Maria Alessia SCUDERI, La funzione di coordinamento del Presidente del Consiglio dei ministri nel DPCM 1 aprile del 2008 per il trasferimento delle funzioni in materia di sanità penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale, ed il ruolo della Conferenza Unificata e della Conferenza Stato-Regioni (Maggio 2011)
Contributo alla ricerca coordinata dall'Università di Firenze, PRIN 2005 dal titolo "La collegialità del Governo, la promozione ed il coordinamento del Presidente del Consiglio nell'attuale ordinamento e nelle prospettive di riforma costituzionale"
Sommario:
1. Le “Conferenze” come organi di confronto politico e di attuazione amministrativa.
2. Le funzioni amministrative ed il ruolo di coordinamento del Presidente del Consiglio rispetto alle conferenze.
3. Il ruolo della Conferenza Unificata nel trasferimento della Sanità penitenziaria al servizio Sanitario Nazionale.
4. Le articolazioni tecniche della Conferenza Unificata e della Conferenza Stato-Regioni: il tavolo di consultazione.
5. Segue: Le articolazioni tecniche. Il Comitato paritetico interistituzionale e gli osservatori permanenti .
6. Il diverso ruolo dei tavoli tecnici nelle varie Legislature. Tavoli consultivi e tavoli attuativi della funzione di indirizzo e di coordinamento.
7. Segue: Il tavolo tecnico della Conferenza delle Regioni.
8. Il metodo di lavoro dei tavoli tecnici.
9. Le diverse forme di coordinamento. Il coordinamento interno, il coordinamento tecnico, il coordinamento in sede di Conferenza Unificata.
10. La materia oggetto dei tavoli tecnici. Integrazione e necessità di coordinamento.
Note
1. Le “Conferenze” come organi di confronto politico e di attuazione amministrativa.
Le attività (1) conseguenti ai compiti rimessi alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato le Regioni e le Province autonome (2) (d’ora in poi Conferenza Stato-Regioni), alla Conferenza Stato-Città e autonomie locali (3) (d’ora in poi conferenza Stato-Città) ed alla Conferenza Unificata tra lo Stato, le Regioni, le Province e le autonomie locali (4) (d’ora in poi Conferenza Unificata) sono espressione del fatto che le scelte governative siano partecipate al livello regionale e delle autonomie locali, quando interessino materie di competenza di tali enti territoriali (5). Accanto al ruolo di interlocutori politici le Conferenze hanno altresì acquisito – per espressa disciplina normativa ed in modo sempre crescente – vari compiti amministrativi e funzioni di natura consultiva. Tale ruolo assume rilievo particolare con riguardo alle materie in cui l’attuazione dei contenuti della legge e l’esecuzione dei compiti amministrativi rimessi alle Regioni ed agli altri enti locali passino attraverso modalità concordate di esecuzione, ovvero debbano costituire il frutto di una collaborazione reciproca avente ad oggetto l’assunzione di nuove funzioni normativamente previste. Nel disegno del legislatore circa la realizzazione del moderno Stato “del pluralismo e delle autonomie” (6), dopo la riforma del titolo V, le Conferenze avrebbero dovuto contribuire a determinare un “passaggio concordato” delle nuove competenze trasferite dal centro alle “periferie”, pur nel rispetto dell’unicità delle scelte di conduzione politica nazionale, sicché non sono mancate le materie e le forme cui ispirare l’attività di questi organi.
L’esperienza del “modello del servizio nazionale” (7), messo a punto nel settore della sanità - con un sistema di tipo “reticolare”, a struttura policentrica, ma con una unicità di standard e di obiettivi sul piano programmatico e su quello operativo - ha rappresentato un luogo privilegiato per il superamento delle logiche centralistiche, a favore di un nuovo autonomismo rispettoso degli indirizzi di politica generale del Governo (8).
Talune problematiche relative al funzionamento delle Conferenze allargate alle autonomie locali - rispetto alle quali sono state in più occasioni denunciate una eccessiva dispersione ed una difficoltà di raccordo tra le varie rappresentanze, che ne sono espressione (9) - hanno causato situazioni di stallo circa la soluzione delle stesse. Sotto altro profilo, specie nell’ambito della Conferenza Stato-Città, alla scarsa coesione interna tra le rappresentanze ha pure corrisposto una singolare ricerca del rapporto diretto tra singole realtà autonomistiche ed il Presidente del Consiglio. I rappresentanti delle città e delle province, selezionati per il tramite dei rispettivi organismi associativi, non hanno per la verità trovato momenti forti di intesa, finendo con l’assumere la difesa di singole posizioni “di categoria”. Ne è derivato il rischio di una rinnovata dipendenza dal centralismo, ed in particolare da quello della dirigenza ministeriale, che ha fatto sì che in questi anni l’apporto delle autonomie locali, nei confronti delle scelte di indirizzo governativo relative alle materie di specifico interesse locale, fosse meno incisivo di quanto ci si fosse potuto attendere. Le osservazioni appena fatte ineriscono, tra l’altro, anche all’opportunità di ripensare il meccanismo della rappresentanza delle autonomie nelle Conferenze (10), ritenendo, ad esempio, che esso probabilmente, possa essere conferito ad altri organi – quali, ad esempio, il Consiglio delle Autonomie Locali – dotati, potenzialmente, di maggiore capacità di rappresentanza istituzionale (11).
Si è dunque determinata nella realtà delle Conferenze un modello di funzionamento a due velocità (12), che ha visto primeggiare per quantità e qualità delle attività compiute le Conferenze che annoverano all’interno la presenza delle Regioni (13). Infatti il ruolo interpretato dalle Regioni, la loro compattezza del difendere le posizioni di parte regionale, e l’esperienza maturata in tanti anni di confronto in Conferenza Stato-Regioni, hanno rappresentato un importante correttivo rispetto al pericolo che si fosse potuta riaprire la strada ad un ritorno verso scelte centralistiche incidenti su materie oggetto di autonomia.
2. Le funzioni amministrative ed il ruolo di coordinamento del Presidente del Consiglio rispetto alle Conferenze.
La tematica relativa alle funzioni amministrative del Presidente del Consiglio in argomento, non sembra abbia avuto un rilievo centrale nel pensiero giuspubblicistico, nonostante gli ampi studi volti a delineare la sua figura. Maggiore interesse pare abbia, invece, rivestito l’individuazione delle funzioni di ordine costituzionale, senza tacere che nella prospettazione effettuata dalla dottrina ha avuto la sua influenza la nota tesi tendente a negare al Presidente la qualificazione di organo amministrativo al di là della sua soggettività squisitamente politica (14). L’attenzione per le funzioni amministrative del Presidente è tornata di particolare attualità dapprima a seguito dell’approvazione della l. n. 400/88 e successivamente con il dlgs. n.303/99 , sull’ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri. (15).
Va infatti rilevato come al di là di compiti astrattamente ripartiti – che vogliono il Consiglio dei Ministri fautore della politica generale del Governo, ed il Presidente del Consiglio responsabile della coordinata attuazione della stessa – la reale determinazione dei reali rapporti all’interno dell’Esecutivo è spesso dettata dalla prassi. L’ampio condizionamento partitico dei Governi della prima Repubblica aveva infatti rafforzato il “ministerialismo”, a scapito tanto del principio di collegialità quanto di quello monocratico, ponendo in evidenza le carenze del ruolo di coordinamento del presidente del Consiglio. Altri fattori di crisi del ruolo e della funzione di coordinamento del Presidente del Consiglio, possono ricondursi alla prassi di delegare talune rilevanti funzioni, quale quella di presiedere i Comitati interministeriali, con conseguente abdicazione ad una delle più rilevanti funzioni che erano state concepite come fattori di rafforzamento del Presidente.
In epoca più recente, già con la legge n. 400/1988, vennero riconosciuti al Presidente poteri di direttiva nei confronti dei Ministri, ribadendosi il suo ruolo centrale all’interno dell’Esecutivo, anche attraverso la flessibilità prevista per la nomina e per l’operato dei Ministri senza portafoglio (16). Questi ultimi sono stati concepiti, anche in dottrina, come “coadiutori eventuali” del Presidente del Consiglio, dal momento che le funzioni loro attribuite ex lege possono essere dallo stesso avocate o attribuite ad altri membri dell’esecutivo in caso di mancata nomina. Con riferimento alle funzioni amministrative, strettamente intese (17), la legge n.400/1988 ha dotato inoltre il Presidente del potere di istituire con propri decreti uffici e dipartimenti per l’espletamento dei compiti demandati al Segretariato generale. Il D.lgs. N. 303/1999 ha dettagliato le risorse dirigenziali presenti nella Presidenza del Consiglio, riordinandone i compiti operativi e gestionali, ma ha soprattutto disegnato il ruolo centrale del Presidente nei rapporti con le autonomie. Già in tale provvedimento normativo, che pure si ritiene abbia complessivamente mantenuto la logica del bilanciamento tra principio monocratico e principio collegiale (18) che caratterizza i rapporti tra gli organi del governo, si rinvengono alcune previsioni che segnerebbero un mutamento interpretativo teso a rafforzare il principio monocratico a scapito della collegialità. (19) Inoltre, nello stabilire che egli debba “coordinare l’azione del Governo” e “promuovere la collaborazione tra Stato, Regioni, e autonomie locali” la legge ha conferito al Presidente il compito di “promuovere le iniziative necessarie per l’ordinato svolgimento” dei loro rapporti, “ anche in esito alle deliberazioni degli appositi organi a composizione mista”. Nell’ambito del potere di autorganizzazione, appunto, attraverso un provvedimento presidenziale era stata, infatti, già istituita nel 1983 la Conferenza Stato-regioni. Con l’introduzione del modello collaborativo (20) basato sulle “Conferenze”, come strumento ordinario di concertazione con gli enti locali, si è inteso dunque dare nuovo impulso al ruolo del capo dell’Esecutivo nella materia dei rapporti tra Stato ed autonomie, quale “sistema di governo multilivello” evolutosi anche a seguito della riforma dei poteri regionali con la modifica costituzionale del Titolo V. I pareri su rilevanti questioni politiche, l’esercizio del potere di nomina, ma soprattutto la ricerca della condivisione rispetto all’esercizio della “sussidiarietà” – riguardanti le specifiche funzioni amministrative di coordinamento e di programmazione in cui questa si realizza - vedono nel presidente del Consiglio la figura in grado di guidare i diversi piani di espressione della funzione di Governo. Nell’ambito delle Conferenze egli è dunque chiamato a promuovere quella “forte intesa” che la Corte Costituzionale ha ritenuto costituire il presupposto di “collaborazione leale” per l’intervento di coordinamento dello Stato in materie divenute di competenza delle autonomie (21).
Anche in questo caso, tuttavia, come già avvenuto con riferimento alla presidenza dei Comitati interministeriali, il rafforzamento del ruolo del Presidente del Consiglio, relativo alla funzione di presidente delle Conferenze, dipenderà dall’esercizio che egli vorrà fare di tale strumento. Se riterrà di intervenire personalmente in questi consessi, per seguire le vicende legate alla dinamica dei rapporti di governo multilivello, egli trarrà il massimo rilievo da questa funzione istituzionale. Se viceversa, come frequentemente è accaduto, il Presidente intenderà delegarla ad un ministro, la funzione di indirizzo e coordinamento rimarrà confinata negli atti generali di sua competenza, quali i DPCM, attraverso cui viene determinata la linea politica unitaria che egli rappresenta e, conseguentemente, ogni atto di negoziazione per conto del Governo verrà compiuto attraverso l’alta burocrazia ed i tecnici dei ministeri interessati. Il delicato equilibrio di competenze, influenze e poteri decisori nei rapporti tra Governo, Regioni, Città e Province passa, infatti, anche dalla capacità di intervento del Presidente del Consiglio in prima persona sulle questioni (22). Una significativa dimostrazione di ciò è data dalla rilevante funzione di guida dell’azione pubblica assunta di recente dal Presidente del Consiglio in relazione all’emergenza rifiuti in Campania.
3. Il ruolo della Conferenza Unificata nel trasferimento della Sanità penitenziaria al servizio Sanitario Nazionale.
In questo sintetico quadro che si è inteso premettere, un importante “caso” di come adeguate iniziative in sede di Conferenza Unificata e una reale funzione di coordinamento presidenziale siano indispensabili in materie di competenza regionale e locale, è dato dalle annose e complesse procedure che riguardanti il passaggio delle competenze sanitarie in materia penitenziaria dal Ministero della Giustizia alle Regioni ed agli enti locali, ed il nuovo modello organizzativo e funzionale da attribuire agli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. La questione risale al D.lgs. n. 230/99, c.d. legge Bindi (23), della quale per tale aspetto è nota la mancata attuazione nel decennio in corso. Alla Conferenza Unificata, in subiecta materia è stato rimesso il compito di rendere effettiva la funzione di coordinamento del Presidente del Consiglio dei Ministri, i cui contenuti sono stati tracciati nel D.P.C.M. 1 Aprile 2008 ( d’ora in poi D.P.C.M.) (24), che determina le grandi linee del trasferimento delle funzioni e delle risorse al Servizio Sanitario Nazionale. Si tratta di una materia di particolare interesse nel cui ambito le funzioni della Conferenza si espletano su una molteplicità di piani interdipendenti. Al riguardo vanno individuate due linee: l’una tendente ad assicurare il concreto passaggio delle funzioni dall’amministrazione centrale dello stato alle regioni ed agli enti locali, garantendo, attraverso la approvazione di atti di impegno tra le amministrazioni interessate, la necessaria collaborazione tra enti e dirimendo i possibili conflitti scaturenti dal nuovo assetto di materie di diversa e rispettiva competenza così venutosi a creare, secondo quanto previsto dal D.P.C.M. Questa funzione, che potremo definire di attuazione dei contenuti dell’atto di coordinamento, è specificamente volta a rendere concreto il principio della parità del trattamento sanitario tra soggetti liberi e detenuti, direttamente desunto dal cpv dell’art. 3 della Costituzione, ribadito infatti dall’art. 1 del D.lgs. n. 230/99 e sviluppato negli allegati al D.P.C.M. contenenti le “Linee di indirizzo per gli interventi del Servizio Sanitario Nazionale a tutela della salute dei detenuti…” e le “linee di indirizzo per gli interventi negli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG)” (25).
L’altra linea vede attribuito alla Conferenza unificata anche il compito di assicurare una attenta e puntuale attività di controllo e verifica circa le modalità, i tempi e l’effettività del passaggio delle funzioni sanitarie e circa la efficienza del servizio sanitario reso, che si caratterizza come attività di controllo e coordinamento sul transito delle competenze. Anche tale funzione assume caratteristiche di particolare delicatezza, atteso che il passaggio di competenze, previsto già dieci anni addietro dalla richiamata legge Bindi, era stato all’epoca subordinato alla effettuazione di un periodo di sperimentazione, il cui esito negativo lasciò incompiute le successive fasi normative, che ne avrebbero dovuto sancire l’effettiva entrata in vigore (26). Sulla scorta di questa esperienza si è inteso pertanto garantire che sulle procedure di trasferimento vi fosse il controllo diretto della Conferenza Unificata, organismo nel quale sono rappresentati tutti gli enti coinvolti nella vicenda. Infine, vista la eterogeneità dei soggetti presenti sul territorio ai quali vengono conferite le funzioni sanitarie prima espletate dal Ministero della Giustizia, si è ritenuto di assegnare alla Conferenza competenze volte ad assicurare l’unitarietà e la omogeneità dell’intervento, nonché l’organizzazione degli interventi differenti sulla popolazione detenuta posti in essere dallo Stato e dagli enti locali. Quest’ultima attività rimessa alla Conferenza Unificata si atteggia a vera e propria funzione di indirizzo e coordinamento e completa l’assetto dei compiti rimessi all’organo collegiale (27), per il mantenimento dell’unitarietà di indirizzo governativo che tenga conto delle funzioni rimesse alle autonomie locali nella materia de qua.
4. Le articolazioni tecniche della Conferenza Unificata e della Conferenza Stato-Regioni: il tavolo di consultazione.
Per garantire i due obiettivi della riforma – ossia il passaggio dei servizi sanitari dal Ministero della Giustizia alle A.S.L. e l’attuazione di un programma specifico di interventi negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari e nelle Case di Cura e Custodia – l’atto di coordinamento del Presidente del Consiglio dei Ministri ha previsto distinte competenze tra Conferenza Unificata e Conferenza Stato-Regioni e differenti articolazioni tecniche operanti presso di esse con l’obiettivo di compiere le attività preparatorie, conoscitive, di elaborazione dei documenti ed istruttorie, rispetto alle più estese attribuzioni degli organi collegiali.
E’ stata così prevista l’attivazione presso la Conferenza unificata di un Tavolo di consultazione sulla sanità penitenziaria (28), con la funzione di garantire “l’uniformità degli interventi e delle prestazioni sanitarie e trattamentali nell’intero territorio nazionale”. Il tavolo di consultazione – coordinato dal Segretario della Conferenza Unificata o da un suo delegato - è costituito dai rappresentanti del ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, del ministero della giustizia, del ministero dell’economia, e del Dipartimento della Pubblica Amministrazione e dell’innovazione tecnologia della Presidenza del Consiglio dei Ministri; delle Regioni, delle Province autonome, e delle autonomie locali. E’ inoltre prevista la partecipazione eventuale di ulteriori rappresentanti di altre amministrazioni pubbliche, ovvero di altre Regioni ed Enti Locali, che possono essere invitati, di volta in volta, in relazione agli argomenti in discussione.
I compiti affidati al Tavolo di consultazione si riconducono alle funzioni attribuite alla Conferenza Unificata alla materia de qua. In primo luogo vanno dunque evidenziate le attività istruttorie volte alla formazione di quegli atti la cui adozione è rimessa alla Conferenza Stato-Regioni, in attuazione di quanto previsto nel D.P.C.M. Esse sono volte ad assicurare l’iniziativa per il trasferimento al Servizio Sanitario Nazionale delle funzioni sanitarie penitenziarie anche attraverso il passaggio ai nuovi enti dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie, della disponibilità dei locali e delle attrezzature presenti negli istituti penitenziari che afferiscono all’erogazione dei servizi predetti (29).
Vi sono poi compiti affidati al Tavolo di consultazione legati alla necessità di dare attuazione a quanto previsto nel DPCM, ma che afferiscono anche alla funzione di indirizzo e coordinamento attribuita alla Conferenza Unificata nella materia sanitaria oggetto del trasferimento di cui trattasi. La richiamata funzione riguarda l’attività preparatoria rispetto all’accordo, previsto dall’art. 7 del DPCM, con riferimento alla definizione di forme di collaborazione - tra Ministero della Giustizia cedente e Aziende sanitarie cessionarie delle competenze sui servizi sanitari – interessanti la sicurezza, e la disciplina dei rapporti tra ordinamento sanitario e ordinamento penitenziario, anche in materia di patologie da dipendenza. L’attività preparatoria relativa a quest’ultimo tema, come si vedrà in prosieguo, ha determinato un intenso dibattito tra i rappresentanti degli enti interessati, rivelando la maggiore complessità, tra quelli da affrontare, degli aspetti conseguenti ai delicati rapporti sussistenti tra l’erogazione dei servizi sanitari e le questioni connesse con la sicurezza (30)”
Per quanto riguarda, poi, la funzione di controllo e coordinamento, è stato previsto che il tavolo di consultazione procedesse altresì: a) al “monitoraggio del livello di attuazione del DPCM, anche con riferimento alle risorse necessarie”; b) alla “valutazione di efficacia e di efficienza degli interventi a tutela della salute dei detenuti, degli internati e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale anche utilizzando i dati del sistema informativo nazionale sulla salute dei detenuti”.
5. Segue: Le articolazioni tecniche. Il Comitato paritetico interistituzionale e gli osservatori permanenti.
La genesi del Comitato paritetico interistituzionale sugli Ospedali Psichiatrici Giudiziari e nelle case di cura e custodia, prevista dall’art. 5 comma 2 del DPCM, e da costituirsi a mezzo di delibera della Conferenza Unificata (31),è pari a quella del tavolo di consultazione. Il Comitato paritetico è composto da rappresentanti delle medesime amministrazioni centrali dello Stato chiamati a comporre il tavolo di consultazione (Ministeri della Salute, della Giustizia, delle Finanze e Dipartimento della Pubblica amministrazione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri), da cinque rappresentanti delle autonomie locali, da un rappresentante per ciascuna regione sede di ospedale psichiatrico giudiziario, ed è coordinata dal segretario della Conferenza Unificata o da un dirigente suo delegato. Tra i compiti preparatori rispetto alla funzione di attuazione, di indirizzo e di coordinamento vi sono: a) l’attività preparatoria alla convenzione - tra le Amministrazioni chiamate a compiere interventi specifici relativi al programma di iniziative nei riguardi degli Ospedali Psichiatrici giudiziari e delle case di Cura e di Custodia - per la definizione della tipologia assistenziale e delle forme di sicurezza, degli standard di organizzazione e dei rapporti di collaborazione; b) la definizione degli indirizzi sugli adempimenti previsti nell’ambito dell’allegato C) al D.P.C.M., finalizzati alla promozione di azioni omogenee su tutto il territorio nazionale; c) la definizione degli “strumenti necessari per supportare il programma di superamento graduale degli OPG”, determinando a tutti i livelli – nazionale, regionale e locale – forme di collaborazione tra il ministero della giustizia e il servizio sanitario nazionale. E’ inoltre previsto che i documenti elaborati dal comitato paritetico siano trasmessi al tavolo di lavoro anche ai fini del successivo esame da parte della Conferenza Unificata (32).
Per completare il quadro degli organi tecnici collegiali, l’allegato A) al D.P.C.M. ha inoltre previsto che venga costituito presso ogni Regione e Provincia autonoma, un Osservatorio permanente sulla sanità penitenziaria, cui è rimessa la funzione di controllare che sia assicurata l’efficacia e l’efficienza degli interventi a tutela della salute dei detenuti, anche minorenni, e degli internati, e che sia garantita, allo stesso tempo, l’efficacia delle misure di sicurezza. Questi organi – concepiti come articolazioni periferiche del tavolo di consultazione presso la Conferenza Unificata, cui è rimessa la funzione di coordinamento - dovranno essere composti da rappresentanti delle Regioni, dei Provveditorati regionali dell’amministrazione penitenziaria e dei Centri per la giustizia minorile territorialmente competenti.
6. Il diverso ruolo dei tavoli tecnici nelle varie Legislature. Tavoli consultivi e tavoli attuativi della funzione di indirizzo e di coordinamento.
La vicenda relativa al trasferimento della sanità penitenziaria dal ministero della Giustizia al servizio sanitario nazionale per la sua complessità - che ne fa questione a tutt’oggi non completamente risolta - ha visto, nel passato, la costituzione di altri tavoli tecnici i cui lavori sono comunque confluiti nella conoscenza e nella attività della Conferenza Stato-Regioni. Codesti organismi sono stati veri e propri strumenti consultivi, ovvero di messa a punto di regolamentazioni cui era necessario dare ulteriore corso. Spesso il lavoro dei tavoli tecnici è sfociato in provvedimenti normativi, per la cui attuazione è stato necessario procedere alla costituzione di altri organismi, secondo un meccanismo che evoca l’effetto domino. In realtà la funzione dei tavoli è stata ben diversa a seconda che si sia trattato di fornire supporto alla decisione politica di dare corso alla riforma, ovvero di dare attuazione a tale volontà, procedendo col definire i dettagli della complessa procedura amministrativa, nel pieno rispetto di tutti i compiti istituzionali.
Posta dunque la necessità di provvedere ad una compiuta e dettagliata ricognizione degli adempimenti necessari, sul piano tecnico-amministrativo, per procedere al passaggio di competenze, e preso atto delle difficoltà presenti nella materia, già all’indomani del fallimento del primo tentativo compiuto dopo “la legge Bindi” si era proceduto a formare commissioni di natura tecnica e consultiva, nel cui ambito potessero essere affrontate e risolte tutte le questioni (33). Lo scopo di questi organismi – che potremmo definire tavoli tecnici consultivi o di elaborazione - era quello di sostenere gli organi politici nell’alternativa di abbandonare il progetto contenuto nella legge Bindi, ovvero di insistere nella riforma, dando l’ulteriore impulso normativo richiesto dalla legge, ma mai effettivamente sopraggiunto, a causa del fallimento della sua precedente sperimentazione. I tavoli tecnici costituiti durante la XIV Legislatura hanno riscontrato le difficoltà legate alla esecuzione di decisioni politiche assunte da un governo di differente impostazione politica e che chiamavano in causa altri soggetti (le Regioni e gli enti locali), alcuni dei quali, pur consapevoli delle difficoltà, erano comunque disposti ad assumere le nuove competenze. In tale fase di incertezza i tavoli dovevano offrire concreti argomenti per mettere a punto gli strumenti di decisione politica, facenti capo al Governo, ed in ultima analisi al Presidente del Consiglio dei Ministri, non trascurando la fase di coordinamento con le autonomie locali. Il loro lavoro - benché avessero prodotto proposte e soluzioni - non venne raccolto dal Governo per adottare soluzioni risolutive: nel corso della XIV Legislatura non si diede attuazione alla riforma Bindi della sanità penitenziaria, ma neanche si decise di abolirla.
Nella XV Legislatura, caratterizzata da una maggioranza di governo omologa a quella che aveva varato la legge Bindi, recuperata dunque la volontà politica, il compito dei tavoli tecnici fu quello di elaborare la normativa di attuazione. Il lavoro di uno questi tavoli tecnici (34), recepito in Conferenza Stato-Regioni, per un verso ha consentito a chi ne aveva la responsabilità, di ribadire la scelta politica del passaggio alle Regioni dei servizi sanitari penitenziari, per altro verso ha reso possibile la definizione e la messa a punto dei contenuti operativi che hanno poi visto la luce nel D.P.C.M.
Nel medesimo D.P.C.M. e nei suoi allegati, come si è finora osservato, sono state inserite disposizioni che prevedevano altri tavoli tecnici, di natura attuativa, con il compito di dare esecuzione concreta alla funzione di indirizzo e coordinamento. Anche nell’ambito dell’attività rimessa ai tavoli attuativi si assiste ad una ulteriore gemmazione di organismi tecnici, questa volta univocamente rivolti a svolgere attività istruttoria che funga da sostegno alla esecuzione della funzione di indirizzo e di coordinamento.
7. Segue: Il tavolo tecnico della Conferenza delle Regioni.
Sul finire della XV Legislatura, non appena fu emanato il D.P.C.M., e prima ancora della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, fu costituito un tavolo tecnico presso la Conferenza delle regioni e delle province autonome, al quale furono invitati i rappresentanti delle Regioni nonché i dirigenti del ministero della salute e del ministero della Giustizia (35). Il tavolo, promosso su iniziativa della Regione Toscana, ha operato sin dal Aprile 2008 allo scopo di avviare i percorsi indicati dal D.P.C.M. e per la predisposizione degli atti previsti dal medesimo. Esso ha svolto una attività di raccordo molto intensa nel corso di diverse riunioni che hanno consentito di approfondire le tematiche di maggiore complessità, anche con la costituzione di appositi sottogruppi tecnici formati anch’essi in modo tendenzialmente paritetico (36).
Il rilievo legato alla costituzione di questo tavolo è di tutta evidenza. Innanzitutto essa rappresenta l’assunzione di una iniziativa decisa da parte delle Regioni in ordine alla volontà di dar vita alla riforma, stante l’ennesimo cambio di maggioranza determinatosi nel corso della XVI Legislatura e la conseguente eventualità di un possibile rallentamento del percorso che avrebbe dovuto portare alla sua attuazione. Posto infatti che la maggioranza di centro destra - frattanto tornata a governare - nel corso della sua precedente esperienza di governo non aveva inteso abrogare la riforma Bindi, e visto che nella parte finale della Legislatura era stato dato, col D.P.C.M., l’impulso normativo ancora mancante, le Regioni hanno voluto che si giungesse al più presto e con atti concreti alla definizione dell’annosa procedura di passaggio. E così dopo che il tavolo tecnico della Conferenza delle Regioni aveva svolto una intensa attività istruttoria nel solco di quanto previsto dal DPCM, da parte della Regione Toscana, coordinatrice del tavolo, nel Luglio 2008, è stata chiesta la convocazione della Conferenza Unificata, ponendo all’ordine del giorno la approvazione di un articolato che istituisse i tavoli previsti nel DPCM, con l’ulteriore precisazione dei compiti da affidare ai medesimi, quali la individuazione dei rappresentanti dello Stato e degli Enti Locali chiamati a prendervi parte.
Il tavolo della Conferenza delle regioni, dunque, non solo ha anticipato i lavori del “Tavolo di consultazione” e del “Comitato paritetico”, previsti dal D.P.C.M., ma si è altresì fatto promotore della loro costituzione intervenendo con una propria proposta sui contenuti della deliberazione della Conferenza Unificata che lo avrebbe dovuto istituire (37). Esso dunque, in perfetta conformità con il regolamento dell’organo che lo ha costituito, porterà all’attenzione della Conferenza unificata un lavoro per grandi linee già definito, agevolando il compito degli organi tecnici previsti nel DPCM, ma anche di fatto supplendo alle funzioni istruttorie e di segreteria rispetto ai lavori preparatori che sarebbero state rimesse agli organi burocratici della Conferenza Unificata, i quali hanno una diretta dipendenza dalla Presidenza del Consiglio. In altri termini, giocando d’anticipo ed in modo perfettamente istituzionale le Regioni, con l’intento di portare un lavoro già tecnicamente definito in conferenza Unificata, le Regioni hanno voluto evitare che potessero evidenziarsi tentennamenti o dubbi da parte governativa circa la volontà di portare avanti la riforma (38).
8. Il metodo di lavoro dei tavoli tecnici
La caratteristica essenziale dei tavoli tecnici è data dalla immediatezza delle scelte operative e dalla informalità del metodo di lavoro. Tale linea di condotta si è rivelata particolarmente efficace sul piano della programmazione degli argomenti oggetto di confronto, ed ha reso particolarmente agili le fasi di discussione e trattazione pur caratterizzate dalla presenza di articolate rappresentanze dei Ministeri e degli enti locali coinvolti. Nell’ambito dell’attività preparatoria guidata dalla Regione Toscana in sede di conferenza delle Regioni le convocazioni per le sedute, tanto del tavolo principale (39) quanto dei tavoli tematici, sono sempre avvenute ricercando la più ampia partecipazione anche dei rappresentanti dei Ministeri – pur essendo questi ultimi estranei rispetto alla composizione dell’organismo promotore del tavolo - , e sono state precedute da preavviso sulla data attraverso comunicazione per posta elettronica, onde consentire la più ampia disponibilità per la partecipazione. Analogamente flessibile è stata la partecipazione dei rappresentanti dei vari enti alle singole sedute: ciascuna amministrazione ha infatti designato un team di tecnici che hanno preso parte alle riunioni assicurando che ad ogni appuntamento fosse almeno presente uno di essi, salva la partecipazione congiunta di tutti alle riunioni più rilevanti. Nel corso delle riunioni gli argomenti all’ordine del giorno vengono proposti dal rappresentante dell’organo coordinatore del tavolo, che guida lo svolgimento de i lavori consentendo a tutti gli enti rappresentati di esprimere una posizione. Si procede dunque alla stesura di un documento riepilogativo, nel quale si da atto dell’ordine dei lavori e delle posizioni assunte dagli enti che hanno partecipato alla discussione. Tra un incontro e l’altro vi è una intensa fase di preparazione, nel corso della quale gli argomenti da affrontare nella successiva riunione vengono preventivamente comunicati insieme agli orientamenti di ciascuna rappresentanza, attraverso strumenti diretti di comunicazione elettronica, spesso in modo contestuale (mediante elenco di indirizzi o mailing-list). Ciò consente una utile programmazione sui contenuti delle sedute ed un abbreviamento consistente del lavoro istruttorio, essendo già note le questioni problematiche e le posizioni degli altri. Quando l’attività dei tavoli ha ad oggetto la stesura di testi con articolati di norme – siano essi modelli di convenzione o accordi tra enti diversi – si procede alla stesura di una proposta che contiene tanto le parti definitive, sulle quali si è già raggiunto un accordo, quanto le parti di testo su cui permangono discordanze, che vengono graficamente evidenziate in modo da favorirne la lettura. I testi così definiti e aggiornati alla fine di ogni seduta vengono riconosciuti attraverso l’indicazione del giorno e dell’ora in cui sono stati formati. Si procede dunque nelle successive riunioni alla rielaborazione del documento stilato nella seduta precedente, apportando allo stesso le modifiche conseguenti agli accordi di volta in volta raggiunti sui punti rispetto ai quali vi sia divergenza, e così sino alla stesura del documento definitivo che contiene l’accordo di tutti i partecipanti al tavolo rispetto al contenuto.
Il metodo della informalità è dunque congeniale sia alla natura dei tavoli promossi in sede di “Conferenza delle Regioni” ed alla flessibilità della loro composizione, sia ai compiti che vengono loro assegnati, i quali rappresentano momenti ulteriormente preparatori, rispetto all’operato dei tavoli tecnici istituzionali di supporto della Conferenza Unificata, previsti nel D.P.C.M., che si avvarranno del lavoro prodotto dai primi, con riguardo alle intese raggiunte ed alle ipotesi di documenti formulate.
9. Le diverse forme di coordinamento. Il coordinamento interno, il coordinamento tecnico, il coordinamento in sede di Conferenza Unificata.
I tavoli tecnici sono stati immaginati come agili strumenti di supporto della funzione di coordinamento tracciata dal Presidente del Consiglio, la cui attuazione è rimessa in concreto alla Conferenza Unificata. Essi hanno il compito di agevolare tale funzione procedendo al coordinamento dal livello più basso, ossia consentendo il raccordo tra i rappresentanti dei vari enti che per primi, sul piano della fattibilità e della opportunità tecnica delle scelte, vengono a confrontarsi nella materia oggetto di esame. L’informalità del metodo di lavoro, cui prima si è fatto cenno, costituisce in questa situazione la migliore condizione per attuare dal basso tale funzione.
Va infatti puntualizzato come il coordinamento nella materia che ci occupa assuma differenti caratteristiche man mano che sale il livello di responsabilità, e di rappresentanza, rispetto della sua attuazione. La presenza di tavoli molteplici, e di numerosi rappresentanti per conto di ciascun ente chiamati a sedere ai medesimi tavoli, può infatti determinare la necessità che anche all’interno dell’ente le posizioni da assumere vengano definite in modo unitario, anche a fronte di possibili differenti esigenze, dovute alla diversità della materia trattata tra ripartizioni amministrative che hanno compiti ed organizzazioni separate. Nel caso di specie, ai tavoli tecnici per il trasferimento delle competenze sulla sanità penitenziaria, il Ministero della Giustizia era rappresentato da dirigenti facenti capo tanto al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, quanto al Dipartimento per la Giustizia Minorile. In questi casi, trattandosi di organizzazioni diverse operanti all’interno dello stesso Ministero – per la peculiare diversità dei compiti affidati, oltre che per la differente entità numerica dei detenuti in trattamento e delle risorse da governare -, è stato necessario mantenere posizioni unitarie, rendendosi necessario un coordinamento interno che rendesse riconoscibile una medesima linea, tracciata sommando le problematiche comuni ai due dipartimenti in modo che non fossero trascurati gli aspetti peculiari di ciascuno di essi.
Inoltre, dovendosi prospettare possibili divergenze di vedute rispetto ad esigenze prospettate da altri enti, il coordinamento interno serve a determinare una graduatoria di rilevanza degli obiettivi da conseguire, onde assicurare che vengano risolte con priorità le questioni ritenute più importanti. Si tratta dunque di un momento appartenente alla sfera propria di ciascun ente, ma la cui compiuta determinazione non può che apprezzarsi nel corso dell’esecuzione dei lavori degli organismi tecnici.
Nell’ambito del tavolo tecnico le posizioni divergenti tra enti diversi vengono affrontate e, se possibile, risolte mediante il coordinamento tecnico all’interno dell’organismo medesimo. Abbiamo già visto con quali modalità informali si proceda alla progressiva modifica di un testo al fine di ottenere la condivisione di tutti i rappresentanti presenti al tavolo; vedremo nella parte che segue quale sia stato in concreto l’oggetto delle discordanze tra Ministeri ed Enti Locali per il trasferimento della sanità penitenziaria alle Regioni. Qui ci limiteremo a dire che il raggiungimento di una intesa sul piano tecnico facilita grandemente la possibilità di un accordo in sede di Conferenza Unificata, la cui attuazione rimarrebbe così legata solo alla conferma della volontà politica di dare attuazione ai contenuti espressi dalla legge. Come abbiamo avuto modo di accennare, infatti, su questa riforma grava sempre l’alea del cambio di maggioranza politica che si è determinato in itinere, ossia in epoca successiva rispetto al momento in cui è stato varato il D.P.C.M. e prima che si fosse proceduto alla fase di attuazione dello stesso.
Il mancato raggiungimento di una intesa tecnica in sede di coordinamento tecnico, aprirebbe dunque la strada ad un difficile confronto in sede di Conferenza unificata, nel cui ambito il coordinamento di “ultima istanza” - da svolgersi in quella sede con i più alti rappresentanti dei Ministeri e delle autonomie - verrebbe gravemente compromesso proprio dalla possibilità di una divergenza sul piano della prospettiva politica che aveva generato l’iniziativa. Al contrario la condivisione di una piattaforma di scelte concordate dai tecnici, finirebbe col conferire all’attività di attuazione da svolgersi una minore connotazione politica sul piano delle posizioni da assumere in sede di Conferenza Unificata, dando minore evidenza alla circostanza che il DPCM era stato emanato dal presidente del Consiglio di una maggioranza diversa dall’attuale. Donde l’iniziativa del tavolo tecnico promosso dalla Regione Toscana affinché in sede di Conferenza Unificata potesse apprezzarsi il “fatto compiuto” di una convergenza tecnica già raggiunta rispetto ad una riforma i cui presupposti fondano su principi sul piano teorico da tutti condivisi.
10. La materia oggetto dei tavoli tecnici. Integrazione e necessità di coordinamento.
La scelta del passaggio della sanità penitenziaria alle Regioni è stata sostenuta da posizioni culturali ben definite ed ha trovato ostacolo in alcune oggettive difficoltà di tipo organizzativo. Le motivazioni addotte dai fautori della riforma fondavano sul presupposto che all’interno delle carceri italiane non trovasse piena attuazione l’art. 32 della Cost. per via di alcuni pregiudizi legati alla compatibilità tra due esigenze oggettivamente contrapposte chiamate a coesistere nella medesima situazione: l’attenzione alla salute dell’individuo e la necessità di garantire la sicurezza sociale attraverso lo stato di detenzione. Si è addirittura diffusa l’idea che i medici e gli infermieri, se dipendenti o convenzionati con il Ministero della Giustizia, non possano operare in “scienza e coscienza”, dal momento che le decisioni sono o possono essere subordinate all’Ordinamento Penitenziario, cioè a un sistema fondato sull’esigenza prioritaria della sicurezza che non ammetterebbe autorità altre e decisioni autonome, pur fondate sulla dignità della scienza medica.
Tali pregiudizi, che hanno reso difficoltoso il dialogo tra SSN e Servizio Sanitario Penitenziario - fino a produrre il fallimento della sperimentazione che avrebbe dovuto preludere al passaggio, all’indomani della emanazione della legislazione delegata della fine degli anni Novanta - non hanno tardato a riproporsi anche nei tavoli tecnici approntati per dare esecuzione al D.P.C.M.
In effetti la questione, correttamente affrontata in termini di coesistenza di valori costituzionalmente rilevanti, dovrebbe condurre a soluzioni diverse da quelle semplicisticamente riconducibili alla sussistenza di “contrapposti interessi”, quali potrebbero apparire la cura salute ed il mantenimento della sicurezza (40). Non v’è dubbio infatti che rispetto alla delicate questioni afferenti alle condizioni che regolano la erogazione dei servizi sanitari in ambito penitenziario, la presenza di un bene costituzionalmente rilevante, quale quello previsto dall’art. 32 Cost., non ammette esclusioni di sorta connesse alla coesistenza di altre esigenze, ma necessita semmai di precisi parametri di valutazione ai quali dovrà attenersi l’interprete.
Il diritto alla salute di coloro che si trovano in condizione di privazione della libertà deve essere, quindi, garantito quale diritto inviolabile dell’uomo sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità. L’istituto penitenziario in cui un individuo viene ristretto, va considerato come una formazione sociale e va inteso come luogo in cui lo stesso esplica la propria personalità (41). E’, dunque, innanzitutto da rilevare come non sia possibile prescindere da un momento di integrazione dei compiti e delle responsabilità di coloro che siano chiamati a garantire la sicurezza e di quanti debbano occuparsi della salute della popolazione detenuta; e ciò anche a prescindere da chi per legge (Ministero della Giustizia o SSN) sia in concreto chiamato ad erogare i servizi sanitari. La necessità dell’integrazione e di una collaborazione con il Servizio Sanitario Nazionale era infatti già presente nella normativa precedente agli anni Novanta, allorché la sanità in carcere era prerogativa saldamente in capo all’Amministrazione penitenziaria (42). Peraltro la esperienza già maturata del trasferimento di competenze alle ASL - sia pur limitato alla materia delle tossicodipendenze e della infettivologia - ha di atto omologato un modello di integrazione tra i due sistemi mettendone a punto la concreta fattibilità (43)-(44).
La questione di rilevanza costituzionale avente ad oggetto la prevalenza del diritto alla salute rispetto alle esigenze della sicurezza va dunque affrontata e risolta per ogni singolo individuo-detenuto, il quale è detentore, come le persone libere, di diritti inviolabili. Con riguardo alla problematica della eventuale incompatibilità della condizioni di infermità con il regime carcerario essa trova il suo statuto nelle norme processuali e di ordinamento penitenziario sulla incompatibilità col regime carcerario. Rimane il problema del diritto alla erogazione di una sanità adeguata anche in condizioni diverse da quelle che vedono la salute già compromessa.
Su questo tema le questioni poste all’attenzione dei tavoli tecnici – che si è preteso di affrontare e risolvere sul presupposto indiscutibile della prevalenza del diritto alla salute - hanno riguardato principalmente la formazione dei documenti con i quali l’ente cedente e quelli cessionari delle competenze si impegnavano a garantire condizioni di reciproca collaborazione per garantire l’effettività del diritto alla salute, anche con riguardo alla prevenzione, alla qualità della vita, al rispetto degli indici di benessere psico-fisico (45). La questione fondamentale oggetto del dibattito è stata pertanto individuata nell’assunzione di specifici oneri a carico dell’amministrazione penitenziaria che servano a rendere compatibile la vita detentiva con il presupposto di qualsiasi intervento di recupero sociale e di reinserimento, che va individuato nella presenza di uno stato di benessere, o almeno nell’assenza di malattia. Per assicurare un rispetto completo del principio costituzionale si tratta dunque di garantire che all’individuo detenuto siano offerte opportunità diagnostiche e terapeutiche di livello non inferiore rispetto a quelle assicurate ai liberi – onere di cui dovranno farsi carico le Regioni -, e di far sì che l’ambiente penitenziario non incida in modo determinante sulla condizione di benessere psico-fisico, vanificando gli effetti dell’attività sanitaria – impegno quest’ultimo rimesso alle cure del Ministero della Giustizia.
La problematica all’attenzione dei tavoli tecnici non è pertanto giuridica - essendo la collaborazione tra gli enti non solo possibile ma doverosa – ma ha rilevanza squisitamente politica, poiché l’impegno richiesto alle controparti consiste specificamente in un facere. Esso passa attraverso l’impostazione di un modello organizzativo - non solo relativo alla erogazione dei servizi sanitari, ma anche della sicurezza - che si renda compatibile col principio sancito dall’art. 32 Cost. Consiste nel dare esecuzione ad una scelta contenuta nella legge e più volte ribadita, ma che potrebbe essere messa a rischio da inconvenienti di preteso ordine tecnico, dietro ai quali potrebbe celarsi il rischio di un ripensamento politico. Ecco perché si è rivelata importante l’iniziativa della costituzione di un tavolo tecnico in sede di Conferenza delle Regioni che risolva anticipatamente eventuali divergenze tra organi centrali ed autonomie. Su questo fronte l’impegno e la volontà delle Regioni in attuazione della riforma esige di accompagnarsi in Conferenza Unificata al superamento delle possibili discrasie tra i soggetti coinvolti a diverso titolo ed alla necessità che la Presidenza del Consiglio confermi e ribadisca l’obiettivo tra quelli di scelta politica da svolgere e sostenere.
Note
(*) Dottore di ricerca in Diritto Pubblico e costituzionale dell’Università Federico II di Napoli e cultore della materia presso la Facoltà di Giurisprudenza di Catania.
(1) Gli atti ed i documenti posti a fondamento del presente scritto sono stati forniti dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Si ringrazia, pertanto, la dott.ssa Bruna Brunetti, direttore dell’Ufficio III, Servizio sanitario.
(2) Prevista dapprima con D.P.C.M. 12 Ottobre 1983, la Conferenza Stato regioni nasce dalla scelta del Presidente del Consiglio di disciplinare i rapporti con le autonomie, al fine di servirsi di tale organo come strumento di raccordo a livello amministrativo tra Stato e regioni. Ad un primo periodo in cui la Conferenza ha svolto compiti di studio e consultazione finalizzati all’esercizio delle funzioni dell’esecutivo, è seguito il momento della stabilizzazione in via legislativa della Conferenza, istituita con legge ordinaria, dall’art. 12, l. 23 agosto 1988, n. 400, sull’ordinamento della Presidenza del consiglio dei ministri e disciplina dell’attività di Governo. Tale legge definisce la composizione, la struttura e le funzioni della Conferenza, ma le concrete modalità di funzionamento della stessa hanno continuato a svolgersi secondo la prassi dei rapporti politici tra i soggetti coinvolti. Il dlgs n. 281 del 1997 ha disposto il riordino e l’ampliamento dei compiti della Conferenza e i casi in cui viene unificata con la Conferenza Stato città ed autonomie locali. Inoltre, nuovi compiti sono stati attribuiti alla Conferenza Stato - regioni dalla legge n. 131 del 2003, in materia di partecipazione delle regioni alla formazione degli atti comunitari per le materie legislative di propria competenza, e in materia di esercizio del potere sostitutivo ex art. 120 Cost. La Conferenza è stata chiamata dunque a svolgere compiti sempre più specifici di coordinamento e cooperazione tra livelli di governo; le sue deliberazioni - in particolar modo le intese - sono spesso richiamate come momenti endoprocedimentali necessari per l’adozione di tutta una serie di provvedimenti di settore, e particolare rilievo è andata assumendo anche la prassi di sottoporre all’esame della Conferenza importanti questioni di natura politica attinenti alle linee di indirizzo governativo in materia di attuazione delle riforme costituzionali.
(3) L’istituzione della Conferenza Stato, città ed autonomie locali quale sede di riconoscimento politico degli organismi di rappresentanza degli enti locali, nonché sede di coordinamento tra il Governo e le predette autonomie è stata preceduta da un ampio dibattito sia tra Governo ed autonomie locali, sia tra regioni ed organismi di rappresentanza delle autonomie medesime. Mentre nella compagine governativa le maggiori resistenze erano sollevate dal Ministero dell’interno, preoccupato di perdere la propria ingerenza sugli enti locali, a seguito dell’istituzione di un organismo rappresentativo degli stessi con sede presso la Presidenza del Consiglio, le regioni manifestavano l’intenzione, d’impronta neoregionalista, di ricondurre presso la sede della Conferenza Stato – regioni il coordinamento delle problematiche relative agli enti locali. Sulla falsariga del cammino della Conferenza Stato – regioni, la Conferenza- Stato, città ed autonomie locali, prevista dapprima con D.P.C.M. 2 Luglio 1996, è stata poi istituita con d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, in seguito alla delega al Governo, contenuta nell’art. 9 della legge n. 59 del 1997, per il riordino e l’ampliamento dei compiti della Conferenza Stato- regioni. Tra i nuovi e rilevanti compiti assunti dalla Conferenza Stato - città a seguito di alcune leggi emanate dopo la riforma del Titolo V, vanno segnalati il potere di formulare al Governo la proposta di impugnazione di una legge regionale che ecceda le proprie competenze, a norma dell’art. 9, legge n. 131 del 2003 e la disciplina della partecipazione della Conferenza Stato città e autonomie locali al processo di formazione degli atti normativi comunitari riguardanti materie di competenza degli enti locali, sancito dall’art. 6 della legge 4 febbraio 2005, n.11.
(4) Il d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, ha unificato la Conferenza Stato-Regioni e la Conferenza Stato-Città-Autonomie locali per le materie ed i compiti di interesse comune delle Regioni, delle Provincie, dei Comuni e delle Comunità montane. Per quanto attiene alla natura della Conferenza unificata, in dottrina si sollevato il problema circa la sua configurabilità di organo terzo ed autonomo rispetto alla Conferenza Stato – regioni ed alla Stato- città, ovvero di un modus operandi delle due Conferenze, quale luogo in cui vengono acquisite contestualmente le reciproche posizioni, che tuttavia restano separate e riferibili distintamente agli organi che le costituiscono. L’interpretazione dell’art. 8 del dlgs. 281/1997 non si dimostra in tal senso risolutiva, e la Corte Costituzionale, intervenuta con sentenza n. 408 del 1988, ha chiarito che la legge delega non prevede il venir meno dell’identità delle due Conferenze e delle loro rappresentanze in sede di Conferenza unificata, ma piuttosto ne prevede l’unificazione funzionale per l’adozione delle deliberazioni. Il consenso delle regioni e degli enti locali, fermo restando l’assenso del Governo, viene acquisito in modo distinto dai delegati dei due gruppi di autonomia che compongono la Conferenza Stato regioni e la Conferenza Stato città ed autonomie locali. Cfr. Corte Cost, sentenza n. 408 del 1988, in Le regioni, 1999, pag. 399.
(5) Sulla istituzione e sul funzionamento delle conferenze, in dottrina cfr. A. AZZENA, Conferenze Stato- autonomie territoriali, in Enciclopedia del Diritto, Appendice, vol. III, Milano, 1999, p. 416 ss; ; R. BIFULCO, Conferenza Stato-regioni, in S. CASSESE (a cura di), Dizionario di Diritto Pubblico, Milano 2006, pag.1229 ss.; M. CAMMELLI, La conferenza Stato-Città: partenze false e problemi veri, in Le Regioni 1996, p. 229; G. CAPRIO - W. ANELLO, I difficili rapporti tra centro e periferia. Conferenza Stato-Regioni, Conferenza Stato-Città-autonomie locali e Conferenza Unificata in Le istituzioni del federalismo, 1998, pagg. 47 ss.; P.A. CAPOTOSTI, La Conferenza Stato-Regioni tra garantismo e co-gestione, in Le Regioni, 1987, p. 351 s.; P. CARETTI, Gli “accordi”tra Stato, regioni e autonomie locali: una doccia fredda sul mito del “sistema delle Conferenze”? in Stato, regioni ed enti locali tra innovazione e continuità. Scritti sulla riforma del Titolo V della Costituzione, Torino, 2003, pag.2 ss.; G. CARPANI, La Conferenza Stato- regioni .Competenze e modalità di funzionamento dall’istituzione ad oggi, Bologna, 2006, pag.75 ss; R. CARPINO,Evoluzione del sistema delle Conferenze, in Le istituzioni del federalismo, 2006, pag.17 ss;
M. COSULICH, Le altre Conferenze. Le esperienze delle Conferenze permanenti Regione-autonomie locali, in Le istituzioni del federalismo, 1998 pagg. 67 ss., G. DI COSIMO, Dalla Conferenza Stato regioni alla Conferenza unificata (passando per la Stato città) in Le istituzioni del federalismo, 1998, pag. 20 ss.; O. GASPARI, L’attività della Conferenza Stato-Città e autonomie locali. Una scheda informativa in Le istituzioni del federalismo 1998 pagg. 43 ss. ; S. MANGIAMELI, Riassetto dell'amministrazione locale, regionale e statale tra nuove competenze legislative, autonomie normative ed esigenze di concertazione, in A. D'ATENA, P. GROSSI (a cura di), Diritto, diritti e autonomie, Milano, 2003, pag. 276 ss; G. MOR, Tra Stato- regioni e Stato e città, in Le regioni, 1997, pag. 516 ss; G. PASTORI, La Conferenza Stato-Regioni tra strategie e gestione, in Le Regioni, 1994, p. 1264 ss; N. PIGNATELLI, La Conferenza Stato – regioni, e province autonome. Profili funzionali e procedimentali, in E. MALFATTI, P. PAZZAGLIA (a cura di) Principio cooperativo e sistema delle autonomie: attività normative e rapporti organici, in www.federalismi.it; F. PIZZETTI, La Conferenza Stato- città – autonomie locali, in Giorn. Dir. Amm., 1997, pag.668 ss; S. RINGOLFI, L’attuazione della delega di cui all’art. 9 della legge 59/1997: la nuova conferenza Stato-regioni e la sua unificazione con la Conferenza Stato-città e autonomie locali, in Prime note, 1997 pag. 123 ss; A. RUGGERI, Prime osservazioni sulla conferenza Stato-Regioni, in Le Regioni 1984, p. 700 s.; I. RUGGIU, La Conferenza stato-Regioni nella XIII e XIV legislatura, in Le Regioni, 2003, pag.195 ss.
(6) Sul punto cfr. BIN, La prassi della cooperazione nel sistema italiano di multilevel government in Le Istituzioni del Federalismo, 2007 , p. 689 ss.
(7) Sul punto v. E. CASTORINA, Direzione e coordinamento del Presidente del Consiglio dei ministri nel sistema della protezione civile, intervento dal Convegno Il sistema nazionale di protezione civile a quindici anni dalla legge 225 del 1992, Facoltà di Giurisprudenza – Catania, 7 Dicembre 2007, in www.forumcostituzionale.it.
(8) Per le critiche al modello rigido ministeriale, cfr. S. CASSESE, Le trasformazioni dell’organizzazione amministrativa, in Riv. Trim. dir. Pubbl., 1985, p.378.
(9) I rappresentanti in seno alla Conferenza stato-Città vengono nominati dall’Anci (14 Sindaci) e dall’Upi (6 presidenti di provincia).
(10) Cfr. BIN, Le prassi della cooperazione…, cit., p. 704.
(11) Sul Consiglio delle Autonomie Locali ed in particolare sull’incerta configurazione che anche esso sembra comunque assumere nelle previsioni statutarie delle regioni ordinarie, v. R. BIN, Il Consiglio delle autonomie locali nello statuto regionale, in Le Istituzioni del federalismo, 2004, p. 595 ss.; L. VIOLINI, Il Consiglio delle autonomie locali organo di rappresentanza permanente degli enti locali presso la Regione, in Le Regioni, 2002, p. 989 ss.; T. GROPPI, Un nuovo organo regionale costituzionalmente necessario, Il Consiglio delle autonomie locali in Le Istituzioni del Federalismo, 2001, p. 1060 ss.; A. CHELLINI, Il Consiglio delle autonomie locali nel dibattito nazionale, in Le Regioni, 2000, p. 587 ss.
(12) Cfr. G. CARPANI, in La Conferenza Stato- regioni .Competenze e modalità di funzionamento dall’istituzione ad oggi, Bologna, 2006, pag.137 ss. il quale sostiene la tesi del cosiddetto funzionamento duale della Conferenza. In tal senso l’A. nota come che il funzionamento della Conferenza Stato regioni si articoli sulla contrapposizione tra Governo e regioni, queste ultime tese a mantenere una posizione unitaria e condivisa, raggiunta prima della seduta della Conferenza e, di regola, indipendente rispetto agli orientamenti politici di cui gli esecutivi regionali sono espressione.
(13) Sul punto cfr. BIN, Le prassi della cooperazione…, cit., p. 691, l’Autore rileva come negli anni 2004-2006 la Conferenza Stato-città si sia riunita solamente due volte all’anno, mentre le altre conferenze abbiano registrato sessioni bisettimanali caratterizzate da rilevanza e quantità delle materie trattate.
(14) Cfr. Sul punto E. SPAGNA MUSSO (a cura di), Costituzione e struttura del Governo. L'organizzazione del Governo negli stati di democrazia parlamentare, Padova, 1982, pag.2 ss. E. DE MARCO, Le funzioni amministrative del Presidente del Consiglio dei Ministri, Padova, 1990, pag. 1-35; F. SEPE, La struttura amministrativa della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in Giorn. dir. Amm., 1999, n. 4, p. 389 ss.
(15) Nel periodo dello Statuto Albertino il ruolo del Presidente del Consiglio sembrò limitarsi a quello di primus inter pares, poiché la prassi che si affermò di fatto fu quella del “ministerialismo”. Trascorso il periodo fascista – caratterizzato dal principio monocratico nella struttura organizzativa di governo – durante i lavori dell’Assemblea Costituente si affermarono due orientamenti. Il principio monocratico, che sanciva la preminenza del presidente del Consiglio ed il principio collegiale. Il testo dell’art. 92 Cost. ha realizzato una soluzione di compromesso, recependo alcune istanze dei fautori della del principio della collegialità, senza fare venire meno la preminenza del Presidente del Consiglio rispetto agli altri Ministri. E’ infatti rimasta la configurazione del Presidente come l’organo che dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile.
(16) Questi ultimi, ai sensi dell’ art. 9 della legge n. 400/1988 possono essere nominati su proposta del Presidente, sentito il Consiglio dei Ministri, con Decreto del Presidente della Repubblica. Le funzioni ad essi attribuite dalla legge, in caso di mancata nomina, sono attribuite al Presidente del Consiglio che può delegarle ad un altro Ministro. La figura dei Ministri senza portafoglio nasce dalla prassi, invalsa sin dai primi anni dall’emanazione della Costituzione, – ma si trova traccia degli stessi già nell’esperienza statutaria in cui erano preposti allo svolgimento di attività amministrative- di costituire all’interno della compagine governativa organi a cui vengono attribuite generiche funzioni, talvolta di coordinamento su specifiche materie, talvolta compiti genericamente politici, altre volte infine compiti di contributo alla formazione dell’indirizzo politico del Governo. Ad essi tendenzialmente, si affiancavano apparati di settore, generalmente incardinati nell’ambito della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Circa la natura cogente di tale previsione normativa, in dottrina è stato notato come l’art. 9 della l. 400/88 abbia natura facoltizzante e contenuto eminentemente politico. Si tratterebbe cioè, di una norma di natura tecnica, che in linea con altre previsioni del medesimo provvedimento normativo, riproduce un contenuto corrispondente a quello di talune regole politiche , la cui efficacia si coglie non sotto il profilo della obbligatorietà giuridica ma piuttosto nell’ottica della rappresentazione all’esterno della realtà politica in cui consiste la coalizione di governo. Così, ad. es. , figure quali il Ministro senza portafoglio e il Vicepresidente del Consiglio sarebbero figure di natura flessibile, da adeguare agli equilibri della coalizione. Cfr. sul punto, L. ARCIDIACONO, Ordinamento ed organizzazione del Governo,in Associazione Italiana Costituzionalisti, Annuario 2001: il governo. Atti del Convegno annuale, Palermo, 8-9-10 novembre 2001.Padova, 2002.
La figura del Ministro senza portafoglio per gli affari regionali è stata introdotta per la prima volta nel 1970, e la sua nomina è finalizzata allo scopo di assicurare un coordinamento dei rapporti tra Stato e regioni nella fase dell’emanazione dei decreti delegati per il trasferimento delle funzioni, degli uffici e del personale alle regioni ordinarie. La collocazione dello Stesso all’interno della Presidenza del Consiglio dei ministri e l’attribuzione delle sue funzioni per delega da parte del Presidente del Consiglio ne hanno contribuito a rafforzare il ruolo di interlocutore delle autonomie. In dottrina, sull’argomento cfr. anche G. AMATO, I Ministri senza portafoglio, in Rass. parl., 1991, p. 15 ss. S. CASSESE, Lo “staff” del Presidente del Consiglio dei ministri, in Studi in onore di Leopoldo Elia, tomo I, Milano, 1999, p. 231 ss. S. NICCOLAI, Il Governo, Bari, 2003, pag. 128; C. ROMANELLI GRIMALDI, I Ministri senza portafoglio nell’ordinamento giuridico italiano. Contributo alla ricostruzione della figura. Padova, 1984, pag. 2 ss.
(17) In dottrina si suole distinguere tra: funzioni relative al potere di autoorganizzazione interna dell’apparato di presidenza; funzioni relative all’attività presidenziale di promozione, direzione e coordinamento amministrativo in attuazione delle deliberazioni del Consiglio dei Ministri; competenze amministrative sparse nei vari ambiti dell’amministrazione.
(18) Cfr sul punto L.ARCIDIACONO, Ordinamento ed organizzazione del Governo, cit.
(19) Cfr. l’art. 2, co.II, lett. f) del dlgs. 303/99 che prescrive l’utilizzo della Presidenza da parte del Presidente del Consiglio per il perseguimento di attività di progettazione delle politiche generali e per “le decisioni “ di indirizzo politico generale.
(20) Cfr. L. ARCIDIACONO, Organizzazione pluralistica e strumenti di collegamento, Profili dogmatici, Milano, 1974.
(21) Cfr. sul punto l’evoluzione della giurisprudenza della Corte Costituzionale. Dalla sentenza n. 303 del 2003, la Consulta ha costantemente ribadito come laddove si verifichino ipotesi di interferenza tra competenze legislative statali e regionali, si renda necessario applicare il principio di leale collaborazione che si sostanzia in momenti di coordinamento istituzionale dei vari livelli di governo. Infatti, in particolare in tutte quelle materie che attengono a funzioni statali di amministrazione attiva, il principio di leale collaborazione impone alla legge statale di coinvolgere con adeguati strumenti le regioni, a salvaguardia delle loro competenze. La Corte ha di tal guisa indicato come in tutti questi casi lo strumento più adeguato di coinvolgimento delle regioni sia l’intesa in senso forte , raggiunta in sede di Conferenza unificata ex art. 9 del D.lgs. 1997, n. 281. Di recente, in una serie di pronunce, - le sentenze nn. 51/2008, 142/2008, e 168/2008, la Consulta ha confermato tale orientamento, sottolineando come il principio di leale collaborazione, che rappresenta il fattore di garanzia delle competenze delle regioni, trovi la sua massima espressione nell’intesa in senso forte poiché trattasi di atto ove maggiore è il bilanciamento a favore delle regioni, dell’ ingerenza delle attribuzioni statali rispetto a quelle regionali. Nelle suddette pronunce, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di norme – tra cui anche diversi commi della legge n. 296 del 2006, cd. legge finanziaria del 2007- poiché non prevedevano l’intesa con le regioni. Cfr. i punti n. 8 e 10 del Considerato in Diritto della sentenza n. 51/2008; il punto n. 5 del Diritto nella sentenza 142/2008 ed il punto 3.2.1 del Diritto nella sentenza n. 168/2008, in www.cortecostituzionale.it. Per una panoramica più ampia sull’orientamento della Corte, cfr. anche i precedenti, tra cui, Corte Cost. Sent. n. 303/2003, in Le regioni, 2004, pag.535 ss.; Corte Cost. Sent. 196/2004, in Le regioni, 2004, 1355 ss. Corte Cost., sent. n. 383/2005 in Le regioni, 2006, pag. 405 ss. Corte Cost. sent. n. 31/2006, in Le regioni 2006, pag. 810 ss.
(22) Cfr. C. CITTADINO, I rapporti Stato – regioni. Prospettive di federalismo, Torino, 1998, pag.13 ss. che sottolinea come per prassi ormai consolidata da tempo, i rapporti Stato – autonomie locali siano curati dal Ministero dell’Interno.
( con delega della relativa responsabilità politica ad un sottosegretario) e dal Ministero dell’Economia per i profili inerenti alle risorse finanziarie; mentre invece i rapporti con le regioni sono incardinati all’interno della Presidenza del Consiglio dei Ministri, con la previsione di un ministro ad hoc senza portafoglio, il Ministro per gli affari regionali.
(23) La legge 30.11.1998, n.419, avente ad oggetto "Delega al Governo per la razionalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale e per l'adozione di un testo unico in materia di organizzazione e funzionamento del Servizio Sanitario Nazionale", recava tra le quattro distinte deleghe legislative quella contenuta nell'art.5 volta al riordino della medicina penitenziaria. In forza di questa previsione era stato emanato dal Governo il dlgs. 22.6.1999, n.230 (legge Bindi) che, ispirandosi all’art. 32 della Costituzione, sanciva il passaggio del personale sanitario e delle risorse dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria al SSN, ricomponendo di fatto quella divisione tra Servizio Sanitario Nazionale e Servizio Sanitario Penitenziario nata con la legge 833/78 e riconfermata con tutte le successive leggi di riforma del Sistema Sanitario Nazionale (D.lgs. 502/92 e D.lgs. 517/93). La legge Bindi stabiliva il passaggio immediato alla data del 1.1.2000, dal Ministero della Giustizia - Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria alle ASL di tutto il territorio nazionale, delle sole funzioni relative alla prevenzione generale e alla diagnosi e terapia delle tossicodipendenze. Mentre per tutte le altre branche era previsto, all’art. 8 comma 2, un periodo di sperimentazione propedeutico al passaggi.
(24) Cfr. D.P.C.M. 1 aprile 2008 , Concernente le modalità ed i criteri per il trasferimento al Servizio Sanitario Nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria, art. 7, ove espressamente viene sancito che “Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, sono definite le forme di collaborazione relative alle funzioni della sicurezza e sono regolati i rapporti di collaborazione tra l’ordinamento sanitario e l’ordinamento penitenziario, anche in materia di patologie da dipendenza” .
(25) Cfr. Ministero della Salute – Ministero della Giustizia, Allegati A) e B) al D.P.C.M. 1 aprile 2008 , Concernente le modalità ed i criteri per il trasferimento, cit., contenenti Linee di indirizzo per gli interventi del Servizio Sanitario Nazionale a tutela della salute dei detenuti e degli internati negli istituti penitenziari, e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale e linee di indirizzo per gli interventi negli ospedali psichiatrici giudiziari(OPG) e nelle case di cura e custodia, in Gazz. Uff. Rep. It., serie gen., n. 126, del 30 maggio 2008, p. 7 ss.
(26) Con decreto del Ministero della Sanità e del Ministero della Giustizia del 20-4-2000, venivano individuate le tre Regioni, Toscana , Lazio e Puglia, ove avviare la fase sperimentale che si doveva concludere il 22 novembre 2000. Con il successivo decreto legislativo 22 dicembre 2000, n. 433 sono state apportate disposizioni correttive del decreto legislativo 230/99; in particolare il nuovo termine della durata della fase sperimentale è stato prorogato al 30 giugno 2002 e la sperimentazione è stata estesa alle Regioni e alle province autonome che entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto medesimo avessero fatto richiesta di parteciparvi al Ministero della Salute e al Ministero della Giustizia. Entro il termine sopraindicato hanno fatto richiesta di partecipare alla fase sperimentale anche le Regioni Campania, Emilia Romagna e Molise. All’esito delle sperimentazioni i Provveditori regionali dell’Amministrazione Penitenziaria del Lazio, Toscana e Puglia hanno rappresentato l’impossibilità di dare immediata attuazione alla legge. Concordi con questo parere sono stati i rappresentanti degli Assessorati alla Sanità, durante una serie di incontri che si sono svolti nelle varie Regioni.
(27) Cfr. PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI – Conferenza Unificata, o.d.g. Riunione tecnica convocata per il giorno 28 Luglio 2008.
(28) Cfr. Allegato A) del DPCM. Peraltro, il Tavolo di consultazione non risulta ancora ufficialmente istituito, anche se ne sono stati definiti i compiti e la composizione, nell’ambito di una bozza di deliberazione portata all’attenzione della Conferenza Unificata nella seduta del 28 luglio 2008, di cui alla nota che precede.
(29) Sono dunque rimesse all’attività del tavolo di consultazione: a) la formazione di schemi-tipo per la redazione di apposite convenzioni che verranno stipulate tra il Ministero della Giustizia e le Aziende Sanitarie Locali per garantire continuità all’assistenza sanitaria psicologica (art. 3 comma 6 del DPCM, che ha ad oggetto quelle prestazioni di assistenza psicologica che erano garantite ai detenuti ed agli internati sulla base di collaborazioni con esperti convenzionati ex art. 80 l. n. 354/75); b) la formazione di schemi-tipo per la redazione di apposite convenzioni da stipularsi tra Ministero della Giustizia e le Aziende Sanitarie Locali aventi ad oggetto la cessione in comodato d’uso, dal primo a queste ultime, dei locali presenti in ambito penitenziario ove vengono erogate le prestazioni sanitarie ( art. 4, comma 2); c) lo studio e l’eventuale proposta relativa ai criteri di ripartizione tra le Regioni, in fase di prima applicazione, delle risorse trasferite al Servizio Sanitario Nazionale per l’erogazione dei servizi sanitari in carcere – da effettuarsi tenendo conto della tipologia delle strutture penitenziarie e dei servizi minorili presenti sul territorio, nonché dei flussi di accesso agli istituti di pena ( art. 6, comma 2).
(30) Cfr. PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI – Conferenza Unificata, o.d.g. della Riunione tecnica convocata per il giorno 28 Luglio 2008, Allegato contenente Bozza - per la costituzione dei tavoli tecnici di lavoro tra lo Stato, le Regioni e Province autonome e le Autonomie locali con funzioni istruttorie, di raccordo, di consultazione e concorso alle attività della Conferenza Unificata in materia di attuazione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 1 aprile 2008 recante”Modalità e criteri per il trasferimento al Servizio Sanitario Nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria”. Delibera ai sensi degli artt. 7, comma 2 e 9, comma 1 del decreto legislativo 28 Agosto 1997, n. 281 – Preambolo e art. 1.
Sempre all’ambito della funzione di indirizzo e coordinamento vanno infine ascritti altri compiti devoluti al tavolo di consultazione con riferimento: a) alla “predisposizione di indirizzi per favorire programmi di intervento nelle realtà territoriali” b) alla realizzazione “ di strumenti per favorire il coordinamento fra Regioni, Provveditorati Regionali dell’amministrazione penitenziaria e centri per la giustizia minorile .
(31) PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI – Conferenza Unificata, o.d.g. cit., Allegato contenente Bozza , cit., Preambolo e art. 2.
(32) PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI – Conferenza Unificata, o.d.g. cit., Allegato contenente Bozza, cit., art. 2.
(33) Con questa vocazione ricognitiva e consultiva, con Decreto Interministeriale Giustizia-Salute del 16 maggio 2002, era stata infatti insediata presso il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, una Commissione mista di studio per il rinnovamento del Servizio sanitario penitenziario, con l’obiettivo di definire nuovi modelli organizzativi in materia di tutela della salute della popolazione detenuta, fondati sulla necessità di assicurare l’erogazione dei servizi sanitari di base attraverso l’opera di medici dell’Amministrazione penitenziaria, affidando al Servizio sanitario nazionale la medicina specialistica, l’assistenza farmaceutica e l’assistenza ospedaliera. La Commissione ha concluso i suoi lavori elaborando un ventaglio di proposte che hanno costituito la base anche per una bozza di disegno di legge governativo, mai presentato in Parlamento.
(34) Nel maggio 2007 , su iniziativa del Sottosegretario alla Salute prof. Antonio Gaglione veniva costituito, presso il Ministero della Salute, un gruppo tecnico coordinato dallo stesso Sottosegretario composto dai Capi della Segreteria dei Sottosegretari alla Salute e alla Giustizia, da Dirigenti di entrambi i Dicasteri indicati, e da componenti delegati dalla Conferenza delle Regioni e Provincie autonome con l’obiettivo di procedere ad uno studio che consentisse il passaggio della Sanità penitenziaria alle A.S.L. Nell’ambito dello stesso gruppo venivano definiti dei “gruppi di lavoro” incaricati di svolgere approfondimenti tecnici sui seguenti dati: a) quadro delle risorse impiegate nel bilancio del Ministero della Giustizia nell’ambito della medicina penitenziaria e verosimile proposta di integrazione di risorse funzionali al passaggio di competenze; b) relazione dettagliata del personale interessato dal trasferimento di competenze ed eventuali problematiche correlate.
(35) Cfr. G. CARPANI, La Conferenza Stato- regioni, cit. pag. 47 ss. La costituzione della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome risale al 1981 allo scopo di favorire momenti di coordinamento fra le Regioni nonché di raccordo e di confronto con lo Stato centrale. Funzione della Conferenza è quella di predisporre i documenti, che poi vengono presentati e illustrati al Governo nelle riunioni della Conferenza Stato-Regioni e della Conferenza Unificata. L’attività della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome è disciplinata da apposito Regolamento approvato il 9 giugno 2005, nel quale è prevista l’istituzione di undici Commissioni di lavoro. La VII Commissione Salute – avente ad oggetto la tutela della salute, l’assistenza sanitaria e ospedaliera ed il personale sanitario, è attualmente coordinata dalla Regione Toscana.
(36) I sottogruppi tecnici sono stati costituiti per aree, avuto riguardo agli argomenti ed alle materie trattate.
Sono pertanto state individuate le seguenti aree tematiche: A) Area delle Convenzioni, che si occupa dei seguenti argomenti: schema di convenzione, da approvarsi in Conferenza Stato-Regioni, tra le Aziende Unità Sanitarie Locali e l’Amministrazione penitenziaria per l’identificazione e l’uso dei locali sanitari ed il trasferimento delle risorse strumentali; schema di convenzione, da approvarsi in Conferenza Stato-Regioni, tra le Aziende Unità Sanitari Locali e l’Amministrazione Penitenziaria, a titolo non oneroso, per l’utilizzo funzionale degli psicologi esperti ex art. 80 della legge 354/1975 (art. 3, comma 6 D.P.C.M.) per le competenze sanitarie proprie delle medesime Aziende; eventuali convenzioni da stipulare le Aziende Unità Sanitari Locali con i C.G.M. (Centri Giustizia Minorili) ai sensi dell’ ex art. 8 del D.Lgs. n. 272/1989 (art. 3, comma 6, D.P.C.M. in analogia con il punto 2); problemi legati alla fase transitoria del recepimento con particolare attenzione al personale non di ruolo ex legge 740/1970 (titolarità dei contratti di lavoro in transito, assegnazione funzionale alle Aziende, ecc.); definizione di un protocollo per stabilire criteri e modalità di relazione interistituzionale per quanto attiene gli accessi e gli interventi del personale sanitario presso gli istituti penitenziari. B) Area della cartella clinica informatizzata, che si occupa: della definizione dell’applicativo “cartella clinica” da utilizzare nel sistema; della integrazione tra le reti informatiche (DAP e SIS); C) Area dei modelli organizzativi, incaricata di svolgere un lavoro di benchmarking tra regioni che hanno elaborato o in corso di elaborazione un modello organizzativo per la salute in carcere; D) Area dei criteri di riparto delle risorse finanziarie incaricata di elaborare un documento riguardante criteri di riparto tra le varie Regioni delle risorse prima impiegate dal ministero della Giustizia per la sanità penitenziaria; E) Area delle tipologie delle strutture sanitarie dedicate, incaricata di svolgere un censimento qualitativo e quantitativo delle strutture sanitarie e dei centri clinici specializzati esistenti nei circuiti penitenziari.
(37) V. nota n. 17.
(38) Cfr. REGIONE TOSCANA, Direzione Generale del Diritto alla Salute delle Politiche di Solidarietà.
Settore Assistenza Sanitaria, Nota riassuntiva dei lavori del coordinamento tecnico interregionale ed interistituzionale stato-regioni per la salute in carcere (DPCM 1 Aprile 2008) Riunione plenaria del 2 luglio 2008: “All’adozione effettiva del DPCM, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 30 maggio scorso, relativo al transito della Sanità Penitenziaria al Sistema Sanitario Nazionale, il Coordinamento Tecnico Interregionale per la Salute in Carcere ha continuato il lavoro già precedentemente avviato in maniera congiunta e con la necessaria e costante partecipazione dei due Ministeri direttamente interessati (Salute e Giustizia). L’intenzione del Coordinamento tecnico della Commissione salute, condivisa da tutte le Regioni e dagli stessi Ministeri, è stata quella di favorire una progressiva, necessaria e funzionale condivisione di conoscenze, procedure ed accordi, secondo modalità in parte previste nelle Linee di Indirizzo allegate al DPCM ed in parte sulla base di problematiche emergenti”… Il Coordinamento tecnico interregionale, con i Ministeri coinvolti, ha quindi lavorato intensamente in questa direzione con riunioni plenarie per la necessaria condivisione tecnica”.
(39) Cfr. par. 4, note nn. 22 e 23.
(40) Il principio della integrazione tra Amministrazione penitenziaria e servizio sanitario nazionale è sancito anche nell’art. 20 del D.P.R. 230/2000 - Nuovo regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario - laddove il legislatore nel dettare disposizioni particolari per gli infermi e seminfermi di mente, diversamente da quanto indicato in via generale dall’attuale art. 17 (che per l’assistenza sanitaria ai detenuti intesa in senso generale rimanda alla normativa vigente), specifica che nei confronti non solo degli internati infermi o seminfermi di mente, ma anche dei detenuti, il servizio sanitario pubblico “accede in istituto per rilevare le condizioni e le esigenze degli interessati e concordare con gli operatori penitenziari l’individuazione delle risorse esterne utili per la loro presa in carico……. necessaria per il loro successivo reinserimento sociale”. Viene quindi evidenziata normativamente la necessità che l’assistenza sanitaria per il detenuto sia organizzata in maniera tale che l’intervento psichiatrico abbia una sua continuità anche attraverso forme di collaborazione con i Dipartimenti di Salute Mentale (D.S.M.).
(41) La legge n. 833 del 1978 - istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale - disponeva testualmente che la salute di ogni individuo deve essere assicurata dal Servizio Sanitario Nazionale, nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana.
(42) Nell’art. 17 del vecchio regolamento d’esecuzione - D.P.R. 431/1976 - veniva espressamente prevista una programmazione in ambito regionale dell’organizzazione dei servizi sanitari. Ciò a riprova di come - prima ancora dell’emanazione della legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale - 833/78 – vi fosse piena consapevolezza del fatto che l’istituzione penitenziaria non potesse farsi da sola completamente carico dell’assolvimento dell’obbligo di garantire il diritto alla salute della popolazione detenuta. Inoltre l’art. 46 della legge 354/1975 – avente ad oggetto l’assistenza post- penitenziaria – prevedeva fin da allora l’obbligo per l’amministrazione penitenziaria di segnalare agli organi preposti alla tutela della sanità pubblica i dimessi affetti da grave infermità psichica o fisica.
(43) A seguito del passaggio con effetto immediato alle ASL delle competenze in materia infettivologica, disposto dalla legge Bindi, e è stata emanata la circolare n. 578455/14 toss. gen. del 28-12- 1999, a firma congiunta dei Ministri della Sanità e della Giustizia, con la quale si è definito il passaggio delle sole funzioni relative alla prevenzione generale e delle competenze in materia di prevenzione, diagnosi e terapia delle dipendenze dalla Amministrazione Penitenziaria alle ASL; la circolare n. 3510/5960 del 29.12.1999 disciplinava il regime autorizzatorio e le modalità di accesso negli Istituti penitenziari del personale appartenente al Servizio Sanitario Nazionale. Nel corso dell’anno 2000 sono state indette riunioni e richieste informazioni ai Provveditorati in merito allo stato di realizzazione del D.lgs. 230/99.
(44) Va poi segnalato il D.P.R. n. 309/1990 – “Testo unico in materia di disciplina delle sostanze stupefacenti“ che assegna ai Sert la presa in carico del detenuto tossicodipendente e la legge n. 296/1993 che individua la necessità di realizzare specifici reparti per il ricovero dei detenuti e degli internati nelle strutture ospedaliere del SSN.
(45) Nelle fasi tecniche preliminari del tavolo promosso dalla Conferenza delle Regioni sembrerebbe essere stato raggiunto un momento di condivisione su taluni aspetti fondamentali di collaborazione. In particolare l’impegno per ”il Ministero della Giustizia di mantenere un costante rapporto di leale collaborazione con il Ministero del Lavoro, Salute e Politiche Sociali e, tramite la Conferenza Stato-Regioni, con le Regioni e le Province Autonome. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ed il Dipartimento della Giustizia Minorile favoriscono presso le loro rispettive articolazioni regionali (Prap e Cgm) la formulazione di Protocolli d’Intesa regionali con le rispettive Regioni anche alla luce di specificità locali e modelli organizzativi pur partecipando, sempre tramite la Conferenza Stato-Regioni, ad azioni e promozioni tendenti a favorire percorsi più omogenei possibili e per garantire uguali diritti ed opportunità per la Salute dei detenuti ed internati in tutti gli Istituti Penitenziari nazionali e dei minorenni sottoposti a provvedimenti penali, sia in area penale interna che esterna”.