(Intervento alla Tavola rotonda del Seminario L'impatto della crisi sulla tutela dei diritti nelle Regioni. La prospettiva italiana, spagnola ed europea”, organizzato dall’ISSiRFA-CNR, dalla LUMSA e dall’Università di Macerata e svoltosi a Roma, presso il Dipartimento di Giurisprudenza della LUMSA, il 13 novembre 2014).
 
 
Alcuni degli elementi che emergono dalle pregevoli relazioni che abbiamo ascoltato non sono – a ben considerare – particolarmente sorprendenti.
Mi riferisco alla constatazione che la devastante crisi economico-finanziaria di cui ancora patiamo gli effetti ha avuto un impatto drammatico sia sul welfare (e, quindi, sui diritti sociali), sia sugli altri diritti costituzionali: le libertà negative. Per la ragione che – come è stato posto in luce con vigore nel recentissimo convegno della SIPE, tenutosi non casualmente ad Atene alla fine dello scorso mese, anche lo Stato di diritto soffre della crisi, a causa del definanziamento dei servizi pubblici che ad esso fungono da supporto (come la giustizia e la sicurezza).
È anche frequente che in queste fasi si determinino processi di centralizzazione delle scelte, con compressione delle autonomie territoriali. In Europa, i casi più clamorosi a questo riguardo, sono il caso italiano e quello spagnolo, con assonanze impressionanti.
Quali sono invece, tra i dati portati alla nostra attenzione, quelli meno scontati, se non inediti (almeno con riferimento ad idee e pregiudizi correnti)?
Il primo dato – che riassume tutti gli altri – è che le Regioni non sono enti inutili, a differenza di quanto molti mostrano di credere (magari gli stessi che, fino all’altro ieri, avevano inneggiato al federalismo e alla sussidiarietà).
Con questo non si nega che il diffuso malcostume nella utilizzazione delle risorse destinate a finanziare i costi della politica, con icone a metà strada tra la cena di Trimalcione e la sagra paesana, getti una luce sinistra sulla classe politica regionale. Ma – com’è ovvio – non si può né si deve generalizzare, né si può coinvolgere nel giudizio negativo l’istituzione in quanto tale.
Le Regioni non sono enti inutili. È – ad esempio – molto significativo il ruolo da esse svolto nel supporto ai diritti a prestazione (grazie al quale possono essere, a ragione, considerate – come sottolinea Mangiameli – autentici e rilevantissimi ammortizzatori sociali). D’altra parte, questa valenza dell’azione da esse svolta corrisponde ad una delle loro maggiori ragioni giustificative. È, infatti, evidente che i presidi sociali non possono non essere distribuiti sul territorio (a livello regionale e locale). Se sono di competenza del centro, il centro deve organizzare delle strutture periferiche. E, con riferimento a funzioni di questo tipo, diventa difficile negare il valore aggiunto, rispetto a strutture decentrate dell’amministrazione statale, di entità governate da organi democraticamente rappresentativi delle comunità interessate (e responsabili avanti a queste).
Un altro luogo comune da sfatare è che le Regioni non legiferino.
Non è vero. Le Regioni legiferano e, legiferando, danno frequentemente prova di notevole creatività. La panoramica delle soluzioni che il convegno ha messo avanti ai nostri occhi è cospicua. Ed evidenzia la ricchezza e differenziazione di approcci dei legislatori regionali. I quali affrontano temi delicatissimi e complicati, che vanno dalla difesa della famiglia, al sostegno agli anziani o ai soggetti non autosufficienti, agli interventi contro la ludopatia, all’integrazione degli stranieri …
Ovviamente non tutto va bene. Non mancano scelte discutibili o infelici (come – ad esempio – confermano le decisioni con cui la Corte ha annullato atti regionali che, con riferimento al godimento di servizi sociali, penalizzavano i cittadini non comunitari o quelli non residenti nel territorio della regione per un certo periodo).
Resta però, il fatto innegabile che l’attività legislativa regionale è tutt’altro che routinaria. In essa non mancano soluzioni originali ed intelligenti, sulle quali poggiano best practices sul piano amministrativo.
Ciò che fa notizia sono i casi di mala sanità. Però essi non esauriscono l’esperienza del settore. Tra l’altro, l’esperienza regionale – quella concreta, empiricamente misurabile, non quella semplicemente immaginata – mostra non infrequenti casi di esportazione di best practices da una Regione all’altra, attraverso processi di social learning, come George France non si stanca di ricordarci.
 Questo – come noto – è uno dei portati più positivi dei sistemi federali e regionali. I quali sono laboratori a cielo aperto. Si pensi – ad esempio – che, nelle Federazioni, frequentemente nuovi diritti fondamentali o nuovi profili di tutela di diritti preesistenti fanno la loro prima apparizione nelle Costituzioni degli Stati membri, per essere successivamente fatti propri Costituzione federale.
Ritornando alle discussioni di oggi ed alla messe di notizie e di valutazioni offerte dalle ricerche presentate nel nostro incontro, vorrei, in conclusione, sottolineare l’esigenza che, in una materia delicata e complessa come quella della distribuzione territoriale del potere politico, si segua il metodo che ha trovato applicazione nei nostri lavori: si proceda con un atteggiamento realistico e pragmatico, cercando di calibrare le proposte su una seria analisi delle cause dei problemi da risolvere. Nella consapevolezza che soluzioni pasticciate o affrettate, fondate su percezioni impressionistiche o sulla propensione ad assecondare i volatili umori dell’opinione pubblica presentano costi che, prima o poi, si è chiamati a pagare.
 

 

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