, perciò, anche la funzione di controllo amministrativo nei confronti della Regione, oltre che delle collettività decentralizzate del Dipartimento (14).
Il Prefetto regionale dirige sotto la sua autorità i servizi dell’amministrazione civile dello Stato, organizzata in direzioni regionali, ed esercita altresì il controllo sulle persone giuridiche di diritto pubblico (établissements publics) di livello regionale o di tipo interregionale che abbiano la loro sede nel territorio della regione.
Le competenze specifiche del prefetto regionale ricadono nelle materie dello sviluppo economico e sociale, della pianificazione territoriale e degli investimenti pubblici.
Egli, tra l’altro, ha il compito di raccogliere le informazioni e di preparare le proposte utili per l’elaborazione del piano nazionale, riferito alla regione, acquisendo i pareri dei consigli, di cui cura successivamente l’esecuzione. Inoltre, ha il compito di concludere a nome dello Stato i contratti di piano negoziati tra lo Stato e la Regione che hanno una funzione importante per la definizione del partenariato tra il centro e la regione; infine, fissa gli orientamenti necessari cui si devono conformare i prefetti dipartimentali.
Per ciò che concerne gli investimenti civili dello Stato e le sovvenzioni la normativa ha rafforzato le competenze del prefetto regionale. Rientrano nella sua competenza gli investimenti di interesse regionale o dipartimentale; sono esclusi perciò gli investimenti definiti con decreto di interesse nazionale. Per questi ultimi, il prefetto deve essere informato dal ministro competente e può anche ricevere una delega per il rilascio delle autorizzazioni previste dal programma.
Quanto agli investimenti di interesse regionale e dipartimentale, i ministri delegano al prefetto regionale l’adozione delle autorizzazioni di programma e conferiscono le risorse sotto forma di dotazione globale. Il prefetto provvede alla ripartizione delle risorse dopo avere assunto il parere del Comitato amministrativo regionale (CAR); egli decide sull’utilizzazione di queste per ciò che riguarda gli investimenti di interesse regionale e delega i suoi poteri ai prefetti di dipartimento per l’utilizzazione delle dotazioni relative agli investimenti di interesse dipartimentale.
La legislazione nel tempo ha rafforzato i poteri del prefetto regionale, affidandogli un compito di direzione dei prefetti di dipartimento per l’attuazione delle politiche nazionali ed europee concernenti lo sviluppo economico e sociale e la pianificazione del territorio.
Il prefetto regionale, perciò, è destinato a diventare il vero capo dell’amministrazione statale nella regione con un potere aumentato nei confronti dei servizi deconcentrati regionali così come sui prefetti di dipartimento. Questa riforma è stata realizzata con il decreto 2010-146, che ha modificato il decreto del 2004 e ha posto ormai i prefetti di dipartimento sotto l’autorità dei prefetti regionali, salvo che nel caso degli stranieri, della polizia amministrativa e del controllo di legalità sulle collettività territoriali.
 
5. Un esempio del ruolo svolto dal prefetto deriva dall’implementazione della politica europea e di coesione economica e sociale, che consente anche una relazione diretta con gli uffici della Commissione europea (15).
In particolare, il prefetto francese accanto alla classica trilogia: sicurezza, tranquillità e salubrità, utilizzata per descrivere i suoi compiti, possiede dei poteri discrezionali che si estendono ormai all’organizzazione intercomunale e al ruolo delle regioni, anche in relazione alle politiche nazionali ed europee. Il prefetto dispone, infatti, della gestione diretta di fondi nazionali ed europei ed ha un ruolo centrale nella politica di sviluppo regionale, nazionale ed europea; ha a disposizione mezzi diretti di intervento per sostenere le imprese in difficoltà; per favorire la formazione delle imprese; per la modernizzazione delle imprese; per accompagnare le imprese nei processi di internazionalizzazione; per le azioni finalizzate al sostegno del lavoro; per azioni di sviluppo economico.
Queste circostanze comportano la necessità di dotare le prefetture dipartimentali e regionali di una struttura amministrativa particolarmente importante in termini organizzativi e finanziari. Ne consegue un ricollocamento dello Stato francese a livello locale, che non compromette l’autonomia e il ruolo delle collettività territoriali, ma che specifica il ruolo dello Stato rispetto a queste, potenziandone il funzionamento nella logica europea, che ha contribuito all’affermazione del processo di regionalizzazione francese, attraverso il loro coinvolgimento nell’elaborazione e nella realizzazione delle politiche pubbliche. Come è logico che sia in una fase storica come l’attuale (caratterizzata dalla globalizzazione e dal processo di integrazione europea), per la Francia la componente di amministrazione attiva dello Stato si situa a livello locale nelle prefetture le quali al contempo svolgono il compito di sovrintendere all’elaborazione della pianificazione strategica dei territori e al coordinamento delle azioni delle collettività territoriali.
La resa delle riforme, portate ininterrottamente avanti per quasi un quarantennio, sulle prefetture si avvantaggia di una formazione e di uno spirito di corpo dei prefetti che continua ad essere coeso, anche in questa fase, e rappresenta una garanzia pure per forme di sperimentazione delle riforme.
 
6. Nel caso della Spagna la complessità della presenza del rappresentante dello Stato nel territorio è conseguenza della particolare formazione del Regno spagnolo.
La figura ha anche qui un fondamento costituzionale, nell’art. 154 Cost., per il quale «Un Delegado nombrado por el Gobierno dirigirá la Administración del Estado en el territorio de la Comunidad Autónoma y la coordinará, cuando proceda, con la administración propia de la Comunidad»(16).
La presenza del delegato del Governo nella Comunità autonoma è, perciò, in qualche misura considerata una figura controversa, in quanto ritenuta il frutto di una tradizione passata che, al momento dell’adozione della Costituzione democratica e dell’instaurazione dell’ordinamento delle Comunità autonome, veniva conservata, con un ruolo politico e amministrativo limitato alla semplice cura dell’amministrazione dello Stato nel territorio regionale. Anche la previsione del coordinamento tra l’Amministrazione statale e quella regionale è stata interpretata in modo riduttivo.
Tuttavia, riflettendo sulle esperienze di altri ordinamenti, tra cui quello italiano, la dottrina spagnola ha trovato molto utile la presenza di questa figura cui spetta il ruolo di mediazione e di interrelazione tra il Governo dello Stato e le Regioni; in particolare, la funzione del delegato del governo è risultata utile per tutti i servizi integrati che richiedono la partecipazione di amministrazioni statali e regionali.
Subordinati al delegato del governo si collocano a livello provinciale i gobernadores civiles, che dipendono direttamente dal governo centrale.
La figura del delegato del governo, sulla base di quello che lascia intravvedere la disciplina costituzionale, è inseparabile dalla divisione territoriale del potere statuale che risulta articolato in Municipi, Province e Comunità autonome.  Ma al contempo la sua previsione rende indiscutibile la presenza dell’amministrazione dello stato centrale nel territorio delle Comunità autonome, cui viene demandata la realizzazione diretta dei compiti statuali nel territorio.
Tuttavia, il delegato del Governo non ha solo una funzione interna all’amministrazione statale, in quanto la Costituzione lo proietta fuori da questa affidandogli il compito del coordinamento e della realizzazione della collaborazione tra l’amministrazione statale e quella delle comunità autonome.
La figura del delegato del governo nasce connotata politicamente: il suo vero antecedente, più che dalle figure storiche della Costituzione del 1845 e, poi, del 1873 e del 1931, è rappresentato dalla figura del Commissario dello Stato contenuto nella Costituzione italiana sino alla revisione del Titolo V della Costituzione(17).
Dopo l’entrata in vigore della Costituzione il delegato del Governo venne considerato da una parte della dottrina come un “residuo dello Stato centralizzato”. Questo giudizio ha condizionato la successiva attuazione, dell’art. 154 Cost., per cui nel momento in cui si costituiscono le comunità autonome il delegato del governo si configura più come un organo di controllo e di tutela dell’attività della Comunità, (legge del 1980) che non come un organo di direzione dell’amministrazione dello stato e di coordinamento di questa con quella della Comunità(18).
La legge del 1983 cambia integralmente visione e si passa da un Delegato “fiscale” (controllore) ad un Delegato relegato al campo simbolico, in quanto la sua funzione viene ridotta alla semplice trasmissione di informazione, come un “ambasciatore del governo centrale” presso la comunità autonoma. Non si realizzava così la funzione di direzione per l’integrazione prevista dalla Costituzione, impedendo l’inserimento del Delegato nel contesto dello Stato decentralizzato(19).
La concorrenzialità, poi, con la figura del governatore civile che operava a livello provinciale, finiva con fare apparire il Delegato più come un organo con funzioni formali, che materiali, senza riuscire a mettere in piedi un coordinamento tra l’amministrazione centrale e quella regionale.
Alla fine degli anni ’90 viene approvata una legge (n. 6 del 1997) sull’organizzazione e funzionamento dell’amministrazione generale dello Stato (LOFAGE) con la quale si potenzia la figura del delegato del governo nell’ambito dell’amministrazione territoriale dello Stato attribuendogli una posizione di direzione. Il delegato diventa così l’organo più importante dell’amministrazione periferica con competenza generale che si proietta nel territorio della comunità autonoma(20).
A favore di questa evoluzione ha influito la soppressione del Governatore civile provinciale, sostituito dal Subdelegato del Governo nominato dal Delegato del Governo della rispettiva Comunità e con dipendenza gerarchica.
Con la LOFAGE si realizza quello che è stato definito un triangolo organizzativo i cui vertici sono l’autorità centrale (Ministero), la sua estensione periferica (le Delegazioni) e l’Autorità di coordinamento (il Delegato del Governo).
 
7. Non appare arduo trarre dai modelli di comparazione esposti utili indicazioni per proporre una prospettiva di riforma dell’organizzazione e del funzionamento dell’Ufficio Territoriale del Governo e, più in generale, del ruolo del Prefetto nell’amministrazione periferica dello Stato.
Tuttavia, l’insuccesso di ogni tentativo di riforma da parte dei governi che si sono succeduti sinora non assicura che il legislatore sia in grado di trarre profitto da esperienze significative per il nostro ordinamento sotto il profilo sia del modo di essere dello Stato nel territorio, sia della presenza di un sistema autonomistico articolato in Comuni, Province e Regioni.
Una prima indicazione che si evince è che lì dove l’ordinamento si regionalizza, la necessità di una rappresentanza dello Stato nel territorio non viene affatto meno.
Inoltre, la regionalizzazione richiede che la rappresentanza dello Stato nel territorio segua una strutturazione dove il carattere regionale assume un rilievo, rispetto al tradizionale metodo di organizzazione della rappresentanza dello Stato su base provinciale.
La regionalizzazione degli Stati è un elemento “di completamento” della costruzione europea che si è affermato progressivamente con il superamento della “cecità regionale” manifestata all’inizio dell’esperienza comunitaria (21). La ragione di questa evoluzione non è solo politica, e cioè non risiede solo nella volontà di fare partecipare i livelli sub-statali legittimati democraticamente alla formazione delle decisioni europee, ma è eminentemente legata alla realizzazione delle politiche europee che richiedono attività territoriali e autorità politiche di livello locale e regionale. Lo Stato, regionalizzando la propria presenza nel territorio, si adegua e partecipa direttamente alla realizzazione di queste politiche governandole in modo responsabile, soprattutto se richiedono un’integrazione di attività che lo coinvolgono direttamente.
Nel caso italiano la via seguita è stata opposta. Al momento della revisione del Titolo V della Costituzione, anziché procedere con una riforma, venne cancellata la figura del “Commissario del Governo” (cui era affidato il compito di sovraintendere alle funzioni amministrative esercitate dallo Stato e di coordinarle con quelle esercitate dalla Regione – art. 124), per esaltare l’autonomia che la revisione costituzionale conferiva alle Regioni, con il rovesciamento dell’enumerazione e l’eliminazione del controllo sugli atti, salvo poi ricentralizzarne la legislazione e le funzioni amministrative (anche per opera della Corte costituzionale) con esiti poco rassicuranti che sono davanti ai nostri occhi. La stessa disposizione che ha cercato di recuperare il contenuto della disposizione costituzionale, cioè l’art. 10 della L. n. 131 del 2003, non va oltre il tema del coordinamento e, comunque, non ha funzionato neppure in questa direzione, come strumento di raccordo tra Stato e Regioni, essendosi privilegiato il raccordo politico (il sistema della conferenze), rispetto a quello istituzionale.
Peraltro in un quadro complessivo incerto; la struttura della spesa pubblica italiana, ad esempio, dimostra che, al contrario di quanto dichiarato, non vi è stata una vera e propria regionalizzazione del nostro sistema: con la conseguenza che si sono fatte le regioni senza realizzare il regionalismo.
In tal senso, si osserva che la spesa pubblica statale non è diminuita a seguito dell’istituzione delle Regioni e, ancor più, a seguito della revisione del Titolo V della Costituzione; inoltre, il numero dei dipendenti statali, se si considerano anche quelli a tempo determinato, è rimasto invariato.
Sempre dall’esame della spesa delle pubbliche amministrazioni, poi, si evidenzia che quella statale non ha subito modifiche reali. La distribuzione, infatti, tra il centro (lo stato) e la periferia (le regioni e gli enti locali) tra il 1990 e il 2009 è passata dal 61%, al 52%, per il centro e dal 39%, al 48%, per la periferia. Il paradosso è che gli apparati centrali continuano a costare ancora il 30% del PIL, con una diminuzione sensibile della “finanza finale” dello Stato, che genera beni e servizi per i cittadini, e una crescita della “finanza strumentale”, che costituisce sostanzialmente la spesa per il personale.
Al contrario, in Francia e in Spagna lo Stato centrale continua ad essere un soggetto di amministrazione attiva e di coordinamento delle politiche pubbliche tra i livelli di governo locale, regionale e statale.
Un altro insegnamento è dato dalla stabilità dei livelli di governo comunale, provinciale e regionale, che costituisce  un presupposto per l’attribuzione di un ruolo politico e amministrativo effettivo al rappresentante dello Stato.
Infine, da ultimo, in Italia, a fronte di uno Stato che come si è dimostrato non è più capace di effettuare politiche territoriali, assistiamo ad una contestazione dei livelli territoriali, prima le province e ora le regioni, attraverso discutibili decreti legge assunti anche da un governo che, per essere tecnico, si comporta realmente in modo poco accorto (22).
Emergerebbe, quindi, un ridisegno dell’articolazione territoriale della Repubblica, basata solo sugli 8100 comuni, peraltro quasi tutti inefficienti per dimensionamento, e lo Stato centrale; si tratta di un’idea palesemente irragionevole, in contrasto non solo con l’esperienza italiana, ma anche con le esperienze degli ordinamenti europei evolutisi ormai quasi tutti in senso regionale (si veda la Francia tra tutti) e con il mantenimento di un livello provinciale per le funzioni di area vasta.
Se le regioni e le province dovessero essere spazzate via, automaticamente verrebbe meno la possibilità e il significato di una efficace rappresentanza territoriale dello Stato; questa si regge, infatti sul presupposto che vi sia, accanto allo Stato, una struttura territoriale autonoma di governo, legittimata democraticamente e in grado di svolgere politiche pubbliche di prossimità con servizi alla persona e al territorio adeguate.
Ciò rende evidente come sia altrettanto errata anche la via intrapresa dopo i proclami iniziali di abolizionismo, di procedere non all’abolizione, ma al depotenziamento delle regioni e delle province. Si tratta di una visione estranea ai sistemi europei.
Dipartimenti, Kreise, Province e Regioni, Länder e Comunità autonome sono realtà forti e politicamente significative.
In Italia bisogna, allora, tenere distinta la “questione regionale e locale” dalla “questione morale”, che tocca la classe politica tutta, compresa quella nazionale, e ragionare seriamente sull’articolazione territoriale della Repubblica consolidando il modello costituzionale uscito dalla revisione del Titolo V e rimeditando le ulteriori riforme da fare, senza logiche punitive o, peggio, moraliste.
In questo quadro, emerge subito la necessità di una grande riforma dell’amministrazione statale, con la riduzione degli apparati centrali e il potenziamento degli Uffici Territoriali del Governo. La riforma dovrebbe riguardare, oltre alla organizzazione e alla formazione del personale statale negli Uffici territoriali, soprattutto gli strumenti e le procedure di spesa finale dello Stato, che devono essere portati nel territorio e non più detenuti a livello centrale, per ricercare quelle sinergie che le diverse forme di partenariato possono offrire. Non solo la competitività dei territori si avvantaggerebbe della presenza di uno Stato presente e attivo in loco, ma anche i processi di perequazione territoriale potrebbero cominciare nuovamente ad essere pensati dopo oltre venti anni di assenza dello Stato ed essere realizzati con modalità diverse dal vecchio centralismo statale degli anni ’60 e ’70 (Cassa del Mezzogiorno, GEPI, LSU, e provvidenze assistenziali varie).
Anche per le prefetture, perciò, le condizioni di una efficace riforma sono a portata di mano, e la lezione che viene dai modelli di comparazione è sufficientemente chiara.

 
 
(1) Sul punto v. G. Lombardi, Premesse al Corso di diritto pubblico comparato. Problemi di metodo, Milano, Giuffrè, 1986; L.J. Constantinesco, Il metodo comparativo, Ed. italiana, a cura di A. Procida Mirabelli di Lauro, Torino Giappichelli, 2000; G. Sartori – L. Morlino (a cura di), La comparazione nelle scienze sociali, Bologna, il Mulino, 1991; A.A. Cervati, Per uno studio comparativo del diritto costituzionale, Torino, Giappichelli, 2009.
(2) Con riferimento al tema del Prefetto in Italia non si contano molte pubblicazioni; a tal riguardo v. R. C. Fried, Il prefetto in Italia, Milano, Giuffrè, 1967; più di recente L. Violini, I nuovi Uffici Territoriali del Governo, in Le regioni, 2001, 241-247; S. Cassese, Gli Uffici Territoriali del Governo nel quadro della riforma amministrativa, in Le Regioni, 2001, 869-878; R. Barbagallo, Note (e interrogativi) sull’Ufficio Territoriale di Governo, in Istituzioni del Federalismo, 2002, 109-117; De Nicolò, Tra Stato e società civile. Ministero dell’interno, Prefetture, autonomie locali, Bologna, il Mulino, 2003; C. Meoli, Il nuovo profilo della Prefettura-Ufficio territoriale del Governo, in Giorn. Dir. Amm. 2004, 1063-1069; Id., La Prefettura-Ufficio territoriale del Governo e il raccordo tra le amministrazioni in periferia, in Giorn. Dir. Amm., 2008, 1033-1039; A. Carnabuci, Il ruolo delle Prefetture. Uffici territoriali del Governo di fronte ai problemi del nostro tempo, in Amm. It., 2009 525-534.
(3) V. A. Combarieu, Des Pouvoirs de Police des Préfets en Général et Spéciallement en cas de Troubles, Paris, Libraires-Éditeurs, 1884; per un profilo storico che mostra il superamento della figura dell’Intendente con quella del Prefetto v. M. Biard, Les Lilliputiens de la Centralisation, Champ Vallon, Seyssel, 2007.
(4) V. N. Jacquinot, Le statut constitutionnel de l’ordre public, in Préfets, Procureurs et Maires. L’autorité publique au début du XXIème siècle, P. Mbongo et X. Latour (dir.), PUAM, Aix en Provence, 2011, 77-89.
(5) V. C. Esposito, Libertà di manifestazione del pensiero e ordine pubblico, in Giur. Cost. 1962, 194; A. Pace, Il concetto di ordine pubblico nella Costituzione italiana, in Arch. Giur. Serafini, 1963, 120; L. Paladin, Ordine pubblico, in Nss. D. I., XII, Torino, Utet, 1965, 130; U. Allegretti, Ordine pubblico e libertà costituzionali, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1976, 486; G. Corso, L’ordine pubblico, Bologna, il Mulino 1979; A. Cerri, Ordine pubblico: Diritto costituzionale, in Encicl. Giur. Treccani, XXII, Roma, 1990.
(6) La nozione di “bloc de constitutionnalité” si deve alla giurisprudenza del Conseil Constitutionnel e si collega al valore del preambolo della Costituzione, v. Décision 44 DC du 16 juillet 1971, in L. Favoreu – L. Philip, Les grandes décisions du Conseil constitutionnel, 11e éd., Paris, Dalloz, 2001, 238.
(7) V. G. Lebreton, Libertés publiques et droits de l’Homme, Paris, Armand Colin, 2005.
(8) V. P.F. Grossi, I diritti di libertà ad uso di lezioni, Torino, Giappichelli, 1991; A. Pace, Problematiche delle Libertà costituzionali, 3a ed., Padova, Cedam, 2003; P. Caretti, I Diritti fondamentali, 2a ed., Torino, Giappichelli, 2005.
(9) V., per l’Italia, A. D’Atena, Diritto regionale, Torino, Giappichelli, 2011; e per la Francia, P. Martinat, Les Régions Clefs de la décentralisation, Paris, L.G.D.J., 2010.
(10) V. J.-B. Albertini, Contribution à une théorie de l’État déconcentré, Bruxelles, Bruylant, 1998; G. Dupuis – J. Guédon – P. Chrétien, Droit Administratif, 9e éd., Paris, Armand Colin, 2004; J. Ferstenbert – F. Priet – P. Quilichini, Droit des collectivités territoriales, Paris, Dalloz, 2009, 23.
(11) V. H. Hoepffner, Légalité et opportunité dans l’action des Préfets, in Préfets, Procureurs et Maires. L’autorité publique au début du XXIème siècle, cit., 19-48.
(12) V. X. Latour, Territorialité et extraterritorialité dans l’action des Préfets, in Préfets, Procureurs et Maires. L’autorité publique au début du XXIème siècle, cit., 49-63.
(13) V. P. Martinat, Les Régions Clefs de la décentralisation, cit., 138.
(14) Comprese le forme associative dei comuni che vanno sotto il concetto di “intercommunalité”, v. M.-C. Bernard-Gélabert, L’intercommunalité, Paris, L.G.D.J., 2007.
(15) V. M. Brunazzo, Cosa ne è del Prefetto francese? La pressione europea sulla Francia della V Repubblica, in Riv. Trim. Sc. Amm., 2003, 41-52.
(16) V. E. Expósito Gómez, El Delegado del Gobierno en las Cominidades Autónomas, in  Constitución Y Democracia, Editor: Miguel A. Garcia Herrera, Bilbao, Universitad del Pais Vasco, 2004, 543-556.
(17) V.E. Expósito Gómez, Breves consideraciones sobre la figura del Delegado del Gobierno en las CCAA: sus antecedentes históricos y su desarrollo normativo por el legislador postconstitucional, paper, 2001.
(18) V. M. A. Calvo González, El Delegado del Gobierno en las Comunidades autónomas, in Revista del Departamento de Derecho Político, Núm. 5. Invierno 1979-1980, 121-127; V. A. Gonzalez Hernando, El Delegado del Gobierno en las Comunidades Autonomas, Madrid, Panorama 80, 1980.
(19) V.E. Expósito Gómez, Breves consideraciones sobre la figura del Delegado del Gobierno en las CCAA: sus antecedentes históricos y su desarrollo normativo por el legislador postconstitucional, paper, 2001.
(20) V.E. Expósito Gómez, El principio de leal colabóracion en el sistema regional espagñol, in Teoria del Diritto e dello Stato, 2005, 359-418.
(21) Secondo la nota espressione di H.P. Ipsen, Als Bundesstaat in der Gemeinschaft, in E. v. Cammerer - H. J. Schlochhauer - E. Steindorff, Probleme des europäischen Rechts, Festschrift für Walter Hallstein, Frankfurt am Main, 1966, 256, il quale, come è noto, definiva l’atteggiamento di indifferenza del livello comunitario nei riguardi delle prerogative costituzionali riconosciute ai Länder tedeschi come “Landesblindheit”.
(22) Si fa riferimento, non tanto ai molteplici profili di incostituzionalità, per i quali quasi certamente la Corte costituzionale troverà delle soluzioni più o meno bene argomentate (come è accaduto con la sentenza n. 198 del 2011, sull’art. 14 del decreto legge n. 138 del 2011), quanto alla violazione dei trattati internazionali sulle autonomie locali che espongono l’Italia in sede di Consiglio d’Europa; in particolar modo, questo sembra il caso delle previsioni del decreto legge n. 201 del 2011, che prevede l’elezione di secondo grado dei consigli provinciali. Infatti, in base all’art. 3 del Trattato in questione, “per autonomia locale, s’intende il diritto e la capacità effettiva, per le collettività locali, di regolamentare ed amministrare nell’ambito della legge, sotto la loro responsabilità, e a favore delle popolazioni, una parte importante di affari pubblici”; ed inoltre si aggiunge che “tale diritto è esercitato da Consigli e Assemblee costituiti da membri eletti a suffragio libero, segreto, paritario, diretto ed universale, in grado di disporre di organi esecutivi responsabili nei loro confronti” e che quanto previsto sulla rappresentanza democratica che l’ente locale deve avere, questa “non pregiudica il ricorso alle Assemblee di cittadini, al referendum, o ad ogni altra forma di partecipazione diretta dei cittadini qualora questa sia consentita dalla legge”. V. anche la Risoluzione 351 (2012) del Congresso dei poteri locali e regionali, 23a sessione, Strasburgo 16-18 ottobre 2012 (documento CG(23)13, relazione esplicativa), “Il secondo livello del governo locale – i poteri locali intermedi in Europa”, dove si afferma che è necessario “chiedere che l’elezione diretta dei consiglieri sia mantenuta onde mantenere la democrazia locale a quel livello di governance”.

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