Sommario

 
 
1. Inizi ottocenteschi

1.1. Lo Stato di diritto. L’amministrazione in Germania non ha seguito sin dall’inizio gli itinerari della specialità; per molto tempo essa ha costruito per lo più i propri atti secondo i dogmi del diritto comune in un regime di sostanziale indifferenziazione del fenomeno giuridico favorita dalla competenza universale delle corti dell’impero  (1). Ancora nel XVIII secolo, quando il principe rivendica per sé alcune competenze materiali fondamentali per il reggimento del regno (privilegia de non appellando)  (2), non si perviene a una distinzione formale tra diritto pubblico e diritto privato, tra legge e volizione privata, tra potere di porre il diritto e il potere di dire il diritto, tra la giurisdizione e l’attività amministrativa. Lo stesso principe, che pur si è riservato alcune materie essenziali per il conseguimento del bene comune (polizia), continua a essere la suprema magistratura del regno (3).
E’ nella contrapposizione, inizialmente in tutto politica, tra il monarca e la società borghese e, quindi, tra il polo dello Stato e quello della società, che inizia a configurarsi, attraverso la composizione giuridica di questa contrapposizione nella struttura dualistica della monarchia costituzionale, il concetto di legge formale, e, con esso, il concetto formale di Stato di diritto e la distinzione formale dei poteri (4).
Non si tratta più tanto della distinzione contenutistica o psicologica tra atti del legislatore, del giudice o dei soggetti cui è affidata l’esecuzione, ma dell’ordinarsi e configurarsi formale della giurisdizione e dell’amministrazione rispetto alla legge la cui natura è ora anch’essa del tutto formale.
La composizione giuridica del conflitto tra monarchia e società civile trova, più precisamente, espressione nel principio per cui il monarca, il quale, mentre è ancora storicamente organo di imputazione di un’universale potestà legislativa, diviene titolare formale dell’attività amministrativa (formale), non possa incidere su proprietà e libertà degli individui senza che un tale intervento sia disciplinato da regole generali e astratte contenute in un atto deciso dal monarca e autorizzato dal corpo dei rappresentanti della società degli individui (5). La riserva di legge non può che rinviare, all’interno di questa logica, alla legge formale che è, come osserva un autore classico del XIX secolo tedesco, atto che “il capo dello Stato può e deve adottare soltanto con l’autorizzazione oppure, nei liberi Stati, in base all’autorizzazione del Parlamento” (6); essa forma con la legge formale il principale dogma dello Stato costituzionale di diritto.
La presenza di una riserva di legge, e della conseguente necessità di approvare una legge formale allo scopo di intervenire su una materia riservata, ha per effetto una particolare giuridicizzazione dello Stato, tutta ridefinita dallo stesso concetto di legge formale (legalità); dello Stato contemplato nel momento del suo intervenire autorizzato in ambiti e sfere di libertà riservati alla legge, dell’attività dei suoi apparati che, nella Monarchia costituzionale, fanno corpo con il monarca; una giuridicizzazione conforme a legge formale che tende a distinguere questa attività dalla restante attività amministrativa (non formale) dello Stato, esterna al perimetro della legge formale e della riserva di legge: lo Stato che interviene nell’ambito proprio della libertà degli individui (libertà personale e proprietà), fa ciò imperativamente per correggere le distorsioni delle regolarità della libertà e realizzare in quello stesso ambito il bene comune, ma proprio questo intervento imperativo, irriducibile a un diritto di coordinazione - quale è il diritto comune dei soggetti -. e per questa stessa ragione bisognoso di essere autorizzato da legge formale, definisce la specialità del diritto amministrativo in terra tedesca. In questo senso il diritto amministrativo, riferendosi all’azione correttiva e armonizzatrice dello Stato all’interno della società civile, costituisce la continuità dell’antico Polizeyrecht all’interno dello Stato costituzionale di diritto.
Proprio perché, a livello costituzionale, la riserva di legge è assegnata ad alcune materie, residua, al di fuori di questi confini, la possibilità di un’attività amministrativa non vincolata dalla legge e non imperativa che si giuridicizza non all’interno dello specifico diritto amministrativo riservato agli atti amministrativi, bensì nell’ambito del diritto comune (civile) dei soggetti.
Questo iniziale sistema tedesco dello Stato di diritto, dell’amministrazione e del diritto amministrativo ricoprente solo una parte di quest’ultima – donde anche, sul versante della giurisdizione, una ben limitata competenza dei giudici amministrativi e l’assenza del concetto stesso di piena giurisdizione – dovette presto confrontarsi con il diverso sviluppo dello Stato di diritto in Francia caratterizzato, oltre che dalla sovranità della legge, dalla netta separazione materiale tra azione pubblica (service public) e azione privata, tra amministrazione e giurisdizione.
In Germania naturalmente proprio la costanza e la coesistenza di atti legali (costruiti dal diritto amministrativo) e di atti materiali (costruiti dal diritto comune) di amministrazione inducono a escludere che la monarchia costituzionale realizzi lo Stato legislativo nel quale ogni attività amministrativa si presenta come concretizzazione della legge formale. Si tratta piuttosto di constatare l’attenuarsi della tensione dualistica e l’affermarsi dello Stato legislativo all’interno della monarchia costituzionale ogni volta che nuove materie sono riservate alla legge formale (7). Lo Stato è così sempre meno di fronte alla società, mentre la società appare sempre più nello Stato.
 
1.2 Il sistema dialettico di G.F.W. Hegel e di Lorenz von Stein. Questi disparati elementi dello Stato ottocentesco sono ricondotti all’unità di un sistema dialettico da Georg Friedrich Wilhelm Hegel la cui riflessione si concentra sulla distinzione materiale tra i poteri dello Stato riconducendo l’amministrazione secondo legge alla giurisdizione e riassumendo nel concetto di amministrazione l’intervento economico, la Vorsorge dello Stato (8).
C’è in Hegel una duplice considerazione dell’individuo che, in quanto particolarità che lascia l’unità sostanziale della famiglia (9), appare “totalità dei bisogni” (10); e che, in quanto “personalità”, “universalità della libertà”, è diritto di venire saputo e riconosciuto come cosa universalmente valida (11).
Da un canto, il “diritto di venire saputa” della personalità – della libertà e della proprietà (della terra) che ad essa immediatamente ineriscono – si positivizza nella legge ossia nella generalità di quel diritto (12) ed è realizzato nell’applicazione della legge da parte del giudice (giustizia), che così distrugge ogni lesione e ogni negazione della libertà affermandola universalmente; e, dall’altro, la particolarità come “totalità dei bisogni” non trova generalmente nella legge, che non potrebbe riconoscerla come “diritto universale a essere saputa”, il proprio soddisfacimento, bensì, di volta in volta, nell’unità familiare (nel lavoro e nella proprietà del pater familias), nella società civile come sistema dei bisogni e nella Vorsorge sussidiaria dello Stato.
Nella società civile gli individui, sottratti all’unità etica della famiglia, stanno in un rapporto di reciproca dipendenza (13); qui, d'altronde, ai bisogni corrispondono gli strumenti per soddisfarli (14), poiché, tramite lavoro e concorrenza (15), le parti della società civile accumulano ricchezza e acquistano proprietà e, nel complesso, costituiscono quel patrimonio generale che dovrebbe garantire il toglimento dei bisogni di ognuno (16).
In realtà ciò che, nella sua immanenza, la società civile non può garantire da sé, è proprio la partecipazione di ogni individuo operante in essa al godimento della ricchezza prodotta dal lavoro. Al contrario i processi di concorrenza e di lavoro sono tali da ingenerare profonde differenze sociali e di portare alla sedimentazione di una classe, la plebe, la cui esistenza si colloca al di sotto del livello di sussistenza. E, proprio a questo punto, si coglie il nesso tra l’universale del diritto positivizzato dalla legge (e realizzato dalla negazione della negazione che è l’opera stessa della giustizia) e la necessità che lo Stato intervenga a riformare la società civile: laddove, infatti, l’individuo, come particolarità, resta privo delle basi esistenziali per il soddisfacimento dei bisogni e lontano dalla vita spirituale, che su quelle si afferma, cessa di essere concretamente personalità e libertà (17); e con il venir meno della vita libera non soltanto dilegua un presupposto della società civile, che vede nella concorrenza di liberi soggetti il proprio momento essenziale, ma anche il contenuto della legge come essere saputo e riconosciuto della libertà.
In ultima analisi lo Stato trae legittimazione dall’attività connessa ai suoi poteri. Attraverso la legge che positivizza la libertà; la giustizia che elimina le lesioni; e l’amministrazione che contribuisce, pur sussidiariamente, a riformare le dinamiche sociali e a liberare gli individui dai bisogni. Lo Stato diviene così la realtà dell’idea etica, l’universale concreto, che, a sua volta è fondamento della società e della famiglia, nonché della libertà dell’individuo (18).
La tensione fatta emergere da Hegel tra la legge che afferma la libertà (e l’eguaglianza in essa di ogni individuo) e la Vorsorge statale, o amministrazione, che realizza concretamente e nel particolare quella stessa libertà, costituisce il modello originario delle ricorrenti polarità (e dei diversi equilibri individuati) messe in luce dalla successiva riflessione su amministrazione e diritto amministrativo fino a oggi in terra tedesca. La sua dimensione dialettica, in particolare, fu sviluppata in maniera compiuta, negli anni appena successivi alla pubblicazione delle Grundlinien hegeliane, da Lorenz von Stein nella sua Geschichte des sozialen Bewegung (19). Qui, come nelle pagine di Hegel, appare il momento statico della legge – che Stein pensa nei termini della Verfassung la quale, assumendo il principio organico dell’identità della vita spirituale dello Stato e della libertà di ognuno, riconosce l’eguale partecipazione dei cittadini alla formazione della libertà statale - e quello dinamico dell’amministrazione il cui compito fondamentale sta nell’elevazione del singolo al di sopra del livello di sussistenza e nella realizzazione del suo pieno sviluppo e della sua concreta libertà.
Dunque per Stein, come già per Hegel, lo Stato perviene alla libertà delle proprie parti e della propria totalità, ossia alla realtà etica, anche attraverso la Daseinsvorsorge, l’amministrazione che si prende cura dell’esistenza degli individui. Né manca, anzi è approfondita, la considerazione, non meno feconda di futuri sviluppi, del pericolo che lo Stato si renda disponibile alle istanze sociali prevalenti, e capitoli di fronte ad esse divenendone una mera funzione: in tal caso sarà l’esistenza autentica e libera dell’individuo a declinare assieme all’attenuarsi dell’eticità nell’irrazionale sociale e all’indisponibilità dello Stato.
In questi termini si definisce coerentemente anche il rapporto tra l’amministrazione e l’individuo di cui a livello costituzionale si afferma la libertà all’interno dello stesso organismo statale. Se l’amministrazione opera, secondo la vecchia concezione meccanicistica della Wohlfahrtspflege (qui contrapposta alla Leistung individuale come nuovo elemento dell’amministrazione), senza riconoscere nel particolare del destinatario un fine in sé, una sfera di libertà capace di interno sviluppo, la sua azione sarà tale da indebolire la totalità statale come realtà etica (20). La Daseinsvorsorge non coincide con l’esercizio della giurisdizione ossia con la mera negazione della negazione della libertà attraverso l’applicazione della legge, né si esaurisce nella semplice garanzia di ordine e sicurezza (nell’amministrazione imperativa operante in base a un’autorizzazione legale), che pur costituisce un primo momento dell’amministrazione, ma si concentra nella innere Verwaltung, nell’“amministrazione interna” appunto, che è utilizzo del potere e degli strumenti statali concretamente finalizzato a promuovere (e non a costituire esteriormente) lo sviluppo materiale e spirituale dell’individuo, e che si declina, specificando la distinzione hegeliana tra Leistung e Leitung, in cura dell’esistenza fisica e spirituale dell’individuo, in amministrazione della vita economica e in amministrazione della vita sociale (gesellschaftliches Leben).
Accanto e all’interno dell’attività amministrativa fiscale dello Stato, ancora dominata dal diritto comune, la riflessione hegeliana e steiniana sullo Stato moderno individua Daseinsvorsorge, innere Verwaltung e Leistung come nuovi principi di specialità del diritto amministrativo.
La sottrazione di parte dell’attività dello Stato al regime comune e la sua attribuzione all’amministrazione per Daseinsvorsorge segna, nella misura in cui quest’ultima acquista specialità pubblicistica, l’approssimarsi al modello francese del service public e della piena giurisdizione.
 
1.3 La giuridicizzazione. Otto Mayer. Il sistema hegeliano e, poi, quello di von Stein sono caratterizzati tanto dall’implicarsi dialetticamente (ma non nel confondersi) di famiglia, di società e di Stato, dal momento che la libertà dell’individuo nella società è fondamento e scopo dell’attività statale e delle previdenze del capofamiglia – e, in questo senso, Stato e società e famiglia costituiscono l’unità organica del riconoscersi dello spirito a vari livelli (21) -, quanto dalla costante preoccupazione che siano tolti, tramite la riforma sociale, il bisogno e la possibilità distruttiva della rivoluzione. Tale sembra essere il senso stesso del soziales Königtum di Lorenz von Stein; qui emerge in tutta evidenza la società civile come tema e problema (22), sicché le variazioni nelle dottrine dello Stato e della amministrazione potranno essere misurate di volta in volta proprio secondo il parametro del rapporto tra Stato e società.
Significativo sotto questo punto di vista è lo sviluppo, anche in campo pubblicistico, verso la giurisprudenza dei concetti. L’abbandono della comprensione dialettica di Stato, società e poteri statali (23) porta all’isolamento di una volontà sovrana esterna al suo oggetto il quale regredisce a semplice “sostrato” (Laband) (24) o “condizione” (Zoepfl, von Seydel) o a semplice “organismo senza centro” (Stahl, Puchta, Gerber) (25) cui la stessa volontà sovrana imprime dalla distanza di un punto esterno unità giuridica. Così isolata dal proprio oggetto, la volontà statale si razionalizza attraverso la costruzione giuridico concettuale (26). Si tratta, insomma, di un fascio di possibilità e costruzioni giuridiche che è attivato da una volontà sovrana reale (quella del monarca) e sovraordinata ai rapporti sociali, e che, proprio in quanto sistema della volontà sovrana, è connotato da uno specifico Mehrwert, o plusvalore, pubblicistico e perviene così a una propria specificità rispetto agli altri ambiti del diritto (27).
Questa volontà giuridicizzata, proprio per il potere e l’esteriorità che la caratterizzano, rimane esterna alla trama dei rapporti economici della società civile e trova la propria collocazione storico-concettuale nel sistema dualistico della Monarchia costituzionale e dello Stato di diritto, i quali, pensati anch’essi al di fuori di qualsiasi unità dialettica, presuppongono egualmente una netta distinzione tra Stato e società.
In particolare la volontà del sovrano quando non si configura come legislativa nella legge formale oppure nel regolamento a contenuto generale (28), si giuridicizza negli istituti del diritto amministrativo e principalmente nell’atto amministrativo che ora è concepito come mera realizzazione di un contenuto posto normativamente dalla legge ora, invece, conseguendo la propria definitiva definizione dogmatica, come “la pretesa sovrana propria dell’amministrazione in base alla quale si determina nel caso concreto che cosa deve essere giusto per il cittadino” (29).
A questa celebre definizione mayeriana corrisponde l’autonomo giuridicizzarsi della volontà dello Stato ogni qual volta essa interviene nell’ambito dei rapporti sociali ossia nella sfera dell’individuo (30). E’ importante osservare che si attenua così, nella rielaborazione di Otto Mayer, il rapporto tra azione amministrativa e legge come presupposto dell’amministrazione imperativa e carattere della specialità e dell’eccezionalità del diritto amministrativo (31), e, di conseguenza, si afferma, invertendo la natura normalmente fiscale dell’azione amministrativa nella tradizione tedesca, l’eccezionalità dell’amministrazione attraverso il diritto comune e la normalità del ricorso alla categoria formale dell’atto amministrativo e alla sua specifica grammatica (32) ogni volta che “i sudditi entrino in contatto con lo Stato nell’atto di amministrare” (33). L’atto amministrativo in quanto forma giuridica di ogni rapporto tra lo Stato amministrante e il suddito si sovrappone al criterio delimitativo della legalità dell’atto imperativo e contribuisce così a dilatare i confini del diritto amministrativo avvicinandoli a quelli del sistema francese.
Fuori della attività imperativa dello Stato assumente senz’altro la forma dell’atto amministrativo, gli atti della Vorsorge e della Leistung, la cui importanza emerge dai sistemi di Hegel e Stein, sono in molti casi rivestiti anch’essi – con ulteriore sacrificio dell’elemento dell’imperatività del diritto amministrativo - delle forme del Verwaltungsakt., mentre le forme negoziali e dell’amministrazione fiscale sono relegate all’eccezionalità.
In tal modo Mayer pone al centro del proprio interesse scientifico l’atto amministrativo e la sua natura pubblicistica; ed è naturale che, con l’affermarsi - non a caso concomitante al trionfo dello Staatsrecht di Laband - dell’opera di questo autore, la parte generale del diritto amministrativo tenda a coincidere con la dogmatica eminentemente giuridica dell’atto amministrativo la quale, proprio quando è applicata all’attività prestazionale, fa passare in secondo piano ogni scopo di realizzazione sociale.
Autonomia e centralità dell’atto amministrativo mettono in luce alcuni aspetti che devono essere qui finalmente richiamati e ribaditi, benché si presentino con una diversa intensità nello sviluppo concettuale. Innanzitutto la netta distinzione tra Stato e società che consente di individuare una volontà suprema oggetto di una specifica costruzione giuridica, ed è perciò premessa della specialità dell’amministrazione e causa dell’Umbildung dei concetti privatistici – distinzione che in una visione generale dissolve nell’espansione della legge formale quand’anche si tenga fermo il principio che il popolo solo indirettamente è oggetto della volontà del parlamento che lo rappresenta (34). La distinzione tra il diritto amministrativo tutto incentrato sull’Eingriffsverwaltung autorizzata dalla legge e sulla figura dell’atto amministrativo imperativo e gli atti di diritto comune posti dall’amministrazione statale non imperativa, e, in seguito, il tentativo di ricondurre al Verwatungsakt tutta l’attività del potere pubblico in quanto tale. Il differenziarsi del diritto amministrativo, i cui atti sono autonomamente costruiti dalla grammatica del Verwaltungsakt, dal diritto costituzionale e dal diritto civile, e la discontinuità tra determinazione legislativa (norma da eseguire) e “determinazione nel caso concreto di che cosa dev’essere giusto per il cittadino” (discrezionalità implicita al concetto di atto amministrativo).
Al primo aspetto appena indicato, il quale è evidentemente premessa dei successivi, si ricollega un’inevitabile considerazione su che cosa fosse la società per gli autori dell’epoca guglielmina, come Gerber, Laband e Mayer. Hegel e Stein avevano messo in luce le pericolose contraddizioni di una società civile recante in sé la possibilità della rivoluzione; e, in un tempo non lontano dalla pubblicazione dei principali scritti di Stein sul regno sociale, Gerber aveva significativamente osservato negli Öffentliche Rechte, pubblicati nel 1854 a ridosso della rivoluzione sociale, che “un’epoca in cui un’organizzazione scaccia l’altra, un’epoca in cui tutte le relazioni pubbliche son poste in continua agitazione, e tutto quel che esiste, è ognora minacciato di rivolgimento, quest’epoca, comunque, non è propizia alla scienza giuridica; è un’epoca della politica e non del diritto(35).
In un periodo successivo, quando Gerber decise finalmente di metter mano alle Grundlinien (1863) e di costruire lo Stato come persona giuridica, mentre Laband si preparava a formulare con sicurezza i dogmi del diritto pubblico del Reich tedesco nei cinque volumi dello Staatsrecht e Mayer definiva i concetti dell’atto amministrativo, non soltanto la soziale Bewegung non doveva più minacciare di trasformarsi in rivoluzione e di distruggere la libertà individuale, famigliare e statale, ma la vita della società civile doveva manifestarsi allo spirito progressivo e positivista della belle epoque in una tale armonia e libertà da regredire all’immagine di un aproblematico sostrato nel quale bastava intervenire con regolare e giuridica puntualità.
 
2. La fine dello Stato dualista. Tra la Repubblica dei Weimar e il Reich nazionalsocialista.
 
2.1 La caduta della monarchia e la poliarchia. La visione dello Stato di diritto in cui la sfera dello Stato interviene nella società soltanto per correggere alcuni falsi sviluppi e soltanto, quando si tratti della libertà degli individui, attraverso l’autorizzazione dei rappresentanti della società, presuppone la contrapposizione inizialmente polemica tra un apparato statale dato e presupposto e una società borghese che si sviluppa al di sotto di questo apparato. L’unità del polo sociale è data proprio nella dialettica con il polo (monarchico) dell’autorità e del governo (36). Soltanto nelle concezioni organiche e, soprattutto, nell’assimilazione gierkiana di gruppi sociali, corporazioni comunali e Stato sotto il concetto comune di Genossenschaft questa tensione dialettica si stempera e con essa scema anche, sul piano concettuale, l’unità di ciascun polo (37).
La costruzione concettuale della volontà del polo monarchico, la quale ha inizio con la reazione romanistica di Gerber, ristabilisce la trascendenza e la specialità della volontà statale rispetto al polo sociale che, piuttosto che rappresentare la riserva di tradizioni e di forme giuridiche, torna a essere destinatario di comandi e di leggi statali. E’ questo il sistema in cui, come s’è notato, si iscrivono naturalmente sia il diritto pubblico di Laband che il diritto amministrativo di Otto Mayer – sistemi che dominarono fino alla I Guerra mondiale. Essi, proprio nella permanenza della netta distinzione di Stato e società, concepiscono la società come un limite dell’attività statale che interviene imperativamente soltanto quando il patto costituzionale e la legge formale lo autorizzano. In questa fase del pensiero e della realtà statualistica non tutti i problemi sociali sono questioni di diritto pubblico e, se lo Stato decide di intervenire al di fuori delle possibilità che il diritto pubblico gli riserva, interviene per lo più come soggetto tra soggetti ricorrendo agli strumenti del diritto comune.
La caduta della Monarchia pone fine alle antiche opposizioni e polarità, al dualismo stesso che caratterizza lo Stato tedesco lungo tutto il XIX secolo; la sconfitta del Reich coincide persino con la conclusione di un conflitto che iniziato nel Vormärz, assopitosi dopo i motti del 1848 ed esploso durante il conflitto costituzionale prussiano, era rimasto latente durante tutta l’epoca guglielmina: la borghesia tedesca che aveva opposto polemicamente i diritti della società nazionale agli apparati militari e burocratici della monarchia prussiana, per poi rifluire nell’impoliticità e nelle neutralizzazioni della Costituzione del Reich e delle costruzioni positiviste, assiste alla fine del suo “nemico politico” indebolito nella propria capacità di essere Soldatenstaat dalla costituzione dello Stato borghese di diritto (38).
Con la fine delle vecchie opposizioni dileguano, però, anche gli accordi e le delimitazioni che ne erano scaturiti; in particolare cede “l’accordo tra borghesia, proprietà fondiaria e Corona finalizzato ad escludere” la plebe dalla partecipazione al funzionamento della macchina statale (39). Caduta la Monarchia, il polo della società civile smarrisce, così, la propria natura di controparte e, con essa, l’unità politica complessivamente rappresentabile dal ceto borghese autonomo, colto e razionale. Riemerge, anzi, prepotentemente, in quanto privato del proprio superiore correttivo etico, l’irrazionale della società dei bisogni in cui la borghesia è ora semplicemente parte (e partito), la rivoluzione ritorna a essere un pericolo attuale, mentre si forma una complessa poliarchia di gruppi contrapposti nei quali fluisce il politico (40).
 
2.2 Verso il nuovo Stato. La società che non può più essere considerata un “sostrato” o una semplice “condizione” dell’attività giuridica dello Stato, torna a mostrare il proprio lato “pericoloso”, a essere un tema e un problema, e ciò tanto più in un momento in cui il potere statale è crollato.
Del tutto significative sono in tal senso le parole, citate da Carl Schmitt, con cui Friedrich Naumann parlò all’Assemblea Nazionale di Weimar: “Perché dobbiamo ora produrre una costituzione? Per due motivi: innanzitutto perché la monarchia non c’è più. Non spetta qui discutere sul come e perché. La monarchia non c’è più. Siamo costretti a fare una nuova costituzione perché una delle colonne dello Stato, anzi la prima e la più forte è crollata” (41).
Proprio perché “una delle colonne dello Stato”, ossia lo Stato stesso come spirito oggettivo e organizzazione trascendente, è crollata, la nuova costituzione non può che avere per oggetto (e soggetto) l’intera società; tramontato il dualismo e dissoltosi ogni accordo tra corona e borghesia, è la società stessa a superare da sé l’irrazionale che la caratterizza costituendosi nel suo complesso in Stato, e, in quanto Stato cui non è estraneo alcun momento della vita sociale, in Stato totale (42).
Constatata l’estensione ad ogni rapporto sociale che caratterizzava lo Stato di Weimar, le dottrine si divisero nel tentativo di coglierne o di rifondarne il momento unificante. La dottrina dell’integrazione di Rudolf Smend tenta di ricostruire, a partire dalla stessa costituzione, l’unità statale attraverso i processi integrativi della comunità attorno a simboli e valori (integrazione materiale e personale) oppure attraverso i procedimenti che coinvolgono i cittadini nell’esercizio di funzioni statali (integrazione funzionale) (43). L’idea dell’integrazione spirituale della società statale non è del tutto estranea alla Verfassugslehre di Carl Schmitt (1928) che, dopo avere descritto la costituzione come “concreta condizione generale dell’unità politica e dell’ordinamento sociale di un determinato Stato” e come “una specie particolare di ordinamento politico e sociale”, individua un terzo significato secondo cui la costituzione è anche “principio del divenire dinamico dell’unità politica, del processo di nascita e di formazione sempre nuova di questa unità con una forza e un’energia che sta alla base o che agisce dalle fondamenta” – conformemente a questo divenire dinamico “da interessi, opinioni e premure diverse e contrapposte l’unità politica deve formarsi quotidianamente, deve – secondo l’espressione di Rudolf Smend – ‘integrarsi’” (44). In realtà, per Schmitt, dinamica integrativa e condizione concreta rilevano nel processo di formazione e di conservazione dello Stato soltanto in quanto vanno a costituire l’unità politica che decide la costituzione in senso assoluto ossia la definizione dell’“unità politica rispetto alla sua forma speciale di esistenza”. In tal senso la costituzione non crea l’unità politica ma ne definisce la struttura in seguito a una determinazione consapevole (45).
Se gli scritti di Smend e di Schmitt mirano a un superamento degli effetti distruttivi della poliarchia attraverso l’individuazione di un’unità politica, il positivismo giuridico indica nella legislazione parlamentare e, dunque, nel procedimento legislativo fissato dalla norma costituzionale il principio apicale di unità dell’ordinamento giuridico che è ordinamento gerarchico di norme e di procedimenti formali all’interno del quale il dato materiale e storico del pluralismo sociale è costituito in unità giuridica. La centralità della legislazione, cui, cessata ogni contrapposizione dualistica, corrisponde non più l’unità politica della società civile rappresentata dalla borghesia di fronte al monarca, bensì la rappresentanza dei contrapposti interessi sociali, presuppone l’irrazionalità del fondamento – laddove per Smend e Schmitt rimane decisiva l’integrazione attorno a contenuti condivisi – e il metodo formale della democrazia moderna come unica regola fondamentale. In particolare, attraverso l’assoluta sovrordinazione della legge, si vuole vincere ogni retaggio storico e concettuale della monarchia costituzionale, superare definitivamente il sistema dualistico, e ricondurre ogni attività amministrativa alla superiore norma legislativa quale esclusivo principio di giuridicizzazione. Anche gli apparati burocratici, che ancora nel diritto pubblico di Gerber esercitano il diritto supremo del principe, divengono organi della legge.
Proprio perché la legge sta a fondamento dell’intero ordinamento di uno Stato che tende a coincidere con la società civile, ogni questione sociale diviene senz’altro competenza legislativa e l’amministrazione concretizzazione del processo di normazione a un livello inferiore dello Stufenbau.
Il momento dell’autorità politica è finalmente riassorbito nell’ordinamento delle norme procedenti dalla legge fondamentale e dalle leggi ordinarie; e tolta è la sovranità politica (46).
 
2.3 La riscoperta dell’innere Verwaltung. Carl Schmitt ed Ernst Forsthoff. La legalità, secondo Schmitt, più che mediare normativamente l’unità del corpo sociale, diviene nello Stato policratico lo strumento tramite il quale alcuni gruppi sociali costituenti la maggioranza parlamentare esercitano il proprio dominio su altri gruppi senza che con ciò sia prodotta alcuna reale unità politica del popolo; inoltre essa, ponendosi come principio di calcolabilità e di prevedibilità dell’azione statale, esclude dal proprio orizzonte la possibilità di riconoscere l’eccezione e di distinguere l’amico dal nemico (47).
Sempre secondo Schmitt, il rimedio a questi sviluppi distruttivi è stato deciso dal popolo tedesco con le elezioni del parlamento del 5 marzo 1933 le quali, “considerate con i criteri della scienza giuridica”, sono state “un plebiscito col quale il popolo tedesco ha riconosciuto Adolf Hitler, la guida del movimento nazionalsocialista, come guida politica”; e a tale decisione costituzionale, pur rivestita dei caratteri della legalità, ha dato esecuzione la legge sui pieni poteri del 24 marzo 1933 – il Gesetz zur Behebung der Not von Staat und Volk – che “in realtà è una legge costituzionale provvisoria della nuova Germania” (48).
La nuova forma di Stato che Schmitt fa emergere da questo atto è data dall’interagire dell’elemento statico dell’“apparato statale dell’autorità e degli uffici, consistente nell’esercito e nei funzionari statali” e della “sfera del popolo lasciata all’amministrazione autonoma comunale” con il livello dinamico del partito che “sostiene Stato [apparato] e popolo […] e che è il corpo politico in cui il movimento trova la sua forma particolare” (49). A ben vedere questi tre elementi – Stato, partito e movimento – riconfigurano in un nuovo contesto e secondo diverse modalità l’unità dialettica di Stato e società affermata da Hegel e da Stein, e abbracciano così la totalità della vita del popolo, conciliando unità politica e Stato totale. In particolare è tolta la vecchia separazione liberale: il popolo contemplato come sequela del Führer è movimento – mentre è organizzazione di amministrazioni autonome in quanto la direzione politica che lo sostiene ne ha deciso con “una decisione specificamente politica” l’“impoliticità”; gli apparati amministrativi sono guidati da funzionari che sono in una “Volksgenossen” e “compagni di partito”; il “corpo direttivo” (partito), che sostiene Stato (amministrazione) e popolo, è costituito dal Führerstand cui spetta la suprema decisione politica (50).
In questo quadro costituzionale delineato da Schmitt nello scritto Staat, Bewegung, Volk si iscrive, in questi anni, la dottrina dell’amministrazione di Ernst Forsthoff e la sua riflessione sul totaler Staat. In realtà Forsthoff ora approfondisce il concetto di società non senza riferimenti a ciò che il pensiero filosofico afferma sul fenomeno della tecnica, ora recupera, rispetto allo schema schmittiano dove è preponderante il momento della direzione e della decisione politica, una più netta polarità e autonomia dell’apparato burocratico e dell’azione amministrativa la quale, nel nuovo contesto, riconquista la propria dimensione prestazionale.
Anche Forsthoff analizza le scansioni della formazione e della crisi dello Stato di diritto; egli riprende e descrive uno sviluppo che va dalla netta distinzione, tipica dell’assolutismo settecentesco, tra la sfera del politico legittimata e sorretta da una legittimazione religiosa e la comunità umana a essa sottoposta, alla corrosione liberale di questa opposizione laddove il potere pubblico si rende disponibile alla volontà della nazione rappresentata dal parlamento, alla progressiva mobilitazione del diritto pubblico che ha perduto un fondamento stabile e che subisce le sempre più mutevoli rappresentazioni della legittimità, fino alla completa disponibilità rispetto alle formazioni della società civile nelle quali, caduta la monarchia, tende a concentrarsi la decisione politica.
Di fronte alla proliferazione della poliarchia sociale, che la costituzione di Weimar, costruita con le categorie dello Stato di diritto attorno a un polo dell’autorità assente, non riesce a dominare, di fronte al principio di legalità usato dalle maggioranze parlamentari come strumento di distruzione dell’unità politica e alle forme apocrife di subordinazione che da tale uso derivano, appare necessaria, pur nell’immanenza di un popolo senza monarchia, la Einsetzung einer Institution la quale può essere attuata soltanto tramite l’affermazione della sua trascendenza. Dunque alla fine di un secolare percorso verso la completa disponibilità dello Stato alle forze sociali, appare del tutto evidente che senza trascendenza non vi è autorità stabile (51). Ciò che, tuttavia, deve essere rinvenuto è il fondamento di questa stessa trascendenza dell’autorità. Ancora una volta un ruolo fondamentale è svolto dal concetto di società che in Forsthoff è fatto oggetto di una profonda ricomprensione.
In Hegel, ma soprattutto in Stein e in Marx, il lavoro costituisce una categoria prevalentemente economica, tanto da legarsi senz’altro a concetti altrettanto economici come quelli di ricchezza, capitale, patrimonio comune, accumulo, plebe e proletariato; in Forsthoff, che pure non cessa di considerare l’esistenza (Dasein) come una dimensione di bisogno che deve essere soddisfatta, il lavoro assume – non senza riferimento al grande dibattito filosofico iniziatosi in Germania con la pubblicazione degli scritti Die totale Mobilmachung e Der Arbeiter di Ernst Jünger (52) - anche una connotazione metafisica e si configura come l’attività con cui il lavoratore, altra figura così sottratta all’esclusivo dominio economico, realizza la forma della tecnica e imprime in tal maniera un nuovo senso alla storia, al mondo degli uomini e persino alla terra. Importante è osservare che la tecnica è qui ragione entelechiale di una civiltà, idea platonica che si concretizza con una forza che, ancora una volta, non è economica e alla cui realizzazione corrisponde una rivoluzione che non è in alcun modo riducibile alla rivolta di una classe di nullatenenti contro una classe di capitalisti, bensì rappresenta un movimento oggettivo che conforma la società in tutte le sue parti e la trasforma in una superiore unità.
E’ questo nuovo concetto di società che si inserisce nella struttura dialettica dello Stato steiniano dilatandone il senso e che inevitabilmente incide anche sull’attività dell’amministrazione e del governo ora inteso come Führung – un concetto di società nella cui visione si risolve il conflitto di classe ed è superata la poliarchia. Il senso della sostituzione della realizzazione tecnica alla vecchia economia, che emerge in più passaggi di Der totale Staat (1933), è compiutamente esplicato in Die Verwaltung als Leistungsträger (1936) e sarà ripreso, nella prospettiva del Grundgesetz e di un estremo avanzamento dell’industrializzazione, in Der Staat der Industriegesellschaft (1971). Soprattutto nello scritto del 1936 la trasformazione del mondo (sociale) è descritta come un esponenziale incremento dello “spazio effettivo” dell’uomo – ossia delle sue possibilità estrinseche di agire – cui corrisponde una proporzionale diminuzione dello “spazio dominato” ossia dello “spazio che è ordinato all’uomo in maniera tanto intensiva da potere essere considerato sua assoluta proprietà” (53). Proprio questa progressiva riduzione della proprietà come base esistenziale e fondamento di libertà incrementa, secondo una logica ben nota a Hegel, il bisogno sociale che però trova contemporaneamente soddisfacimento in un’inaudita realizzazione tecnica nella sua attuale opera di trasformazione del paesaggio naturale, della terra come hegeliano luogo della proprietà e della libertà etica (54) in industria e di ogni individuo in lavoratore. L’irrazionale sociale va vieppiù razionalizzandosi nello storicizzarsi della forma della tecnica. E la realizzazione tecnica, seguendo una scansione che ancora una volta ricorda le pagine di Hegel e di Stein, inizia, nello stesso momento in cui l’individuo abbandona lo “spazio dominato” della terra e della vita familiare, nella solidarietà collettiva dei gruppi sociali e si compie nella Daseinsvorsorge che supera quella solidarietà (55), ossia nella forma di Stato e di esistenza politica del popolo in cui è massima l’unità tra attività statale, realizzazione tecnica e società dei lavoratori; in cui la razionalizzazione tecnica si estende anche agli apparati statali assumendo la veste esteriore della legalità (56).
Nello Stato totale in cui l’individuo è destinatario della Daseinsvorsorge, senza la quale sarebbe privato delle proprie basi esistenziali, lo stesso individuo in quanto lavoratore partecipa alla realizzazione tecnica complessiva e se ne assume la responsabilità: la Teilhabe, la partecipazione allo spazio vitale effettivo costantemente garantita dallo Stato e da ogni cittadino in quanto lavoratore, è la nuova posizione giuridica concreta - strettamente legata alla responsabilità di ognuno – che ogni individuo riceve in cambio della rinuncia alla propria vecchia libertà soggettiva (57).
Il problema del fondamento dell’autorità e della sua trascendenza è dato qui non più dal principio religioso ma da un nuovo ethos che procede dalla realizzazione tecnica cui partecipa l’“intera comunità del lavoro”. Un nuovo ethos che è il senso, la Gesinnung, che sorregge ogni parte del nuovo Stato, dell’Arbeiterstaat (58).
E’ di questo ethos che si colma la decisione per il nuovo Stato sottraendosi così ad ogni sospetto di occasionalismo; in esso si approfondisce il senso della tripartizione Stato-popolo-movimento appena formulata da Schmitt.
 
3. Il Grundgesetz
 
3.1 Il processo di costituzionalizzazione. Grundgesetz e amministrazione. Se durante i periodo nazionalsocialista si afferma il principio della Führung come presupposto costituzionale di una amministrazione prevalentemente materiale volta al soddisfacimento dei bisogni del popolo e ai compiti dello Stato decisi e individuati dallo stesso Führer, la Legge fondamentale del 1949 da un canto continua a contemplare la dimensione statale della Leistung (Stato sociale) e dall’altro tenta di imbrigliarla nelle riscoperte categorie dello Stato di diritto, dell’eguaglianza e dei diritti fondamentali. Nasce lo Stato sociale di diritto.
In particolare alcuni articoli di costituzione sembrano (re)implicare, all’interno della decisione costituzionale per la divisione dei poteri, la giuridicizzazione e la costituzionalizzazione del diritto amministrativo. L’art 1 Abs. 3 GG che afferma la vincolatività dei diritti fondamentali rispetto “[al]la legislazione, [a]l potere esecutivo e [al]la giurisdizione come diritto immediatamente valido”; l’art. 19 Abs. 4 GG che stabilisce la tutela giurisdizionale in base alla quale “se qualcuno viene leso nei suoi diritti dal potere pubblico può adire all’autorità giudiziaria”; e l’art. 20 Abs. GG che prevede un’ampia riserva di legge e la supremazia del diritto costituzionale (“La legislazione è vincolata al diritto costituzionale”) nonché il principio di legalità (“il potere esecutivo e la giurisdizione sono vincolati alla legge e al diritto”).
Contribuisce alla concretizzazione di questo sistema e alla formazione di una dogmatica generale del diritto amministrativo, che si va a posizionare a metà tra Costituzione e diritto amministrativo particolare, il superamento del particolarismo regionale dei Tribunali amministrativi – i vecchi Oberverwaltungsgerichte – attraverso la nuova organizzazione dei tribunali e in particolare l’istituzione del Bundesverwaltungsgericht (1953) sotto la vigenza del Grundgesetz. Il Tribunale amministrativo ha sin dall’inizio interpretato i principi tramandati (non scritti) del diritto amministrativo deducendoli ex novo dalla stessa Legge fondamentale e ha riconosciuto in questi principi come nei diritti fondamentali il fondamento per la revisione indiretta e omogenizzatrice del diritto dei Länder ogni volta che si sia trattato di riformare sentenze fondate su leggi regionali pronunciate da Tribunali inferiori. In questa attività interpretativa il Bundesverwaltungsgericht ha finito per collocarsi all’ombra del Bundesverfassungsgericht che ha orientato efficacemente l’interpretazione del Grundgesetz soprattutto per quel che concerne i diritti fondamentali (59).
In questo contesto, in cui principi e diritti fondamentali vincolano il potere pubblico e la riserva di legge sembra estendersi oltre gli ambiti della proprietà e della libertà personale all’attività prestazionale e pianificatrice dello Stato, il diritto amministrativo è apparso nel suo complesso a una parte considerevole della dottrina un konkretisiertes Verfassungsrecht (Fritz Werner). Ogni questione di diritto amministrativo – concludeva Otto Bachof nel 1963 – è “oggi almeno potenzialmente una questione di diritto costituzionale, e i tribunali amministrativi prendono parte all’interpretazione della costituzione non meno dei tribunali costituzionali”.
Si tratta ora di considerare qui di seguito i due aspetti più rilevanti del processo di costituzionalizzazione riconducibile alla vigenza del Grundgestz.
 
3.2 La legge e l’amministrazione. Il problema della riserva di legge. Tra il principio della vincolatività dei diritti fondamentali e il principio della riserva di legge si delineano in realtà due diverse ricostruzioni sistematiche che riflettono differenti comprensioni della visione del diritto amministrativo come diritto costituzionale concretizzato.
In un primo momento, soprattutto in sede giurisdizionale, si procedette, tenendo presente l’efficacia diretta dei diritti fondamentali, a una “prudente costituzionalizzazione di settori finora non regolati dalla legge senza porre la questione se qui fosse necessaria un’attivazione della legislazione subcostituzionale” (60). Tale possibilità ridimensionava l’affermata maggior estensione della riserva di legge e vincolava direttamente l’azione amministrativa alla costituzione senza che intervenisse una concretizzazione legislativa.
Questa lettura fu criticata nella prima metà degli anni Sessanta da Dietrich Jesch e, con maggior radicalità, da Hans Heinrich Rupp. Entrambi, ricollegandosi a una dottrina già esposta da Hans Kelsen nel periodo weimariano, ricavano la generale necessità del presupposto della concretizzazione legislativa del contenuto costituzionale dalla “contrapposizione tipizzante tra struttura dualistica delle monarchia costituzionale”, in cui solo una parte dei compiti dello Stato è riservata alla legislazione, e “la struttura monistica della democrazia parlamentare del Grundgesetz” in cui il parlamento primariamente è delegato alla normazione di ogni rapporto individuato dalla Costituzione (61).
La “Fixierung auf das Gesetz” con la quale Jesch e Rupp pensano di superare il dualismo ottocentesco di monarchia (amministrazione) e parlamento (legislazione) nella completa sovraordinazione di quest’ultimo in un sistema caratterizzato dalla piena legittimazione democratica (art. 20 Abs. 2 GG: “Tutto il potere emana dal popolo”) rappresenta a benvedere il compimento di uno sviluppo che, iniziato nel XIX, tende gradualmente a risolvere la contrapposizione esterna tra cittadino e imperio pubblico nella normazione legislativa di ogni attività amministrativa che, proprio nel conformarsi in tutto alla volontà del legislatore parlamentare, non appare più estranea alla volontà del cittadino.
La critica, cui è stata sottoposta questa comprensione legicentrica dei rapporti amministrativimirante alla riduzione al minimo della discrezionalità e della specificità dell’amministrazione, prende avvio proprio dalla considerazione dell’incongruità di una interpretazione che non cessa di presupporre come compito il superamento del dualismo della monarchia costituzionale all’interno di un sistema in cui questo dualismo è stato tolto sin dall’inizio con l’affermata legittimazione democratica a livello costituzionale di ogni potere dello Stato: l’amministrazione della Bundesrepublik è infatti, a differenza degli apparati del Reich guglielmino, espressione di “un potere emanato dal popolo”, guidata da un governo parlamentare e sottoposta al controllo parlamentare anche quando la sua attività non si configuri nella mera concretizzazione della legge e si muova a un livello immediatamente subcostituzionale (62).
 
3.3 I diritti fondamentali. La soggettivizzazione del diritto amministrativo. L’idea, di cui si è appena detto, secondo la quale la concretizzazione del diritto costituzionale possa e debba avvenire tramite l’attività amministrativa in base alla immediata vincolatività dei principi e dei diritti fondamentali, non è stata abbandonata durante la vigenza della Legge fondamentale – soprattutto in un momento in cui, manifestatesi la progressiva accelerazione e la provvisorietà della legislazione che sempre più sembrava fare corpo con un’amministrazione impegnata nella liquidazione dei danni bellici (Liquidationsrecht), veniva in evidenza, a un livello superiore rispetto a quello della legge ordinaria, il carattere di “struttura costante” e di “fattore stabilizzatore” del diritto costituzionale” (63); anzi essa ha introdotto quella che è stata definita una “rivoluzione copernicana nel sistema del diritto amministrativo” (64).
Mentre secondo una visione tradizionale l’attività amministrativa adempiva ai compiti dello Stato e agli obblighi giuridici oggettivi che il diritto legislativo assegna all’amministrazione in maniera tale che il soggetto risultava esserne destinatario passivo – “oggetto di assistenza” nel caso dell’attività prestazionale –, e ciò proprio perché la vincolatività di un diritto era in ultima analisi da fare risalire alla sua individuazione da parte del legislatore, ora il vincolo dei principi e dei diritti fondamentali fonda delle pretese soggettive (diritti pubblici soggettivi) in capo agli individui tanto verso il legislatore che deve legiferare affinché quelle pretese trovino soddisfazione, quanto verso l’amministrazione che, anche in assenza di determinazioni legislative, è tenuta alla realizzazione di principi e diritti fondamentali. Risultato evidente di questo importante sviluppo è la soggettivizzazione del rapporto tra Stato e cittadino.
Ad operare questa “rivoluzione copernicana” fu soprattutto la giurisprudenza che, a partire dalla Fürsorgeentscheidung pronunciata dal Bundesverwaltungsgericht nel 1954 (65), iniziò a interpretare il diritto oggettivo legislativo leggendovi ogni volta una finalizzazione rispetto alla realizzazione di diritti soggettivi ossia di pretese giustiziabili del cittadino.
In particolare negli ambiti non coperti dalla normazione legislativa l’intervento soggettivizzato dell’amministrazione si configura come una autolimitazione [Selbstbindiung] del potere pubblico orientata dalla vincolatività dei diritti fondamentali di cui i soggetti sono titolari.
Anche questo percorso interpretativo conduce a una limitazione della discrezionalità dell’amministrazione pur non estendendo la riserva di legge a ogni rapporto.

3.4 Fortschrittsgeschichte e Verfallsgeschichte. Rispetto al diritto amministrativo come konkretisiertes Vergassungsrecht – immagine che si sostanzia complessivamente degli orientamenti interpretativi qui sopra delineati – una parte della dottrina ha voluto vedere uno sviluppo del diritto amministrativo dallo Stato liberale del XIX secolo allo Stato sociale del XX secolo nel senso di una “storia progressiva”, di una Fortschrittsgeschichte.
In particolare Peter Badura ha sostenuto l’adattamento delle categorie amministrativistiche classiche alla nuova dimensione costituzionale e della Leistungsverwaltung. Secondo questo autore lo Stato sociale nasce, come Stato amministrativo, nel momento in cui si rompe l’accordo tra borghesia, proprietà fondiaria e corona finalizzato ad impedire la socializzazione e la democratizzazione dello Stato; con il suffragio universale il legislatore si emancipa dai limiti liberali e la legge, essa stessa ora strumento non soltanto di riequilibrio di rapporti sociali dati bensì di “soziale Gestaltung” in base alla convergenza di più interessi coinvolti (66), trasforma l’amministrazione da semplice garante della libertà e della proprietà “in un apparato in costante espansione capace di garantire direzione [Lenkung] e prestazioni [Leistung]” (67). Notevole è però il fatto che la nuova Leistungsverwaltung assuma, nel suo progressivo affermarsi in ogni settore, le forme tipiche della Eingriffsverwaltung alle quali Otto Mayer aveva fatto coincidere lo stesso diritto amministrativo generale (68). “Ciò che separa il diritto amministrativo del presente da Otto Mayer – scrive Badura – non è una maggiore profondità di sguardo e nemmeno un perfezionamento teoretico, sibbene il mutamento di prospettiva: la dissoluzione dello Stato liberale attraverso lo Stato sociale di diritto” (69); e, se “ la continuità tra lo Stato di diritto liberale e lo Stato sociale di diritto sta nel fatto che entrambe le forme di Stato presuppongono una distinzione tra Stato e società e contemplano le attività statali come vincolate dal diritto”, “il diritto, a cui si fa di volta in volta riferimento, è contraddistinto da una differente funzione sociale. Là é la delimitazione garantistica di libertà coesistenti, qui è invece l’ordinamento attraverso il quale la forza produttiva sociale […] è plasmata e distribuiti sono i suoi prodotti” (70).
Ernst Forsthoff individua e distingue invece, in polemica con la lettura progressiva che salda programma costituzionale, continuità dogmatica e compiti esecutivi dell’amministrazione, il livello statico della costituzione le cui logica e dogmatica continuano ad essere quelle formali dello Stato liberale di diritto e il diverso livello dinamico della amministrazione e della scienza del diritto amministrativo che si fanno autonomamente carico dei mutamenti sociali, dei nuovi bisogni esistenziali e delle possibilità inaugurate dalla tecnica. Sul piano costituzionale Stato di diritto (garanzia astratta delle libertà individuali e separazione di sfera statale e sfera sociale) e Stato sociale (realizzazione concreta dell’eguale posizione dei soggetti e stretta interconnessione tra le due sfere) si escludono. Così interpretare geistwissenschaftlich la costituzione dello Stato di diritto, ossia ricollegarla a valori la cui origine è ultimamente economica e sociale, ai problemi e al contesto del tempo, e farne un sistema di compiti normativi per il legislatore ordinario, significa per Forsthoff mutare il senso tecnico-formale della legge costituzionale e corrompere contemporaneamente la costituzione la cui forma è quella della legge (71).
 
4. Il “nuovo diritto amministrativo” in Germania. Dogmatica e Steuerung.
 
4.1 Dal konkretisiertes Verwaltungsrecht ai nuovi orientamenti. Le correnti dottrinali che nel secondo dopoguerra hanno posto il Grundgesetz a fondamento dell’intero ordinamento e concepito il diritto amministrativo come un konkretisiertes Verwaltungsrecht, hanno riscoperto il metodo giuridico le cui ricorrenti caratteristiche sono la riduzione del campo d’indagine all’atto amministrativo, la prevalente considerazione del rapporto tra attività amministrativa e legge e l’attenzione pressoché esclusivamente riservata – nella completa indifferenza per i procedimenti decisionali - al risultato finale ossia alla conformità dell’atto alla legge. La centralità della costruzione giuridica fatta così riemergere sotto la vigenza della Legge fondamentale ha portato anche a una ripresa della dogmatica ossia di un “un pensiero che si orienta a definizioni dottrinali sviluppate in senso normativo” e della sistematica come “specifica qualità del pensiero dogmatico” che cerca di “mettere in evidenza affinità, relazioni e linee di sviluppo comuni a più ambiti” (72) (73).
Metodo giuridico e dogmatica dello Stato di diritto cessano di essere strumenti privilegiati dell’amministrazione con la crisi del diritto regolativo (imperativo) di cui si dovette prendere atto alla fine degli anni 80. Ciò che per lo più viene in evidenza è la progressiva inefficacia degli atti imperativi dell’amministrazione a guidare i processi sociali e la tendenza relativamente antigiuridica della stessa amministrazione a sostituire l’attività unilaterale e imperativa con forme di amministrazione cooperativa che coinvolgono apparati, cittadini e imprese nel conseguimento di soluzioni accettabili per i problemi emergenti (74).
Sono questi gli inizi di ciò che oggi la letteratura suole chiamare “nuovo diritto amministrativo”. Importante è stata, in ogni caso, la riflessione sulla nuova conformazione della società civile che – ora ricompressa come “società industriale” (Forsthoff) ora come “sistema autopoietico” (Teubner, Mayntz) – espone certamente più forti caratteri di autonomia e di resistenza rispetto all’intervento e alla guida statale, quando non addirittura la forza di un polo di attrazione.
 
4.2 La società industriale. Il nuovo ruolo della società civile è tematizzato da Ernst Forsthoff nel saggio Der Staat der Industriegesellschaft apparso nel 1971. L’autore riannoda il discorso alle considerazioni svolte in Der totaler Staat e in Die Verwaltung als Leistungsträger; anche qui è analizzato il rapporto tra Stato e società, e la società vi riappare come luogo della “realizzazione tecnica” e del ritirarsi dello “spazio dominato” a favore dello “spazio effettivo” (75). Mentre, tuttavia, negli scritti degli anni Trenta la realizzazione tecnica conferiva unità alla comunità dei lavoratori guidata dallo Stato e consentiva, a tutto favore di apparati e governo, il superamento della poliarchia sociale, ora la guida della realizzabilità tecnica e industriale sembra essersi trasferita all’estremo opposto della diade, alla società (76).
Proprio nel momento in cui il Grundgesetz si è rivelato una costituzione indecisa, in quanto prodotto di una condizione e non di una decisione (77), la società industriale si è posta al centro di una macchina statale priva di una reale unità politica e ha così trasformato tutte le funzioni statali in funzioni della società civile e della trasformazione tecnica del mondo. La stabilità del nuovo Stato è prodotto della sua spoliticizzazione che coincide con l’avanzare della realizzazione tecnica (78). Anche i partiti si istituzionalizzano lasciando spazio agli interessi sociali (79) e il parlamento, la cui attività legislativa, snaturandosi, si orienta sempre più alla soluzione di concreti problemi tecnici, diventa convegno di esperti (80).
In particolare governo e amministrazione, che, in Stein e nella ricostruzione forsthoffiana dello Stato nazionalsocialista, conservano la loro ontologica inerenza al polo dello Stato e dell’autorità, sono assoggettati alla costituzione della società industriale: l’azione amministrativa non si radica più in solidi e costanti ordinamenti etici, ma, ritrovatasi a disposizione della società industriale e persa la posizione di guida dei processi, tende ad assimilarsi alle forme sociali di organizzazione (81).
La rappresentazione del completo svuotamento della realtà statale (82) – dello Stato la cui ragione storica sta proprio nella protezione della vita e della libertà dell’uomo (83) – e l’innestarsi della realizzazione tecnica proprio nel recesso in cui la decisione che conserva e protegge (84), è presa, induce a concepire urgentemente, al di là della descrizione delle imponenti trasformazioni della società, una nuova Einsetzung dell’autorità e dello Stato. “Se – scrive Forsthoff – i popoli non vogliono divenire prodotti delle tecniche genetiche, si rende necessaria la possibilità di decidere efficacemente in tal senso, dunque di un’istanza organizzata in grado di formare, articolare e realizzare questa volontà” (85). Si tratta in altri termini di restaurare, attraverso questa istituzione, il vecchio dualismo di Stato e società tenendo presente che qui la tensione fra i due poli è massima; mentre infatti nel XIX secolo lo Stato doveva intervenire nei rapporti economici della società civile, oggi deve guidare e frenare la realizzazione tecnica nella società industriale, e mentre allora si assumeva il compito di garantire la libertà degli individui, ora ha anche per scopo la tutela delle condizioni stesse della vita umana (86).
 
4.3 Dal reflexives Recht alla Steuerung. Anche in campo sociologico si è pervenuti alla constatazione della nuova rilevanza dei sistemi sociali nello sviluppo dell’amministrazione in rapporto al proprio oggetto.
In particolare, all’inizio degli anni Settanta, il deficit esecutivo del diritto legislativo e la diminuita disponibilità a dare seguito all’azione amministrativa imputata a una carenza di motivazione nei destinatari della stessa, diede adito a una serie di studi sull’implementazione che misero in evidenza aspetti importanti di ciò che stava accadendo. Accanto alle carenze dalle quali si prendeva avvio, si rilevava l’inedita cooperazione tra apparati della pubblica amministrativi e formazioni della società civile e la tendenza a tollerare soluzioni informali che accampavano nella relativa antigiuridicità (87).
I parametri interpretativi dei nuovi fenomeni sono stati prima cercati nei principi della teoria dei sitemi di Niklas Luhmann, e, quindi, in un costante dialogo critico, oltre che recettivo, con i risultati di queste interpretazioni – dialogo in cui non sembrano perdersi di vista gli sviluppi forsthoffiani sul costituirsi della Industriegesellschaft –, nel concetto di Steuerung destinato a divenire il fulcro della nuova teoria amministrativistica in Germania.
I fondamentali scritti della sociologa francofortese Renate Mayntz cui è ascrivibile la definizione più soddisfacente della politische Steuerung, prendono infatti avvio dagli studi di Gunther Teubner sui sistemi sociali chiusi e sul loro sviluppo autopoietico (88).
Teubner ricollega al processo di internazionalizzazione e di globalizzazione l’apparire di una rete di rapporti che trascendono sempre più l’unità politica statale e portano così alla crisi dello Stato moderno come principale momento di direzione delle dinamiche sociali. L’unità politica dello Stato moderno assiste alla progressiva sustruzione (capace di evolvere in una sostituzione) di sottosistemi sociali che, liberati grazie allo stesso attenuarsi della direzione statale, si formano seguendo le linee della differenziazione funzionale e corrispondono al configurarsi di prassi sociali che costituiscono, nel loro operare, ordinamenti di vita concreti.
Poiché, questi ordinamenti concreti, in quanto ordinamenti sociali, non possono sottrarsi alla necessità di regolare comportamenti e di comporre conflitti – ad aspettative normative che sfuggono al livello statale -, essi si autogiuridicizzano e, attraverso questa evoluzione spontanea, pervengono ad una dimensione costituzionale (autocostituzionalizzazione) all’interno della quale si stempera, fino a svanire, la distinzione classica tra diritto privato e diritto pubblico.
Se infatti la distinzione tra ciò che è diritto e ciò che non lo è, e contemporaneamente la possibilità dell’Anknüpfung di un ordinamento a un corpo sociale, si sposta dall’unità statale – dal punto in cui ha di volta in volta preso la forma di decisione schmittiana oppure di Grundnorm kelseniana – all’ambito della pluralità delle formazioni sociali, ne risultano inevitabilmente ordinamenti giuridici senza Stato che si compongono in una molteplicità di fonti poste in rete – in un diritto eterarchico.
Ciò che caratterizza, secondo Teubner, in ciò fedele alla lezione di Luhmann, questi sistemi giuridici è da un canto un’apertura, dal momento che essi processano la realtà sociale sottostante pervenendo a decisioni e ad argomentazioni giuridiche, e dall’altro una chiusura operativa: i sistemi giuridici sono autofondativi – la validità del diritto non può derivare dall’ambiente normato -, autoreferenziali – diritto è ciò che è diritto e non può essere comunicato se non da ciò che è diritto – e caratterizzate da autoosservazione – l’argomentazione giuridica esclude argomenti ad hoc e ad hominem per riferirsi soltanto ad ulteriore materia giuridica (precedenti, regole, principi).
L’autopoiesi dei sottosistemi sociali, che sul piano giuridico trova espressione in un diritto riflessivo prodotto di autogiuridificazione e di autocostituzionalizzazione, è per sua natura tale da opporsi a una direzione statale centralizzata; e in particolare i sottosistemi si rivelano impermeabili agli strumenti tradizionali dell’amministrazione ossia alle forme del diritto amministrativo imperativo. L’atto amministrativo e la regolamentazione meramente esecutiva della legge non possono incidere, tramite la loro puntualità e normatività, su sistemi complessi che traggono da sé il proprio sviluppo giuridico; mentre la natura autoreferenziale e autofondativa di questi ordinamenti giuridici sembra escludere la possibilità di incidervi con strumenti della politica e dell’economia. La direzione statale – quando permane – si riduce, per la teoria del reflexives Recht, a una mera regolamentazione procedurale, a una Hilfe zur Selbsthilfe.
E’ proprio su queste conclusioni che si inserisce la riflessione di Renate Mayntz e la scoperta del concetto di Steuerung (89). Mentre Mayntz riconosce agli studi di Teubner il merito di avere illustrato la crisi dello Stato moderno sotto i tre differenti aspetti del venir meno della governabilità [Unregierbarkeit] – carenza che, secondo la sociologa, si palesa non soltanto in processi autopoietici ma anche nella radicalizzazione politica, nella mancanza di conformazione alle norme, nel sorgere di partiti antisistema e di nuovi movimenti sociali, in forme eterodosse di protesta, nell’incremento della criminalità e nella tendenza alla ri-privatizzazione della violenza -, della crisi del welfare state – non tanto della necessità di una Daseinsvorsorge quanto piuttosto della possibilità che essa possa continuare a essere finanziata da uno Steuerstaat -, nonché dell’indebolimento progressivo della funzione conformatrice [Gestaltungsfunktion]dello Stato moderno, recupera l’idea di direzione politica statale, di Steuerung appunto, restituendole un’efficacia che eccede la mera Hilfe zur Selbsthilfe di sottosistemi sociali.
La critica a Teubner procede sul piano teorico della autoreferenzialità. Si tratta innanzitutto di confutare la chiusura operativa degli ordinamenti sociali e dimostrare che questi non si limitano a “processare” la realtà esterna ma possono subire a loro volta condizionamenti da parte della medesima. Accanto a processi di sistema in base ai quali nella sfera giuridica atti giuridici possono comunicare soltanto atti giuridici, nella sfera economica pagamenti soltanto pagamenti e in quella scientifica comunicazioni scientifiche soltanto comunicazioni scientifiche, c’è una dimensione energetica in cui è coglibile l’operare degli agenti sociali e il modo con cui essi incidono sullo sviluppo del sistema sociale e interagiscono con fattori e attori esterni. In particolare sotto quest’ultimo aspetto – quello della realtà concreta degli attori sociali capaci di intendere più linguaggi e di agire contemporaneamente a più livelli – Mayntz riafferma l’esistenza di punti di inserimento [Einbruchsstelle] per interventi finalizzati nei sistemi sociali ossia la stessa possibilità di una Steuerung statale.
Certo, vedere nei sistemi l’interazione di attori sociali più che negarne la chiusura operativa significa doverla cercare non tanto nella dimensione comunicativa di comunicazioni di volta in volta omogenee (giuridiche, economiche, scientifiche) ma nella dimensione materiale dell’Industriegesellschaft dove la grande disponibilità di risorse, la capacità collettiva d’azione, l’alto livello di organizzazione e di istituzionalizzazione delle istanze sociali producono ora resistenza all’esterna Steuerung statale ora invece razionalità e prevedibilità alle quali la Steuerung non è estranea.
La “prospettiva degli attori” presuppone un’analisi della Steuerung che individua quattro elementi (e quattro possibili campi in cui può constatarsi il deficit della medesima) (90) - gli scopi della “direzione”, i suoi strumenti politici e giuridici, l’oggetto e i soggetti della medesima – e riserva, almeno inizialmente, agli ultimi due il principale interesse. Sono attori della Steuerung i soggetti o il sistema di soggetti che operano in maniera tale da modificare l’autonomia dinamica di altri soggetti o di un altro sistema di soggetti, brevemente: dell’oggetto della Steuerung, ora allo scopo di modificarne la struttura ora invece a quello di conservarla e, in ogni caso, a quello di evitare così sviluppi aberranti. Un simile rapporto perderebbe naturalmente di significato se il sistema dei soggetti, che costituisce l’oggetto della direzione, non possedesse un’esistenza propria e autonoma e se, in assenza di una Steuerung agente dall’esterno, non potesse continuare a svilupparsi autonomamente – se, in altri termini, non potesse avere anche in sé il movente della propria direzione.
E’ proprio nel rapporto tra il soggetto della Steuerung (statale) e il suo oggetto (sociale)pensato come di per sé capace di autodirezione che si colloca la crisi della direzione statale di sottoinsiemi sociali e, per Renate Mayntz, la possibilità di una sua riforma.
Tale crisi non si manifesta soltanto, dal punto di vista della società autopoietica, in un deficit di motivazione che sorge dalla contrapposizione tra la pretesa di incidere dall’esterno tramite forme imperative su un processo sociale e le opposte pretese, in campo dell’oggetto sociale, di assumere autonomamente un’iniziativa, di procedere a innovazioni e di impegnarsi attivamente in tal senso e che, come si è accennato, può dar luogo a fenomeni di protesta e di radicalizzazione politica; ma anche, dal punto di vista dello Stato come sistema di attori della direzione, nel deficit di implementazione ossia nel fatto che la Steuerung non sortisce i risultati, che la legge statale le assegna, a causa di un’inadeguata teoria e forma dell’azione amministrativa in capo agli attori.
 
4.4 La riscoperta dello Spielraum dell’amministrazione. Le nuove prospettive metodologiche. Ciò che ultimamente l’indagine svolta da Renate Maynyz mette in evidenza è il formarsi di ambiti sociali che, refrattari alla direzione gerarchica tramite le forme esecutive classiche, si configurano, almeno inizialmente, liberi dalla stretta previsione legislativa e, perciò, aperti all’intervento di un’attività amministrativa informale che ora è alternativa al diritto (Alternative zum Recht), ora assume invece forme giuridiche alternative (alternative Rechtsformen) (91). Si tratta, come si è visto, di incidere sul sistema di attori che costituisce l’oggetto della Steuerung statale attraverso “punti di inserimento [Einbruchstelle] di un intervento finalizzato (92) e tramite strumenti (economici, tecnici e scientifici) non più immediatamente e interamente riconducibili alle forme giuridiche tramandate.
I nuovi metodi del diritto amministrativo sembrano proprio prendere avvio dalla considerazione di questo Spielraum dell’amministrazione e dalla possibilità di dirigere e controllare i sistemi sociali a partire dal medesimo.
Come già l’analisi forsthoffiana del Leistungsstaat e, in una prospettiva ancora attuale, dello Stato della Industriegesellschaft aveva puntualizzato, l’estensione dell’amministrazione dal mero intervento riequilibratore dei rapporti organici della società ottocentesca alla prestazione comporta una crisi dell’azione amministrativa come conseguenza autorizzata dal realizzarsi di una fattispecie legislativa. A questa difficoltà del metodo giuridico sussuntivo si aggiunge quella messa a nudo dall’Akteurenperspektive che vede complessi sistemi sociali autoorganizzati e istituzionalizzati al cospetto del soggetto agente della Steuerung. Anche in questo caso fattispecie legislativa e strumenti imperativi si rivelano, secondo i nuovi autori, rispettivamente parametri inadeguati alla conoscenza della realtà delle dinamiche sociali e forme inefficaci quando si debba intervenire (93).
All’interno dello Spielraum,che si viene a creare tra il livello della legge e delle forme conosciute dell’amministrazione escecutiva – nel complesso: del konkretisiertes Verfassungsrecht - e i sistemi sociali autopoietici dell’Industriegesellschaft, si palesa innanzitutto il compito statale che l’attore della Steuerung individua in immediata relazione con il proprio oggetto e in opposizione concettuale rispetto alle competenze altrimenti predeterminate dalla costituzione e alle fattispecie predefinite dalla legge.
Proprio la necessità di realizzare un concreto compito statale e il conseguente svincolarsi dell’azione amministrativa dall’autorizzazione fondata sulla sussunzione di un fatto accaduto sotto una norma legislativa permettono di giustificare teleologicamente, zweckgemäss, ossia rispetto al conseguimento di risultati futuri – gli stessi che Renate Mayntz riduce, come s’è veduto, alla possibilità di conservare o di alterare la struttura dei sistemi sociali controllati per evitarne le aberrazioni –, gli interventi di ogni tipo dell’amministrazione nei molteplici settori dei sistemi sociali.
 
4.5 Conoscenza e informazione. Il giudizio di conformità allo scopo (Zweckmässigkeit) tende perciò sostituirsi, nel “libero spazio” dell’azione amministrativa, al giudizio sussuntivo divenendo esso stesso uno dei principali compiti degli attori della Steuerung statale (94).
E’ chiaro che la prospettiva della Zweckmässigkeit rispetto a un compito concreto, alla dinamica varietà del reale industriale, convoca conoscenze ed informazioni che il legislatore statale nella definizione della fattispecie astratta non può anticipare se non in maniera provvisoria e imperfetta; e che il problema dell’informazione e della conoscenza, della possibilità di un continuo aggiornamento delle medesime secondo una visuale opportunamente interdisciplinare, coinvolge l’amministrazione confermando la persistenza necessaria di spazi di maggiore autonomia rispetto alle decisioni del legislatore (95).
 
4.6 Le nuove forme della Steuerung. Rispetto a compiti statali, che emergono oltre il serrato ordine costituzionale delle competenze e le fattispecie legali, si configurano, e non soltanto sul piano teorico, nuovi tipi di direzione e nuove forme giuridiche in un lento dialogo tra diritto amministrativo generale e strumenti (informali) di Steuerung cui sempre più si ricorre nei settori speciali dell’amministrazione.
La Steuerung, che è stata genericamente ridefinita un’attività ordinata all’ottenimento di conseguenze anche nel senso meramente giuridico di un’imputazione (96), assomma ai recessivi strumenti gerarchici ed esecutivi le figure più recenti della cooperazione, della concorrenza, della privatizzazione, della geregelte Entregelung e dell’amministrazione informale (97). Nell’ambito e secondo la logica di queste nuove figure di Steuerung si strutturano a loro volta – dietro il permanente vincolo costituzionale della decisione per lo Stato di diritto, dell’estensione della riserva di legge e della tutela giurisdizionale – nuove forme giuridiche (98): se nel contesto della Steuerung cooperativa si riscopre il contratto pubblico e si mette a punto dogmaticamente il contratto di cooperazione, concorrenza, deregolamentazione e privatizzazione fanno vieppiù risaltare le forme giuridiche della garanzia esterna (Gewährleistung) prestata da uno Stato che riduce nel tempo il proprio intervento direttivo nei sottosistemi sociali alla minimale Hilfe zur Selbsthilfe preconizzata dai teorici dell’autopoiesi e invera così l’ipotesi ultima della governance.
L’attività di Steuerung non ancora formalizzata e dogmatizzata nella costruzione concettuale non si sottrae, a causa del vincolo costituzionale appena menzionate, alla progressiva normazione, sicché si assiste qui al passaggio da una dogmatica dell’atto giuridico a una teoria della norma giuridica che permette alla garanzia giurisdizionale di operare efficacemente anche laddove la grammatica concettuale, anche per evitare gli errori di una prematura codificazione, non abbia ancora tradotto i fatti in istituti (99).
In realtà, pur constatando e persino esaltando la tensione tra le modalità di una Steuerung informale, che insegue i compiti concreti dello Stato e pencola tra il mero rivestimento normativo (e prima ancora: la relativa antigiuridicità) e la dogmatica sedimentata delle forme giuridiche, la nuova scienza del diritto amministrativo in Germania non rinuncia a concepire le parti speciali prossime alla dinamica e mutevole realtà, che è ragione di interventi informali e di nuove e più appropriate forme, e la più stabile parte generale del diritto amministrativo come momenti della medesima concretizzazione organica di un’idea di ordinamento – di un sistema che si produce circolarmente tramite le proprie differenziazioni occasionate dagli sviluppi politici ed economici del reale e la riconduzione graduale delle medesime alle generalizzazioni apicali che pervengono così, a loro volta, a successivi approfondimenti e producono sviluppi concettuali destinati a ricadere e a processare i fatti affioranti nelle parti speciali.
 
 
(1) O. Mayer, Deutsches Verwaltungsrecht, vol. I, Leipzig 1895, pp. 16 ss.
(2) Ibidem, pp. 21-22.
(3) Su questo punto vedi già E. Forsthoff, Lehrbuch des Verwaltungsrechts, München 1966, Beck, pp. 18 ss.; E. Kaufmann, Verwaltung, Verwaltungsrecht, pp. 693-695; inoltre L. Mannori – B. Sordi, Storia del diritto amministrativo, Bari 2001, Laterza, pp. 154 ss.; M. Stolleis,Entwicklungstufen der Verwaltungswissenschaft, in (a cura di) W. Hoffmann-Riem, E. Schmidt-Assmann, A. Voßkuhle, Grundlagen des Verwaltungsrechts, vol. 1, C.H. Beck, München 2006, p. 88.
(4) E.-W. Böckenförde, Entstehung und Wandel des Rechtsstaatsbegriff, in idem, Recht, Staat, Freiheit, Frankfurt am. M. 1991, Suhrkamp, pp. 156 s. – nelle pagine precedenti l’autore descrive lo sviluppo dello Stato di diritto secondo le tappe di uno Stato “organizzato secondo ragione” (Kant), di uno “Stato organico” come unità di volontà statale e diritto (Gierke, Bähr) e, finalmente, di uno Stato di diritto in senso formale vincolato dalla mera legge formale.
(5) Su questi passaggi recentemente D. Grimm, Die Zukunft der Verfassung, Frankfurt am M. 1991, Suhrkamp, pp. 37-49. Inoltre E. Forsthoff, Lehrbuch, cit., pp. 8-9.
(6) Così M. v. Seydel, Staatsrechtliche und politische Abhandlungen, Freiburg i.B. – Leipzig 1893, Akademische Verlagsbuchhandlung von J.C.B. Mohr, p. 81; inoltre M. Schönberger, Das Parlament im Anstaltstaat, Frankfurt am M. 1997, Klostermann, pp. 307-308.
(7) C. Schmitt, Die Wendung zum totalen Staat, in idem, Positionen und Begriffe, München 1994, Duncker & Humblot, pp. 168 s.
(8)Vedi, tra l’altro, in particolare la ricostruzione di E. R. Huber, Vorsorge für das Dasein. Ein Grundbegriff der Staatslehre Hegels und Lorenz v. Steins, in Festschrift für Ernst Forsthoff, München 1972, Beck, pp. 139-155.
(9) G.W.F., Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts, Hamburg 1955, F. Meiner Verlag, § 181.
(10) Ibidem, § 182.
(11) Ibidem, §§ 208-210.
(12) Ibidem, §§ 211-212; infatti §§ 219-220: “Il diritto, entrato nell’esserci nella forma della legge, è per sé, sta indipendente di contro al particolare volere e opinare intorno al diritto e deve rendersi valido come cosa universale”.
(13) Ibidem, § 183.
(14) Ibidem, § 186-187.
(15) Ibidem, §§ 196-204.
(16) Ibidem, § 199.
(17) Su questi passaggi ibidem, §§ 241-246.
(18) Ibidem, § 184.
(19) L. v. Stein, Opere scelte,vol. I, Milano 1986, Giuffré. Su Stein si veda in particolare E. R. Huber, Vorsorge für das Dasein. Ein Grundbegriff der Staatslehre Hegels und Lorenz v. Steins, cit., pp. 155-163; inoltre D. Blasius – E. Pankoke,Lorenz von Stein, Darmstadt 1977, Wissenschaftliche Buchgesellschaft; E.-W. Böckenförde, Lorenz von Stein als Theoretiker der Bewegung von Staat und Gesellschaft, in idem, Recht, Staat, Freiheit, cit., pp. 170-208; F. de Santis, Lorenz von Stein un ‘realist im materialistischen Mantel’?, in Quaderni Fiorentini, 2, 1973; E. Forsthoff, Lehrbuch, cit., pp. 43-44; G. Miglio, Lorenz Jacob von Stein, in idem, Le regolarità della politica, vol. 1, Milano 1988, Giuffré, pp. 251-254.
(20) Così E. R. Huber, Vorsorge für das Dasein, cit., p. 160-163. La concezione di uno sviluppo interno della libertà dell’individuo come fondamento e limite del potere statale si inquadra in un più vasto passaggio analizzato da E. Kaufmann, Sul concetto di organismo nella dottrina dello Stato del secolo XIX, cur. A. Sandri, Seregno 2009, Herrenhaus, pp. 8-13 e passim.
(21) M. Haase, Grundnorm Gemeinwille Geist, Tübingen 2004, Mohr Siebeck, pp. 324-352
(22) Su questo punto in particolare M. Fioravanti, Giuristi e costituzione politica nell’Ottocento tedesco, Milano 1979, Giuffré, pp. 1-12.
(23) In generale W. Wilhelm, Metodologia giuridica del XIX secolo, Milano 1974, Giuffré, passim; inoltre in particolare E. V. Heyen,Positivistische Staatsrechtslehre und politische Philosophie zur philosophischen Bildung Otto Mayers, Milano 1979, in Quaderni Fiorentini, 8, 1979, p. 281, dove l’Autore chiarisce che proprio la mancata adesione di Otto Mayer al metodo dialettico di Hegel lo induce a criticare l’impostazione steiniana.
(24) P. Laband, Das Staatsrecht des Deutschen Reiches, Tübingen 1911 [1876], Mohr Siebeck, p. 84.
(25) E. Kaufmann, Sul concetto di organismo, cit., pp. 17-18, 26-28, 31-36. Inoltre C. F. von Gerber, Diritto pubblico,
(26) W. Wilhelm, Metodologia giuridica, cit., pp. 143 ss.; in merito a Mayer E. V. Heyen,Positivistische Staatsrechtslehre, cit., p. 280.
(27) Diffusamente B.Sordi, Tra Weimar e Vienna, Milano 1987, Giuffré, pp. 35-66.
(28) Su legislazione e potere regolamentare esemplarmente C.F. von Gerber, Lineamenti di diritto pubblico, in idem, Diritto pubblico, cit., pp.157-168.
(29) O. Mayer, Deutsches Verwaltungsrecht, vol. I, Leipzig 1895, p. 95.
(30) Così B. Sordi, Tra Weimar e Vienna, cit., p.50: “La giuridicità dell’atto non discende dall’ordinamento, dal potere legittimante di una norma sovraordinata, ma deriva immediatamente dall’atto stesso, come se potere e diritto si identificassero e si fondessero nella stessa volontà, come se il potere potessero essere legittimato per il fatto stesso di manifestarsi”.
(31) Così se “la legge può anche materialmente non determinare alcunché in maniera definita e vincolare l’amministrazione con un’autorizzazione generale, nel senso che sia quest’ultima a determinare che cosa sia conveniente e idoneo per la comunità a essa affidata” (O. Mayer, op.cit., p. 44), “può qui mancare l’applicazione della legge dalla quale origina sempre ogni sentenza, essendo che ciò che deve ora accadere viene determinato in maniera creativa attraverso la libera discrezionalità” (ibidem, p. 54).
(32) “Un vero e proprio diritto pubblico dell’amministrazione è sorto accanto al diritto civile […] come un diritto peculiare dell’amministrazione rispetto al quale il diritto civile costituisce un’eccezione. Ritratta di una costruzione giustapposta ed eretta su terreno vergine” (ibidem, p. 35).
(33) Ibidem, p. 14.
(34) Così tra gli altri C.F. v. Gerber, Sui diritti pubblici, in idem, Diritto pubblico, cit., p. 71: “Le rappresentanze non hanno nessuna volontà di diritto pubblico, che agisca immediatamente nel senso di sottomettere e governare il popolo”. Su questo punto W. Pauly, Methodenwandel im Spätkonstitutionalismus, Tübingen 1993, Mohr-Siebeck, pp. 151 ss., e, con riferimento ad altri autori, M. Schönberger, Das Parlament, cit., pp. 52-69.
(35) C.F. v. Gerber, Sui diritti pubblici, cit., p. 15.
(36) C. Schmitt, Die Wendung zum totalen Staat, cit., pp. 166-167.
(37) Si veda tra l’altro O. v. Gierke, Das Wesen der menschlichen Verbände, Berlin 1902, Buchdruckerei von Gustav Schade; idem, Johannes Althusius und die Entwicklung der naturrechtlichen Staatstheorien, Breslau 1913; tr. it.: idem, Giovanni Althusius e lo sviluppo storico delle teorie politiche giusnaturalistiche, cur. A.Giolitti, Torino 1974
(38) Su questo svolgimento l’analisi di C. Schmitt, Staatsgefüge und Zusammenbruch des zweiten Reichs, Hamburg 1934, Hanseatische Verlagsanstalt, passim.
(39) P. Badura, Verwaltungsrecht im liberalen und im sozialen Staat, Mohr-Siebeck, Tübingen 1966, p. 7.
(40) E’ questo il termine coniato da Johannes Popitz in un proficuo confronto con Carl Schmitt durante gli anni di Weimar. In merito si veda L.-A. Bentin, Johannes Popitz und Carl Schmitt. Zur wirtschaftlichen Teorie des totalen Staates in Deutschland, München 1972, passim.
(41) Cit. in C. Schmitt, Hugo Preuß. Il suo concetto di Stato, in idem, Democrazia e liberalismo, Milano 2001, Giuffré, p. 105.
(42) Anche questo termine ha origine dal confronto tra Carl Schmitt e Johannes Popitz. Vedi nota e 37.
(43) R. Smend, Costituzione e diritto costituzionale, Milano 1988, Giuffrè, passim.
(44) C. Schmitt, Dottrina della costituzione, Milano 1984, Giuffré, pp. 16-18.
(45) Ibidem, p. 39.
(46) Si veda, in merito a questi passaggi che riprendono la dottrina di Hans Kelsen, la ricostruzione di B. Sordi, Tra Weimar e Vienna, cit. pp. 88-121;e la bibliografia kelseniana: H. Kelsen, Hauptprobleme der Staatsrechtslehre entwickelt aus der Lehre vom Rechtssatze, Tübingen 1911, Mohr Siebeck; idem, Zur Lehre vom öffentlichrechtlichen Vertrage, in AöR 31, (1913), ; idem, Rechtsstaat und Staatsrecht, in Österreichische Rundschau, 36 (1913); idem, Das Problem des Parlamentarismus, in Soziologie und Sozialphilosophie. Schriften der Soziologischen Gesellschaft in Wien, III, Wien Leipzig 1923; idem, Die Lehre von den drei Gewalten oder Funktionen des Staates, 1923-1924, in Die Wiener Rechtstheoretische Schule, vol. 2, Wien 1968; idem, Vom Wesen und Wert der Demokratie, Tübingen 1929, Mohr-Siebeck.
(47) C. Schmitt, Legalität und Legitimität [1932], Berlin 1993, Dunker & Humblot, passim.
(48) C. Schmitt, Stato, movimento, popolo, in idem, Un giurista davanti a se stesso. Saggi e interviste, Vicenza 2005, Neri Pozza, pp. 258-259.
(49) Ibidem, p. 266.
(50) Ibidem, pp. 272, 276.
(51) E. Forsthoff, Der totale Staat, Hamburg 1933, Hanseatische Verlagsanstalt, pp. 30-33; queste osservazioni erano già state svolte da F.J. Stahl nella polemica contro le dottrine organiche dello Stato, in tale senso E. Kaufmann, Sul concetto di organismo, cit., pp. 17-18.
(52) E. Jünger, Die totale Mobilmachung [1930], in Sämtliche Werke, vol. 7, Stuttgart 1980, Klett Cotta, pp. 119-142, e idem, Der Arbeiter [1932], in Sämtliche Werke, vol. 8, Stuttgrat 1981, Klett Cotta, pp. 11-317. Ampi riferimenti alle opere di Jünger sono contenuti in E. Forsthoff – C. Schmitt, Briefwechsel 1926-1974, Berlin 2004, Akademie Verlag.
(53) E. Forsthoff, Die Verwaltung als Leistungsträger, München 1938, Beck, pp. 25-26.
(54) G. W. G. Hegel, Grundlinien, cit., p. § 247: “Come per il principio della vita familiare è condizione la terra, possessi stabili, così per l’industria l’elemento naturale che la anima verso l’esterno è il mare. Nella brama del guadagno […] essa s’innalza in pari tempo al di sopra di quest’ultimo e tramuta il radicarsi nella terra e nelle cerchie limitare della vita civile, i suoi godimenti e desideri, con l’elemento della fluidità, del pericolo e del naufragio”. Come è noto, nella riflessione schmittiana su questi passaggi delle Grundlinien, lo Stato diviene attraverso la decisione per il mare Stato-nave ossi Stato-macchina: Stato industriale. Vedi soprattutto C. Schmitt, Terra e mare, Milano 2002, Adelphi, passim.
(55) E. Forsthoff, Die Verwaltung als Leistungsträger, cit., p. 27.
(56) Ibidem, pp.; così già più passi di C. Schmitt soprattutto in Legalität und Legitimität, cit.,
(57) Su questi passaggi E. Forsthoff, Der totale Staat, cit., pp.; idem, Die Verwaltungsstaat als Leistungsträger, cit., pp.; inoltre J. Kersten, Die Entwicklung, cit., pp.
(58) E. Forsthoff, Der totale Staat, cit., pp.
(59) Bisogna a questo punto ricordare il fenomeno della liberalizzazione del diritto materiale: “La giurisdizione amministrativa – scrive Chr. Schönberger, Verwaltungsrecht als konkretisiertes Verfassungsrecht, cit., pp. 69-71 - operò sin dall’inizio degli anni Cinquanta una liberalizzazione del contenuto del diritto amministrativo in determinati settori, [69] e ciò dal momento che essa metteva a confronto, e faceva cadere, il diritto precostituzionale con i diritti fondamentali del Grundgesetz. Questa via era stata aperta dal Bundesverfassungsgericht già nel 1953 quando decise che il proprio monopolio fondato sull’Art. 100 Abs. 1 GG non dovesse valere per il diritto precostituzionale, e diede così ai tribunali amministrativi la possibilità di verificare di volta in volta la compatibilità di gran parte del diritto allora vigente con il Grundgesetz e di disapplicarlo autonomamente”.
(60) Soprattutto nel campo del diritto delle sovvenzioni in cui si incise attraverso l’attivazione del principio di eguaglianza.
(61) Questa tesi trovò affermazione in sede di giurisprudenza con la BVerfGE 33,1 dove si deduce dai diritti fondamentali la necessità della disciplina legislativa dell’esecuzione delle pene. La giuridicizzazione interessò presto anche i settori della scuola e dell’alta formazione.
(62) Su questa impostazione critica vedi Chr. Schönberger, op. cit., pp. 76-77; inoltre F. Scharpf, W. Hennis, K. Zeidler e la diversa ricostruzione di U. Scheuner in Das Gesetz als Auftrag der Verwaltung, DÖV 1969.
(63) Chr. Schönberger, op. cit., pp. 60-61: “Piuttosto la costituzione dischiudeva una possibilità, innanzitutto quella di potere acceder a un piano normativo generale oltre la sconcertante massa del diritto positivo e i concetti tradizionali che si andavano sfaldando”.
(64) F. Ossenbühl, Die Weiterentwicklung der Verwaltungswissenschaft,
(65) Il Tribunale vi stabiliva che l’obbligo del prestatore dell’amministrazione all’assistenza del bisognoso corrispondeva a uno speculare diritto del bisognoso.
(66) P. Badura, Verwaltungsrecht im liberalen und im sozialen Staat, Mohr-Siebeck, Tübingen 1966, p. 7. Inoltre Chr. Schönberger, op. cit., pp. 56-57.
(67) Ibidem, p. 6.
(68) Ibidem, pp. 16-17: “La nuova scienza del diritto amministrativo, il cui sistema e lacui concettualità erano sorte seguendo l’idea dello Stato liberale di diritto, e che aveva fatto oggetto di conoscenza scientifica la teoria delle forme giuridiche dell’amministrazione di questo tipo di Stato, non teneva conto, nelle proprie categorie svuotate di ogni scopo, degli scopi sociali dell’amministrazione”.
(69) Ibidem, p. 12.
(70) Ibidem, p. 27.
(71) Vedi E. Forsthoff, Die Umbildung des Verfassungsgesetzes, in Festschrift für Carl Schmitt, Berlin 1994, pp. 35-62; inoltre sul punto Chr. Schönberger, op. cit., p. 56.
(72) E. Schmidt-Assmann, Das allgemeine Verwaltungsrecht als Ordnungsidee, Heidelberg 2006, Springer, pp. 3-4. Oppure A. Voßkuhle, Neue Verwaltungswissenschaft, in (a cura di) W. Hoffmann-Riem, E. Schmidt-Assmann, A. Voßkuhle, Grundlagen des Verwaltungsrechts, vol. 1, cit., p. 6: con dogmatica si intende la scienza di “costruzioni normative formatesi nella comunità di coloro che prendono parte alla produzione del diritto”.
(73) Su questi sviluppi A. Voßkuhle, Neue Verwaltungswissenschaft, cit., pp. 4-8.
(74) Ibidem, pp. 8-10.
(75) E. ForsthoFF, Der Staat der Industriegesellschaft. Dargestellt am Beispiel der Bundesrepublik Deutschland, München 1971, Beck, pp. 31-41, 76 s.. Rispetto alle visioni contenute in Der totale Staat e a Die Verwaltung als Leistungsträger sembra essere mutato in questo scritto il giudizio sulla tecnica: essa è ancora un movimento oggettivo capace sì di mobilitare e conformare ogni aspetto dell’esistente, ma anche di estinguere la presenza spirituale dell’uomo nel mondo e nella natura. Forsthoff appare qui recepire la posizione di F.G. Jünger, Die Perfektion der Technik, Frankfurt am M. 1993 [1953], Klostermann, passim (citato nel testo a p. 36) e i ripensamenti di E. Jünger, An der Zeitmauer, in Sämtliche Werke, vol. 8, cit., pp. 399-645.
(76) E. ForsthoFF, Der Staat der Industriegesellschaft, cit., pp. 74-75, 159, 164.
(77) Ibidem, pp. 61-62, 66-67, 70-71.
(78) Ibidem, pp. 158-159.
(79) Ibidem, pp. 82-93.
(80) Ibidem, pp. 94-104.
(81) Ibidem, pp. 105-114.
(82) Ibidem, pp. 42-43.
(83) Questa funzione è richiamata nei primi passaggi dello scritto Ibidem, pp. 11-12.
(84) Ibidem, pp. 58-60, dove si chiarisce significativamente che lo Stato della società industriale è uno “Staat ohne Ernstfall”.
(85) Ibidem, p. 28.
(86) Ibidem, pp. 46, 27-29. In particolare a pag. 27: “Se l’espansione tecnico industriale prosegue in maniera incontrollata, le conseguenze saranno, come assicurano gli esperti, imprevedibili. Questa sventura può essere evitata soltanto attraverso un’istanza organizzata che sia forte abbastanza da limitare l’espansione industriale. L’opinione secondo cui la stessa società industriale possa porsi questi limiti, è inconciliabile con le stesse leggi funzionali della società industriale ed è perciò utopica”.
(87) Così A. Voßkuhle, Neue Verwaltungswissenschaft, cit., pp. 8-10.
(88) Per le considerazioni che seguono si veda soprattutto G. Teubner – H. Willke, Kontext und Autonomie: Gesellschaftliche Selbsteuerung durch reflexives Recht, in Zeitschrift für Rechtssoziologie, 1984, 6, pp. 4-35;inoltre il saggio di R. Prandini, La “costituzione” del diritto nell’epoca della globalizzazione. Struttura della società-mondo nell’opera di Gunther Teubner, pp. 191 ss. in G. Teubner, La cultura del diritto nell’epoca della globalizzazione. L’emergere delle costituzioni civili, Roma 2005, Armando.
(89) Si sono soprattutto considerati gli scritti contenuti in R. Mayntz, Soziale Dynamik und politische Steuerung, Frankfurt-New York 1997, Campus, in particolar modo Corporate Actors in Public Policy (1986), Politische Steuerung und gesellschaftliche Steuerungsprobleme (1987) e Politische Steuerung: Aufstieg, Niedergang und Transformation einer Theorie (1996); sull’incidenza degli studi di Renate Mayntz si veda A. Voßkuhle, Neue Verwaltungswissenschaft, cit. p. 9.
(90) Sul punto tra gli altri Th. Gawron, Steuerungstheorie, Policy-Forschung und Governace-Ansatz, Leipzig-Berlin 2010, Schriftenreihe des Forschungsverbundes KoReMi, Bd. 7, p. 5 e ss.
(91) R. Mayntz, Politische Steuerung und gesellschaftliche Steuerungsprobleme, cit. pp. 187, 196.
(92) Ibidem, p. 199.
(93) A. Voßkuhle, Neue Verwaltungswissenschaft, cit., p. 8.
(94) Ibidem, 13.
(95) Vedi J. Kersten, S.-Ch. Lenski, Die Entwicklungsfunktion des allgemeinen Verwaltungsrecht, in Die Verwaltung 42 (2009), p. 512.; E. Schmidt-Assmann, Ordnungsidee, cit., pp.
(96) Chr. Bumke, Relative Rechtswidrigkeit, cit., p. 264.
(97) J. Kersten, S.-Ch. Lenski, Entwicklungsfunktion, cit., p. 518; E. Schmidt-Assmann, Ordnungsidee, cit., p. 343.
(98) J. Kersten, S.-Ch. Lenski, Entwicklungsfunktion, cit., p. 531-532.
(99) J. Kersten, S.-Ch. Lenski, Entwicklungsfunktion, cit., pp. 520-521; E. Schmidt-Assmann, Ordnungsidee, cit., p. 351; Chr. Möllers, Der vermisste Leviathan,

Menu

Contenuti