Sommario:
 
 
 
 
1. Gli antefatti: l’esperienza anteriore all’avvio del processo di riforma.
 
Non si può comprendere appieno il senso, ed il travaglio, delle trasformazioni della forma di governo delle regioni italiane se non si parte da alcuni dati di inquadramento generale relativi alla situazione anteriore all’avvio del processo riformatore costituzionale e legislativo degli anni Novanta del XX secolo.
Ben più emblematici dei dati giuridici possono apparire, a questo proposito, alcuni elementi tratti dall’esperienza comune e dal livello di percezione del tema nell’opinione pubblica non specializzata. Non vi è dubbio, infatti, che tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta più della metà dei cittadini italiani, secondo una stima prudenziale, se interrogati sul nome del Presidente della Giunta della loro regione di appartenenza, non sarebbero stati in grado di dare una risposta ed un esito non molto diverso avrebbe dato il medesimo interrogativo, anche se rivolto ad un pubblico in ipotesi maggiormente interessato al tema, come quello degli studenti di primo anno delle facoltà di Giurisprudenza (1).
In alcuni casi, addirittura, alcuni Presidenti e componenti di giunte regionali sono stati investiti da inchieste giudiziarie per reati contro la pubblica amministrazione, con effetti chiaramente negativi sull’opinione pubblica.
Al di là della provocazione insita nelle righe che precedono, costituisce un dato indiscusso il carattere decisamente negativo della performance delle istituzioni regionali di governo, fino alle trasformazioni degli anni Novanta. Le ragioni di questo basso rendimento sono da tempo state evidenziate dagli studiosi (2). Esse vanno ricercate, in primo luogo, nelle soluzioni non adeguate accolte negli statuti regionali elaborati negli anni 1970 e 1971, specialmente in tema di forma di governo regionale (3). Si tratta di una inadeguatezza che si è venuta affermando sotto un profilo che nel corso degli anni è divenuto sempre più centrale nel rapporto governanti – governati, in tutti i livelli territoriali di esercizio del potere pubblico fondato sulla rappresentanza politica: mentre entravano in crisi alcune eccessive speranze riposte nella programmazione come metodo di azione regionale generale (4), assumeva sempre maggiore rilievo il tema della personalizzazione dell’azione di governo, che implica immediatezza nell’investitura dei soggetti governanti, così come nell’imputazione della responsabilità politica (5).
La forma di governo regionale accolta negli statuti delle regioni ordinarie degli anni Settanta non favoriva questa aspirazione emergente di chiara e semplice individuazione di “chi decide ed è responsabile per cosa”, così come spesso lo stesso metodo della programmazione si traduceva in una moltiplicazione ed intreccio di centri decisionali che finivano paradossalmente per demoltiplicare la capacità di decisione politica ed amministrativa, anziché renderla più efficace e mirata rispetto agli obiettivi.
Per ciò che riguarda più da vicino la forma di governo delle regioni, si possono sinteticamente richiamare le opzioni che hanno contribuito non poco a questa opera di spersonalizzazione dell’azione e della responsabilità politica: si tratta dell’indebolimento della posizione formale degli esecutivi, attraverso il riconoscimento statutario della competenza ad adottare un’ampia serie di atti amministrativi di rilevante importanza (6) in capo ai Consigli anziché alle Giunte, titolari, invece, di una competenza amministrativa meramente residuale, quand’anche questa attribuzione non veniva attribuita ai Consigli (7); ed ancora della frammentazione della compattezza delle Giunte stesse, attraverso la possibilità di revoche individuali degli Assessori da parte del Consiglio.
Le previsioni costituzionali inderogabili dell’art. 122 Cost. (nella sua originaria formulazione) sull’elezione del Presidente e degli altri componenti della Giunta, da parte del Consiglio al proprio interno, e quella dell’art. 121 sulla necessaria spettanza consiliare della potestà regolamentare costituivano il suggello di tale assetto istituzionale (8), che, nel suo inveramento ad opera degli statuti (9) si è presentato con caratteri che consentivano di ragionare, se non di forma di governo assembleare (10), sicuramente di parlamentarismo ad esecutivo particolarmente debole (11).
Eppure, quanto appena sopra rilevato non riesce ancora a rendere il senso effettivo della dinamica della forma di governo regionale italiana nell’esperienza anteriore alla riforma: che ci fosse qualcosa di ulteriore e più profondo era testimoniato dall’esperienza della forma di governo nelle regioni a statuto speciale, le quali in genere, pur prevedendo nei rispettivi statuti modelli maggiormente affini alla forma di governo parlamentare (12), hanno subito un’evoluzione – o meglio un’involuzione – analoga a quella delle regioni ordinarie. Allo stesso modo, è stata evidenziata, in sede scientifica (13), la capacità delle Giunte regionali nelle regioni ordinarie e speciali di recuperare una centralità nella gestione politico-amministrativa, nonostante ed oltre le previsioni statutarie appena ricordate.
Il mancato dispiegamento nei fatti delle potenzialità assemblearistiche degli statuti dimostra quindi che il sistema aveva trovato il suo baricentro in un elemento diverso ed ulteriore rispetto a quelli sin qui considerati; vale a dire nella presenza di partiti politici nazionali e centralizzati che hanno determinato il verso di scorrimento dell’indirizzo politico-amministrativo dalle Segreterie nazionali, a quelle regionali, alle Giunte per arrivare infine ai Consigli. Il continuum tra politica nazionale e politica regionale, che il fenomeno leghista non ha scardinato, ha fatto sì che le istituzioni regionali (specialmente di Giunta) funzionassero nel migliore dei casi come “palestre” per la formazione del personale politico più promettente, in attesa del debutto nazionale; in altre (e forse, più numerose ipotesi) come sedi per l’allocazione di politici difficilmente presentabili sulla platea della politica nazionale.
Non va dimenticato, infine, l’inserimento della questione regionale all’interno dello scenario politico nazionale degli anni Settanta ed Ottanta e l’offerta della possibilità di governo di alcune regioni al Partito Comunista Italiano quale elemento di compensazione della conventio ad excludendum dai Governi nazionali (14).
Non stupisce, quindi, che un approccio così poco genuinamente regionalista, da parte della classe politica nazionale, al tema del governo regionale abbia potuto determinare un rapido avvitamento dell’esperienza del regionalismo italiano, fino ad arrivare – in un arco di tempo relativamente breve – alle forme di degenerazione sistemica alle quali si accennava nelle righe iniziali di questo paragrafo.
 
 
2. Il mutamento del sistema elettorale per comuni e province ed il recupero di competitività politica dell’istituzione regionale.
 
Le riforme elettorali degli anni Novanta costituiscono l’elemento di rottura rispetto all’esperienza precedente: nell’arco di pochi anni tutti i livelli territoriali di governo vengono interessati da modificazioni dell’ordinamento elettorale che sconvolgono i precedenti assetti consolidati ed inaugurano una nuova fase della vita politica ed istituzionale italiana. Nel caso delle regioni ciò prelude ad una vera e propria revisione costituzionale, che resta inevitabilmente condizionata dai caratteri della precedente riforma elettorale. Tale riforma finisce per costituire un baricentro del sistema politico-istituzionale dal quale è molto difficile allontanarsi, come l’esperienza del Friuli Venezia-Giulia, da un punto di vista più propriamente politico, e quella calabrese, da un punto di vista giuridico oltre che politico, dimostrano (15).
Le “forme di governo della transizione” (16), avviate dalle predette riforme elettorali sono peraltro ancora oggi per molti versi lungi dal loro assestamento definitivo. Questo è assolutamente evidente per l’ordinamento statale, come reso evidente dalle convulse vicende finali della XIV Legislatura, culminate nell’approvazione di una discussa legge di riforma elettorale (17) e dal successivo avvio di un procedimento referendario volto alla sua abrogazione parziale (18). Anche per il livello regionale occorre, tuttavia, osservare come non solo la mancata approvazione degli statuti da parte di non poche regioni italiane, ma anche l’omessa definizione di una stabile disciplina elettorale in un numero ancora maggiore di regioni prolunghi ben oltre il dovuto il periodo della transizione (19).
Costituisce un dato ben noto il carattere “trainante” che ha assunto ai fini della riforma del sistema elettorale regionale il modello degli enti locali adottato nel 1993, ed in particolare l’investitura diretta del Sindaco (e del Presidente della provincia) associata alla previsione di un premio di maggioranza per assicurare stabilità e capacità di azione all’esecutivo locale e suggellata dal meccanismo del simul stabunt simul cadent, in caso di approvazione di una mozione di sfiducia, ovvero di dimissioni, impedimento o morte del vertice dell’esecutivo (20).
Modelli diversi di riforma della forma di governo degli enti locali, come quello adottato nella regione Sicilia con la legge regionale 26 agosto 1992 n. 7 (21) (addirittura battendo in breccia il legislatore statale), non riusciranno ad imporsi all’attenzione generale. Anzi, il modello siciliano subirà esso stesso un processo conformativo rispetto alla disciplina statale, con l’eliminazione, ad opera della legge 16 dicembre 2000, n. 25, di uno degli elementi più originali di quell’esperienza, ovvero il referendum “arbitrale” con il quale il Consiglio rimetteva al corpo elettorale la decisione sulla rimozione del Sindaco in caso di contrasto politico, a pena comunque del proprio scioglimento, in caso di mancato accoglimento della proposta stessa (22) (23).
É inutile, in questa sede, analizzare partitamente i caratteri della legge elettorale regionale n. 43 del 1995 (24). Ai fini del discorso che qui si conduce va comunque ricordato l’effetto bipolarizzante che essa ha prodotto nella competizione elettorale regionale, rispetto alla “tradizione”; effetto di portata analoga – se è consentito l’uso di una metafora – a quella di un enorme macigno gettato in uno stagno.
L’introduzione di una “designazione” del candidato Presidente della Giunta regionale da parte dell’elettorato regionale (1); la garanzia per il Presidente “designato”, e poi eletto dal Consiglio regionale ai sensi dell’articolo 121 Cost. (25), di una maggioranza stabile in Consiglio regionale grazie ad un premio di maggioranza che assicura quanto meno il cinquantacinque per cento dei seggi consiliari e l’elezione di un manipolo di “fedelissimi”(2) ed, infine, la previsione di una embrionale forma di “clausola antiribaltone” con scioglimento ex lege del Consiglio regionale al compimento del primo biennio di legislatura, nel caso di sfiducia al Presidente “designato” ed eletto, entro tale periodo (3) (26) costituiscono i tratti più significativi e rilevanti della trasformazione della forma di governo regionale e dell’immissione della stessa nel novero delle “forme di governo della transizione” sopra ricordate.
Ciò che va però maggiormente sottolineato, ai fini di questa indagine, è che la riforma elettorale appena ricordata ha costituito un’occasione fondamentale per un recupero di competitività politica dell’istituzione regionale. Grazie ad essa, a partire dalla metà degli anni Novanta, il Presidente della Giunta regionale, vulgo il Governatore regionale (27), rompe in modo clamoroso la barriera dell’anonimato e si impone all’attenzione dell’opinione pubblica regionale, se non anche, in taluni casi nazionale (28).
Le istituzioni regionali divengono così, per la prima volta, sedi di esercizio più che appetibili del potere politico e moltiplicatori della notorietà dei Presidenti di Giunta, indipendentemente dal sostegno dei partiti di appartenenza, costituendo, così, un capitolo non secondario della “personalizzazione” della e nella politica italiana” (29). Anche se finora non si registra il diretto passaggio dalla Presidenza di una regione alla titolarità di una carica primaria di governo a livello nazionale (od alla candidatura ad essa (30)), nel contesto appena descritto non sembrano porsi rilevanti ostacoli a tale eventualità.
Alla luce delle considerazioni appena svolte, sembra pienamente condivisibile l’osservazione di chi ha sostenuto che il processo riformatore della forma di governo regionale avviato nel 1995, rendendo possibile la competizione politica tra livelli di governo differenti, ha introdotto elementi di federalismo in un’esperienza istituzionale che non li conosceva ed ha consentito un’evoluzione complessiva di tutto il sistema istituzionale italiano (31).
 
 
3. La riforma costituzionale del 1999 (e del 2001 per le regioni a statuto speciale): principio di investitura diretta dell’esecutivo versus principio di autodeterminazione.
 
La legge costituzionale n. 1 del 1999, seguita a distanza di un biennio dalla legge costituzionale n. 2 del 2001 per le regioni speciali, realizza un evidente salto di qualità nel processo di trasformazione della forma di governo regionale, attraverso un inedito tentativo di far convivere diversi modelli di disciplina, sotto il profilo della successione temporale delle fonti di regolazione della materia (presenza di una disciplina transitoria dettata dalla legge costituzionale, (32) destinata ad essere sostituita dalla disciplina “a regime” dettata dagli statuti), nonché sotto quello della intensità del vincolo delle prescrizioni costituzionali (disciplina c.d. “standard” dettata dalle prescrizioni costituzionali, derogabile, ma solo in alcune sue parti, dagli statuti regionali) (33).
Nella nostra indagine non ci si può limitare a rimarcare il compromesso politico (34) evidentemente sotteso a tale non semplice intarsio di discipline e che ha trovato formalizzazione nello scambio tra elezione diretta del Presidente della regione nella fase transitoria e nella disciplina standard, da un lato, e possibilità per gli statuti, dall’altro, di accogliere un modello diverso di investitura del vertice dell’esecutivo regionale, così come nel potente meccanismo di stabilizzazione e di rafforzamento della posizione del Presidente eletto rappresentato dalla clausola “anti-ribaltone” del simul simul - ovvero l’automatico scioglimento del Consiglio in caso di sfiducia votata al Presidente, così come nel caso di morte, impedimento e dimissioni volontarie del Presidente stesso (35) - da un lato, a fronte dell’inderogabilità della prescrizione costituzionale in tema di possibilità per il Consiglio di votare la sfiducia al Presidente, qualunque sia il modello accolto dallo statuto, dal lato opposto.
In termini maggiormente significativi per il costituzionalista e della sua aspirazione a ricercare i principi sottesi alle diversificate soluzioni normative, è da rilevare come la riforma costituzionale del 1999 oscilli tra due ispirazioni profondamente diverse (36): la prima si fonda sulla valorizzazione dell’investitura diretta del vertice del potere esecutivo regionale ed accoglie in un’accezione particolarmente pregnante le suggestioni dei modelli di democrazia immediata precedentemente ricordati. Essa si realizza attraverso una soluzione predisposta dallo stesso legislatore costituzionale (statale) che viene calata, quindi, “dall’alto” all’interno delle singole esperienze regionali. La sua forza si fonda sulla saldatura tra elezione diretta (in senso proprio) del Presidente della regione, premio di maggioranza previsto dalla legge n. 94 del 1995 (nella disciplina standard) e meccanismo anti-ribaltone del simul simul, inseparabile rispetto ad ogni forma di elezione diretta del Presidente regionale.
La doppia, distinta e parallela legittimazione elettorale del Presidente e del Consiglio (nella disciplina transitoria ed in quella standard), nonché la garanzia del Presidente eletto nei confronti del Consiglio grazie al simul-simul (37)e nei confronti della Giunta attraverso il potere di nomina e revoca degli assessori (38), costituiscono un assunto di fondo della riforma, nel senso della personalizzazione dell’investitura politica dell’esecutivo (o nel senso dell’introduzione di elementi di plebiscitarismo, secondo i critici della riforma stessa (39)).
La seconda ispirazione, il secondo principio iscritto nella riforma del 1999, si muove, invece, nel senso della valorizzazione delle autonome scelte regionali in tema di forma di governo, rimettendo agli statuti, con il vincolo della necessaria sussistenza del rapporto fiduciario Consiglio-Giunta, le opzioni in tema di forma di governo locale. In questo caso, l’ispirazione è quella della valorizzazione del principio autonomistico, rimettendosi a decisioni prese a livello locale la concreta delineazione della forma di governo.
Il non facile compito di trovare un punto di equilibrio tra le due ispirazioni appena menzionate, tra loro profondamente divergenti, è affidato, dal legislatore costituzionale del 1999, al sopra ricordato intreccio di discipline transitorie, standard-derogabili e standard-inderogabili.
Come è apparso ben presto evidente, tuttavia, la capacità conformativa della disciplina transitoria, univoca nella sua applicazione a tutte le regioni ordinarie prima ed anche speciali poi (40), amplificata dalle tormentate vicende della forma di governo statale nella XIII e XIV Legislatura repubblicana (41), ha inclinato decisamente il piano a favore del principio di investitura diretta, cosicché è risultato praticamente impossibile, per i legislatori statutari ordinari e speciali, differenziarsi dal modello della forma di governo standard. Una sorta di “vincolo politico”, rappresentato dalla investitura popolare diretta del vertice del potere esecutivo, ha operato inesorabilmente nei confronti dei legislatori statutari regionali, uniformando le scelte di questi (42) e destinando al fallimento i tentativi di abbandonare di discostarsi da questo tracciato.
Se l’intento del legislatore costituzionale del 1999 era realmente quello di creare le condizioni per una coesistenza ed una interazione tra le due ispirazioni sopra richiamate - secondo una tendenza delle liberal-democrazie a far convivere componenti plebiscitarie e rappresentative da tempo evidenziata (43) - è possibile oggi, ad uno sguardo retrospettivo, avanzare consistenti riserve sul successo di una operazione che tentava di promuovere l’autonoma determinazione regionale nel momento stesso in cui offriva un “esempio” dalla capacità attrattiva pressoché irresistibile (44).
 
 
4. Il modello costituzionale di forma di governo delle regioni: oltre le colonne d’Ercole del parlamentarismo.
 
Ma quali sono i tratti di fondo di quella che si è appena definita come la forma di governo standard regionale ed in che modo essa si pone rispetto alla tradizionale teoria delle forme di governo (45)?
Dei pilastri fondamentali, tra loro intrecciati, dell’elezione diretta del Presidente della regione (1) e del meccanismo del simul stabunt, simul cadent (2), che implica, comunque, possibilità per il Consiglio di costringere alle dimissioni il Presidente (3), si è già detto: si tratta dei perni sui quali ruota l’intero modello “offerto” alle regioni dal titolo V della parte II della Costituzione riformato e nei quali si rispecchiano tutte le ansie, le frustrazioni e le aspettative della politica italiana degli ultimi anni: dalla ricerca dell’investitura popolare diretta della persona fisica posta al vertice del potere esecutivo, intesa come forma di limitazione del potere decisorio autoreferenziale dei partiti politici (46), all’ossessione anti-ribaltonistica che attraversa come un filo rosso la vita politica ed istituzionale italiana da oltre un decennio (47). A questo proposito, va subito sottolineata l’interpretazione restrittiva assunta dalla Corte in ordine alle possibilità per gli statuti regionali di attenuare il legame tra questi elementi, incidendo sul carattere della immediata preposizione alla carica insito nell’elezione diretta, ovvero sulla conseguenza dell’anticipata fine della legislatura, in caso di abbandono, a qualsivoglia titolo, della carica del Presidente eletto (48).
Va peraltro sottolineato come nella disciplina “a regime” del Titolo V non sussiste più una predeterminazione da parte della legge dello Stato del sistema elettorale del Presidente e del Consiglio, rinviandosi alla legge elettorale regionale - adottata ai sensi dell’art. 122 Cost., nei limiti dei principi fondamentali della legge cornice statale - la concreta definizione del sistema di elezione del Presidente: si tratta di un elemento di diversificazione di non poco conto tra disciplina transitoria, posta dalla legge costituzionale n. 1 del 1999, e disciplina standard, che apre alla determinazione delle regioni significativi spazi di intervento autonomo (49). L’apprezzabile scelta della legge cornice statale (legge 2 luglio 2004, n. 165) di ispirarsi a criteri di rigoroso self-restraint nella posizione di tali principi conferma tale conclusione, riavvicinando opportunamente, peraltro, il regime delle regioni ordinarie rispetto a quello delle regioni speciali alle quali l’art. 5 della l. cost. n. 2 del 2001 ha assegnato la competenza a disciplinare la materia elettorale, oltre che la forma di governo, con legge regionale approvata a maggioranza assoluta dei componenti il Consiglio regionale “in armonia con la Costituzione e i princìpi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e con l'osservanza di quanto stabilito dal[lo] (presente) Statuto”  (50).
L’esplicitazione da parte della legge n. 165 del solo vincolo della contestualità tra elezione presidenziale ed elezione del Consiglio, se si accoglie il modello standard (51), consente al legislatore regionale di intervenire ampiamente in materia, prevedendo, ad esempio, un doppio turno elettorale, che non sembra inconciliabile con la con testualità (52), ovvero il voto del candidato presidente su scheda distinta da quella per l’elezione del Consiglio. Per quanto riguarda quest’ultima ipotesi - che può far tornare alla mente la non felice esperienza israeliana del governo di legislatura (53) - va sottolineato che resta comunque fermo il vincolo di principio (54) gravante sul legislatore regionale di individuare “un sistema elettorale che agevoli la formazione di stabili maggioranze nel Consiglio regionale e assicuri la rappresentanza delle minoranze”, superando i possibili inconvenienti che l’espressione del voto disgiunto potrebbe determinare (55).
L’elezione diretta del Presidente regionale reca con sé la preminenza del Presidente stesso nei confronti degli altri componenti della Giunta (56), sancita dall’articolo 122, ultimo comma, Cost. in tema di nomina e revoca presidenziale degli assessori (57) (4), escludendosi, secondo l’interpretazione della Corte costituzionale, la coesistenza di tale potere del vertice dell’esecutivo regionale con l’attribuzione al Consiglio regionale, ad opera degli statuti, della possibilità di votare mozioni di sfiducia individuali nei confronti degli assessori (58).
Ciò non toglie, tuttavia, che la Giunta regionale resti, nella formulazione dell’articolo 121 Cost., organo a rilievo esterno, qualificato come “organo esecutivo delle regioni”, e che il comma successivo assegni al Presidente della regione la funzione di dirigere e non di determinare la politica della Giunta (59). In particolare, l’assenza di una “istituzionale” incompatibilità tra la posizione di assessore e di consigliere regionale - secondo il modello invece adottato nel testo unico dell’ordinamento degli enti locali per i comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti (60) - e la rimessione, invece, alle leggi elettorali regionali di eventuali scelte in tal senso indebolisce in modo evidente il “condizionamento” del Presidente sugli assessori, i quali, se consiglieri regionali ed in assenza di previsioni di incompatibilità, possono sempre contare sulla possibilità di un rientro in Consiglio regionale, in caso di revoca presidenziale (61). Ne risulta un certo margine di apertura della disciplina costituzionale nei confronti, innanzitutto, degli Statuti e degli atti di autorganizzazione delle Giunte regionali (62), nonché, e forse soprattutto, un rinvio agli equilibri ed ai rapporti di forza politici tra Presidente regionale e partiti politici di maggioranza. 
É da segnalare, infine, l’esplicitazione nella disciplina standard dello scioglimento del Consiglio regionale, in caso di dimissioni contestuali della maggioranza dei componenti (5). Si tratta di una previsione assente nella disciplina transitoria dettata dall’art. 5 della legge cost. n. 1 del 1999 e che per questa ragione aveva dato adito a qualche dubbio interpretativo sulla sua applicabilità pur in assenza di una positiva formulazione (63). L’espressa menzione da parte dell’art. 126, terzo comma, della Costituzione dell’istituto dell’autoscioglimento consiliare permette di superare ogni dubbio e risponde – come è stato osservato – ad una soluzione comunemente prevista per gli enti territoriali diversi dallo Stato (64).
Se si tiene conto di tutti questi elementi, non si può fare a meno di rilevare che una forma di governo siffatta offre molte difficoltà ad essere inquadrata nei modelli tradizionali del presidenzialismo e del parlamentarismo, ancorché razionalizzato.
Vero è che, per quanto riguarda la forma di governo presidenziale, in presenza di assessori esterni al Consiglio regionale - nominati e revocati dal Presidente della Giunta e, quindi, configurabili come collaboratori fiduciari di questo - nonché di una frammentazione politica in seno al Consiglio che attenua la corrispondenza tra Presidente eletto e maggioranza di elezione, ciò che si può affermare nei fatti è effettivamente un modello presidenziale, che trova il suo suggello nella impraticabilità politica della sfiducia del Consiglio al Presidente (65).
Nonostante questa ricostruzione sia in grado di rappresentare meglio di altre alcuni possibili esiti del sistema introdotto con la riforma del 1999, in ordine alla alterità e contrapposizione tra Consiglio e Giunta – e, per questa ragione, se ne terrà adeguatamente conto in sede di osservazioni conclusive del presente scritto – non sembra, però, possibile ricondurre tout court la disciplina costituzionale ad una forma di presidenzialismo. Si oppongono a tale conclusione il già ricordato principio fondamentale accolto nella legge n. 165 del 2004 che impone, in sede di definizione della legge elettorale regionale, opzioni volte a garantire “stabili maggioranze” in Consiglio e, prima ancora, la disciplina transitoria che rinvia alla soluzione della legge n. 43 del 1995 ed al premio di maggioranza a favore delle liste collegate con il Presidente eletto (direttamente ai sensi dell’art. 5 della l. cost. n. 1 del 1999).
Lo stesso carattere meramente eventuale della nomina di assessori esterni al Consiglio, oltre alla già ricordata rimessione alla legge elettorale regionale - e quindi ad una puntuale e reversibile scelta in tal senso della regione - della previsione di cause di incompatibilità tra la posizione di consigliere e quella di assessore, evidenziano un quadro dei rapporti Giunta – Consiglio che non corrisponde ai paradigmi del presidenzialismo.
Ma soprattutto, non pare compatibile con l’accoglimento del modello presidenziale la presenza del potere di esprimere la sfiducia al Presidente della regione da parte del Consiglio, sia pure con la conseguenza dell’applicazione del simul simul nel modello standard, nonché l’effetto di scioglimento del Consiglio conseguente alle dimissioni del Presidente eletto (66). I collegamenti funzionali tra esecutivo e legislativo sopra considerati appaiono, nel loro complesso, chiaramente incompatibili con i principi del presidenzialismo, fondato, come è noto, sulla separatezza strutturale tra i due poteri dello Stato in questione ed inducono a ritenere estraneo, nei suoi caratteri fondamentali, tale modello alla esperienza regionale italiana (67).
Sulla base della – inderogabile – disposizione del terzo comma dell’art. 126 Cost. che prevede la possibilità, in ogni caso, per il Consiglio di votare la sfiducia al Presidente, un consistente filone dottrinale riconduce la forma di governo regionale al modello parlamentare. Più precisamente, la presenza del rapporto fiduciario e la contemporanea dissoluzione di esecutivo e legislativo regionale, nei casi in cui tale rapporto si interrompa e ci si trovi di fronte ad un Presidente direttamente eletto, qualificherebbero in termini neo-parlamentari la forma di governo in questione (68).
Sembra però, a chi scrive, difficilmente compatibile con il nucleo essenziale del parlamentarismo un modello di forma di governo nel quale il legislativo possa sì votare la sfiducia all’esecutivo ma a pena del proprio “suicidio” istituzionale. In altri termini, il rapporto fiduciario legislativo-esecutivo sembra implicare la possibilità di sopravvivenza del primo al secondo, ed in questo senso, la preminenza del legislativo sull’esecutivo (69).
Non vi dovrebbero essere molti dubbi, invece, sulla circostanza per cui la posizione istituzionale dei Consigli viene notevolmente indebolita dalla previsione del contestuale scioglimento in caso di sfiducia espressa al Presidente od addirittura di dimissioni di questo e che questo indebolimento - qualche che sia il giudizio in termini di “politica istituzionale” che se ne può dare (70) – ha effettivamente caratterizzato l’esperienza italiana successiva alla riforma del 1999.
Se così è, sembra meglio ritenere come la forma di governo standard delineata dalla Costituzione (nonché quella transitoria dettata dalla legge costituzionale n. 1 del 1999) così come quella che è stata accolta, in ragione del vincolo politico di cui si è sopra discorso, dagli statuti entrati in vigore, oltrepassi i confini del parlamentarismo per entrare in un’inedita area della “modellistica delle forme di governo” (71) bisognosa di nuove e diverse definizioni (72).
Il superamento della forma di governo parlamentare ad opera del modello standard di forma di governo regionale è stato rilevato dalla stessa Corte costituzionale che, nella sentenza n. 12 del 2006, imperniando sulla “simultanea investitura” di Presidente e Consiglio da parte del corpo elettorale la forma di governo regionale, ne ha tratto la significativa conseguenza che “non esiste tra Presidente della Giunta e Consiglio regionale una relazione fiduciaria assimilabile a quella tipica delle forme di governo parlamentari, ma un rapporto di “consonanza politica”, istituito direttamente dagli elettori, la cui cessazione può essere ufficialmente dichiarata sia dal Presidente che dal Consiglio con atti tipici e tassativamente indicati dalla Costituzione” (73).
 
 
5. Le prescrizioni costituzionali non derogabili dagli statuti regionali in materia di forma di governo.
 
Vale la pena di considerare, a questo punto, quali siano i margini di flessibilità di questo disegno costituzionale, ovvero se esistano e quale natura abbiano i limiti ad eventuali tentativi da parte degli statuti di discostarsi dalla forma di governo transitoria e standard.
Non sembrano condivisibili, innanzitutto, alcune tesi volte a sostenere la più ampia capacità di azione degli statuti in materia, con la conseguenza che qualunque forma di governo (compatibile con i caratteri della liberal-democrazia) potrebbe essere prescelta: sarebbe il caso della forma di governo presidenziale in senso proprio, ovvero di quella direttoriale oppure ancora, anche se sembra trattarsi di un’ipotesi più teorica che reale, di quella assembleare (74).
Se è vero che il criterio di orientamento fondamentale nella materia dell’autonomia statutaria per l’interprete – ed il legislatore statutario – resta quello secondo cui “l’autonomia è la regola ed i limiti sono l’eccezione” (75), non si può negare l’esistenza di una serie di limiti costituzionalmente stabiliti alle determinazioni regionali dai quali non si può prescindere (76).
La formulazione letterale dell’art. 126, terzo comma, induce a ritenere inderogabile la previsione del potere del Consiglio di votare la sfiducia al Presidente della Giunta, con ciò rendendosi impraticabili soluzioni presidenzialiste o direttoriali (77). É questo il nesso indubitabile di perdurante collegamento della forma di governo regionale con il parlamentarismo, anche, se per le ragioni appena sopra esposte, ciò non può condurre a ritenere che di forma di governo parlamentare, ancorché “evolutiva”, si tratti (78).
Allo stesso modo, l’attribuzione congiunta, in termini che non sembrano derogabili o scindibili, al Presidente della regione della funzione di rappresentanza della regione-ente e della direzione politica della Giunta (art. 121, quarto comma, Cost.) pongono fuori quadro possibili suggestioni semi-presidenzialiste che, invece, postulano una scissione del vertice del potere esecutivo (79).
Ancora avvolto in una nebbia abbastanza fitta appare il limite dell’ “armonia con la Costituzione”, imposto agli statuti dall’art. 123 Costituzione e forse destinato a non avere mai un rilievo pratico corrispondente al suo fascino teorico (80). Esclusa una lettura di esso che consenta la deroga di singole disposizioni costituzionali ed il rispetto dei soli principi della Costituzione (81), la sua concreta delineazione appare ancora lungi dal manifestarsi.
Come è noto, il riferimento ad opera della Corte costituzionale (82) non solo “ai principi contenuti nelle singole norme della Costituzione” ma anche alle “leggi ordinarie di diretta attuazione” della Carta fondamentale, ha preoccupato parte della dottrina (83), che ha visto in tale restrittiva interpretazione una sorta di re-introduzione del vincolo di “armonia con le leggi della Repubblica” che la riforma ha inteso cancellare. In ogni caso, con riferimento al tema qui considerato e sempre in forza del criterio ermeneutico del maggior favore per l’autonomia rispetto alla eteronomia, sembra necessario attestarsi su di una interpretazione restrittiva del limite in questione, venendo utilmente in rilievo la suggestione della “clausola di omogeneità” operante nella tradizione degli ordinamenti federali, nonché dell’ordinamento europeo (84).
In questa prospettiva, ferma restando l’impossibilità di derogare alle singole prescrizioni costituzionali, si può ritenere che il vincolo in questione faccia riferimento al necessario rispetto, nelle scelte operate dagli statuti dalla Costituzione, a caratteri di fondo degli ordinamenti costituzionali contemporanei, tradizionalmente legati al tema della forma di stato, piuttosto che a quella della forma di governo (85): per fare alcuni esempi, probabilmente non esaustivi, è il caso del necessario rispetto del carattere liberal-democratico dell’ordinamento regionale, nella concreta articolazione degli istituti previsti dagli statuti, nonché, all’interno della polarità democratica, alla prevalenza degli istituti di democrazia rappresentativa su quelli di democrazia diretta (86).
Minor rilievo, ai fini della nostra indagine, assume il carattere sicuramente inderogabile della previsione dell’art. 126, primo comma, Cost., sullo scioglimento e la rimozione “di carattere sanzionatorio” rispettivamente del Consiglio e del Presidente della Giunta regionale.
Come si è già accennato, infine, la formulazione letterale dell’ultimo comma dell’art. 126 Cost. attribuisce carattere inderogabile all’ipotesi di scioglimento del Consiglio regionale per dimissioni contestuali della maggioranza dei suoi componenti, conformemente, peraltro, alla collocazione costituzionale degli enti territoriali diversi dallo Stato, per i quali non è prevista la presenza di un organo corrispondente al Capo dello Stato che possa accertare le ipotesi di impossibilità di funzionamento e, quindi, procedere, con atto controfirmato, allo scioglimento (87).
 
 
6. Linee di sviluppo dell’esperienza: il ruolo dei Consigli regionali e della Corte costituzionale.
 
Alla luce di quanto si fin qui detto, spettava ai nuovi statuti (e, quindi, in primis ai Consigli regionali) la ricerca di eventuali punti di equilibrio tra principio di autodeterminazione e principio maggioritario diversi rispetto a quelli offerti della forma di governo standard.
Ciò poteva avvenire con un margine accentuato di innovazione, mediante un abbandono del modello precostituito dell’elezione popolare diretta del Presidente ed imponendosi, in questo caso, i soli limiti inderogabili appena sopra richiamati. In questo caso, il punto di equilibrio prescelto dal legislatore statutario avrebbe evidentemente valorizzato il primo principio rispetto al secondo.
In alternativa, mediante un’opzione maggiormente condizionata dal principio maggioritario e scontando, come si è rilevato in precedenza, tutto il peso del “vincolo politico” sotteso alla riforma del 1999, nel caso di accoglimento della soluzione dell’investitura popolare diretta del Presidente della Giunta ai limiti inderogabili vanno ad aggiungersi gli ulteriori limiti del simul-simul e del potere di nomina e revoca diretta degli assessori in capo al Presidente.
Anche nella seconda ipotesi, a parere di chi scrive, gli spazi rimessi alle autonome determinazioni dei legislatori statutari regionali non possono, però, dirsi esigui, soprattutto sul piano della definizione dei rapporti tra Giunta e Consiglio (88): la trasposizione del modello del simul-simul dall’ambito degli enti locali a quello regionale non può non implicare, infatti, una serie di necessari adattamenti, in considerazione della circostanza per cui l’organo assembleare è, in quest’ultimo caso, organo legislativo, che adotta, cioè, atti con il nomen, la forza ed i caratteri propri (almeno in via generale) della legge, secondo il procedimento tipico di questa.
Del resto, come è stato osservato (89), l’ampiezza e la profondità dei poteri di intervento regolativo, tanto a livello legislativo che amministrativo, di una regione è ben diversa da quella di un comune o di una provincia di dimensioni piccole o medie. Conseguentemente, la funzione di indirizzo e soprattutto quella di controllo nei confronti dell’amministrazione regionale (e del suo vertice istituzionale: la Giunta ed il Presidente) richiede uno strumentario più ampio e penetrante di quanto l’esperienza degli enti locali conosce (90).
Oltre a ciò, in un ambito che però tocca solo tangenzialmente gli statuti regionali, si pone il rilevante campo del sistema elettorale regionale, anch’esso aperto a discipline potenzialmente differenziate ed innovative (91).
Come si è già detto, i quasi dieci anni di esperienza della riforma sin qui trascorsi hanno confermato una netta inclinazione del sistema politico-istituzionale regionale a favore della realizzazione del principio maggioritario rispetto a quello di autodeterminazione, con conseguente esclusione dei modelli di forma di governo diversi da quello standard in tutti i dieci statuti regionali ordinari approvati ed entrati in vigore.
Costituisce, a ben vedere, una riprova di tale orientamento preferenziale la stessa circostanza della mancata approvazione a tutt’oggi dello statuto in cinque regioni ordinarie (e tra queste Lombardia e Veneto (92), cioè le due regioni economicamente più avanzate d’Italia, nonché la Campania, una delle principali regioni meridionali): evidentemente, la forma di governo transitoria (sostanzialmente identica, come si è visto) a quella standard è stata reputata più che sufficiente dagli operatori politici regionali soprattutto in termini di spendibilità dell’“immagine politica” del “Governatore regionale”, tralasciando di considerare le disarmonie ed i problemi che essa determina innestandosi sugli statuti regionali degli anni Settanta, non adeguati al nuovo “equilibrio” di poteri regionali (93).
Come si vedrà in seguito, anche nelle ipotesi in cui gli statuti regionali sono stati effettivamente adottati, la valorizzazione del principio di autodeterminazione, che proprio sul ruolo e sulle funzioni del Consiglio regionale era chiamato a dare prova di sé, si è realizzata ad un livello inferiore alle aspettative.
Da quanto sin qui affermato, appare abbastanza chiaramente che chi scrive non concorda con quelle impostazioni che attribuiscono principalmente alla giurisprudenza della Corte costituzionale il mancato “decollo” dell’autonomia statutaria in tema di forma di governo regionale (94). Al di là della criticabilità di talune soluzioni puntuali su questioni anche di non secondario rilievo, non sembra, in particolare, di poter attribuire alla Corte una linea unitaria compressiva dell’autonomia statutaria.
É vero, infatti, che anche sulla Corte ha operato la suggestione del principio maggioritario e dalla sua (asserita) capacità innovativa e razionalizzatrice: in questo senso si possono, infatti leggere, alcune “ottative” affermazioni contenute nella sentenza n. 2 del 2004 sulla connessione tra elezione diretta del Presidente e la “radicale semplificazione del sistema politico”, con la connessa speranza di “eliminare ... la instabilità nella gestione politica”, che sembrano riecheggiare un po’ tralaticiamente argomenti posti a fondamento del dibattito politico che ha condotto all’approvazione della legge costituzionale n. 1 del 1999. Si tratta, però, di affermazioni che non costituiscono l’ossatura principale del ragionamento su cui la Corte fonda la propria decisione sullo statuto calabrese, che, come si vedrà, appare invece condivisibile (95).
 
 
6.1. Corte costituzionale e forma di governo regionale: valorizzazione dei margini di flessibilità del disegno costituzionale.
 
Ma al di là di queste affermazioni di carattere generale, la valorizzazione dei margini di apertura insiti nel disegno costituzionale e rimessi ad autonome determinazioni regionali è ben presente nella sentenza n. 379 del 2004, ove si sottolinea opportunamente che “la determinazione della forma di governo regionale da parte degli statuti non si esaurisce nella individuazione del sistema di designazione del Presidente della regione”, ma ben si può estendere alle “procedure e forme del rapporto fra i diversi organi regionali” ed, in particolare, tra Consiglio e Presidente della Giunta (96).
Allo stesso modo, le sentenze n. 378 e 379 del 2004 riconoscono spazi non indifferenti agli statuti regionali in ordine alla conformazione del procedimento legislativo regionale per ciò che concerne aspetti quali l’istruttoria pubblica, la motivazione, la consultazione dei gruppi di interesse (97), ovvero, in ordine alla delegificazione, al riordino e semplificazione (98), mentre in termini ancora più generali la sentenza n. 12 del 2006 ricomprende la disciplina del procedimento legislativo nella materia statutaria “principi fondamentali di organizzazione e funzionamento”.
Più ampiamente, è l’intera configurazione del micro-sistema delle fonti regionali ad essere in buona parte imperniato sugli statuti (99), anche se sul punto occorre mantenere una notevole prudenza e circoscrivere l’area di intervento degli statuti soprattutto alle fonti secondarie, nel rispetto del principio della chiusura del sistema a livello di fonti primarie (100) e della preferenza della legge (101). Non a caso, la sent. n. 378 del 2004 nel rigettare l’impugnazione governativa relativa alla Commissione di garanzia statutaria prevista dallo statuto Umbria fa leva essenzialmente sulla natura consultiva dell’attività dell’organo e sull’assenza di vincoli di raggiungimento di maggioranze qualificate o di modifica delle leggi in capo al Consiglio regionale, nel caso in cui questo non accolga i rilievi della Commissione.
 
 
6.2. Corte costituzionale e forma di governo regionale: la rilevazione delle (insuperabili) rigidità del disegno costituzionale.
 
Talvolta, a parere di chi scrive, la Corte non ha potuto fare altro che prendere atto di talune precise scelte del legislatore di revisione che possono anche apparire “rigidità” del testo costituzionale, talvolta innaturalmente sottratte al principio di autodeterminazione, ma che comunque vincolano l’interprete, in quanto incorporate in disposizioni di significato normativo sufficientemente univoco.
É il caso della disciplina, in generale, del sistema elettorale e delle ineleggibilità ed incompatibilità di Consiglieri e Presidente, che, ancorché in linea di principio fortemente connessa al tema della forma di governo, l’art. 122 della Costituzione novellato scorpora dalla competenza statutaria per assegnarla ad una – non semplice – competenza ripartita tra potestà legislativa statale e regionale (102). Cosicché, sul punto, i margini entro cui la Corte costituzionale poteva muoversi erano effettivamente molto ristretti, come la stessa Corte sembra costretta a riconoscere nella sentenza n. 2 del 2004 (103).
Sul punto sembrano comunque necessarie due precisazioni.
Va in primo luogo ricordata una ricostruzione dottrinale molto fine (104) - e non adeguatamente valorizzata dalla giurisprudenza costituzionale - tendente a considerare il riparto di competenza tra statuto e legge cornice statale nei termini di una competenza concorrente mobile, caratterizzata dalla preferenza della legge statale sopravveniente rispetto alle disposizioni statutarie. Il suo accoglimento avrebbe consentito un margine di intervento agli statuti in materia, attenuando con un’interpretazione pienamente sostenibile la rigidità del quadro costituzionale.
Secondariamente, va riconosciuto che la posizione restrittiva della Corte, che pure qui non si considera priva di fondamento, diventa non più condivisibile se riferita ai divieti di rielezione, dopo un certo numero di mandati, del Presidente della Giunta (105), ovvero alla previsione di incompatibilità tra la carica di assessore e consigliere che, come è stato evidenziato (106), fanno intimamente corpo con i caratteri della forma di governo e non rispondono alle tradizionali rationes sottese alla previsione delle cause di ineleggibilità ed incompatibilità.
Alla rilevazione di una “voluta” rigidità del modello costituzionale va ricondotto anche, a parere dello scrivente, l’orientamento accolto dalla Corte in tema di modalità di elezione del Presidente della regione, oggetto della ormai celebre sentenza n. 2 del 2004.
Il tema, come è noto, è stato oggetto di vivaci scontri, anche in sede dottrinale (107). A questo proposito, mi sembra condivisibile, sul piano metodologico, l’atteggiamento di chi (108) preliminarmente sottolinea l’esigenza di avvicinarsi a questo argomento rinunciando a far valere considerazioni non solo, ovviamente, di merito politico ma anche, per così dire, di merito costituzionale, per individuare i margini di flessibilità interpretativa della disposizione dell’art. 122 Cost. la quale prevede l’elezione a suffragio universale e diretto del Presidente della Giunta, se non diversamente disposto dallo statuto, con le conseguenze già precedentemente ricordate.
É proprio sulla base di un’interpretazione letterale – rigida come tutte le interpretazioni letterali, ma prioritaria rispetto agli altri canoni interpretativi – che il riferimento della disposizione all’elezione del Presidente renda inammissibile la configurazione di tickets presidenziali (Presidente e Vice-Presidente, destinato a succedere al primo senza che scatti il meccanismo del simul-simul) (109). Ogni altra considerazione, legata al sistema politico-partitico regionale ed a forme surrettizie di resistenza nei confronti dell’asserita attitudine semplificatrice ed anti-ribaltonistica del simul-simul appare, quindi, ultronea. Sotto questo punto di vista, pare da condividersi la soluzione negativa espressa dalla Corte già con riferimento al regime transitorio nella sentenza n. 304 del 2002 e confermata nella pronuncia n. 2 del 2004.
Ma interpretazione letterale non significa interpretazione “letteralistica”, che prescinde cioè dalla effettiva “volontà del legislatore” - ovviamente intesa in senso oggettivo - per usare l’espressione dell’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale (110).
É questa la ragione per cui l’indicazione del Presidente della Giunta da parte del corpo elettorale, senza che il Consiglio regionale chiamato ad intervenire successivamente per la “nomina” abbia la possibilità di scegliere un altro soggetto (111) ed anzi con l’applicazione del simul-simul in caso di mancata ratifica della scelta popolare, equivale, anzi ha la sostanza di una elezione popolare diretta, cosicché è apparsa giustamente inammissibile al Giudice di costituzionalità delle leggi – sempre nella sentenza n. 2 del 2004 - la pretesa dello statuto calabrese di derogare alla regola del simul-simul in caso di dimissioni del Presidente indicato dal corpo elettorale e nominato dal Consiglio regionale.
Anche in questo caso, la Corte prende atto di rigidità (condivisibili o non condivisibili in termini di politica del diritto) della disciplina costituzionale; rigidità che possono essere evitate, come ricordato nella stessa sentenza n. 2 del 2004, solo attraverso la “via maestra” di soluzioni statutarie diverse da quella derogabile standard offerta dal titolo V riformato (e per quanto arduo si presenti imboccare una qualunque di queste vie alternative, si può aggiungere) (112).
 
 
6.3. Corte costituzionale e forma di governo regionale: alcuni casi di eccessiva rigidità nell’interpretazione della potestà statutaria.
 
 
Se nel paragrafo precedente si è ragionato essenzialmente di limiti interni al sistema costituzionale, fuoriescono, invece, da tale ambito alcune conclusioni ulteriori che la Corte ha tratto dall’elezione diretta del Presidente della Giunta e dal principio maggioritario che può dirsi ad esso sotteso.
É il caso della affermata inammissibilità di un’investitura fiduciaria da parte del Consiglio del Presidente eletto. Nella prospettiva che mi sembra preferibile, nulla impedirebbe che all’instaurazione del rapporto corpo elettorale – Presidente che si ha con l’elezione si aggiunga un circuito ulteriore e diverso, maggiormente riconducibile alla matrice del parlamentarismo anche se non identificantesi con il parlamentarismo stesso, rappresentato dall’esplicitazione del rapporto fiduciario con il Consiglio. Ciò a condizione, si badi, dell’applicazione del meccanismo del simul-simul, nel caso in cui tale investitura venga negata.
Si tratterebbe, appunto, di due circuiti diversi e paralleli che potrebbero rappresentare una diversa combinazione del principio maggioritario e di quello di autodeterminazione, nella prospettiva di una maggiore valorizzazione del ruolo del Consiglio regionale. Sotto questo punto di vista, appare eccessivamente irrigidente ed in un certo senso “suggestionata” dalla forza del principio maggioritario la chiusura della Corte nei confronti di opzioni degli statuti orientate in tale direzione, come emerge a chiare lettere dalla sent. n. 12 del 2006, ma come era già anticipato dalle sentt. n. 372 e 379 del 2004 (113).
Anche l’obiezione secondo cui l’inammissibilità di un voto di fiducia iniziale in senso tecnico deriva dal numerus clausus delle ipotesi di interruzione del rapporto fiduciario previste dall’art. 126 ed, in particolare, dalla previsione della necessità della maggioranza assoluta per votare la sfiducia al Presidente della Giunta, ex art. 126, secondo comma Cost. (114), non pare risolutiva. Altro pare infatti l’introduzione di un elemento di rafforzamento e stabilizzazione degli esecutivi regionali in carica, rappresentato dall’onere di raggiungimento della maggioranza assoluta per approvare la mozione di sfiducia, altro la previsione di una verifica iniziale della sussistenza di un sufficiente gradimento ed affidamento del Consiglio nei confronti dei componenti della Giunta (Presidente ed assessori dallo stesso nominati, alcuni dei quali probabilmente scelti al di fuori di designazioni da parte delle forze politiche di maggioranza) e del programma della stessa Giunta (115).
Allo stesso modo e generalizzando quanto appena detto, le ipotesi di interruzione del rapporto di “consonanza politica” (per usare le parole della sent. n. 12 del 2006) previste dall’art. 126 Cost. sembrano riferirsi ad un momento successivo e diverso rispetto ad una (eventuale, in quanto prevista dagli statuti) verifica iniziale di tale consonanza.
Secondo una logica non dissimile, ma con la consapevolezza che in questo caso si rischia di minare la compattezza degli esecutivi regionali, a qualche dubbio si espone la dichiarazione di incostituzionalità delle norme statutarie che prevedevano la mozione di sfiducia individuale sui singoli assessori, contenuta nella sentenza n. 12 del 2006.
Ferma restando la non sottraibilità al Presidente eletto del potere di nomina e revoca degli assessori, si collocherebbe in una logica di instaurazione di ulteriori nessi fiduciari tra esecutivo e Consiglio regionale la possibilità di costringere il Presidente alla revoca dell’assessore sfiduciato dal Consiglio, secondo un diverso punto di contemperamento tra principio maggioritario e principio di determinazione. Si può discutere sui possibili problemi di funzionalità che una soluzione di tale tipo comporterebbe, ma non sembra che essa sia in grado di compromettere tratti essenziali della riforma, tanto più che la Giunta regionale resta organo a rilevanza esterna della Regione ex art. 121 Cost. e gli assessori regionali non sono configurabili come una “squadra” di collaboratori personali del Presidente, come si trattasse di una forma di governo presidenziale (116).
 
 
7.  Nuovi statuti e vecchi Consigli regionali.
 
Non si può fare a meno di constatare il carattere complessivamente insoddisfacente dell’esperienza sino ad oggi maturata, in tema di compiuta definizione della forma di governo regionale ad opera dei nuovi statuti di autonomia.
Ne costituisce la dimostrazione più evidente la circostanza – già ricordata a suo tempo – della mancata adozione da parte di cinque regioni ordinarie dell’atto che dovrebbe esprimere più di ogni altro, anche sotto il punto di vista simbolico, la capacità di autogoverno di una collettività territoriale (117).
La sostanziale omogeneità delle soluzioni accolte in tema di forma di governo negli statuti sin qui approvati testimonia, invece, ancora una volta, una uniformità di fondo del sistema politico e partitico delle diverse regioni italiane che rappresenta il vero elemento di continuità tra l’esperienza anteriore al processo riformatore degli anni Novanta del secolo scorso e l’esperienza attuale e che certo non lascia ben sperare per il futuro (118). Se è vero che la crisi dei Consigli regionali viene da lontano (119), certo è che essa appare ben più grave in un quadro costituzionale che si caratterizza per un rafforzamento delle competenze regionali come quello attuale.
Per quanto riguarda più specificamente i Consigli regionali, va rilevato che i ritardi e l’assenza di originalità nell’elaborazione statutaria (120) rendono tale organo un soggetto dai contorni ancora indefiniti nel sistema di governo regionale, contribuendo così ad accrescere i “colpi inferti al costituzionalismo” (121) che la complessiva vicenda di approvazione dei nuovi statuti ha, sotto diversi profili, messo in luce (122).
I versanti applicativi di questa crisi di progettualità sono molteplici. Nei paragrafi successivi si cercherà di passarli rapidamente in rassegna.
 
 
7.1.  Requisiti per la formazione dei gruppi consiliari.
 
Dal punto di vista organizzativo (123), si può innanzitutto menzionare la colpevole trascuratezza in ordine alla disciplina dei gruppi ed in particolare la mancata introduzione negli statuti di meccanismi anti-frammentazione, che tanto più si impongono in seno a collegi di dimensioni limitate nei quali la rendita di posizione del micro-gruppo risulta inevitabilmente moltiplicata, introducendo elementi di pericolosa instabilità (124).
Se il divieto di mandato imperativo costituisce uno dei sicuri limiti all’autonomia statutaria estraibili dal vincolo di armonia con la Costituzione – indipendentemente, quindi, dalla previsione dell’art. 4, comma 1, lett. c) della legge n. 165 del 2004 (125) – e ciò preclude l’introduzione di discipline che limitino il diritto del consigliere regionale di trasmigrare da un gruppo ad un altro e, comunque, di abbandonare il proprio gruppo originario, è proprio sui limiti quantitativi per la composizione di un gruppo che occorre operare per introdurre elementi di razionalizzazione nell’organizz(azione) del Consiglio e ciò anche a prescindere dall’accoglimento di un modello rigoroso di democrazia maggioritaria (126).
Mentre non pochi statuti tacciono completamente sul punto, rinviando ai regolamenti consiliari, in altri la previsione di soglie molto basse per la costituzione di gruppi consiliari ulteriormente temperate da possibili deroghe (127), fino ad arrivare all’estremo del gruppo mono-cellulare consentito dall’art. 16, secondo comma, dello statuto della Toscana (128) e dall’art. 36, secondo comma, dello statuto dell’Emilia-Romagna, costituisce comunque una grave causa di alterazione della normale funzionalità del Consiglio, destinata a riflettersi nei rapporti con l’esecutivo regionale, se non, addirittura, ad essere utilizzata strumentalmente dal secondo nei confronti del primo.
 
 
7.2.  Lo statuto delle minoranze o dell’Opposizione.
 
Anche se il sistema rappresentativo regionale non si dovesse strutturare secondo un modello bipolare - e ciò nonostante l’orientamento del sistema implicito nell’elezione diretta del Presidente della Giunta (129) e le disposizioni di principio della legge n. 165 del 2004 che vincolano il legislatore regionale a prescegliere sistemi elettorale in grado di determinare “salde e stabili” maggioranze – una tendenza ormai diffusa nel parlamentarismo contemporaneo impone la adeguata considerazione e garanzia delle minoranze, se non dell’Opposizione (130), ad opera di specifici istituti di diritto parlamentare (131).
Tali esigenze si presentano anche con riferimento agli ordinamenti regionali (132) e richiedono la determinazione di una serie di punti fermi posti dallo stesso statuto regionale, chiamato a disciplinare i “principi fondamentali di organizzazione e funzionamento” dell’ente regione, oltre che la sua “forma di governo”, spettando ai regolamenti consiliari la specificazione di tali principi.
Se quindi, negli ordinamenti statali è soprattutto nei regolamenti parlamentari che la specificazione della disciplina di garanzia delle minoranze/Opposizione trova svolgimento, considerazioni diverse, in ragione del differente oggetto competenziale, devono farsi nel caso dei Consigli regionali italiani, richiedendosi un più puntuale intervento statutario anche per evitare, come è stato opportunamente notato, la possibilità di un “rinvio dilatorio” dallo statuto al regolamento (133).
Anche in questo caso, peraltro, la presenza di una serie di istituti di tutela di chi non si riconosce nella maggioranza consiliare e nei gruppi in cui questa si articola sembra connettersi, in ultima analisi, al vincolo di armonia con la Costituzione e, più specificamente, ai principi essenziali di funzionamento delle assemblee parlamentari in una forma di stato democratico.
Sotto questo punto di vista, è possibile individuare una serie di istituti nei quali può trovare realizzazione la garanzia delle minoranze ovvero, in una prospettiva più ambiziosa, lo statuto dell’Opposizione; istituti che, in questa sede, si possono solo richiamare (134): dall’attivazione dell’inchiesta di minoranza alla presidenza di talune Commissioni consiliari di controllo nonché delle Commissioni di inchiesta; dalla valorizzazione degli strumenti ispettivi attivati dalla minoranza/Opposizione alla partecipazione garantita ad organi di collegiali di “governo” dell’assemblea legislativa quali il Consiglio di presidenza, fino ad arrivare al capitolo cruciale della riserva di tempi e spazi in sede di programmazione dei lavori, per concludere con la possibilità di attivare il Consiglio di garanzia statutaria, nel caso di violazioni delle prerogative previste dallo statuto ed, eventualmente, dal regolamento consiliare.
Il quadro degli statuti regionali fino ad oggi approvato (135), complessivamente considerato, può dirsi caratterizzato in argomento da alcune luci ma anche da molte ombre. Al di là delle (comprensibili) difficoltà di definire l’ambito soggettivo della garanzia (minoranze/opposizioni/Opposizione), che rispecchia la più volte ricordata fase di transizione ancora perdurante del nostro sistema politico-rappresentativo a tutti i livelli territoriali di governo, è stata rilevata una certa inclinazione dei legislatori statutari a limitarsi a disposizioni di principio, omettendo – tranne lodevoli eccezioni come nel caso degli articoli 94 statuto del Piemonte e 31 statuto dell’Emilia-Romagna (136) e, per quanto riguarda la figura del Portavoce dell’Opposizione, l’art. 10 st. Toscana (137) – la necessaria definizione nello statuto del “catalogo” delle prerogative della minoranze e preferendo un ampio rinvio al regolamento consiliare (138), il cui procedimento di approvazione è, purtroppo, nell’esperienza delle regioni italiane, insufficientemente garantista (139) e la cui peculiare natura di fonte chiamata a realizzare la legittimazione e l’integrazione reciproca tra forze politiche contrapposte (140) si piega, in seno ai Consigli regionali, ad applicazioni non sempre commendevoli, sotto il profilo del rispetto di fondamentali esigenze di legalità (141).
 
 
7.3.  I poteri dell’esecutivo in Consiglio ed in particolare la posizione della questione di fiducia.
 
Come si è visto, la forma di governo regionale transitoria e quella standard non si caratterizzano in senso presidenziale ma, pur non potendosi definire parlamentari, presentano un elemento tipico di questa, rappresentato dalla possibilità per il Consiglio di votare la sfiducia al Presidente (e, quindi, alla Giunta).
Dalla possibilità per il Consiglio di incidere con la sanzione politica più grave (l’abbandono della carica conseguente alla sfiducia) sul Presidente e sulla Giunta (anche se a costo del proprio “suicidio” istituzionale) deriva che il Presidente, la Giunta e la Maggioranza che sostiene entrambi (142) devono essere in grado di partecipare attivamente alla determinazione dell’ “agenda dei lavori” del Consiglio.
In termini più precisi, ciò significa che il metodo naturale di organizzazione dei lavori consiliari dovrebbe essere quello della programmazione, con il riconoscimento di un peso adeguato (prevalente, quindi) alle priorità ed alle determinazioni del Presidente (e fermo restando, come si è sostenuto supra, l’esigenza di una riserva di spazi a favore delle minoranze/Opposizioni), al fine di garantire all’esecutivo regionale di poter sottoporre alla deliberazione dell’organo legislativo l’attuazione (in primis legislativa) del programma che è alla base della sua elezione ma che, al contempo, può essere sindacato dal Consiglio anche (ed al limite) attraverso lo strumento della mozione di sfiducia.
Si tratta di aspetti coessenziali al tema della forma di governo e che senza troppa difficoltà si possono definire “principi fondamentali” di funzionamento del Consiglio regionale. Ciò dovrebbe condurre ad una menzione espressa del metodo della programmazione negli statuti regionali ed, a parere di chi scrive, anche ad una definizione statutaria dei tratti essenziali di esso - quali soprattutto la maggioranza di approvazione degli atti che ne costituiscono espressione (143), la definizione, nei loro tratti essenziali, di “corsie preferenziali” per l’esame ed il voto in Consiglio su proposte provenienti dall’esecutivo regionale (144) ed, infine, il riconoscimento del ruolo distinto dell’esecutivo, della maggioranza consiliare e della minoranza/Opposizione (145) - riducendo conseguentemente sul punto il ruolo del regolamento consiliare (146).
Un corollario di tale ricostruzione - e più in generale dell’intera costruzione di un sistema di garanzie in seno al Consiglio regionale per tutti coloro che partecipano ai procedimenti decisionali di esso - appare la configurazione in termini neutri e garantistici del Presidente del Consiglio regionale, chiamato in via prioritaria a vigilare sull’osservanza delle disposizioni statutarie e regolamentari. Si tratta di una soluzione che richiede in via consequenziale l’elevazione in termini sempre e necessariamente ultra-maggioritari dei quorum di elezione dello stesso Presidente consiliare, anche se sul punto gli statuti regionali non compiono scelte rigorose e coerenti (147).
Nonostante la presa di posizione contraria di taluni studiosi, preoccupati di un eccessivo potenziamento della figura del Presidente della Giunta nei confronti del Consiglio (148), consegue a quanto sin qui sostenuto l’ammissibilità ed, in un certo senso, l’indispensabilità dell’istituto della questione di fiducia posta dal Presidente della Giunta (149) per richiamare il Consiglio e le sue articolazioni interne (maggioranza e minoranze/Opposizione) ad un’assunzione di responsabilità chiara ed esplicita in ordine a decisioni ritenute essenziali per l’attuazione del programma di governo della Giunta. Si tratta, in tali ipotesi, di verificare la sussistenza della consonanza politica richiesta tra legislativo ed esecutivo per il prosieguo della legislatura, dovendosi anzi limitare al massimo le ipotesi in cui la questione di fiducia non può essere posta per disposizione statutaria (150).
Del resto, come è stato bene osservato (151), nulla impedisce al Presidente di condizionare all’esito positivo o negativo di una deliberazione consiliare su di una proposta di provvedimento la propria permanenza in carica ed, a questo punto, conviene procedimentalizzare e formalizzare, anche a fini garantistici, in termini espliciti (nello statuto e nel regolamento consiliare) ciò che già corrisponde alla sostanza di una questione di fiducia.
E’ il caso di aggiungere che, almeno nelle ipotesi in cui la questione di fiducia acceda ad un testo normativo (ad es. un articolo di un disegno di legge, ma i regolamenti consiliari potrebbero definire in senso innovativo e secondo criteri sostanziali più raffinati tale oggetto (152)), la regola deliberativa dovrebbe essere quella generale adottata in sede legislativa e, quindi, la maggioranza semplice, a meno che lo statuto non preveda la maggioranza assoluta quale quorum deliberativo di determinati provvedimenti legislativi (153). Di qui, la conseguenza che la reiezione a maggioranza semplice della proposta sottoposta a questione di fiducia comporterebbe l’obbligo di dimissioni del Presidente, senza necessità che per raggiungere tale risultato la proposta venga bocciata con il voto della maggioranza dei componenti del Consiglio, tutte le volte che la regola statutaria è, appunto, la maggioranza semplice per l’approvazione delle leggi.
Non vi è ragione, infatti, di estendere analogicamente ad ipotesi di questo tipo la regola che il secondo comma dell’art. 126 pone per l’approvazione delle mozioni di sfiducia al Presidente (che, infatti, non accedono ad altri oggetti posti in deliberazione) ad evidenti fini di stabilizzazione e rafforzamento dell’esecutivo in carica, in termini, quindi, eccezionali e derogatori rispetto alla modalità deliberativa più direttamente espressione del principio democratico, rappresentata, appunto, dalla maggioranza semplice (154).
Va segnalato, peraltro, che l’adozione di tale soluzione presenta anche qualche vantaggio da un punto di vista pratico, responsabilizzando il Presidente ad un uso parco dell’istituto, in considerazione del maggior rischio al quale esso si espone facendovi ricorso.
 
 
7.4.  La disciplina del procedimento legislativo ed il supporto tecnico alla legislazione.
 
Una delle scommesse di maggior rilievo sulla funzionalità dei Consigli regionali, anche per quanto attiene ai rapporti con l’esecutivo regionale, riguarda la conformazione del procedimento legislativo.
Si tratta di un tema nel quale ci si poteva sicuramente attendere soluzioni più innovative dai nuovi statuti regionali.
Occorre subito precisare che il mantenimento della articolazione dei Consigli in Commissioni permanenti e sede plenaria dell’Assemblea non sembrava seriamente in discussione. Nonostante le ridotte dimensioni dei Consigli regionali rispetto alle Camere del Parlamento, il ricorso a sedi di esame preliminare dei provvedimenti, legislativi e non, costituisce una misura di razionalizzazione non rinunciabile ed in questa prospettiva si può arrivare anche a giustificare la composizione proporzionale delle Commissioni rispetto all’Assemblea (155).
Ma, appunto, il senso ed il valore della articolazione dei Consigli in Commissioni permanenti risiede nella configurazione di queste come sedi soprattutto finalizzate ad un primo esame della questione ed all’acquisizione di una serie di dati informativi e di approfondimento da mettere a disposizione dell’Assemblea (156). Ciò implica, innanzitutto, un numero ristretto di componenti delle Commissioni stesse, anche se, come è noto, ciò può comportare problemi relativamente all’osservanza del requisito della composizione proporzionale rispetto al plenum.
Ma soprattutto, tale funzione naturale delle Commissioni pone completamente fuori quadro ed espone ad una severa critica il ricorso da parte degli statuti ai procedimenti legislativi decentrati: il procedimento per Commissione in sede deliberante o legislativa, pure previsto da due statuti (157) ed anche quello per Commissione redigente, richiamato nella quasi generalità dei casi.
Pare evidente infatti, soprattutto nel caso del ricorso alla procedura deliberante, la distorsione del principio rappresentativo che regge la vita delle assemblee legislative, in presenza di collegi costituiti da un numero inevitabilmente ristretto di membri i quali deliberano in luogo di un’Assemblea che, nonostante tutte le critiche avanzate all’incremento del numero dei componenti dei Consiglio, resta di dimensioni medio-piccole (158).
Altre appaiono le vie da esplorare per un rilancio della funzione legislativa dei Consigli, solo in alcuni casi valorizzate dalle previsioni statutarie: il carattere partecipato del procedimento legislativo (159), che richiede affermazioni di principio negli statuti (160) (161) ed adeguati svolgimenti procedurali nei regolamenti consiliari, a fini di effettività e trasparenza, nonché la motivazione dei provvedimenti normativi, anche legislativi, adottati dai Consigli (162), che, a sua volta, richiede il rafforzamento della funzione conoscitiva dei Consigli alla quale si è sopra già fatto riferimento.
Tutto ciò implica, quale pre-condizione organizzativa ed istituzionale un notevole investimento sulle strutture tecniche e di supporto alla legislazione ed alla funzione di controllo (163). Se in generale, è l’intera burocrazia regionale a richiedere una strategia di valorizzazione - anche perché è probabilmente il ramo del pubblico impiego italiano che ha risentito più pesantemente dei condizionamenti dello spoils-system – un discorso particolare va fatto per le burocrazie dei Consigli regionali. Se l’obiettivo, in un certo senso inarrivabile, è rappresentato dal livello, oltre che di autorevolezza, di autonomia rispetto alla classe politica di volta in volta maggioritaria dei funzionari parlamentari, non vi è dubbio che il rilancio dei Consigli regionali passa attraverso un incremento quantitativo del numero degli addetti, e soprattutto dei funzionari, stabilmente addetti all’organo, nonché una cura sempre costante, anche attraverso iniziative congiunte tra più regioni o tra regioni e Camere o tra regioni ed istituzioni di ricerca, nei percorsi di qualificazione ed accrescimento professionale del personale consiliare (164).
 
 
7.5.  Alcune scelte di retroguardia presenti negli statuti regionali.
 
La già ricordata sentenza n. 313 del 2003 della Corte costituzionale ha fatto esemplarmente chiarezza sulla questione dell’allocazione della potestà regolamentare all’indomani della riforma operata dalla l. cost. n. 1 del 1999 ed in attesa dell’adozione degli statuti regionali (165). Non vi è alcun dubbio, oggi, che la responsabilità della scelta tecnica e politica in argomento da parte dei legislatori statutari è piena, senza condizionamenti derivanti da norme o principi costituzionali.
Partendo da questa premessa, è possibile valutare le differenti opzioni regionali (166), evidenziando il carattere retrò, per così dire, della soluzione abruzzese che ha confermato la spettanza al Consiglio della potestà regolamentare, prevedendone, addirittura, la possibile approvazione in Commissione, in sede redigente e deliberante (167). Si tratta, evidentemente, di un tentativo abbastanza maldestro di recuperare un ruolo ed un peso al Consiglio, a fronte del rafforzamento dei poteri della Giunta, trascurando le critiche da tempo avanzate alla funzionalità dell’attribuzione – prima della riforma necessitata, ma ora frutto di una autonoma (anche se discutibile) scelta ˗ di assegnare al Consiglio regionale la potestà regolamentare.
Ma ciò che lo statuto della regione Abruzzo afferma in termini netti, anche altri statuti regionali finiscono per consentire in termini più o meno ampi.
É il caso, innanzitutto, dello statuto delle Marche (168), che affida in via generale e residuale la competenza regolamentare al Consiglio, salvo che la singola legge regionale preveda una puntuale attribuzione alla Giunta, con una soluzione che affida, quindi, alle variabili maggioranze di approvazione delle leggi regionali la possibilità di scegliere tra esecuzione/attuazione delle leggi deliberata dal Consiglio (se non diversamente disposto) o dalla Giunta. Si tratta di una soluzione abbastanza criticabile, esponendo la materia dell’esecuzione (in senso ampio) in via regolamentare delle leggi, ivi compresa la delegificazione, a contrattazioni politiche contingenti sulla individuazione della sede competente (ma solo per quell’occasione!) e legittimando una duplicazione (presso il Consiglio, oltre che, come sembrerebbe più naturale, presso la Giunta) degli apparati burocratici preposti all’elaborazione di tali atti.
Speculare alla soluzione marchigiana, ma in grado di esporsi agli stessi rilievi critici, appare quella adottata dallo statuto del Piemonte (169) che attribuisce in via generale-residuale la competenza alla Giunta, salva la facoltà della legge regionale di attribuirla (“riservarla”) al Consiglio.
Ad esiti non dissimili da quelli appena descritti possono condurre, infine, le soluzioni accolte dagli statuti dell’Emilia-Romagna e del Lazio (170): in questi casi è vero che nello statuto non viene attribuita alcuna competenza in via generale ad adottare atti regolamentari, ma la previsione che la Giunta non possa esercitare tale potestà in assenza di autorizzazione legislativa riporta ai rischi di contrattazione politica su di una competenza che dovrebbe invece esserne tenuta fuori.
Conclusivamente sul punto, fermo restando che la soluzione più funzionale e coerente con la natura della competenza normativa in questione sembra essere quella dell’istituzionale attribuzione della potestà regolamentare alla Giunta, fatta propria dallo statuto della regione Puglia (171) (potendosi ammettere, semmai, l’unica eccezione dei regolamenti da adottare nelle materie di competenza esclusiva statale, delegate dallo Stato stesso alla regione ex art. 117, comma 6 Cost. (172)), occorre aggiungere che una diversa, meno intensa e più accettabile forma di coinvolgimento consiliare nei procedimenti di formazione degli atti regolamentari – ad esempio, soprattutto quelli di delegificazione o legati all’attuazione di obblighi comunitari – è rappresentata dalla previsione di pareri non vincolanti, facoltativi od, al limite, obbligatori, purché entro tempi certi e determinati, resi dai Consigli (ed all’interno di questi, dalle Commissioni consiliari) alle Giunte prima dell’adozione dell’atto.
Ulteriore fronte...di retroguardia dell’esperienza statutaria è rappresentato dalle previsioni che attribuiscono competenze di natura amministrativa in capo ai Consigli regionali. Si tratta, in primo luogo, del potere di adozione di atti di programmazione e di piano, ancorché non contenuti in atti legislativi (173): ci si trova di fronte, probabilmente, al frutto di condizionamenti culturali provenienti dall’esperienza degli statuti degli anni Settanta e dall’incrocio tra teorie della programmazione e rappresentazioni (non poco distorcenti, come si è già detto (174)) del Consiglio regionale come centro dell’azione di governo nella Regione.
Più delicata appare la questione relativa all’eventuale attribuzione al Consiglio del potere di nomina in enti e soggetti a vario titolo collegati alla regione. In questo caso, come è stato condivisibilmente osservato (175), è fondamentale distinguere la natura dell’ente per il quale è prevista la nomina e la ratio della nomina stessa. Nulla quaestio, infatti, qualora si tratti di organi di garanzia o comunque sganciati dalla logica dell’attuazione dell’indirizzo politico (di maggioranza): è naturale che lo statuto preveda la competenza del Consiglio, nel caso di elezione dei componenti del Consiglio di Garanzia statutaria o del Consiglio delle autonomie locali. In questi casi, anzi, è nella logica del sistema costituzionale che la scelta sui nominativi sia sottratta alla disponibilità della maggioranza consiliare ed, a parere di chi scrive, questa è la sola ratio che giustifica l’elevazione dei quorum deliberativi del Consiglio oltre la maggioranza semplice od, al limite, assoluta, che, si ribadisce, sono quelle direttamente collegate al principio democratico e che per essere derogate richiedono un preciso fondamento sistematico in Costituzione (176) (177).
Ben diverse considerazioni devono farsi, invece, per la previsione di competenze di nomina in capo al Consiglio regionale in relazione ad enti o aziende che partecipano alla realizzazione delle politiche della Regione o, per usare un’espressione più familiare al diritto costituzionale, anche se di recente criticata proprio con riferimento al suo impiego negli statuti, all’indirizzo politico regionale (178). In questi casi, sottrarre all’esecutivo regionale e, presumibilmente, alla Giunta (senza però potersi escludere diverse ripartizioni tra Presidente e Giunta (179)) tale competenza, ovvero condividerla con esso, evidenzia una confusione di ruoli tra maggioranza e minoranze/Opposizione che offusca il quadro delle responsabilità per le scelte e la gestione innanzi all’opinione pubblica regionale e va decisamente in controtendenza rispetto all’evoluzione delle “forme di governo della transizione”, pur non potendosi tacciare, in quanto tale, di incostituzionalità (180).
É, piuttosto, su di un incisivo esercizio della funzione di controllo nei confronti dell’operato di tutti coloro che sono chiamati a realizzare l’indirizzo politico regionale che l’attenzione dei legislatori statutari avrebbe dovuto fermarsi con particolare cura, attingendo, in questo specifico ambito, agli incisivi strumenti che nelle forme di governo caratterizzate dalla separazione strutturale tra legislativo ed esecutivo, come quella statunitense, consentono comunque il coordinamento delle funzioni (181).
Sul tema generale dell’attualizzazione del sindacato ispettivo e della funzione di controllo nei confronti del Presidente, della Giunta e dell’esecutivo regionale complessivamente inteso, emerge, invece, una certa timidezza e ritrosia ad abbandonare le soluzioni tradizionali più collaudate (182), potendosi peraltro segnalare in positivo la possibile attivazione di inchieste consiliari a richiesta della minoranza in alcuni statuti (183) e la creazione di organi consiliari permanenti come la Commissione di controllo sulle politiche regionali prevista nello statuto della regione Toscana. (184).
 
 
8.  Dagli statuti ai regolamenti “interni” dei Consigli regionali.
 
Da quanto sin qui detto emerge l’importanza cruciale del regolamento consiliare nella concreta delineazione della forma di governo regionale.
I regolamenti consiliari giocherebbero tale ruolo comunque, anche nell’ipotesi in cui gli statuti si caratterizzassero per la migliore fattura tecnica possibile. É evidente che tale importanza si accresce nel momento in cui gli statuti regionali si caratterizzano per le lacune e le arretratezze che in questo testo si è avuto modo di evidenziare in più di un’occasione.
Non è certo il caso di soffermarsi sull’importanza del regolamento consiliare nella soluzione di fondamentali problemi di diritto costituzionale delle assemblee legislative: la centralità di tale atto – ed anche il suo limite naturale (185) - consiste nella circostanza che quanto più in esso viene positivizzato, tanto più viene sottratto alla sfera della mera discrezionalità politica, gestibile, a seconda delle circostanze, in termini consociativi o di “schiacciamento” maggioritario, ma comunque, in entrambi casi, secondo criteri che finiscono per prescindere dal diritto costituzionale.
Di qui, la posizione di snodo dei regolamenti consiliari – così come ancor prima dei regolamenti parlamentari, evidentemente – tra forma di governo e sistema delle garanzie per Esecutivo, Maggioranza ed Opposizione.
A tale importanza dei regolamenti consiliari corrisponde uno storico deficit di attenzione nei loro confronti: frustrate rapidamente, ad opera della Corte costituzionale (186), alcune – probabilmente eccessive – velleità nel corso degli anni Sessanta, con riferimento ai regolamenti dei Consigli delle Regioni a statuto speciale, una sorta di cortina sembra di essere scesa su questi che solo con un pizzico di drammatizzazione potrebbero definirsi “figli di un dio minore” nel genere dei regolamenti delle assemblee legislative (187).
La nuova fase statutaria deve portare ad una rinnovata attenzione nei confronti di tali atti normativi, anche perché su di essi sono destinate a trasferirsi una serie di questioni rimaste aperte o insoddisfacentemente risolte dagli statuti: la concreta attuazione ed articolazione del principio di programmazione dei lavori consiliari (188); la compiuta strumentazione delle procedure di sindacato ispettivo e di controllo nei confronti della Giunta (189); la definizione di sedi e procedure endo-consiliari per perseguire l’obiettivo della qualità della legislazione; la identificazione dei modi attraverso i quali il principio di partecipazione dei cittadini singoli ed associati (ivi compresi, ovviamente, i gruppi di pressione) può trovare realizzazione nei procedimenti decisionali consiliari costituiscono soltanto alcuni esempi di questo imponente ed affascinante campo che si apre ai nuovi regolamenti dei Consigli regionali.
L’impresa di far uscire i regolamenti dei Consigli regionali dal cono d’ombra nel quale da decenni stazionano in sorta di condizione di interna corporis al quadrato non appare semplice. É da segnalare, peraltro, che un contributo non trascurabile potrebbe venire dai Consigli di garanzia statutaria che le Regioni italiane nella loro quasi totalità si apprestano ad istituire: è proprio la funzione ausiliaria di tali organi nei confronti dei Consigli regionali - che la Corte costituzionale stessa sembra avere valorizzato nella propria giurisprudenza, escludendo qualunque vocazione giurisdizionale in senso proprio – a venire incontro alla ricerca di spazi di giustiziabilità, ancorché non giurisdizionale, delle previsioni dei regolamenti consiliari. Con gli opportuni accorgimenti tesi ad evitare un utilizzazione strumentale ed in chiave ostruzionistica, il Consiglio per le Garanzie statutarie potrebbe essere chiamato a pronunciarsi, magari ad istanza del Presidente del Consiglio regionale in casi dubbi o ad iniziativa di significative minoranze qualificate consiliari in casi particolarmente delicati, sulla conformità al regolamento consiliare di decisioni del Consiglio regionale, nella forma di pareri e/o inviti al riesame della decisione, nel rispetto dell’autonomia decisionale ultima del Consiglio (190).
La previsione di forme di intervento consultive come quelle appena descritte rappresenterebbe un rilevante passo in avanti rispetto alla situazione attuale nella quale violazioni potenzialmente anche rilevanti della legalità statutaria e regolamentare perpetrate nei procedimenti decisionali del Consiglio non hanno alcuna rilevanza esterna, precludendo qualunque possibilità di sindacato giurisdizionale vero e proprio innanzi al Giudice (ordinario o speciale) od alla Corte costituzionale.
 
 
9.  Alcune non rassicuranti prospettive della forma di governo regionale.
 
Da quanto sin qui detto emerge chiaramente come per i Consigli regionali la riforma del regionalismo italiano avviata nel 1999 e proseguita nel 2001 rappresenti una scommessa allo stesso tempo affascinante e rischiosa.
É una scommessa affascinante perché l’ampliamento delle competenze legislative regionali dovrebbe naturalmente tradursi in un incremento dell’importanza degli organi legislativi regionali e della qualità della loro attività (qualità che non si identifica meccanicamente con la quantità di leggi prodotte (191)) ed, inoltre, ad un Presidente della Giunta (inevitabilmente) dotato di una legittimazione elettorale diretta deve corrispondere un organo di controllo politico incisivo e rafforzato.
Allo stesso tempo, ci troviamo di fronte ad una scommessa rischiosa perché mentre il rafforzamento dell’esecutivo regionale è un dato già acquisito dal sistema, il rilancio dei Consigli regionali passa attraverso statuti e regolamenti consiliari nuovi ed adeguati alle nuove esigenze. Ed abbiamo avuto modo di considerare come molte esigenze ed opportunità non siano ancora state messe a fuoco e colte dai legislatori statutari.
Anche se il sistema del simul-simul avesse dato vita ad un modello ispirato ad una netta separazione dei poteri, ispirandosi alle forme di governo presidenziali, si sarebbe comunque posta l’esigenza di una adeguata definizione degli strumenti politici di controllo del legislativo nei confronti dell’esecutivo. A maggior ragione, poiché il sistema della forma di governo regionale vede la presenza di rilevanti elementi di coordinamento tra esecutivo e legislativo (esemplificati dalla possibilità del Consiglio di votare la sfiducia al Presidente), oltre a quelli di separazione (l’elezione diretta del vertice dell’esecutivo), si pone l’esigenza di costruire efficaci strumenti in grado di garantire tale coordinamento.
Eludere tale passaggio è estremamente rischioso, come si è appena detto, soprattutto per i Consigli regionali, per i quali la riforma non appare “autoapplicativa”. In particolare, il rischio evidente è quello della emarginazione dai procedimenti decisionali, come il decremento, ed in taluni casi il crollo della legislazione regionale negli ultimi anni sembra dimostrare (192). A tale fenomeno se ne affiancano altri, da tempo noti, quali l’emarginazione dei Consigli regionali nel “sistema delle conferenze” (193) ed il ridotto ruolo degli stessi nei processi di formazione ed attuazione del diritto comunitario (194).
É evidente che non si tratta semplicemente di spostare l’ago del pendolo dai Consigli ai Presidenti ed alle Giunte regionale: il rischio insito nella marginalizzazione dei Consigli è quello della marginalizzazione della decisione lato sensu parlamentare, caratterizzata da un contraddittorio politico più ampio rispetto a quella degli esecutivi, in quanto ad essa quanto meno partecipa un soggetto o gruppo di soggetti (la minoranza/minoranze/Opposizione) per definizione tagliati fuori dai procedimenti decisionali governativi (195). A tale rischio si accompagna, moltiplicandolo, quello del mancato effettivo funzionamento del principio di balance of powers, tanto più necessario di fronte ad un organo ad elezione popolare diretta come il Presidente della Regione.
Anche senza evocare torsioni personalistiche della forma di governo regionale irrispettose del principio di democrazia rappresentativa, non mancano le ragioni per evocare alcuni preoccupanti possibili scenari involutivi della forma di governo regionale italiana.
In particolare, lo spettro da esorcizzare – tramite operazioni di riequilibrio istituzionale dei Consiglio rispetto all’Esecutivo regionale – è quello di un sistema istituzionale ad attori che non dialogano ed in cui ognuno recrimina contro l’altro (il Consiglio per l’approccio unilaterale ai problemi dei Presidenti; i Presidenti per le lentezze e l’ “indecisionismo” dei Consigli). Si tratterebbe di un sistema imperniato sulla polemica endemica e cronica tra le istituzioni regionali il cui perno sarebbe costituito dall’ “annuncio di decisione”, rispetto al quale appare secondario l’effettivo seguito decisionale. Esso poggerebbe, quindi, su di una conflittualità istituzionalizzata, dalla quale i Consigli hanno comunque tutto da perdere.
Ciò che dovrebbe comunque maggiormente preoccupare è che un tale modello finirebbe inevitabilmente per determinare la traslazione della decisione (o, più precisamente, delle decisioni non rinviabili) verso altri livelli non democraticamente visibili e responsabili. Il che segnerebbe la più cocente delle sconfitte per il nuovo regionalismo italiano.
 
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NOTE
 
 
(1)               Cfr. G. Pitruzzella, Forme di governo regionale e legislazione elettorale, in Le Regioni, 2000, 503, ponendo a confronto la riconoscibilità pubblica del Sindaco di Roma e del Presidente della regione Lazio.
(2)               Sulla crisi radicale di identità dell’ente-regione alla fine degli anni Ottanta del XX secolo, cfr. A. D’Atena, Regione (in generale), in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1987, ora in Id., Costituzione e Regioni. Studi, Milano, 1991, 66 ss.
(3)Sulla piena liceità dell’estensione della nozione di forma di governo dall’ambito statale a quello regionale – prima, ovviamente, della riforma costituzionale del 2001 che ha addirittura normativizzato la nozione - cfr. G. Pitruzzella, Forme di stato e forme di governo, II) Forma di governo regionale, in Enc. giur., XIV, Roma, 1989, 1; V. Cerulli Irelli, Sulla “forma di governo regionale”, in AA.VV., Studi in onore di Gianni Ferrara, vol. I, 2005, 675 ss.
Per un invito alla cautela su tale trasposizione cfr., invece, M. Volpi, Considerazioni di metodo e di merito sulla legge costituzionale n. 1 del 1999, in Pol. dir., 2000, 215. Sul tema, cfr. comunque le riflessioni di M. Olivetti, Nuovi statuti e forma di governo delle Regioni. Verso le costituzioni regionali, Bologna, 2002, 130 ss.
(4)               Sulla nozione di programmazione e le sue distinzioni interne nel diritto pubblico dell’economia, cfr. le sempre chiare pagine di M.S. Giannini, Diritto pubblico dell’economia, 2a ed., Bologna, 1995, Sulla programmazione in ambito regionale, cfr. soprattutto G. Amato, La programmazione come metodo di azione regionale, in Riv. trim. dir. pubbl., 1971, 413 ss.
(5)               É d’obbligo, a questo proposito, il riferimento alla concezione di democrazia immediata di M. Duverger, quale modello di democrazia evoluta nella quale si realizza l’investitura diretta del Governo – e per esso della sua figura di vertice - da parte del corpo elettorale, senza l’intermediazione partitica; concezione che in Italia ha trovato tra i suoi primi sostenitori S. Galeotti (del quale cfr., tra le altre opere, Un Governo scelto dal popolo. Il “governo di legislatura”, Milano, 1984; Id., Governo di legislatura e democrazia immediata nel progetto del gruppo di Milano, in AA.VV., Le riforme istituzionali, Padova, 1985, 89 ss.). Sulla diffusione del modello duvergeriano, cfr. S. Ceccanti, Il modello neo-parlamentare: genesi e sviluppi, in AA.VV., Scritti in onore di Serio Galeotti, tomo I, Milano, 1998, 183 ss.
(6)               Si tratta di un’ampia congerie di atti che vanno dalla partecipazione regionale alla programmazione nazionale alla pianificazione territoriale, ai piani concernenti l’esecuzione di opere pubbliche o l’organizzazione di servizi. Sul punto, cfr. L. Paladin, Diritto regionale, 7a ed., Padova, 2000, 285 s.; G. Pitruzzella, Forme di stato e forme di governo, cit., 3; A. Deffenu, Art. 121, in AA.VV. (a cura di R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti), Commmentario alla Costituzione, vol. III, Torino, 2006, 2404.
(7)               Cfr. A. D’Atena, A proposito della competenza amministrativa “residuale“ dei Consigli regionali (e del controllo sugli atti monocratici), in Giur. It., 1977, ora in Id., Costituzione e Regioni, cit., 269 ss.
(8)               Sul quale, cfr., per tutti, A. D’Atena, Regione, cit., 31; L. Paladin, Diritto regionale, cit., 275 ss.; G. Pitruzzella, Forme di stato e forme di governo, cit., 2 s.
(9)               Sui margini di apertura della disciplina costituzionale, rimessi all’integrazione statutaria, cfr. S. Ando’, Autonomia statutaria e forma di governo regionale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1971, 926 ss.
(10)            Per la quale, cfr. S. Bartholini, I rapporti tra i supremi organi di governo, Padova, 1961.
(11)            Sui diversi esiti della forma di governo parlamentare (anche in relazione alla posizione del Governo) in conseguenza del condizionamento derivante dal sistema politico-partitico sottostante, il riferimento d’obbligo è a L. Elia, Governo (forme di), in Enc. dir., vol XIX, Milano, 1970, 643 ss.; Id., Forme di stato e di governo, in Diz. dir. pubbl. vol. III, Milano, 2006. Per l’inquadramento della forma di governo delle regioni ordinarie “nell’ampio genus del governo parlamentare e nel sottotipo del governo parlamentare razionalizzato a prevalenza dell’organo assembleare”, cfr. G. Pitruzzella, Forme di stato e forme di governo, cit., 5.
(12)            L. Paladin, Diritto regionale, cit., 280 ss.
(13)            Cfr., tra gli altri, G. Pitruzzella, op. ult. cit., 3 s.; C. Fusaro – L. Stroppiana, Perfezionare la “forma di governo della transizione”. Composizione e collegialità della Giunta, in Le Istit. del Federalismo, 2001, 32 ss.; A. Deffenu, Art. 121, cit., 2404.
(14)            Come ricordato da A. D’Atena, Regione (in generale), cit., 69,
(15)            Su entrambe queste vicende, cfr. infra nel testo, rispettivamente par. 3 e par. 6.2.
(16)            Sui molteplici aspetti della “transizione” italiana, avviatasi nei primi anni Novanta e la cui conclusione non è dato ancora vedere con sufficiente nitidezza, cfr. AA.VV. (a cura di S. Ceccanti – S. Vassallo), Come chiudere la transizione. Cambiamento, apprendimento e adattamento nel sistema politico italiano, Bologna, 2004 e, per quanto qui particolarmente interessa, il saggio di C. Fusaro, La forma di governo regionale: pregi e difetti di una soluzione che funziona, ivi, 167 ss. L’appartenenza della forma di governo regionale delineata dal processo riformatore iniziato negli anni Novanta al genus delle forme di governo della transizione è stata ribadita da ultimo in C. Fusaro, Statuti e forme di governo, in AA.VV. (a cura di A. Chiaramonte - G. Tarli Barbieri), Riforme istituzionali e rappresentanza politica nelle Regioni italiane, Bologna, 2007, 19 e nota 7.
(17)            A commento della legge 21 dicembre 2005, n. 270, cfr i rilievi critici di R. Balduzzi- M. Cosulich, In margine alla nuova legge elettorale politica, in www.associazionedeicostituzionalisti.it
(18)            Sul quesito referendario, cfr. G. Guzzetta, Un referendum elettorale per completare la transizione italiana, in Rass. parl., 2006, 961 ss. Per un ampio ventaglio di opinioni sul tema, cfr. i contributi contenuti in AA.VV. (a cura di ASTRID) I referendum elettorali, Firenze, 2007.
Sull’atteggiamento “rilassato” con il quale i Consigli regionali, nello scorcio finale della VII Legislatura regionale, si sono interessati al tema della disciplina elettorale, cfr. M. Cosulich, La disciplina legislativa elettorale nelle Regioni ad autonomia ordinaria: ex uno, plura, in Le Regioni, 2004, 843 ss.
(19)            Per un quadro aggiornato degli interventi regionali in materia, che tiene conto non soltanto delle riforme organiche del sistema elettorale, ma anche dei più frequenti interventi puntuali e di dettaglio, cfr. M.C. Pacini, Nuovi (e vecchi) sistemi elettorali regionali, in AA.VV. (a cura di A. Chiaramonte - G. Tarli Barbieri), Riforme istituzionali e rappresentanza politica nelle Regioni italiane, cit., 69 ss. ove si sottolinea la sostanziale conformità di tali interventi regionali alla ratio della legge n. 43 del 1995. 
(20)            Sul “nuovo ruolo” dei comuni nella modernizzazione istituzionale degli anni Novanta, cfr. G. Pitruzzella, Sull’elezione diretta del Presidente regionale, in Le Regioni, 1999, 419; Id, Forma di governo regionale e legislazione elettorale, cit., 502 ss.
(21) Sul quale, cfr. S. Cassese, Modelli di poteri pubblici e riforma elettorale (con particolare attenzione per l’elezione del sindaco), in Le Regioni, 1992, 1681 s.; A. Cariola, Legge siciliana sull’elezione diretta del sindaco e principi generali dell’ordinamento statale, in Dir. soc., 1994, 55 ss.; M. Midiri, Forma di governo regionale e sistemi elettorali: le prospettive di revisione costituzionale e il caso siciliano, in Le Regioni, 1998, 107 ss.
Su alcune non commendevoli vicende legate alla procedura di modifica della legge elettorale siciliana sugli enti locali, derivanti dall’indebita estensione a quest’ultimo oggetto della procedura prevista per l’elezione dell’Assemblea Regionale Siciliana e per la definizione della forma di governo regionale, cfr. la ricapitolazione di G. Scala, Le leggi statutarie delle Regioni speciali, in AA.VV. (a cura di P. Caretti), Osservatorio sulle fonti 2005. I nuovi statuti regionali, Torino, 2006, 344 s.; V. Bonincelli, Un bilancio in tema di forma di governo regionale, in AA.VV. (a cura di G. Di Cosimo), Statuti atto II. Le regioni e la nuova stagione statutaria, Macerata, 2007, 116 ss.
(22) questo proposito A. Cariola, op. cit., 56, nota 2, richiama l’art. 43 della Costituzione di Weimar per un precedente simile a quello costruito dal legislatore siciliano del 1992.
(23) É degno di nota che l’art. 2, comma 2, della legge regionale n. 25 del 2000 si allontana dal principio del simul-simul escludendo che la decadenza, dimissioni, rimozione, morte o impedimento permanente del sindaco o del presidente del provincia comportino il contestuale scioglimento del consiglio. Il simul-simul è invece previsto nel caso di accoglimento di una mozione di sfiducia, anche se non si può fare a meno di segnalare l’anomalia, sotto il profilo del rispetto del principio democratico, della previsione di cui all’art. 2, comma 1, della legge regionale n. 25 del 2000, la quale richiede l’approvazione della mozione di sfiducia con la maggioranza del 65 per cento dei consiglieri assegnati o, nei comuni con meno di diecimila abitanti, la maggioranza dei quattro quinti.
(24) Sulla quale, cfr. A. Di Giovine – F. Pizzetti, Osservazioni sulla nuova legge elettorale per i Consigli regionali, in Le Regioni, 1996, 11 ss. Per una recente ricapitolazione del meccanismo di funzionamento della legge n. 43 del 1995, cfr. A. Morelli, Il problematico “bilanciamento” tra stabilità di governo e rappresentanza delle minoranze nella legislazione regionale sui sistemi elettorali, in Le Istit. del Federalismo, 2005, 210 ss. Sui risultati pratici di tale sistema elettorale, in occasione delle consultazioni del 2000, cfr. AA.VV., (a cura di A. Chiaramonte - R. D’Alimonte), Il maggioritario regionale. Le elezioni del 16 aprile 2000, Bologna, 2000.
(25) Consistenti, nella dottrina costituzionalistica, i dubbi di violazione dell’art. 121 Cost (nel testo allora vigente), nella parte in cui questo esigeva l’elezione consiliare del Presidente della Giunta, ad opera della legge n. 43 del 1995 e della soluzione dell’”indicazione” del capolista della lista regionale, sostanzialmente candidato presidente, in essa escogitata. Cfr., per tutti, A. Di Giovine – F. Pizzetti, op. ult. cit., 42; A. Zorzi Giustiniani, Potestà statutaria e forma di governo regionale dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, in Studi parl. pol. cost., 2003, 48, che ragiona in termini di “elusione” della prescrizione costituzionale. Di “aggiramento”della prescrizione dell’art. 122 Cost. scrive anche, recentemente, P.L. Petrillo, Le forme di governo regionale con particolare riferimento al riequilibrio del sistema dei poteri tra consiglio e (presidente della) giunta, in AA.VV. (a cura di M. Carli – G. Carpani, A. Siniscalchi), I nuovi statuti delle regioni ordinarie. Problemi e prospettive, Bologna, 2006, 58.
(26) Previsione ritenuta di “sicura incostituzionalità” da M. Volpi, Considerazioni di metodo e di merito sulla legge costituzionale n. 1 del 1999, cit., 214. Cfr. anche A. Zorzi Giustiniani, Potestà statutaria e forma di governo regionale dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, cit., 48.
(27) Sulla diffusione di tale denominazione che evoca una volontà (meritevole della dovuta attenzione) di distaccarsi dalla continuità della tradizione parlamentare europea a favore di quella statunitense, cfr. R. Bin, Il ruggito del Governatore, in Le Regioni, 2000, 467 ss. Lo stesso R. Bin, La nuova stagione statutaria delle Regioni, in AA.VV., (a cura di A. D’Atena), Regionalismo in bilico. Tra attuazione e riforma del titolo V, Milano, 2005, 96, in tempi più recenti ha tuttavia stigmatizzato la tendenza di taluni Presidenti regionali a comportarsi più da Governatori di colonie spagnole che di stati membri degli U.SA.
(28) Cfr. G. Pitruzzella, L’impatto dei “governatori regionali” nelle istituzioni e nella politica italiana, in Le Regioni, 2004, 1239 ss.
(29) Anche se a questo proposito non va dimenticata l’equilibrata osservazione di L. Elia, Forme di stato e forme di governo, cit., 2604 secondo cui la “Presidentialization of politics” non ha finora comportato “una vera alterazione dei dati costituzionali delle forme di governo”.
(30) Mentre, come è noto, in più di un caso si è avuta la candidatura di un sindaco (il Sindaco della Capitale) a capo di una coalizione, in occasione di elezioni politiche.
(31) Così S. Mangiameli, Aspetti problematici della forma di governo e della legge elettorale regionale, in Le Regioni, 2000 ed ora in Id., La riforma del regionalismo italiano, Torino, 2002, 85.
(32) Posta dall’art. 5 della legge costituzionale n. 1 del 1999.
(33) Sul carattere eterogeneo della disciplina della materia, risultante da una pluralità di interventi normativi cfr., per tutti, M Volpi, Considerazioni di metodo e di merito sulla legge costituzionale n. 1 del 1999, cit., 203. Per una sostanziale difesa della “logica incrementale” che ha guidato il processo delle riforme, cfr. C. Fusaro, La forma di governo regionale: pregi e difetti di una soluzione che funziona, cit., 18.
(34) Compromesso valutato severamente da M. Volpi, op. ult. cit., 211 che sottolinea la “forza pre-condizionante” della previsione costituzionale relativa all’elezione diretta del Presidente della regione sulle determinazioni statutarie. Nella medesima linea sembrano porsi le osservazioni di B. Caravita di Toritto, L’autonomia statutaria, in Le Regioni, 2004, 346 e di P. Caretti, Una valutazione realistica della nuova stagione statutaria, in AA.VV. (a cura di G. Di Cosimo), Statuti atto II, cit., 2007, 361, per il quale “l’accettazione acritica della forma di governo provvisoria era inevitabile nelle condizioni date, poiché nessuno aveva in mente di rimettere in discussione certi equilibri ormai assestati”, impostisi alla stessa legge costituzionale n. 1 del 1999.
(35) Per una giustificazione della rigidità del meccanismo del simul-simul, alla luce delle specificità del contesto italiano, cfr. C. Fusaro, La forma di governo regionale: pregi e difetti di una soluzione che funziona, cit., 183.
(36) Ispirazioni evidenziate da S. Mangiameli, Aspetti problematici della forma di governo e della legge elettorale regionale, cit., 92 ss. che ritiene prevalente la seconda rispetto alla prima. Cfr. anche A. Deffenu, Art. 121, cit., 2407 per la prevalenza del “principio di autodeterminazione organizzativa delle Regioni” deducibile dall’art. 123 Cost., rispetto alle limitazioni di detta autonomia presenti nell’art. 121 Cost., secondo un rapporto che pare di regola-eccezione.
(37) Anche se non va sottaciuta l’asimmetria presente nel modello transitorio ed in quello standard, per cui il Presidente della Regione che cambi la propria maggioranza consiliare di appoggio non viene in alcun modo sanzionato. La clausola antiribaltone funziona, quindi, in modo unilaterale: dal Consiglio verso il Presidente e non viceversa. Per la rilevazione di questo aspetto, cfr. per tutti, in termini molto chiari, R. Tosi, I nuovi statuti delle Regioni ordinarie: procedimento e limiti, in Le Regioni, 2000, 538; Id., Il sistema simul stabunt simul cadent e i cambiamenti di maggioranza, in AA.VV., (a cura di L. Carlassare), Democrazia, rappresentanza, responsabilità, Padova, 2001, 121 s.
(38) Potere di nomina e di revoca che la sentenza n. 12 del 2006 della Corte costituzionale ha assegnato al Presidente in via esclusiva. Sul punto, cfr. infra nel testo.
(39) Cfr. in particolare le osservazioni critiche di M. Volpi, Considerazioni di metodo e di merito sulla legge costituzionale n. 1 del 1999, cit.; P. Cavaleri, Elezione diretta dei Presidenti delle Regioni e democrazia, inAA.VV., (a cura di L. Carlassare), Democrazia, rappresentanza, responsabilità, cit., 106; A. Di Giovine, Appunto sulla cultura espressa dalla legge costituzionale n. 1 del 1999, in AA.VV., (a cura di G.F. Ferrari – G. Parodi), La revisione costituzionale del titolo V tra nuovo regionalismo e federalismo. Problemi applicativi e linee evolutive, Padova, 2003, 215 ss.; L. Carlassare, La sentenza n. 2 del 2004 tra forma di governo e forma di stato, in Le Regioni, 2004, 920 ss.; V Cerulli Irelli, Sulla “forma di governo regionale”, cit., 687 che scrive di «“umiliazione” della dignità costituzionale dell’assemblea rappresentativa»; N. Viceconte, Riflessioni sulla forma di governo nei nuovi statuti delle Regioni ad autonomia ordinaria, in Quad. reg., 2006, 151; A. Buratti, Dal rapporto di fiducia alla “consonanza politica”. Rigidità della forma di governo e libertà del processo politico, in Giur. cost., 2006, 101.
(40) Come dimostrato in modo evidente dalla bocciatura, in sede di referendum confermativo, della legge statutaria statutaria del Friuli-Venezia Giulia che intendeva abbandonare il modello dell’elezione diretta del Presidente regionale. Sulla vicenda, cfr. i commenti di A. Morrone, Può il Friuli-Venezia Giulia fare “marcia indietro” sulla forma di governo regionale?, in www.forumcostituzionale.it.; T.E. Frosini, Referendum in Friuli: “The day after”, in Federalismi.it , nonché l’analisi più articolata di S. Pajno, Brevi considerazioni sulla vicenda della legge statutaria friulana. Testo e contesto nella riforma delle regole, in AA.VV. (a cura di P. Caretti), Osservatorio sulle fonti 2002, Torino, 2003, 75 ss.
Sulla tendenza all’appiattimento delle Regioni speciali sul modello dell’autonomia ordinaria, cfr. G. Scala, Le leggi statutarie delle Regioni speciali, cit., 359 s.; V. Bonincelli, Un bilancio in tema di forma di governo regionale, cit., 130. A questo proposito, va rilevato che se le recenti leggi statutarie in tema di forma di governo optano tutte per l’elezione diretta del Presidente della Regione (o Provincia autonoma) (art. 20 legge regionale del Friuli Venezia Giulia 18 giugno 2007, n. 17; art. 17 legge regionale della Sardegna 7 marzo 2007; art. 3 legge della Provincia autonoma di Trento 5 marzo 2003, n. 2), alcune differenziazioni interessanti riguardano l’attenuazione della rigidità del principio del simul-simul per quanto riguarda l’art. 5 della legge trentina (mancato scioglimento del Consiglio se impedimento permanente o morte si verificano dopo i primi trentasei mesi di legislatura) e la legge sarda che non considera impedimento permanente o morte quale causa di scioglimento.
(41)Sui molteplici profili problematici della forma di governo (statale) delle transizione, cfr. i contributi presenti in AA.VV. (a cura di S. Ceccanti – S. Vassallo), Come chiudere la transizione. Cambiamento, apprendimento e adattamento nel sistema politico italiano, cit.
(42) Sul forte condizionamento determinato da tale “vincolo politico”, cfr. lucidamente R. Tosi, I nuovi statuti delle Regioni ordinarie: procedimento e limiti, cit., 538 ss.; G. Pitruzzella, Forme di governo regionale e legislazione elettorale, cit., 506.Nega, invece, l’operatività di tale vincoloS. Mangiameli, Aspetti problematici della forma di governo e della legge elettorale regionale, cit., 91.
Secondo C. Fusaro – L. Stroppiana, Perfezionare la “forma di governo della transizione”. Composizione e collegialità della Giunta, cit., 39, il “poderoso rafforzamento del Presidente regionale” non è soltanto il risultato della sua elezione diretta, ma consegue anche al sistema elettorale disegnato dalla legge n. 43 del 1995, “che assicura insieme il massimo di proporzionale ed il massimo di maggioritario” e nei confronti del quale opera un “vincolo politico” alla modifica. Di un “plusvalore politico” derivante dall’elezione diretta del Presidente della Giunta, scrive A. Spadaro, I contenuti degli statuti regionali (con particolare riguardo alle forme di governo), in Pol. dir., 2001, 307, che sottolinea, assai opportunamente anche i “vincoli politici” che il Presidente incontra nei confronti delle forze politiche che lo hanno sostenuto in campagna elettorale e che si traducono in continue mediazioni politiche del Presidente in seno al Consiglio. Il punto, come si vedrà infra nel testo, è assai importante: proprio dal rapporto dialettico e non scontato tra Presidente e Consiglio scaturisce l’esigenza di idonei strumenti di coordinamento tra l’uno e l’altro.
(43)Il riferimento, è ovviamente, a E. Fraenkel, Die repräsentative und die plebiszitäre Komponente in demokratischen Verfassungstaat, Tübingen, 1958 (tr. it. La componente rappresentativa e plebiscitaria nello Stato costituzionale democratico (a cura di L. Ciaurro – C. Forte), Torino, 1994.
(44) L’omogeneità di fondo tra le soluzioni statutarie in tema di forma di governo è rilevata da F. Pallante, Gli statuti delle regioni ordinarie alla fine della legislatura: niente di nuovo sotto il sole, in Dir. pubbl., 2005, 627.
(45) Per l’individuazione di una molteplicità di fattori che incidono sulla concreta definizione e funzionamento della forma di governo regionale, cfr. A. Spadaro, I contenuti degli statuti regionali (con particolare riguardo alle forme di governo), cit. 304, che ne individua cinque; S. Mangiameli, Aspetti problematici della forma di governo e della legge elettorale regionale, cit., 87, che fa riferimento, invece, a quattro.
(46) Si rinvia, sul punto, agli autori citati a nota 5. Per l’inserimento della vicenda della riforma regionale nella più ampia problematica della realizzazione, anche in Italia, di forme di democrazia immediata, cfr. in particolare C. Fusaro, La forma di governo regionale: pregi e difetti di una soluzione che funziona, cit.
(47) L’ossessione anti-ribaltonistica che domina tutta la recente esperienza regionale (e non solo) italiana in tema di forma di governo è efficacemente evidenziata da R. Tosi, Il sistema simul stabunt simul cadent e i cambiamenti di maggioranza, cit.,116.
(48) Sent. n. 304 del 2002, per il periodo transitorio, e n. 2 del 2004. Sulla condivisibilità, a parere di chi scrive, della soluzione fatta propria dalla Corte, sulla base della rigidità delle disposizioni costituzionali dell’art. 122 e 126 Cost., cfr., infra, nel testo par. 6.2.
(49) Si tratta, anzi, del più significativo margine di differenziazione tra disciplina transitoria e standard. Per l’individuazione di alcune altre, non particolarmente rilevanti, ipotesi di differenziazione, con riferimento alla disciplina dello scioglimento del Consiglio, cfr. M. Volpi, Considerazioni di metodo e di merito sulla legge costituzionale n. 1 del 1999, cit., 207 s.
(50) In argomento, cfr. A. Zorzi Giustiniani, Potestà statutaria e forma di governo regionale dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, cit., 60 ss.; G. Scala, Le leggi statutarie delle Regioni speciali, cit., 336 ss. che sottolinea la sostanziale decostituzionalizzazione della materia operata dalla l. cost. n. 2 del 2001, salvo la disciplina standard (ma derogabile) del simul-simul. Per delle critiche alla peculiare disciplina siciliana ed, in particolare, all’indebolimento del modello del simul-simul determinato dall’art. 41-bis dello statuto introdotto dalla l. cost. n. 2 del 2001, cfr. A. Saitta, La forma di governo della Regione siciliana nella prospettiva della riforma dello Statuto, in Le Istit. del Federalismo, 2005, 231.
(51) Cfr. Art. 4, comma 1, lettera b) della legge n. 165 del 2004.
(52)Cfr., sul punto, F. Drago, Commento alla lettera b), comma 1 dell’art. 4. Il principio della contestualità e i termini per l’elezione non a suffragio diretto del Presidente della Giunta, in AA.VV. (a cura di B. Caravita di Toritto), La legge quadro n. 165 del 2004 sulle elezioni regionali, Milano, 2005, 142 ss.
(53) Sulla quale, cfr. F. Clementi, Il Governo del Primo Ministro: da Londra (via Parigi) a Roma, possibilmente senza passare per Tel Aviv, in AA.VV. (a cura di S. Ceccanti – S. Vassallo), Come chiudere la transizione. Cambiamento, apprendimento e adattamento nel sistema politico italiano, cit., 287.
(54) Ex art. 4, comma 1, lettera a) della legge n. 165.
(55) Non ci si può nascondere, peraltro, la difficoltà del giudizio della Corte costituzionale, qualora essa venisse chiamata a pronunciarsi su leggi elettorali regionali delle quali si contestasse l’idoneità a garantire “stabili maggioranze”. Appare problematica, infatti, l’elaborazione e la conseguente utilizzazione in giudizio di parametri più vicini alle analisi di scienza della politica che di diritto costituzionale. Si tratta di affermazioni valide nonostante l’esplicita menzione che la Corte compie nella sentenza n. 2 del 2004 della “scelta [operata dalla legge costituzionale n. 1 del 1999] per una radicale semplificazione del sistema politico a livello regionale e per la unificazione dello schieramento maggioritario intorno alla figura del Presidente della Giunta”.
(56)Sulla “collegialità gerarchizzata con sicura prevalenza della componente monocratica” che caratterizzerebbe gli esecutivi delle forme di governo contemporanee (tranne U.S.A. e Svizzera), cfr. C. Fusaro – L. Stroppiana, Perfezionare la “forma di governo della transizione”. Composizione e collegialità della Giunta, cit., 45.
Cfr., però, in argomento le condivisibili osservazioni di A. Deffenu, Art. 121, cit. che evidenzia, da un lato, come i nuovi statuti “non sembrerebbero aver ridotto la Giunta a organo meramente esecutivo della volontà presidenziale (2413) e, dall’altro, che l’unico limite determinabile con una certa chiarezza in ordine ai rapporti Presidente – Giunta è di tipo negativo: è inconfigurabile tanto un Presidente eletto primus inter pares, quanto assessori ridotti a meri collaboratori del Presidente (2420). Tutto ciò senza contare, come opportunamente Deffenu ricorda, il ruolo che il sistema partitico ed i costumi politici locali (oltre agli elementi legati alla personalità dei protagonisti, si può aggiungere) giocano nella concreta delineazione dei rapporti tra componenti dell’esecutivo regionale (2420).
Sul punto, cfr. anche le importanti osservazioni di M. Olivetti, La forma di governo e la legislazione elettorale: Statuti “a rime obbligate”?, in http://www.issirfa-spoglio.cnr.it//4172,908.html, 4 per quanto riguarda la profonda incidenza della riforma del 1999 sulla posizione della Giunta regionale, “schiacciata” tra Presidente e Consiglio e priva di una propria identità costituzionale.
(57) Il potere presidenziale di nomina e di revoca degli assessori è, secondo alcune interpretazioni, destinato a permanere anche nel caso in cui lo statuto abbandoni il modello dell’elezione diretta, configurandosi, quindi, come un limite inderogabile alla potestà statutaria. In questi termini, A. Zorzi Giustiniani, Potestà statutaria e forma di governo regionale dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, cit., 55. Sennonché, se così fosse, non si comprenderebbe il senso della specificazione “eletto” di cui all’art. 122, quinto comma, Cost. Cfr., per il richiamo alla formulazione testuale dell’art. 122 Cost., S. Mangiameli, Aspetti problematici della forma di governo e della legge elettorale regionale, cit., 94 che ritiene anzi derogabile il potere di nomina e revoca degli assessori anche in caso di elezione diretta del Presidente.
(58) Cfr., a questo proposito, la chiusura dimostrata dalla Corte sul punto con la sentenza n. 12 del 2006. Per delle osservazioni critiche a tale orientamento, cfr. infra, par. 6.3.
(59) Come puntualmente sottolineato da M. Olivetti, Nuovi statuti e forma di governo delle Regioni, cit., 262. Per la rilevazione dei margini di ambiguità della disciplina costituzionale, cfr. A. Deffenu, Art. 121, cit., 2420.
(60) Art. 64 d. lgs. n. 267 del 2000
(61) Osserva M. Olivetti, Nuovi statuti e forma di governo delle Regioni, cit., 278 s. che la possibilità di cumulare le due cariche orienta la Giunta regionale verso il modello di una “Giunta di maggioranza”, mentre l’incompatibilità contribuirebbe ad un’accentuazione della preminenza del Presidente e, quindi, ad una forma di “Giunta delPresidente”.
(62)C. Fusaro – L. Stroppiana, Perfezionare la “forma di governo della transizione”. Composizione e collegialità della Giunta, cit., 53 s., ritenendo comunque opportuno un basso tasso di formalizzazione della disciplina dell’organizzazione e funzionamento della Giunta, auspicano una ritrazione della legge regionale a favore del regolamento interno della Giunta e, comunque, di atti di auto-organizzazione di questa.
(63) M. Volpi, Considerazioni di metodo e di merito sulla legge costituzionale n. 1 del 1999, cit. 207 s.
(64) S. Mangiameli, Aspetti problematici della forma di governo e della legge elettorale regionale, cit., 95.
(65) P. Ciarlo, Il presidenzialismo regional style, in Quad. cost., 2001, 131 ss.; M. Volpi, Considerazioni di metodo e di merito sulla legge costituzionale n. 1 del 1999, cit., 215 ss., sottolineando come l’astratto modello neo-parlamentare (215) subisca una torsione personalistica tale da assimilarlo, nei concreti modi di funzionamento, alle forme presidenziali (218).Di un esito assimilabile a quello delle forme di governo presidenziali, a causa della recisione del continuum governo – maggioranza e dell’”equilibrio del terrore” che regola i rapporti tra Presidente e Consiglio, scrive G. Tarli Barbieri, La forma di governo nel nuovo statuto della Regione Toscana: prime osservazioni, in Dir. pubbl., 2004, 707.
Da segnalare la posizione di A. Saitta, La forma di governo della Regione sicialiana, cit., 238 che ritiene non abbastanza netta la valorizzazione della componente presidenzialista nella riforma del 1999. Per un’ispirazione analoga, A. Zorzi Giustiniani, Potestà statutaria e forma di governo regionale dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, cit.
(66) Cfr. in questo senso nettamente R. Bifulco, Le Regioni, Bologna, 2004, 48.
(67) Cfr., sul punto, C. Fusaro, Statuti e forme di governo, cit., 19 s., che, pur riconoscendo l’impronta presidenzialista derivante dall’elezione diretta, aggiunge opportunamente che le forme di governo regionali “presidenziali non sono (tutto sono tranne che fondate sulla separazione dei poteri)” (corsivo originale).
(68) S. Ceccanti, Il modello neo-parlamentare: genesi e sviluppi, cit. in termini generali ed Id., La sentenza sullo Statuto Calabria: chiara, convincente, federalista, in www.forumcostituzionale.it; M. Timiani, Statuti regionali: un nuovo tassello sulla forma di governo, in www.forumcostituzionale.it; A. Buratti, Dal rapporto di fiducia alla “consonanza politica”, cit., 99, rinvenendo un sostanziale parallelo tra l’art. 126, secondo comma Cost. e l’art. 94, comma 1, Cost.; D. Coduti, Esecutivo e forma di governo regionali, in AA.VV. (a cura di R. Bifulco), Gli statuti di seconda generazione. Le Regioni alla prova della nuova autonomia, Torino, 2006, 92 s.
(69)M. Olivetti, Nuovi statuti e forma di governo delle Regioni, cit., 317; R. Tosi, Il sistema simul stabunt simul cadent e i cambiamenti di maggioranza, cit. 116, nota 7; L. Elia, Forme di stato e di governo, cit., 2601 e 2604.
(70) Per una difesa di tale elemento di “rigidità” della riforma, che risponde a ben precise esigenze collegate alla specificità della situazione (e, soprattutto, della passata esperienza), cfr., C. Fusaro, La forma di governo regionale: pregi e difetti di una soluzione che funziona, cit., 182 s.
(71) Vanno ricordate le numerose prese di posizione in dottrina che - anche dando per scontato il margine di approssimazione presente in ogni forma di definizione scientifica ed anche normativa di fenomeni reali, oltretutto ad alto rilievo politico - sottolineano la difficoltà di tipizzazioni precise in ordine alla forma di governo regionale delineata dalla riforma: M. Volpi, Considerazioni di metodo e di merito sulla legge costituzionale n. 1 del 1999, cit., 215 ss.; A. Spadaro, I contenuti degli statuti regionali (con particolare riguardo alle forme di governo), cit., 305 ss. (specialmente 306); G.E. Vigevani, Autonomia statutaria, voto consiliare sul programma e forma di governo “standard, in Le Regioni, 2005, 611. S. Mangiameli, Aspetti problematici della forma di governo e della legge elettorale regionale, cit., 87; Id., Lo Statuto della Regione Abruzzo al vaglio della Corte costituzionale, in Le Regioni, 2006, 781 s.
(72) Cfr. M. Olivetti, Nuovi statuti e forma di governo delle Regioni, cit., 317.
(73) In Giur. cost., 2006, 86. Per la critica ad alcune conseguenze cha la Corte trae da questa affermazione, cfr. infra, par. 6.3.
(74) M. Volpi, Considerazioni di metodo e di merito sulla legge costituzionale n. 1 del 1999, cit., 205 ss.; S. Mangiameli, Aspetti problematici della forma di governo e della legge elettorale regionale, cit., 89.
(75) Secondo la nota formula della sent. n. 313 del 2003 della Corte costituzionale, in tema di riparto della potestà regolamentare tra gli organi regionali; tema, come è evidente, strettamente collegato alla forma di governo regionale.
(76) Per una sottolineatura dei limiti che la disciplina costituzionale comunque pone all’autonomia statutaria regionale, cfr. A. Spadaro, I contenuti degli statuti regionali (con particolare riguardo alle forme di governo), cit., 309; C. Fusaro, Statuti e forme di governo, cit., 21.
(77) Per questa linea interpretativa, cfr., per tutti, A. Deffenu, Art. 121 Cost., cit., 2408.
(78) Come ritenuto, invece, da A. Buratti, Dal rapporto di fiducia alla “consonanza politica”, cit., 99.
(79) Cfr. sempre A. Deffenu, Art. 121 Cost., cit., 2408.
(80)Come forse dimostrano le interpretazioni del limite che lo riconducono alla dimensione della “ragionevolezza”, inteso, più precisamente, come «bilanciamento “ragionevole” e ponderato tra le applicazioni del principio di autonomia e la consistenza degli interessi unitari, riconducibili al valore fondamentale dell’art. 5 Cost.»: così R. Tarchi – D. Bessi, Art. 123, in AA.VV. (a cura di R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti), Commmentario alla Costituzione, vol. III, Torino, 2006, 2470 e nota 115 i quali conseguentemente negano che se ne possa dare una definizione a priori, rispetto all’esperienza concreta. In termini non molto dissimili G. D’Alessandro, Statuti regionali, in Diz. dir. pubbl., cit., vol. VI, 5756,secondo il quale spetta alla Corte un sindacato sull’uso distorto della potestà statutaria, assimilabile al sindacato sull’eccesso di potere. Coerentemente alla prospettiva accolta, l’A. aggiunge che il limite in questione “vede la partecipazione della Corte alla determinazione-integrazione dello stesso” (5757).
(81) Come precisato dalla sent. n. 304 del 2002 della Corte costituzionale e dalla netta affermazione, in essa contenuta, che «Il riferimento all’"armonia", lungi dal depotenziarla, rinsalda l’esigenza di puntuale rispetto di ogni disposizione della Costituzione, poiché mira non solo ad evitare il contrasto con le singole previsioni di questa, dal quale non può certo generarsi armonia, ma anche a scongiurare il pericolo che lo statuto, pur rispettoso della lettera della Costituzione, ne eluda lo spirito». Cfr., sul punto anche G. D’Alessandro, Statuti regionali, cit., 5755.
Per un’interpretazione dottrinale che tende ad affermare, invece, i soli limiti che incontra la legge di revisione costituzionale, nonché l’ulteriore categoria dei “principi generali dell’ordinamento costituzionale”, riconoscendo agli statuti, quindi, capacità derogatoria di puntuali disposizioni costituzionali, cfr. M. Olivetti, Nuovi statuti e forma di governo delle Regioni, cit., 173 s.
(82) Nella sentenza n. 12 del 2006.
(83) Cfr., in particolare, A. Ruggeri, Il cappio alla gola degli statuti regionali, in Nuove autonomie, 2006, 535 ss.; S. Mangiameli, Lo Statuto della Regione Abruzzo al vaglio della Corte costituzionale, cit., 780.
(84)Sulla clausola di omogeneità nell’ordinamento europeo, cfr. S. Mangiameli, La clausola di omogeneità nel Trattato dell’Unione europea e nella Costituzione europea, in, AA.VV., Studi in onore di Gianni Ferrara, vol. II, Torino, 2005, 541 ss., nonché in AA.VV., (a cura di S. Mangiameli), L’ordinamento europeo. I - I principi dell’Unione, Milano, 2006, 1 ss. Per l’applicazione della clausola di omogeneità al tema degli statuti regionali, sulla base delle risultanze di un’approfondita indagine comparatistica, cfr. M. Olivetti, Nuovi statuti e forma di governo delle Regioni, cit., 44 ss.
(85)In questo senso possono essere utilizzate le indicazioni di M. Olivetti, op. ult. cit., 65 ss.
(86) In senso non coincidente, cfr. S. Mangiameli, Aspetti problematici della forma di governo e della legge elettorale regionale, cit., che riconosce ampio margine di scelta agli statuti, in ordine all’equilibrio tra istituti di democrazia diretta e di democrazia rappresentativa.
(87) S. Mangiameli, Aspetti problematici della forma di governo e della legge elettorale regionale, cit., 94.
(88) Contra, come si è già avuto modo di ricordare: M. Volpi, Considerazioni di metodo e di merito sulla legge costituzionale n. 1 del 1999, cit., 211 ss., A. Spadaro, I contenuti degli statuti regionali (con particolare riguardo alle forme di governo), cit., 309; V. Cerulli Irelli, Sulla “forma di governo regionale”, cit., 676; D. Coduti, Esecutivo e forma di governo regionali, cit., 89; C. Fusaro, Statuti e forme di governo, cit., 21.
(89)M. Volpi, Considerazioni di metodo e di merito sulla legge costituzionale n. 1 del 1999, cit., 217; V. Cerulli Irelli, Sulla “forma di governo regionale”, cit., 676. In senso contrario, per un parallelo insistente tra l’ordinamento degli enti locali e la riforma costituzionale del 1999 per le regioni, C. Fusaro – L. Stroppiana, Perfezionare la “forma di governo della transizione”. Composizione e collegialità della Giunta, cit., 42 ss.
(90) Il punto verrà approfondito nel par. 7 del presente scritto.
(91) Sull’ampiezza della competenza elettorale regionale e l’articolazione interna di tale materia, cfr. ora il quadro offerto da G. Tarli Barbieri, La materia elettorale tra stato e regioni, in AA.VV. (a cura di A. Chiaramonte - G. Tarli Barbieri), Riforme istituzionali e rappresentanza politica nelle Regioni italiane, cit., 41 ss.Nella stessa sede cfr. i contributi di M.C. Pacini, Nuovi (e vecchi) sistemi elettorali regionali (69 ss.) e di P. Milazzo, Come cambia la legislazione elettorale di contorno (93 ss.).
(92) Sulle vicende relative alla mancata approvazione dello statuto veneto, cfr. R. Valente, Un caso aperto: lo statuto del Veneto, in in AA.VV. (a cura di G. Di Cosimo), Statuti atto II, cit., 341 ss
(93) Cfr, P. Caretti, Una valutazione realistica della nuova stagione statutaria, cit., 362.
(94)Cfr. recentemente in termini severi, ma schietti, M. Olivetti, La forma di governo e la legislazione elettorale, cit., 13. Per delle critiche di astrattezza e meccanicismo alla complessiva giurisprudenza costituzionale in tema di forma di governo regionale, cfr. anche P.L. Petrillo, Le forme di governo regionale con particolare riferimento al riequilibrio del sistema dei poteri tra consiglio e (presidente della) giunta, cit., 65.
(95) I dubbi sulla compatibilità della soluzione simul-simul con il principio democratico discendente dall’art. 1 Cost. era già stato spazzato via dalla Corte nelle ordinanze n. 305 e 446 del 2000, di manifesta infondatezza di questioni di legittimità costituzionale sollevate con riferimento alla disciplina elettorale degli enti locali. Tale orientamento è stato ribadito nella sentenza n. 2 del 2004, con riferimento allo scioglimento “per eventi accidentali” di un’assemblea elettiva in costanza di rapporto fiduciario (n. 6 del Considerato in diritto).
Come bene osserva A. Ruggeri, Elezione del Presidente e forma di governo regionale, tra politica e diritto (nota minima, dal punto di vista del metodo, su una discussa soluzione statutaria), in Studi in onore di Gianni Ferrara, cit., ora in Id., “Itinerari” di una ricerca sul sistema delle fonti. VII, 2 – studi dell’anno 2003, Torino, 2004, 84 s. e nota 15, si può anzi sostenere che la soluzione del simul-simul sia quella che attua nel modo più rigido (meno “mite”) il principio democratico al tema della forma di governo.
Per alcuni dubbi relativamente al rispetto di tale principio avanzati in sede dottrinale, cfr., comunque, L. Carlassare, La sentenza n. 2 del 2004 tra forma di governo e forma di stato, cit.
(96) N. 9 del Considerato in diritto. Come è stato sottolineato da R. Bin, Calabria docet: a che punto sono gli statuti regionali?, in Le Regioni, 2003, 999 ss.; Id., Un passo avanti verso i nuovi statuti regionali, in Le Regioni, 2004, 909 ss., l’attenzione dominante sulle vicende dello statuto calabrese ed in particolare sulla possibile attenuazione della rigidità del simul-simul ha fatto per lungo tempo velo ad una considerazione approfondita delle potenzialità di differenziazione comunque offerte dalla disciplina costituzionale.
Tra gli autori che hanno sottolineato l’importanza di tali potenzialità, cfr., per quanto riguarda la configurazione del potere esecutivo regionale e nonostante le già ricordate critiche all’”uniformità” indotta dalla giurisprudenza costituzionale, M. Olivetti, La forma di governo e la legislazione elettorale, cit., 3. Per ciò che concerne la posizione dei Consigli e la loro capacità decisionale effettiva, soprattutto nell’esercizio del controllo politico nei confronti dell’esecutivo regionale, cfr. R. Bin, Dopo gli Statuti, c’è molto da fare, in Le Istit. del Federalismo, 2005, 9 ss. ed Id., La nuova stagione statutaria delle Regioni, cit., 96 ss. per una severa analisi del “passatismo” che affligge gli statuti regionali sul punto. Cfr. inoltre, in termini più generali, cfr. S. Sicardi, La forma di governo regionale: dall’”uno” (con qualche diversificazione) al “molteplice” (diversamente consentito), in AA.VV., (a cura di G.F. Ferrari – G. Parodi), La revisione costituzionale del titolo V tra nuovo regionalismo e federalismo, cit., 212, auspicando un – purtroppo non avvenuto – effetto di mimesi virtuosa tra statuti.
(97) A proposito delle quali, cfr., in particolare, la sentenza n. 379 del 2004, n. 6 del Considerato in diritto.
(98) Cfr. sent. n. 378 del 2004, nn. 6 e 7 del Considerato in diritto.
(99) Prospettiva valorizzata da M. Ainis, Lo statuto come fonte sulla produzione normativa regionale, in Le Regioni, 2000, 813. Per un quadro sistematico, cfr. G. Tarli Barbieri, Le fonti del diritto regionale nella giurisprudenza costituzionale sugli statuti regionali, in Le Regioni, 2005, 581 ss. ed ora i contributi raccolti in AA.VV. (a cura di E. Rossi), Le fonti del diritto negli statuti regionali, Padova, 2007. Per ulteriori precisazioni sulla disciplina delle fonti regionali negli statuti, cfr., comunque, nota 176.
(100) Sulla estensione anche ai micro-sistemi delle fonti regionali del principio di chiusura delle fonti a livello primario nell’ordinamento italiano, cfr. R. Tosi, Regole statutarie in tema di fonti regionali, in Le Istit. del Federalismo, 2001, 104 ss.; A. D’Atena, Nuovi statuti regionali e posizione delle assemblee legislative, in Id., Le Regioni dopo il big bang, cit., 159
(101)Assai opportunamente richiamato, nella sua centralità nel sistema italiano delle fonti, da G.G. Floridia, Fonti regionali e sistema delle fonti, in AA.VV., (a cura di G.F. Ferrari – G. Parodi), La revisione costituzionale del titolo V tra nuovo regionalismo e federalismo, cit. 67.
(102) In termini molto critici sulla dissociazione tra competenza statutaria in tema di forma di governo e competenza legislativa ripartita in tema di sistema elettorale, cfr. A. Spadaro, I contenuti degli statuti regionali (con particolare riguardo alle forme di governo), cit., 310; M. Volpi, Considerazioni di metodo e di merito sulla legge costituzionale n. 1 del 1999, cit., 209 s. che definisce illogica la condizione delle Regioni nel sistema delineato dalla riforma; A. Ruggeri, Tendenze della progettazione statutaria, alla luce della sent. n. 2/2004 della Corte costituzionale, in Federalismi.it., n. 10/2004 ed ora in Id., “Itinerari” di una ricerca sul sistema delle fonti. VIII – studi dell’anno 2004, Torino, 2005, 203.
Tali inoppugnabili considerazioni critiche non tolgono che l’art. 122 e l’art. 123 Cost. siano disposizioni dotate della medesima forza formale costituzionale e che l’interprete sia tenuto ad offrire ricostruzioni che fanno salva la vigenza e l’operatività di entrambe. Per questo ordine di considerazioni, commentando la sentenza n. 2 del 2004 della Corte costituzionale, che ha rigettato interpretazioni marginalizzanti dell’art. 122 Cost., cfr. lo stesso A. Ruggeri, L’autonomia statutaria al banco della Consulta, in www.forumcostituzionale.it. ed ora in Id., “Itinerari” di una ricerca sul sistema delle fonti. VIII – studi dell’anno 2004, Torino, 2005, 10 s. Sui problemi posti dal tipo di competenza legislativa ripartita in materia elettorale, cfr. A. D’Atena, La nuova autonomia statutaria delle Regioni, in Rass. parl., 1999 ed ora in Id., L’Italia verso il “Federalismo”. Taccuini di viaggio, Milano, 2001, 194 ss.; S. Mangiameli, Aspetti problematici della forma di governo e della legge elettorale regionale, cit., 102.
(103)Cfr. n. 8 del Considerato in diritto.
(104)Cfr. G. Tarli Barbieri, La materia elettorale tra Stato e Regioni, cit., 60. Per l’auspicio, invece, di un self-restraint della fonte legislativa statale che apra spazi di normazione autonoma a statuti e leggi regionali, cfr. invece, A. Ruggeri, Elezione del Presidente e forma di governo regionale, tra politica e diritto, cit., 78, nota 5; Id. Autonomia statutaria e forma di governo regionale: i “paletti” della Consulta (e una riflessione finale), in Le Istit. del Federalismo, 2004 ed ora in Id., “Itinerari” di una ricerca sul sistema delle fonti. VIII – studi dell’anno 2004, cit., 153, sulla base di un “tacito patto” tra Stato e Regioni.
(105)C. Fusaro, La forma di governo regionale: pregi e difetti di una soluzione che funziona, cit., 177; M. Olivetti, Nuovi statuti e forma di governo delle Regioni, cit., 258; Id., Requiem per l’autonomia statutaria delle Regioni ordinarie, in www.forumcostituzionale.it , criticando la soluzione accolta dalla sent. n. 2 del 2004; Id., La forma di governo e la legislazione elettorale, cit. 7; G. Tarli Barbieri, La materia elettorale tra Stato e Regioni, cit., 60 s.; D. Coduti, Esecutivo e forma di governo regionali, cit., 65 s. che opportunamente ricorda che il Governo ha omesso di impugnare l’art. 63, quinto comma, st. Umbria che prevede il limite di due mandati consecutivi, cosicché è oggi vigente una disposizione statutaria assolutamente inconciliabile con la giurisprudenza costituzionale.
L’ipotesi di ineleggibilità di cui si discorre nel testo è ora prevista, quale disposizione di principio, dall’art. 2, comma 1, lettera f) della legge n. 165 del 2004. Ci si può chiedere se il carattere puntuale ed autoapplicativo di tale principio -rilevato anche da F. Drago, Commento all’art. 2 (Disposizioni di principio, in attuazione dell’art. 122, primo comma, della Costituzione in materia di ineleggibilità), in AA.VV. (a cura di B. Caravita di Toritto), La legge quadro n. 165 del 2004 sulle elezioni regionali, cit., 62 - non consenta una sua immediata operatività, prescindendo dalla recezione nelle leggi regionali attuative e troncando una volta per tutte la tentazione di taluni Presidenti di Giunta regionale di candidarsi per il terzo o quarto mandato consecutivo, adducendo quale alibi l’esistenza della lacuna legislativa nell’ordinamento regionale.
Sul tema dell’idoneità o meno delle disposizioni di principio in tema di ineleggibilità od incompatibilità a produrre immediatamente almeno taluni effetti, cfr. ora l’approfondita ricostruzione di G. Perniciaro, Ineleggibilità e incompatibilità dei consiglieri regionali: “nuovi” principi e “vecchia” disciplina statale, in corso di pubblicazione.
(106)Sull’opportunità dell’introduzione di una tale disciplina negli ordinamenti regionali, cfr. C. Fusaro – L. Stroppiana, Perfezionare la “forma di governo della transizione”. Composizione e collegialità della Giunta, cit. 48. Sulla riconducibilità di tale opzione alla “forma di governo” e, quindi, alla competenza statutaria, cfr. M. Olivetti, Nuovi statuti e forma di governo delle Regioni, cit., 278; M. Cosulich, Statuti regionali ordinari e materia elettorale, in Quad. reg., 2005, 695.
(107) Senza pretesa di completezza, in senso critico nei confronti della sentenza, cfr. N. Vizioli, Prime osservazioni su una sentenza con poche luci e molte ombre, in www.forumcostituzionale.it; M. Olivetti, Requiem per l’autonomia statutaria delle Regioni ordinarie, in www.forumcostituzionale.it; Id., La forma di governo regionale dopo la sentenza n. 2 del 2004, cit., 435 ss.;M. Volpi, Quali autonomie statutarie dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 2 del 2004 ?, in Federalismi.it, n. 4 del 2004; E. Balboni, Quel che resta dell’autonomia statutaria dopo il “caso Calabria”, in Le istit. del Federalismo, 2004, 471 ss.; S. Gambino, La forma di governo regionale (fra “chiusure” del giudice costituzionale, “incertezze” degli statuenti regionali e “serrato” confronto nella dottrina), in Le Istit. del Federalismo, 2004, 343 ss.; B. Caravita di Toritto, L’autonomia statutaria, cit., 342 ss.
A favore dell’interpretazione “sostanzialista” in essa accolta, pur con diversità di accenti, S. Ceccanti, La sentenza sullo Statuto Calabria: chiara, convincente, federalista, cit.;Id., Replica a Marco Olivetti, in Le istit. del Federalismo, 2004, 464 ss.; R. Bin, Autonomia statutaria e “spirito della Costituzione”, in Le Istit. del Federalismo, 2004, 420 ss.; Id, Un passo avanti verso i nuovi statuti regionali, cit., 909 ss.; A. Ruggeri, Elezione del Presidente e forma di governo regionale, tra politica e diritto, cit., 86 ss.
Ulteriori spunti di riflessione (anche sul tono forse troppo acceso del dibattito scientifico) possono provenire dall’esame di scritti anteriori alla decisione della Corte: cfr. G. Guzzetta, Dubbi di legittimità sulla forma di governo regionale alla luce del neoapprovato Statuto calabrese, in www.forumcostituzionale.it.; Id., Ancora sullo statuto calabrese: una risposta a Volpi, in www.forumcostituzionale.it.; M. Volpi, Breve controreplica a Guzzetta sullo Statuto calabrese, in www.forumcostituzionale.it; R. Bin, Lettera di un Talebano ad un Fariseo, in www.forumcostituzionale.it.
(108) S. Sicardi, La forma di governo regionale: dall’”uno” (con qualche diversificazione) al “molteplice” (diversamente consentito), cit., 207 ss.
(109)A favore di questa ipotesi si era espresso invece M. Volpi, Considerazioni di metodo e di merito sulla legge costituzionale n. 1 del 1999, cit., 220; R. Tosi, Il sistema simul stabunt simul cadent e i cambiamenti di maggioranza, cit., 120 s.
In senso critico, M. Olivetti, Nuovi statuti e forma di governo delle Regioni, cit., 282, tranne che per le ipotesi di prorogatio fino alle nuove elezioni per rimozione, impedimento o morte del Presidente eletto; A. Ruggeri, Elezione del Presidente e forma di governo regionale, tra politica e diritto, cit., 94 ss.
(110)La cui utilizzabilità, in assenza di precise regole costituzionali derogatorie, anche in sede di interpretazione delle disposizioni costituzionali, è ribadita di recente da L. Pegoraro, in L. Pegoraro – A. Reposo – A. Rinella – R. Scarciglia – M. Volpi, Diritto costituzionale e pubblico, 2a ed., Torino, 2006, 116.
(111) Come esattamente osservato da G. Guzzetta, Dubbi di legittimità sulla forma di governo regionale alla luce del neoapprovato Statuto calabrese, cit. In termini analoghi, M. Carli, Una strada sbagliata per limitare l’applicabilità della regola del simul-simul, in Le Istit. del Federalismo, 2004, 415; V. Bonincelli, Un bilancio in tema di forma di governo regionale, cit., 101 ss.
Contra, cfr. M. Olivetti, La forma di governo regionale dopo la sentenza n. 2 del 2004, cit., 43 ss.
(112) Incompatibile con la formulazione testuale della Costituzione appare anche la tesi che ritiene che nel modello standard di forma di governo regionale vi sia spazio per un “meccanismo ascrivibile alla sfiducia costruttiva: la possibilità cioè che il consiglio regionale, mediante una mozione presentata dalla stessa maggioranza espressa dal corpo elettorale, possa evitare lo scioglimento a seguito di dimissioni volontarie del presidente, designando al suo posto un nuovo presidente”. Così V. Cerulli Irelli, Sulla “forma di governo” regionale, cit., 681.
(113) In senso critico nei confronti della soluzione accolta dalla Corte, cfr. S. Catalano, Statuti regionali e voto di fiducia iniziale, in Giur. cost., 2005, 718; A. Ruggeri, Ancora in tema di forma di governo e di elezione del Presidente della Regione (discutendo con M. Volpi del metodo negli studi di diritto costituzionale), in Federalismi.it, n. 13/2003 ed ora in Id., “Itinerari” di una ricerca sul sistema delle fonti. VII, 2 – studi dell’anno 2003, cit., 98; Id., L’autonomia statutaria al banco della Consulta, cit., 8; Id., Gli statuti regionali alla Consulta e la vittoria di Pirro, in www.forumcostituzionale.it, ed ora in Id., “Itinerari” di una ricerca sul sistema delle fonti. VIII – studi dell’anno 2004, cit., 521; Id., Il cappio alla gola degli statuti regionali, cit., 543 ss.; V. Bonincelli, Un bilancio in tema di forma di governo regionale, cit., 108, che critica l’astrattezza della soluzione prescelta dalla Corte; P.L. Petrillo, Le forme di governo regionale con particolare riferimento al riequilibrio del sistema dei poteri tra consiglio e (presidente della) giunta, cit., 65. A favore dell’ammissibilità dell’istituto si era pronunciato M. Olivetti, Nuovi statuti e forma di governo delle Regioni, cit., 262.
Aderiscono all’orientamento accolto dalla Corte costituzionale N. Viceconte, Riflessioni sulla forma di governo nei nuovi statuti delle Regioni ad autonomia ordinaria, cit., 122;D. Paris, Il riconoscimento dell’opposizione quale soggetto istituzionale nei nuovi statuti regionali, in Quad. reg., 2006, 88; A. Buratti, Dal rapporto di fiducia alla “consonanza politica”. Rigidità della forma di governo e libertà del processo politico, cit., 96, nota 21.
Dubitativamentesull’ammissibilità della fiducia iniziare, G. Tarli Barbieri, La forma di governo nel nuovo statuto della Regione Toscana: prime osservazioni, cit., 710 s.
(114)G.E. Vigevani, Autonomia statutaria, voto consiliare sul programma e forma di governo “standard”, in Le Regioni, 2005, p. 606 ss. Cfr. anche A. Buratti, loc. ult. cit.
(115)Su questa possibile ratio di verifica del programma che la fiducia iniziale consente, cfr. A. Ruggeri, Gli statuti regionali alla Consulta e la vittoria di Pirro, cit., 521.
(116) A favore di tale possibilità si era espresso A. D’Atena, Nuovi statuti regionali e posizione delle assemblee legislative, cit., 157. R. Bin, Il Consiglio regionale. Funzioni di indirizzo e di controllo, in Le Istit. del Federalismo, 2001, 92 s., estendendo la sua esperibilità anche nei confronti di dirigenti regionali. In termini dubitativi M. Olivetti, Nuovi statuti e forma di governo delle Regioni, cit., 344 s. In senso contrario, sulla base della già ricordata tendenza a valorizzare gli elementi di “gerarchizzazione” in seno alla Giunta regionale, cfr. C. Fusaro – L. Stroppiana, Perfezionare la “forma di governo della transizione”. Composizione e collegialità della Giunta, cit., 51.
Per una critica alla sentenza n. 12 del 2006, sul punto, cfr. A. Ruggeri, Il cappio alla gola degli statuti regionali, cit. 546; S. Catalano, Voto di sfiducia al singolo assessore e statuti regionali, in Giur. cost., 2006, 102 ss.; V. Bonincelli, Un bilancio in tema di forma di governo regionale, cit., 108. In senso favorevole all’orientamento della Corte, invece, cfr. N. Viceconte, Riflessioni sulla forma di governo nei nuovi statuti delle Regioni ad autonomia ordinaria, cit., 124 ss.; P.L. Petrillo, Le forme di governo regionale con particolare riferimento al riequilibrio del sistema dei poteri tra consiglio e (presidente della) giunta, cit., 67 s.;
(117)Il rilievo di tale circostanza è evidenziato anche da M. Olivetti, Il nuovo statuto della Regione Puglia, in http://www.issirfa-spoglio.cnr.it//928,908.html. La Corte costituzionale ha stigmatizzato nella sentenza n. 188 del 2007 il tentativo della regione Campania di “aggirare” lo statuto (non ancora approvato) con leggi regionali di diretta modifica del sistema di relazioni tra gli organi regionali. Sul punto, cfr. N. Maccabiani, La Corte insiste e bacchetta il Legislatore regionale: allo Statuto quel che è dello Statuto, in www.forumcostituzionale.it.
(118)Per la considerazione che l’ampiezza di scelte rimesse alle Regioni in tema di forma di governo e sistemi elettorali potesse contribuire ad “una disarticolazione dei sistemi politico-partitici italialiani”, cfr. comunque S. Sicardi, La forma di governo regionale: dall’”uno” (con qualche diversificazione) al “molteplice” (diversamente consentito), cit. 213. Considerazioni molto critiche e pessimistiche sull’osmosi tra livello politico nazionale e regionale nel nostro Paese - facendo salvo, comunque, un margine di autonomia alle determinazioni regionali – sono espresse da A. Di Giovine, Appunto sulla cultura espressa dalla legge costituzionale n. 1 del 1999, cit., 215 ss.
(119)C. Fusaro, Statuti e forme di governo, cit., 37.
(120)Per la rilevazione di tale tendenza all’omogeneità di soluzioni all’interno degli statuti, cfr. per tutti R. Bin, La nuova stagione statutaria delle Regioni, cit., 91.
(121) Per usare un’espressione di N. Lupo, Le alterne vicende della formazione dei nuovi statuti regionali (e i “colpi” inferti ai principi del costituzionalismo), in AA.VV. (a cura di R. Bifulco), Gli statuti di seconda generazione. Le Regioni alla prova della nuova autonomia, cit., 1 ss.
(122) Oltre agli esempi richiamati da N. Lupo, op.ult. cit., cfr l’accurata (ed in grado di suscitare qualche imbarazzo) rassegna di anomalie e vere proprie illegittimità, nella procedura di approvazione degli statuti, offerta da I. Carlotto, Il procedimento di formazione degli Statuti delle Regioni ordinarie, Padova, 2007, specialmente il capitolo II.
(123) La natura innanzitutto di atto di autonomia organizzativa propria dello statuto regionale è recentemente ribadita da G. Di Cosimo, Prova d’appello per l’autonomia statutaria, in AA.VV. (a cura di G. Di Cosimo), Statuti atto II, cit., 13.
(124) Il rischio insito nella frammentazione dei gruppi consiliari è ampiamente evidenziato nella letteratura scientifica. Cfr., per tutti, R. Bin, La nuova stagione statutaria delle Regioni, cit., 106; G. Rivosecchi, Organizzazione e funzionamento dei Consigli regionali: principio maggioritario, statuti regionali e regolamenti consiliari, in AA.VV. (a cura di R. Bifulco), Gli statuti di seconda generazione. Le Regioni alla prova della nuova autonomia, cit., 141 ss.
(125) Su tale disposizione, cfr. S. Duranti, Commento alla lettera c), comma 1, dell’articolo 4. Il divieto di mandato imperativo nella prassi politica e nella teoria costituzionalistica italiana, in AA.VV. (a cura di B. Caravita di Toritto), La legge quadro n. 165 del 2004 sulle elezioni regionali, cit., 149 ss.
(126) Sul quale insiste molto G. Rivosecchi, op.ult.cit.
(127)Per la possibilità di costituire Gruppi “in deroga” ai requisiti ordinariamente previsti cfr. art. 27 st. Calabria, art. 52, comma primo, st. Umbria, art. 16, commi primo e secondo, st. Toscana. L’esito ultimo di questa criticabile linea di tendenza è rappresentata dallo “scimmiottamento” delle “componenti” del Gruppo misto, sul modello – criticabilissimo – del Regolamento della Camera dei Deputati, previsto dall’art. 27 st. Calabria, ricordato da C. Fusaro, Statuti e forma di governo, cit., 34.
Sulle diverse soluzioni statutarie, cfr, comunque, dettagliatamente, G. Rivosecchi, op.ult.cit..
(128) Sull’art. 16 st. Toscana, cfr. M. Rubechi, Art. 16. Gruppi consiliari, in AA.VV. (a cura di P. Caretti – M. Carli – E. Rossi), Statuto della Regione Toscana. Commentario, Torino, 2005, 102, che pone tale a disposizione a confronto con quelle corrispondenti degli altri statuti.
(129) E della contestuale automatica elezione a Consigliere regionale del candidato Presidente sconfitto. Sull’importanza della previsione contenuta nell’art. 5 della legge cost. n. 1 del 1999 per “una sorta di riconoscimento della posizione di Leader dell’opposizione”, cfr. S. Mangiameli, Aspetti problematici della forma di governo e della legge elettorale regionale, cit., 88. Sulla non brillante “performance” della previsione, nell’esperienza concreta, cfr. P.L. Petrillo, Lo statuto dell’opposizione consiliare e la tutela dei singoli consiglieri, cit. 98. 
(130) Sui profili generali dell’argomento, cfr. M.E. Gennusa, La posizione costituzionale dell’opposizione, Milano, 2000. Per ulteriori riferimenti dottrinali, cfr. G. Rivosecchi, Organizzazione e funzionamento dei Consigli regionali. cit. 128, nota 12, nonché 138.
(131) Per la (ri)considerazione di una serie di istituti tradizionali del diritto parlamentare all’interno di un Parlamento tendenzialmente avviato a funzionare secondo logiche bipolari, cfr. i contributi raccolti in AA.VV. (a cura di E. Gianfrancesco – N. Lupo), Le regole del diritto parlamentare nella dialettica tra maggioranza e opposizione, Roma, 2007.
In una prospettiva orientata alle modifiche regolamentari necessarie per adeguare i regolamenti parlamentari alla logica bipolare, sia consentito il rinvio a E. Gianfrancesco – F. Clementi, L’adeguamento dei regolamenti parlamentari al sistema bipolare in AA.VV. (a cura di A. Manzella – F. Bassanini), Per far funzionare il Parlamento. Quarantaquattro modeste proposte, Il Mulino, Bologna, 2007, 35 ss.
(132) Sul tema, con specifico riferimento all’ordinamento regionale dopo la riforma del 1999, cfr.: S. Mangiameli, op.ult.cit.; M.E. Gennusa, Lo “statuto” dell’opposizione, in Le Istit. del Federalismo, 2001, 241 ss; G. Rivosecchi, Organizzazione e funzionamento dei Consigli regionali. cit., con particolare ampiezza di approfondimento; D. Paris, Il riconoscimento dell’opposizione quale soggetto istituzionale nei nuovi statuti regionali, cit.; P.L. Petrillo, Lo statuto dell’opposizione consiliare e la tutela dei singoli consiglieri, in AA.VV. (a cura di M. Carli – G. Carpani, A. Siniscalchi), I nuovi statuti delle regioni ordinarie, cit., 120 s.; C. Fusaro, Statuti e forma di governo, cit., 32.
(133) G. Rivosecchi, op.ult.cit., 160 ss. L’A. evidenzia bene il complesso rapporto che intercorre tra statuti regionali e regolamenti consiliari. Da un lato, i regolamenti consiliari si presentano come strumento più duttile rispetto agli statuti e quindi maggiormente adatti ad una logica riformatrice incrementalista e non priva di fattori di discrezionalità in ordine ai tempi ed ai modi delle prescrizioni statutarie. Dall’altro, non può tuttavia sottacersi il rischio del “rinvio dilatorio” ai regolamenti che richiederebbe scelte maggiormente coraggiose da parte degli statuti spessi (162).
(134) Per un elenco più articolato di essi si rinvia agli scritti degli autori citati a nota 130 e 131.
(135) Per il quale, sul punto, si rinvia a G. Rivosecchi, Organizzazione e funzionamento dei Consigli regionali, cit., 151 ss.
(136) A proposito dell’art. 31 st. Emilia-Romagna, va ricordato l’attuazione della previsione statutaria ad opera del nuovo regolamento interno dell’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna del 28 novembre 2007. E’ appena il caso di sottolineare incidentalmente l’apprezzabilità della scelta della regione predetta che (al pari di alcune altre: Umbria, Liguria, Abruzzo) ha deciso di adottare recentemente un nuovo regolamento consiliare piuttosto che integrare quello precedente; scelta che, come è evidente, favorisce l’organicità della disciplina contenuta nell’atto.
(137) Su tale disposizione, cfr. G. Tarli Barbieri, La forma di governo nel nuovo statuto della Regione Toscana, cit., 731 ss., che comunque ne mette in evidenza i problemi applicativi in presenza di una situazione come quella toscana caratterizzata da un opposizione e da un consistente gruppo di minoranza (732), sicché la stessa istituzione del Portavoce dell’opposizione “rischia di nascere già debole, dovendo fare i conti con più gruppi di opposizione distinti tra loro e ciascuno con un proprio capogruppo” (733). Sulla medesima disposizione, cfr. in seguito M. Rubechi, Art. 10. Ruolo delle minoranze, in AA.VV. (a cura di P. Caretti – M. Carli – E. Rossi), Statuto della Regione Toscana, cit., 77 ss.; Id., Il regolamento interno del Consiglio regionale toscano: la programmazione dei lavori, le Commissioni permanenti, le garanzie per le minoranze, in www.forumcostituzionale.it.; P.L. Petrillo, Lo statuto dell’opposizione consiliare e la tutela dei singoli consiglieri, cit., 106; G. Rivosecchi, op.ult.cit., 162.
(138) C. Fusaro, Statuti e forma di governo, cit., 32. Con riferimento allo statuto pugliese, cfr. M. Olivetti, Il nuovo statuto della Regione Puglia, cit., 5.
(139) A causa della disponibilità del potere di modifica dei regolamenti da parte della maggioranza assoluta, ovvero della maggioranza di governo che il sistema elettorale della legge n. 43 del 1995 assicura in ogni caso al Presidente della Giunta. Lo snaturamento della funzione garantista della maggioranza assoluta all’interno di un sistema elettorale ad ispirazione maggioritaria è evidenziata da P.L. Petrillo, Lo statuto dell’opposizione consiliare e la tutela dei singoli consiglieri, cit., 100.
Si tratta, del resto, di un difetto insito nella stessa disciplina costituzionale posta dall’art. 64 della Costituzione per i regolamenti parlamentari, sicché, in questo caso, invocare il limite dell’ ’”armonia con la Costituzione” per criticare le scelte statutarie regionali non appare produttivo.
Per il passaggio in rassegna delle diverse soluzioni accolte negli statuti regionali, cfr. G. Rivosecchi, op.ult.cit., p. 150, nota 121,
(140) Per la letteratura italiana, cfr. in tema specialmente M. Manetti, La legittimazione del diritto parlamentare, Milano, 1991.
(141) Cfr. I. Carlotto, op.ult.cit. Sul punto, cfr. anche E. Gianfrancesco, Alcune considerazioni in tema di potestà statutaria e di potestà legislativa delle Regioni, in AA.VV. (a cura di P. Cavaleri), La giurisprudenza costituzionale relativa ai rapporti fra Stato e regioni dopo la riforma del titolo V parte seconda della Costituzione, Padova, 2008, in corso di pubblicazione.
(142) Una netta distinzione tra Maggioranza consiliare e Giunta è operata da P.L. Petrillo, Le forme di governo regionale con particolare riferimento al riequilibrio del sistema dei poteri tra consiglio e (presidente della) giunta, cit., 78. A questi si aggiunge l’Opposizione consiliare come protagonista della programmazione dei lavori del Consiglio regionale.
(143) Ponendosi probabilmente come troppo elevato, sotto il punto di vista di esigenze di funzionalità, il requisito del consenso di presidenti di gruppi consiliari pari a tre quarti dei componenti dell’assemblea consiliare (sulla falsariga dell’art. 23, comma sesto, del regolamento della Camera dei Deputati) difeso invece da G. Rivosecchi, Organizzazione e funzionamento dei Consigli regionali, cit., 147. La riserva di adeguati spazi e tempi di discussione alle proposte proveninenti dalla minoranza/Opposizione dovrebbe, infatti, sdrammatizzare il problema della maggioranza di approvazione degli atti di programmazione.
(144) Su cui pone l’accento S. Bartole, La funzione normativa tra Consiglio e Giunta nei nuovi statuti regionali, in http://www.issirfa-spoglio.cnr.it//3878,908.html.
(145)P.L. Petrillo, Le forme di governo regionale con particolare riferimento al riequilibrio del sistema dei poteri tra consiglio e (presidente della) giunta, cit., 78; G. Rivosecchi, Organizzazione e funzionamento dei Consigli regionali, cit., 148.
(146) Cfr., sul punto, le considerazioni svolte a nota 133.
(147) Sul ruolo di “neutralità attiva” del Presidente consiliare disegnato dai nuovi statuti, cfr. G. Rivosecchi, op.ult.cit., 134, (e note 33 e 34 per le diverse soluzioni statutarie); N. Viceconte, Riflessioni sulla forma di governo nei nuovi statuti delle Regioni ad autonomia ordinaria, cit. 141. Per l’attenuazione della carica garantista della figura derivante dalla previsione della maggioranza assoluta di elezione e da talune soluzioni statutarie che ne limitano temporalmente la carica all’interno della legislatura regionale, cfr. P.L. Petrillo, Lo statuto dell’opposizione consiliare e la tutela dei singoli consiglieri, cit., 100 s.
(148) Cfr. P.L. Petrillo, Le forme di governo regionale con particolare riferimento al riequilibrio del sistema dei poteri tra consiglio e (presidente della) giunta, cit. 71; N. Viceconte, Riflessioni sulla forma di governo nei nuovi statuti delle Regioni ad autonomia ordinaria, cit., 126 ss., i quali ammettono la questione di fiducia solo se puntualmente prevista nello statuto. Per la tesi secondo cui la previsione della questione di fiducia in ordinamenti caratterizzati dal simul-simul determinerebbe la “totale acquiescenza del Consiglio alle proposte del Presidente”, cfr. M. Carli – G. Carpani, Sintesi della ricerca, in AA.VV. (a cura di M. Carli – G. Carpani, A. Siniscalchi), I nuovi statuti delle regioni ordinarie, cit., 13.
(149) N. Viceconte, op. ult. cit., 127 valuta positivamente la scelta compiuta dall’art. 34, comma primo, lett. f) st. Calabria di prevedere una deliberazione collegiale di Giunta sulla posizione della questione di fiducia da Parte del Presidente, per riequlibrare il peso delle diverse componenti dell’esecutivo regionale.
(150) E’ da riscontrare, invece, una certa propensione degli statuti a contenere ipotesi di esclusione della possibilità di porre la questione di fiducia. Criticamente, sul punto, R. Bin, La nuova stagione statutaria delle Regioni, cit., 101 s e V. Bonincelli, Un bilancio in tema di forma di governo regionale, cit., 94. Ipotesi estreme, ampiamente discutibili alla luce di quanto si sostiene nel testo, appaiono quelle di predeterminazione in positivo delle materie per nelle quali può essere posta la questione di fiducia: cfr. art. 44 st. Liguria, evidenziato da F. Pallante, Gli statuti delle regioni ordinarie alla fine della legislatura: niente di nuovo sotto il sole, cit., 633.
(151) R. Bin, loc.ult.cit.
(152) Ponendosi come modello di riferimento per lo stesso diritto parlamentare che, come è noto, fatica non poco a trovare criteri di delimitazione sostanziale relativi all’oggetto su cui può essere posta la questione di fiducia. In argomento, cfr. N. Lupo, Emendamenti, maxi-emendamenti e questione di fiducia nelle legislature del maggioritario, in AA.VV. (a cura di E. Gianfrancesco – N. Lupo), Le regole del diritto parlamentare nella dialettica tra maggioranza e opposizione, cit., 41 ss..
(153) Per delle ipotesi di questo tipo, cfr. art. 35, comma 4, st. Puglia, art. 36, comma 4, st. Umbria, art. 32, comma 3, st. Abruzzo.
(154) Cfr. invece, nel senso criticato nel testo, l’art. 37 st. Calabria, sul quale richiama l’attenzione C. Fusaro, Statuti e forma di governo, cit., 32.
Per una sostanziale equiparazione tra maggioranza semplice ed assoluta, entrambe “sicuramente disponibili alla discrezionalità del legislatore statutario nella definizione del procedimento di formazione delle leggi” (ed anche ai fini qui rilevanti, è dato ritenere), cfr. A. D’Aloia – P. Torretta, La legge regionale nei nuovi statuti, in AA.VV. (a cura di R. Bifulco), Gli statuti di seconda generazione. Le Regioni alla prova della nuova autonomia, cit., 208.
(155) Criticata da R. Bin, La nuova stagione statutaria delle Regioni, cit., 108 a favore di modelli più innovativi come quelli bipartisan che, però, sembrano maggiormente utilizzabili con riferimento a Commissioni diverse da quelle competenti per materia.
(156) R. Bin, Il Consiglio regionale. Funzioni di indirizzo e di controllo, cit.; Id., La nuova stagione statutaria delle Regioni, cit., 122 s.
(157) Si tratta dell’art. 46 st. Piemonte, richiedendosi comunque il consenso di tutti i Presidenti dei Gruppi consiliari, e dell’art. 32 st. Puglia. Su tale ultima disposizione, cfr. M. Olivetti, Il nuovo statuto della Regione Puglia, cit., 6, il quale, comunque, si esprime per l’ammissibilità del ricorso a tali procedure (posizione già espressa in M. Olivetti, Nuovi statuti e forma di governo delle Regioni, cit. 404 s.).
(158)I dubbi sull’ammissibilità di procedure legislative completamente decentrate nell’ordinamento regionale sono giustamente richiamati da A. D’Aloia – P. Torretta, La legge regionale nei nuovi statuti, cit., 180 s. A favore, invece, L. Brunori, I procedimenti di formazione delle leggi regionali, inAA.VV. (a cura di M. Carli – G. Carpani, A. Siniscalchi), I nuovi statuti delle regioni ordinarie, cit., 180 s.
Il quadro è destinato ad aggravarsi se alle Commissioni permanenti sono attribuiti, anche se su determinazione dell’Assemblea a maggioranza qualificata, poteri deliberanti su provvedimenti amministrativi, come nell’ipotesi prevista dall’art. 38, sesto comma, st. Emilia-Romagna, evidenziato da G. Rivosecchi, Organizzazione e funzionamento dei Consigli regionali, cit., 140, nota 72.
(159)Sul quale si soffermano A. D’Aloia – P. Torretta, op.ult.cit., 184 ss. Per l’analisi di un’esperienza concreta, cfr. recentemente, A. Floridia, La democrazia deliberativa, dalla teoria alle procedure. Il caso della legge regionale toscana sulla partecipazione, in Le Istit. del Federalismo, 2007, 603 ss.
(160)Cfr. art. 17 st. Emilia-Romagna e la dichiarazione di infondatezza della questione di legittimità sollevata dal Governo su tale previsione nella sent. n. 379 del 2004 (n. 5 del Considerato in diritto).
(161)Si tratta, anzi, di un campo che senza particolari problemi si apre alla previsione di disposizioni di principio, se non di veri e propri “nuovi diritti” di matrice statutaria, da ricollegare alla competenza in tema di principi fondamentali di organizzazione e funzionamento. Insiste giustamente su tale aspetto E. Rinaldi, Corte costituzionale, riforme e statuti regionali: dall’inefficacia giuridica delle norme programmatiche al superamento dell’ambigua distinzione tra contenuto “necessario” e contenuto “eventuale”, in Giur. cost., 2004, 4082. Per un bilancio dell’esperienza statutaria in questo settore; esperienza ancora una volta non particolarmente innovativa, cfr. M. Luciani, Gli istituti di partecipazione popolare negli statuti regionali, in http://www.issirfa-spoglio.cnr.it//3416,908.html.
(162)Specie in casi particolari, come quelli delle leggi provvedimento. Sul tema della motivazione degli atti legislativi negli statuti regionali, cfr. A. D’Aloia – P. Torretta, op.ult.cit., 208 ss. Cfr., inoltre, il passaggio della sent. n. 379 del 2004 dedicato alla previsione dell’art. 17 st. Emilia-Romagna (n. 5 del Considerato in diritto).
(163)R. Bin, Consiglio regionale. Funzioni di indirizzo e di controllo, cit. 123; P.L. Petrillo, Le forme di governo regionale con particolare riferimento al riequilibrio del sistema dei poteri tra consiglio e (presidente della) giunta, cit.; F. Angelini, I Consigli regionali nei nuovi statuti: composizione, status di consigliere, attribuzioni e regole di funzionamento, autonomia, in AA.VV. (a cura di R. Bifulco), Gli statuti di seconda generazione. Le Regioni alla prova della nuova autonomia, cit.,119 ss.
(164)Sull’incerta qualificazione della dirigenza regionale (e non solo), fortemente provata dalla legislazione sullo spoils-system degli ultimi anni; legislazione oggi finalmente entrata in crisi grazie alle sentt. n. 103 e 104 del 2007 della Corte costituzionale, cfr. i contributi in AA.VV. (a cura di G. D’Alessio), L’Amministrazione come professione. I dirigenti pubblici tra spoils system e servizio ai cittadini, Bologna, 2007.
(165)Nell’occasione la Corte ha sostanzialmente adottato la soluzione interpretativa sostenuta da R. Tosi, I nuovi statuti delle Regioni ordinarie: procedimento e limiti, cit. 543 ss.
(166)Efficacemente classificate ed esposte da G. Di Cosimo, La potestà regolamentare negli statuti, in AA.VV. (a cura di P. Caretti), Osservatorio sulle fonti 2005. I nuovi statuti regionali, cit., 206 ss..Cfr, anche D. Coduti, Esecutivo e forma di governo regionali, cit., 80 s.; F. Pallante, Gli statuti delle regioni ordinarie alla fine della legislatura: niente di nuovo sotto il sole, cit., 633 ss.
(167)Cfr. art. 37 st. Abruzzo.
(168) Art. 35 st. Marche.
(169) Art. 27 st. Piemonte
(170) Art. 49, secondo comma, st. Emilia-Romagna ed art. 47 st. Lazio.
(171) Art. 44 st. Puglia. Sul punto, cfr. M. Olivetti, Il nuovo statuto della Regione Puglia, cit., 9.
(172) E sempre a non accogliere la - condivisibile a parere dello scrivente – tesi formulata da R. Bin, La funzione amministrativa nel nuovo titolo V della Costituzione, in Le Regioni, 2002, 387 ss. e ribadita in Id., La nuova stagione statutaria delle Regioni, cit., 116 s., secondo cui spetta alla Regione la scelta di esercitare la delega statale ex art. 117, sesto comma Cost., a mezzo di leggi o di regolamenti.
(173) Cfr. sul punto N. Viceconte, Riflessioni sulla forma di governo nei nuovi statuti delle Regioni ad autonomia ordinaria, cit. 136, nota 58.
(174)Cfr. par. 1 del presente scritto.
(175) G. Endrici, Le nomine tra Giunta e Consiglio, in Le Istit. del Federalismo, 2001, 129 ss. (spec. 138 per la distinzione tracciata nel testo).
(176) Come è evidente, si tratta di un punto della massima importanza, essendo direttamente collegato all’attuazione di principi fondanti del costituzionalismo. Alla luce di quanto si sostiene nel testo, maggioranze di approvazione addirittura superiori alla maggioranza assoluta - come nel caso limite della maggioranza di due terzi dei componenti prevista dall’art. 54, terzo comma, st. Calabria per la costituzione di enti, aziende o società regionali – dovrebbero dirsi incostituzionali, in assenza di una precisa ratio costituzionale giustificativa. Per la considerazione di carattere generale, secondo cui lo statuto non è abilitato a creare fonti dal procedimento più gravoso di quello che conduce all’approvazione dello statuto stesso, cfr. G. Tarli Barbieri, La materia elettorale tra stato e regioni, cit., 65.
Certamente non è sempre semplice l’individuazione di tale ratio giustificativa, che per chi scrive è più facile rinvenire nelle leggi istitutive di autorità regionali di garanzie (come il Consiglio regionale delle garanzie statutarie od anche il Consiglio delle autonomie locali) od, al limite, nelle leggi elettorali, ma che sicuramente difetta nelle leggi di programmazione e finanziarie e di bilancio in genere, per le quali il massimo aggravamento possibile è rappresentato – se così puntualmente dispone lo statuto – dalla maggioranza assoluta.
Non sembra decisivo, a parere di chi scrive, il richiamo a favore di una “libera disponibilità di aggravamento” del procedimento legislativo da parte dello statuto (ad esempio ad opera di M. Cosulich, Statuti regionali ordinari e materia elettorale, cit., 682) alla sentenza n. 993 del 1988, nel quale la Corte costituzionale dichiarò incostituzionale una legge regionale del Veneto di delega di funzioni amministrative per l’omessa acquisizione nell’iter formativo del provvedimento del parere delle province, richiesto ex art. 55 st. Veneto. Si trattava infatti di un forma tenue di aggravamento procedurale (parere obbligatorio e non vincolante e, soprattutto, non in grado di incidere sulla maggioranza di approvazione della legge), pienamente giustificato, peraltro, dalla materia coinvolta. Dubbi sulla compatibilità con l’art. 122 Cost. di soluzioni statutarie che subordinino l’approvazione di leggi al consenso del Consiglio delle Autonomie locali e, quindi, vadano oltre la previsione di un parere obbligatorio, sono espressi da R. Tosi, Regole statutarie in tema di fonti regionali, cit., 115.
(177) Per un utile ed interessante quadro delle “fonti rinforzate” istituite dagli statuti e per le condivisibili preoccupazioni in ordine al rispetto del principio democratico conseguenti a tali irrigidimenti statutari, cfr. S. Calzolaio, Le fonti “rinforzate” e “specializzate” negli statuti regionali, in AA.VV. (a cura di G. Di Cosimo), Statuti atto II. Le regioni e la nuova stagione statutaria, cit., 177 ss. ed in particolare 193 s. (ivi anche una tabella di comparazione tra le diverse soluzioni statutarie: 210 ss.)
Un tema affine a quello appena accennato attiene alla (liceità della) pretesa degli statuti regionali di incidere sui criteri di interpretazione attraverso clausole di sola abrogazione espressa di leggi regionali (soprattutto i testi unici regionali). Sull’argomento, cfr. le considerazioni condivisibilmente critiche di E. Vivaldi, La clausola di sola abrogazione espressa nei nuovi statuti delle regioni ordinarie, in AA.VV. (a cura di P. Caretti), Osservatorio sulle fonti 2005. I nuovi statuti regionali, cit., 189 ss. che giunge a dubitare della loro legittimità costituzionale (204, nota 67). Cfr. anche le perplessità circa il buon esito operativo di tale clausola di R. Bin, La nuova stagione statutaria delle Regioni, cit., 114. Per la loro ammissibilità, cfr., invece, R. Tosi, Regole statutarie in tema di fonti regionali, cit. 108.
(178) C. Fusaro, Statuti e forme di governo, cit., 35.
(179) Sulle possibili combinazioni al riguardo, cfr. C. Fusaro – L. Stroppiana, Perfezionare la “forma di governo della transizione”. Composizione e collegialità della Giunta, cit., 51 ss.
(180) E dovendosi, peraltro, operare le dovute distinzioni: i problemi che pongono le nomine nelle aziende partecipate dalla Regione sono sostanzialmente diversi, dal punto di vista del rispetto del principio di imparzialità, da quelli derivanti da nomine operate all’interno dell’amministrazione regionale in senso proprio.
(181) In questa opera di rafforzamento degli strumenti conoscitivi ed ispettivi dei Consigli, va comunque adeguatamente considerata la diversità strutturale delle due esperienze (quella italiana, a differenza di quella statunitense, caratterizzata dalla garanzia, anche ad opera della legislazione elettorale, di una maggioranza a favore del Presidente all’interno del Consiglio regionale). Sul punto cfr. M. Olivetti, La forma di governo regionale dopo la sentenza n. 2 del 2004, in Le Istit. del Federalismo, 2004, 460 s,
(182) Sul punto, oltre ai lavori di R. Bin più volte citati (ed in particolare R. Bin, Il Consiglio regionale. Funzioni di indirizzo e di controllo, cit.) cfr. P.L. Petrillo, Le forme di governo regionale con particolare riferimento al riequilibrio del sistema dei poteri tra consiglio e (presidente della) giunta, cit., 71 s.; N. Viceconte, Riflessioni sulla forma di governo nei nuovi statuti delle Regioni ad autonomia ordinaria, cit., 133.
(183) Cfr. Art. 21, secondo comma, st. Toscana; art. 26, terzo comma, st. Liguria; art. 54, secondo comma, st. Umbria.
Per la rilevazione che soltanto nel caso dello statuto toscano il quorum di attivazione della Commissione d’inchiesta è sufficientemente basso (un quinto dei consiglieri) da potersi parlare di uno strumento di tutela dell’Opposizione, G. Rivosecchi, Organizzazione e funzionamento dei Consigli regionali: principio maggioritario, statuti regionali e regolamenti consiliari, cit., 157 ss.
(184) Art. 20 st. Toscana. Ma cfr. anche art. 25 st. Abruzzo, art. 24 st. Lazio (Commissione di vigilanza sul pluralismo dell’informazione).
(185) Cfr. le riflessioni sul punto di G. Rivosecchi, op.ult.cit., richiamate a nota 141.
(186) La vicenda della posizione dei Consigli regionali innanzi alla Corte costituzionale è ora ripercorsa da T. Giupponi, Autonomia e indipendenza delle Camere e dei Consigli regionali davanti alla Corte, in AA.VV. (a cura di A. Pace), Corte costituzionale e processo costituzionale. Nell’esperienza della rivista “Giurisprudenza costituzionale” per il cinquantesimo anniversario, Napoli, 2006, 372 ss.
(187) Sui regolamenti consiliari, nella letteratura recente, cfr.: M. Picchi, I regolamenti interni dei Consigli regionali: note minime, in Le Istit. del Federalismo, 2001, 269 ss.; G. Sirianni, I regolamenti delle assemblee regionali, in Dir soc., 2007, 213 ss.
(188) Sulla quale, cfr. G. Rivosecchi, op.ult.cit., 145 ss. In precedenza, cfr. E. Colarullo, Dalla riforma dello Statuto a quella del Regolamento del Consiglio: in particolare sui poteri del Presidente del Consiglio, la programmazione dei lavori, la disciplina dei gruppi consiliari e le funzioni del Consiglio, in AA.VV. (a cura di M. Carli), Il ruolo delle assemblee elettive. Vol. I. La nuova forma di governo delle regioni, Torino, 2001, 115 ss.
(189) Sulle quali, oltre agli autori citati nella nota precedente, cfr. P.L. Petrillo, Le forme di governo regionale con particolare riferimento al riequilibrio del sistema dei poteri tra consiglio e (presidente della) giunta, cit., loc. ult.cit.
(190)I notevoli spazi offerti dalla giurisprudenza costituzionale ai Consigli per le garanzie statutarie in tema di controlli endoregionali sull’attività legislativa sono evidenziati da D. Nocilla, Natura delle disposizioni programmatiche statutarie e controlli endoregionali su leggi e regolamenti delle regioni, in Giur. cost., 2004, 4134 ss., a commento delle decisioni sulle c.d. disposizioni programmatiche degli statuti.
(191) R. Bin, Il Consiglio regionale. Funzioni di indirizzo e di controllo, cit., 85 ss.
(192) Cfr., a questo proposito, i dati contenuti in A.G. Arabia – C. Desideri, L’attività normativa delle Regioni, in AA.VV. (a cura di A. D’Atena), Quarto rapporto annuale sullo stato del regionalismo in Italia, Milano, 2007, 231 s., che testimoniano il perdurare di tale fenomeno ben oltre i primi anni successivi alla riforma.
(193) Evidenziato da A. D’Atena, Nuovi statuti regionali e posizione delle assemblee legislative, in Id., Le Regioni dopo il big bang, cit., 153 s.
(194) Cfr, A. D’Atena, Il sistema delle conferenze e l’emarginazione delle assemblee, in Id. Le Regioni dopo il big bang, cit., 169; G., Parodi – M.E. Puoti, L’attuazione del diritto comunitario nelle materie di competenza regionale dopo la legge n. 11 del 2005, in http://www.issirfa-spoglio.cnr.it//3312,908.html.; M. Cartabia – L. Violini, Le norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari. Commento alla legge 4 febbraio 2005, n. 11, in Le Regioni, 2005, 475 ss; E. Di Salvatore, Le relazioni delle regioni italiane con l’Unione europea: fondamento costituzionale, normativa statale e disciplina statutaria, in Rass. parl., 2007, 641 ss.; B. Sardella, La “dimensione comunitaria” dei nuovi Statuti regionali, in Le Istit. del Federalismo, 2007, 464 ss.; L. Spadacini, Integrazione europea e ordinamenti regionali: la debolezza dei Consigli, in Le Istit. del Federalismo, 2007, 353 ss.  
(195)Sulla ratio partecipativa della riserva di legge, è d’obbligo il rinvio a S. Fois, La riserva di legge. Lineamenti storici e problemi attuali, Milano, 1963. Cfr., inoltre, F. Sorrentino – R. Balduzzi, Riserva di legge, in Enc. dir., vol. XL., Milano, 1989, 1214.

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