1.         Premessa
 
Il quadro normativo in materia di produzione e distribuzione dell’energia elettrica da fonti rinnovabili ha determinato, nell’ultimo periodo, notevoli incertezze applicative, nonché un alto tasso di conflittualità tra Stato e Regioni, come dimostra la grande mole di giudizi di costituzionalità instauratisi di recente, nei quali la Corte è stata chiamata a valutare la legittimità degli interventi normativi regionali.
Tali problematiche nascono dall’ampiezza della materia oggetto di attenzione che è ricompresa tra quelle affidate alla competenza legislativa concorrente, ai sensi dell’art. 117 c. III Cost. (nella quale pertanto, lo Stato dovrebbe limitarsi ad individuare i principi generali della materia, lasciando l’attuazione di dettaglio alla cognizione delle Regioni), ma che incide su numerose altre materie; alcune che assumono certamente rilievo “trasversale” (1) (come la tutela ambientale, dell’ecosistema, nonché quella della concorrenza), ovvero altre che risultano attribuibili di volta in volta alla competenza esclusiva dello Stato ex. art 117 Cost. II (come la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni), o alla competenza residuale delle Regioni, producendo, quindi, una indistinta commistione di interessi di natura eterogenea.
Un’altra utile premessa riguarda il fatto che la Corte costituzionale già da tempo ha legittimato, con le sentenza n. 383 del 2005 (2), nella materia della produzione e distribuzione dell’energia elettrica, la “chiamata in sussidiarietà” delle funzioni legislative e amministrative, che vengono attratte, così, alla cognizione esclusiva dello Stato. Secondo il giudice delle leggi, infatti, l’indubbia persistenza di un preminente interesse nazionale a dettare una disciplina unica delle procedure amministrative inerenti la produzione di energia elettrica giustifica l’applicazione dei meccanismi descritti compiutamente nelle sentenze della Corte n. 303 del 2003 (3) e n. 6 del 2004 (4).
La disciplina legislativa statale, favorita da tale pronuncia, è quindi fortemente dettagliata, lasciando residui margini attuativi unicamente a meccanismi “negoziati” tra Stato e Regione (in particolare alle cosiddette linee guida), e spostando l’attenzione sulla necessità di valutare, sia la legittimità dell’utilizzo della chiamata in sussidiarietà, anche in materie che incidono su interessi di natura “trasversale”, sia la rispondenza degli strumenti cooperativi utilizzati al principio di leale collaborazione (5).
Pertanto, nonostante l’ampiezza della materia - che ingloba ulteriori interessi anche di natura regionale - la Corte ha legittimato l’intervento legislativo esclusivo dello Stato, il quale è suscettibile di determinare, come si chiarirà in seguito, una chiara menomazione delle competenze costituzionali attribuite al legislatore regionale.
Facile prevedere il sorgere di conflitti tra Stato e Regioni; queste ultime non si sono affatto rassegnate, continuando, al contrario, a legiferare (6) allo scopo di salvaguardare le proprie prerogative anche a causa dell’inerzia del legislatore statale nell’instaurazione dei predetti meccanismi cooperativi.
Una situazione che ha condotto inevitabilmente ad importanti pronunce della Corte costituzionale (7), con le quali si è valutata la legittimità di alcune leggi regionali emanate al fine di attuare il disposto legislativo statale.
Solo di recente, con l’adozione delle tanto agognate linee giuda, di cui al Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico 10 settembre 2010 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale 18 settembre 2010, n. 219), sottoposte all’approvazione della Conferenza Unificata, le dispute sembrano essere sopite, o quanto meno si spostano su di un piano differente, volto a valutare se residui ancora in capo alle Regioni una minima possibilità di intervento sul piano amministrativo, e se, in particolare, il principio di leale collaborazione possa ritenersi soddisfatto per mezzo del procedimento utilizzato per l’approvazione da parte della Conferenza Unificata del decreto ministeriale contenente le “linee guida”.
Già nelle more dell’adozione delle linee guida si ponevano, quindi, alcune problematiche in ordine alla legittimità dell’intervento legislativo regionale, nel quadro dei principi generali della materia enucleati dalla disciplina statale. Oggi, come si è detto, il quadro normativo sembra più chiaro, sia a seguito dei numerosi interventi della Corte costituzionale, tutti sfavorevoli ai poteri regionali, sia soprattutto per la recente approvazione delle citate linee guida.
Tuttavia, anche a seguito dell’emanazione di tale documento, permangono ancora delle incertezze, inerenti essenzialmente, da un lato, la legittimità della “chiamata in sussidiarietà”, dall’altro, la valutazione della sufficienza degli spazi che la normativa lascia all’attuazione regionale mediante l’adozione di specifici “piani energetici”.
 L’importanza del tema è quindi indubbia, tenendo pure conto che si tratta di un settore che involge la tutela di materie di natura trasversale, oltreché interessi che ricadono nell’ambito delle competenze esclusive attribuite allo Stato ovvero a quelle devolute alla cognizione “residuale” delle stesse Regioni.
Sarà pertanto interessante analizzare il quadro normativo di riferimento in materia di produzione e distribuzione di energia, in modo da valutare se la legislazione statale sia conferente con il disposto costituzionale – che prevede un riparto concorrente – allorquando questa sembra, al contrario, aver omesso di tenere in stretta considerazione che si tratta di una materia nella quale non può essere disattesa la possibilità di intervento mediante disciplina di dettaglio da parte delle Regioni.
 
 
2.         Quadro normativo di riferimento e delimitazione dell’oggetto dell’indagine
 
Per una ricostruzione esaustiva del quadro normativo in materia e per delimitare l’oggetto della indagine è necessario partire dal dettato costituzionale che sembra essere chiaro, non lasciando adito a dubbi, nel momento in cui rimette la disciplina legislativa in materia di produzione, trasporto e distribuzione di energia elettrica, ai sensi dell’art 117, comma III, Cost. alla competenza concorrente tra Stato e Regioni. Non è questa la sede opportuna per soffermarsi sulle annose problematiche relative alla corretta delimitazione dei poteri dello Stato e delle Regioni nelle materie di “riparto concorrente” (8). Diamo pertanto per assunto che la disciplina statale debba limitarsi all’individuazione della normativa di principio (9), lasciando margini attuativi ai poteri legislativi regionali.
La disciplina statale in materia del diritto dell’energia si rinviene dal combinato disposto tra la legge n. 239/2004 - che ha inteso “riordinare” il settore dell’energia - ed il d.lgs. n. 387/2003, emanato in attuazione della direttiva comunitaria 2001/77/CE. Tale direttiva, in particolare, individua il preminente obiettivo di incentivare e promuovere la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili nel rispetto del principio della semplificazione procedimentale, di riduzione degli ostacoli normativi, nonché di trasparenza e non discriminazione per gli operatori del settore, ma non individua direttamente un’unica procedura armonizzata a livello europeo (10).
La legge n. 239 del 2004, all’art. 1, esprime l’obiettivo di individuare i soli principi fondamentali, ex art. 117 cost. III comma, anche al fine di garantire la tutela di ulteriori materie rimesse alla cognizione esclusiva dello Stato, quali la concorrenza, i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, l’ecosistema e l’ambiente.
Inoltre la stessa legge richiama il decreto legislativo n. 387 del 2003, attuativo della citata direttiva comunitaria, che determina, all’art. 12 (in particolare comma III e IV), una complessa procedura per ottenere l’autorizzazione all’installazione degli impianti di energia relativi a fonti rinnovabili; procedura che non può dirsi tuttavia completa, in quanto densa di continui rinvii ai meccanismi attuativi rimessi alla concertazione e coinvolgenti anche la Conferenza Unificata, cui è demandato il compito di approvare le linee guida applicative, ma che comunque individua uno schema generale alquanto dettagliato. In particolare il decreto prevede, nell’ottica di incentivare la produzione di energia derivante da fonti rinnovabili, che questa sia considerata “attività libera”, soggetta ad una procedura definita di “autorizzazione unica” affidata agli enti locali di riferimento (Regioni o Province delegate) mediante lo strumento della conferenza di servizi, salvo che per determinate soglie di potenza degli impianti per le quali è sufficiente la denuncia di inizio attività.
Nonostante la specificità della richiamata disciplina - che, lungi dall’essersi limitata ad individuare solo i tratti fondamentali della materia, al contrario, individua in modo dettagliato le procedure autorizzatorie - la Corte costituzionale, come si dirà di seguito, ha spesso avallato l’intenzione espressa dal legislatore all’art. 1 della legge n. 239/2004, definendo le disposizioni statali, ed in particolare l’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003, quali norme recanti l’indicazione “dei principi fondamentali in materia energetica” (11).
Attesa, invece, la previsione costituzionale di un criterio di riparto concorrente in materia di produzione e distribuzione dell’energia elettrica e riconosciuto che il settore attrae altri importanti “valori” costituzionalmente tutelati, diverse Regioni hanno tentato più volte di emanare disposizioni, spesso di carattere legislativo, per dare attuazione alla della disciplina statale.
Ciò è avvenuto, in assenza delle citate linee guida, essenzialmente su tre fronti: l’uno volto ad incentivare l’utilizzo delle fonti rinnovabili mediante la previsione di un regime autorizzatorio più favorevole (ottenuto soprattutto con l’allargamento dell’utilizzo della “dichiarazione di inizio attività”), al fine di catalizzare l’attenzione degli investitori nelle zone di riferimento; il secondo, teso, invece, ad individuare aree sottratte alla installazione degli impianti al fine di garantire una tutela del paesaggio differenziata e ponderata in relazione alle caratteristiche morfologiche dei territori; l’ultimo, mediante il quale le Regioni hanno cercato, invece, di modificare il procedimento autorizzatorio generale, o mediante prescrizioni ulteriori (consistenti spesso in vincoli di carattere temporale) ovvero mediante la previsione di una “misura di compensazione”.
Queste erano essenzialmente le problematiche che si ponevano all’interprete, ora in parte risolte, come già detto, sia a seguito dell’intervento della Corte costituzionale, sia in forza dell’emanazione delle “linee guida”.
In questa sede si procederà, pertanto, all’approfondimento delle pronunce della Corte costituzionale che hanno accertato l’illegittimità di alcune leggi regionali in materia e, successivamente, alla delimitazione, in presenza di una disciplina statale fortemente dettagliata e specifica, dei residui poteri attuativi regionali, anche alla luce dell’emanazione delle citate “linee guida”.
 
 
3.         Le “misure di compensazione”
 
Una prima questione che è stata peraltro oggetto di alcune delle citate pronunce della Corte (in particolare Corte Cost. n. 119/2010 sulla legge regionale Puglia n. 31/2008 e, Corte Cost. n. 124/2010 sulla legge regionale Calabria n. 42/2008) riguarda la possibilità per le Regioni (o per gli enti locali delegati) di imporre misure compensative di carattere prevalentemente economico (12) a carico degli operatori privati che vogliano accedere al settore della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, anche al fine di bilanciare l’eventuale pregiudizio che l’installazione dell’impianto arreca all’ambiente circostante.
Il problema si è posto in virtù del fatto che già la direttiva 2001/77/CE individua l’obiettivo di garantire la parità di trattamento e la non discriminazione nello svolgimento dell’iter per l’ottenimento delle necessarie autorizzazione all’installazione di impianti per l’energia rinnovabile, implicitamente escludendo la possibilità di una imposizione generalizzata di oneri che possano essere tali da impedire o differenziare irragionevolmente l’accesso al settore.
Nel trasporre la direttiva comunitaria nell’ordinamento interno, il legislatore nazionale, all’art. 12 comma 6 del d.lgs. 2003 n. 387, ha stabilito, onde garantire il rispetto del principio della concorrenza, nonché della libera iniziativa economica ex art. 41 Cost., “che le autorizzazioni non possano essere subordinate a misure di compensazione a favore degli enti locali. Anche la successiva legge n. 239/2004, all’art. 1 comma 5, prevede la possibilità che gli enti locali stipulino accordi con soggetti proponenti misure di compensazione e riequilibrio ambientale, fatto salvo il divieto espresso nell’art. 12 comma 6 del d.lgs. n. 387 del 2003.
Il disposto statale sembra quindi escludere la possibilità di imporre delle misure di compensazione. Tuttavia tale divieto contrasta con la previsione dell’art. 1 comma 4 lettera f ) della legge n. 239/2004 che prevede la possibilità di imporre misure compensative a carico degli operatori, ma solo in caso di concentrazioni energetiche elevate; norma che, a seguito della pronuncia della Corte costituzionale n. 383/2005, deve ritenersi applicabile anche al settore delle energie rinnovabili (13).
Ne deriva un palese contrasto tra l’assoluto divieto di prevedere corrispettivi ex art. 12 comma 6 del d.lgs. n. 387 del 2003 (richiamato dalla legge n. 239 del 2004, all’art. 1 comma 5), e la possibilità di prevedere misure compensative, ora estesa anche alle energie rinnovabili a seguito della citata pronuncia della Corte sull’art. 1 c. 4, lettera f della legge n. 239 del 2004.
Alla luce del quadro normativo statale alcune Regioni hanno inteso emanare delle disposizioni legislative di dettaglio in tema di misure compensative; ed in particolare ciò è accaduto con l’art. 1 della legge regionale Puglia n. 31/2008 e con l’allegato sub. 1, punto 4.2 (lett. l ed o) della legge regionale Calabria n. 42/2008. Tali due norme, peraltro molto differenti tra loro, hanno previsto la possibilità per le Regioni ( o per gli enti locali delegati) di imporre degli oneri economici a carico dei soggetti richiedenti l’autorizzazione in questione. Mentre la norma della legge Regionale Calabria n. 42/2008 ha inteso generalizzare la previsione del corrispettivo a fronte di ogni impianto installato (14), l’art. 1 della legge regionale Puglia n. 31/2008 (15) ha limitato il potere di imporre la misura nei soli casi di concentrazioni elevate, a compensazione del pregiudizio ambientale che provoca l’installazione dell’impianto.
Nel giudicare circa la legittimità di questi interventi legislativi, la Corte, allineandosi a quanto stabilito già in precedenza in altre pronunce (16), ha fornito una interpretazione coerente, sia con il criterio di riparto delle competenze in materia - che ingloba, in tal caso, anche profili di cognizione esclusivamente statale - sia con gli obiettivi individuati nella citata direttiva comunitaria.
Con la sentenza n. 124 del 2010 la norma introdotta dalla legge regionale Calabria è stata dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte, nella parte in cui prevede il pagamento di una somma di denaro in ragione di ogni impianto autorizzato; la previsione di un mero corrispettivo per il rilascio del titolo lede, da una parte, l’art. 117 comma III Cost. (che ricomprende la materia della produzione e distribuzione dell’energia elettrica tra quelle rimesse alla cognizione legislativa concorrente), in quanto contrasta con i principi fondamentali della materia dettati dalle norme nazionali; d’altra parte confligge con l’art. 41 Cost. sulla libera iniziativa economica, in virtù del fatto che determina disparità di trattamento evidenti nell’accesso al settore.
Secondo le motivazioni espresse dal giudice delle leggi nella sentenza n. 124 del 2010, la norma di cui all’art. 12 comma 6 del d.lgs. 2003 n. 387 deve essere interpretata nel senso che “non sia possibile per l’ente locale imporre un corrispettivo quale condizione per il rilascio dei titoli abilitativi”, tenuto conto che le costruzioni di impianti energetici rinnovabili sono, nell’ottica comunitaria, “libere attività di impresa soggette solo alla procedura autorizzatoria prevista all’art. 12 comma 6 del d.lgs. 2003 n. 387”.
Il citato disposto dell’art. 1 della legge regionale Puglia n. 31/2008 ha invece superato il vaglio dalla Corte costituzionale, nella pronuncia del 2010 n. 119, in quanto, in base al combinato disposto tra l’art. 1 comma 4 lettera f) e l’art. 1 comma 5 della legge n. 239/2004, si desume la facoltà dell’ente locale di imporre anche in materia di energie rinnovabili delle misure di compensazione nel senso che, in caso di concentrazioni impiantistiche elevate, l’introito dell’ente è rivolto a compensare il pregiudizio ambientale che l’autorizzazione arreca. In tal caso, infatti, la legge regionale Puglia, n. 31/ 2008 non prevede l’imposizione di una misura economica in via automatica, ma si limita a stabilire la mera facoltà per l’ente autorizzante di determinare la misura compensativa, solo a fronte di impianti di notevole capacità, per bilanciare il pregiudizio ambientale che questo produce sul territorio.
Alla luce delle due citate pronunce della Corte si desume la possibilità per gli enti locali di prevedere una misura di compensazione a fronte della autorizzazione concessa solo ove trattasi di “accordo compensato da un impegno alla riduzione degli agenti inquinanti” (17), non ove trattasi, invece, di mero corrispettivo previsto per il rilascio della autorizzazione stessa. Infatti, le suddette misure devono essere considerate come “eventuali” e “non meramente patrimoniali” (18). Non è sufficiente, quindi, la semplice circostanza della realizzazione di un impianto per la produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile, perché si pervenga all’applicazione della misura compensativa, indipendentemente da ogni considerazione in merito alle caratteristiche dimensionali dell’impianto, al suo impatto sul territorio circostante e all’oggettiva situazione complessiva di disequilibrio territoriale nella localizzazione degli impianti (19).
Solo in tal modo la disciplina regionale si allinea ai principi dettati in materia dalla normativa statale, garantendo parità di trattamento nell’accesso al settore e non aggravando la procedura autorizzatoria in senso sfavorevole al privato investitore, coerentemente a quanto previsto dalla normativa europea.
Queste considerazioni sono state recepite dalle linee guida, che anzi sembrano riprendere quasi alla lettera il dictum della Corte. Infatti il decreto attuativo ribadisce prima, all’art. 1, che la produzione di energia elettrica deve considerarsi quale attività libera, finalizzata ad evitare ostacoli generalizzati alla piena esplicazione del principio della libera concorrenza; in secondo luogo l’art. 9, in combinato disposto con quanto previsto dall’allegato n. 2, ribadisce come le Regioni non possano prevedere misure compensative quali meri corrispettivi per l’instaurazione del procedimento autorizzatorio. In tal senso le Regioni potranno solo determinare “oneri istruttori” a carico del proponente finalizzati a coprire le spese istruttorie che “non possono configurarsi come misure compensative”, e che saranno calcolati sulla base dei principi di ragionevolezza e proporzionalità.
Inoltre, nella conferenza di servizi, gli enti partecipanti potranno prevedere l'individuazione di misure compensative a carattere non meramente patrimoniale, a loro favore, in casi di concentrazioni impiantistiche elevate per riequilibrare il pregiudizio ambientale che possa derivare da installazioni di notevole capacità.
Le linee guida, quindi, ribadiscono l’impossibilità di prevedere dei corrispettivi generalizzati a fronte dell’instaurazione del procedimento (salvo gli oneri istruttori) e stabiliscono l’eventualità di imporre misure compensative, ma solo in relazione a impianti di notevole capacità ed il tutto nel rispetto di vari criteri dettati dallo stesso allegato, (e già enucleati dalla Corte nelle pronunce analizzate), quali “l’eventualità”, “la non automaticità”, “la non patrimonialità della misura”, nonché la “concretezza” (20).
In definitiva, la disciplina legislativa analizzata si pone in linea con il disposto costituzionale che prevede un riparto concorrente dell’esercizio del potere legislativo tra Stato e Regioni in tema di produzione di energia elettrica, ma che incide anche su materie che di competenza esclusiva statale, considerati valori di natura trasversale (quali la tutela ambientale e la concorrenza). Anche la regolamentazione attuativa si limita ad individuare determinati criteri che, pur specifici e dettagliati, lasciano comunque spazio ad un intervento differenziato delle Regioni sul piano amministrativo.
Posto che il divieto generale di imporre le misure rispecchia le finalità cui la normativa è ispirata - e si allinea in una qualche misura alle indicazioni provenienti dalla direttiva dell’Unione Europea - l’eventualità di richiedere un corrispettivo in funzione della diseconomia ambientale prodotta da concentrazioni impiantistiche elevate è totalmente rimessa alle Regioni, che dovranno limitarsi a rispettare i parametri indicati dalle linee guida.
 
 
4.         Il potere delle Regioni di derogare alla procedura autorizzatoria prevista dalle norme nazionali
 
Altra questione che si è posta nel solco del quadro normativo antecedente all’emanazione delle linee guida riguarda la possibilità per le Regioni (o gli enti locali interessati delegati dalle stesse) di prevedere ulteriori adempimenti rispetto alla procedura di autorizzazione descritta dal legislatore statale, quali nuovi limiti, oneri o vincoli, anche temporali, onde adattare il procedimento descritto dalle norme nazionali alle esigenze dell’ente di riferimento.
La legge nazionale, nel dettare i principi fondamentali della materia, ha previsto una procedura autorizzatoria informata ai principi di celerità e semplificazione, al fine di allinearsi agli scopi espressi nella direttiva 2001/77/CE, garantendo, in tal modo, un incentivo alla produzione di energie rinnovabili. Questa è stata più volte definita dalla giurisprudenza costituzionale quale “principio fondamentale in tema di diritto dell’energia”, in quanto ispirata a criteri di semplificazione, celerità, non discriminazione e parità di trattamento (nel solco della tutela della concorrenza), anche mediante la previsione della conclusione dell’iter entro un termine definito su tutto il territorio nazionale (21).
Il riferimento è relativo, come ormai ben noto, all’art. 12 (comma III e IV) del d.lgs. 2003/387; questo ha previsto una procedura di autorizzazione unica (che deve concludersi entro il termine di 180 giorni decorrenti dalla richiesta del privato) basata sulla convocazione da parte della Regione interessata, nel termine di trenta giorni dal ricevimento della domanda di autorizzazione, di un’apposita conferenza di servizi nella quale sono tenuti a partecipare tutti gli enti territorialmente interessati. Solo per determinate tipologie di impianti che non superino una determinata soglia di potenza, individuata nella tabella allegata alla legge stessa, è invece stabilito come sia sufficiente la mera denuncia di inizio attività. Inoltre, stabilisce il comma 10 dello stesso art. 12 del citato decreto che, “in Conferenza Unificata, su proposta del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del Ministro per i beni e le attività culturali, si approvano le linee guida per lo svolgimento del procedimento di autorizzazione unica”.
Le linee guida, finalizzate ad attuare il dettato legislativo inerente l’iter procedimentale per pervenire all’autorizzazione, come ampiamente detto, sono state approvate di recente; in attesa della loro emanazione varie Regioni hanno inteso sopperire al vuoto normativo mediante delle norme specifiche.
Sul punto è significativo richiamare quanto accaduto a seguito dell’entrata in vigore delle leggi regionali Calabria n. 38 e n. 42 del 2008; infatti, l’art. 1 della legge regionale Calabria n. 38/2008 aveva previsto una proroga di sessanta giorni del termine di sospensione di 120 giorni, prima stabilito dall’art. 53 legge regionale n. 15 del 2008, per lo svolgimento delle procedure autorizzatorie relative ad energie rinnovabili; inoltre, lo stesso art. 1 della citata legge prevedeva un’ulteriore proroga della sospensiva già disposta con lo stesso art. 53 della legge regionale n. 15 del 2008, per le autorizzazioni già ottenute in precedenza.
Infine, il punto 4.2, lettera i) dell’allegato sub 1, della legge regionale Calabria n. 42/2008 disciplinava un ulteriore adempimento consistente nella deliberazione favorevole del Consiglio Comunale sul quale insiste il territorio oggetto del progetto autorizzato.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 124 del 2010, ha dichiarato costituzionalmente illegittime tutte le norme citate, in quanto contrastanti con l’art. 117 comma III Cost.. Secondo il giudice delle leggi la previsione di ulteriori adempimenti inerenti la procedura di autorizzazione alla installazione di impianti si pone in chiara antitesi con l’art. 12 comma IV del d.lgs. n. 387 del 2003, che viene definita quale normativa recante l’indicazione dei principi generali della materia, come tali insuscettibili di essere derogati da disposizioni regionali attuative.
In particolare, secondo la Corte, la disciplina nazionale è definibile quale principio generale della materia, essendo previsione “ispirata alle regole della semplificazione amministrativa e della celerità garantendo, in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, la conclusione entro un termine definito del procedimento autorizzativo” (Considerato in diritto 2.2.). Da qui deriverebbe, pertanto, la chiara lesione del disposto di cui all’art. 117 c. III della Costituzione.
Precisa ancora la Consulta che i termini di conclusione della procedura, individuati in 180 giorni, sono da ritenersi perentori, salvo la possibilità di proroga, ma nei soli casi in cui ciò è consentito dalla legge generale sul procedimento amministrativo, non potendo una legge regionale prevedere una generalizzata sospensione, né delle procedure autorizzatorie in corso, né delle autorizzazioni già rilasciate (bloccando così la fase esecutiva), in quanto ciò si tradurrebbe nell’impossibilità assoluta di accedere al settore, ovvero si renderebbe inutile l’ottenimento della stessa autorizzazione.
Inoltre, non è possibile prevedere un aggravamento della procedura, consistente in un’ulteriore deliberazione da parte di un ente che, in quanto partecipante alla conferenza di servizi di cui all’art. 12 comma 4 del d.lgs. n. 387/2003, ha già la possibilità di far valere le proprie doglianze nella sede opportuna individuata dalla normativa nazionale.
Infine, secondo i giudici costituzionali, neppure il mancato raggiungimento “dell’intesa” per l’approvazione delle linee giuda può dirsi motivo valido per legittimare l’intervento regionale, il quale, derogando alla necessità prevista per legge di instaurare i meccanismi cooperativi, violerebbe le previsioni costituzionali in tema di riparto di competenze. Considerazione che sembra logicamente conseguente alla necessità di meccanismi negoziati, chiamati ad integrare le deroghe al riparto delle competenze costituzionali.
 Si tratta di un ampio percorso argomentativo che la Corte ha ultimamente ripreso in due ulteriori pronunce (22) nelle quali il giudice delle leggi ha avuto modo di confermare l’impossibilità per le Regioni di derogare al procedimento unico descritto dalla legge, anche in assenza delle linee guida, in quanto questo è da ritenersi principio generale in materia, la cui attuazione, attesa la chiamata in sussidiarietà, può avvenire unicamente in forza di uno strumento “cooperativo”.
La censura della Corte in questo caso sembra condivisibile, non potendo la legislazione regionale prevedere deroghe anche solo temporali per lo svolgimento delle procedure, tenuto conto che si tratta di principi consolidati in materia, ampiamente valutati dalla giurisprudenza amministrativa. Infatti, il principio di non aggravamento della procedura è stato ribadito anche da varie pronunce degli organi di giustizia amministrativa (23) che hanno avuto modo di affermare come il procedimento previsto in materia di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili sia ispirato a principi di efficienza e celerità, non potendo le Regioni prevedere degli adempimenti ulteriori, tali da aggravare la procedura stessa.
Anche alla luce di quanto asserito dagli organi di giustizia amministrativa il ragionamento del giudice delle leggi è condivisibile, almeno nella parte in cui ricollega l’illegittimità delle censurate norme regionali alla chiara lesione di principi amministrativi ampiamente condivisi, espressione del “buon andamento delle Pubbliche Amministrazioni”, ex art. 97 Cost.; al contrario, non sembra possibile desumere l’illegittimità delle norme regionali unicamente dalla “riserva di competenze” che la legge stessa produce in favore sia del legislatore nazionale, che delle “intese” tra Stato e Regioni.
Trattandosi, infatti, di materie devolute alla competenza concorrente, la definizione del quadro attuativo dovrebbe essere rimesso integralmente alla cognizione delle Regioni, ovvero nelle ipotesi di interventi statali “in sussidiarietà”, come in tal caso, ad uno strumento cooperativo. Tuttavia, da un lato è dubbio che la disciplina dettata dallo Stato in materia di energie rinnovabili possa dirsi espressiva dei soli principi generali, allorquando essa pare regolamentare direttamente la materia, in modo dettagliato e specifico; dall’altro, come si approfondirà di seguito, non sembrano rispettati i parametri in forza dei quali l’ordinamento giuridico è in grado di legittimare la chiamata in sussidiarietà dello Stato soprattutto in relazione al profilo della proporzionalità e della ragionevolezza dell’intervento.
 Pertanto, se è condivisibile la conclusione cui giunge la Corte, attesa la rilevanza di principi amministrativi ampiamente consolidati, è dubbio, al contrario, il fondamento delle argomentazioni utilizzate. La giustificazione alla censura delle impugnate norme regionali non avrebbe dovuto basarsi unicamente sul fatto che queste abbiano disposto in maniera non conforme alla disciplina statale, in attesa dell’attivazione dei meccanismi di cooperazione, bensì sulla considerazione che le norme regionali abbiano posto una deroga al principio di non aggravamento delle procedure del tutto contraria ai principi rilevanti in materia. Senza considerare che la disciplina regionale analizzata sarebbe risultata contrastante anche con la ratio della normativa comunitaria, consistente nella celerità procedimentale, quale incentivo allo sviluppo delle energie rinnovabili. Argomento, questo, per nulla valutato dalla Corte.
L’interpretazione fornita dalla Corte costituzionale è stata certamente ispiratrice della redazione delle linee guida, le quali hanno previsto il principio di non aggravamento della procedura quale principio generale della procedura di autorizzazione unica, così rafforzando il “divieto” di deroga da parte delle Regioni. In particolare, questo principio è previsto dall’art. 11 c. 1 delle linee guida, in ordine alle installazioni soggette unicamente a dichiarazione di inizio attività, per le quali il legislatore stabilisce che le Regioni non possano richiedere adempimenti ulteriori allorquando la procedura necessiti unicamente della presentazione della denuncia stessa. Inoltre, anche la procedura di autorizzazione unica non consente delle deroghe unilateralmente previste dalle Regioni che dovranno attenersi alle prescrizioni contenute nelle linee guida.
Si tratta di una disciplina che non lascia alcun margine di differenziazione per mezzo dell’emanazione di atti amministrativi regionali. Tuttavia, ciò è coerente con gli obiettivi europei che hanno ispirato la normativa interna, nonché si allinea ai principi amministrativi riguardanti i procedimenti autorizzatori. Del resto la procedura si svolgerà direttamente innanzi alla Regione, o all’ente locale delegato, che quindi non vedrà spogliate le proprie competenze, pur dovendo comunque agire nel rispetto del procedimento unico descritto dalla legge.
 
 
5.         La possibilità per le Regioni di prevedere regimi autorizzatori “semplificati”
 
In riferimento al quadro normativo pregresso, in attesa della sua attuazione cui si è pervenuti con l’adozione delle citate linee guida, la questione che ha creato maggiori incertezze interpretative è stata certamente quella inerente la possibilità per le Regioni di prevedere regimi autorizzatori “semplificati”.
La norma di riferimento è ancora una volta l’art. 12 del d.lgs. 387/2003 che, al quinto comma, ha statuito come solo per determinati impianti, recanti una potenza indicata nella tabella allegata al decreto, sia possibile l’installazione a seguito di denuncia di inizio attività, in luogo della complessa procedura di autorizzazione unica; il decreto stabilisce ancora come maggiori soglie di capacità, per le quali si procede con la dichiarazione di inizio attività, potranno essere individuate solo con decreto del Ministero dello Sviluppo Economico di concerto con il Ministro dell’ambiente, d’intesa con la Conferenza Unificata.
Nel descritto quadro normativo si sono innestate alcune leggi regionali che, anche in assenza del citato decreto attuativo, hanno previsto un procedimento semplificato, derogando così, al regime autorizzatorio generale previsto dalle norme statali, sulla base della considerazione di voler favorire unilateralmente il governo del territorio, materia che la Costituzione rimette alla competenza concorrente tra Stato e Regioni.
In particolare, l’art. 3 della legge regionale Puglia n. 38/2008 ed il punto 2.3 dell’allegato sub 1 della legge regionale Calabria n. 42/2008 hanno innalzato la soglia massima prevista dal legislatore nazionale in base alla quale il procedimento autorizzatorio si svolge mediante l’istituto della denuncia di inizio attività.
Anche queste disposizioni sono state oggetto del giudizio della Corte costituzionale che, con le citate pronunce nn. 119 e 124 del 2010, ha censurato entrambe le norme, in quanto lesive dell’art. 117 comma III Cost. in tema di riparto concorrente delle competenze in materia di produzione, trasporto e distribuzione di energia.
Secondo la Corte, il d.lgs. n. 387/2003 deve ritenersi norma recante i principi fondamentali inderogabili in materia, talché solo con il citato decreto ministeriale è possibile innalzare la soglia di capacità per la quale è sufficiente la denuncia di inizio attività, in luogo della procedura di autorizzazione unica, non potendo le Regioni, neppure con interventi di carattere legislativo, procedere all’individuazione di regimi differenziati.
Le citate pronunce hanno creato incertezze soprattutto in relazione alla sorte dei provvedimenti perfezionatisi nell’alveo della vigenza delle leggi, poi dichiarate incostituzionali. Non è questa la sede per ripercorrere le vicende di questa problematica, che sottende l’annosa questione della sorte (e quindi del vizio) del provvedimento amministrativo attuativo di una legge incostituzionale (24); tematica complicata dalla tipologia di provvedimento in esame, la d.i.a., che, in virtù delle incertezze circa la sua natura giuridica (25), ha alimentato i dubbi interpretativi.
Proprio per evitare disparità di trattamento e garantire la salvezza degli effetti prodotti dai provvedimenti già assentiti sulla base delle leggi incostituzionali, il legislatore è intervenuto, mettendo a tacere la questione, con una disposizione che ha sanato gli effetti prodotti da tali provvedimenti. Infatti, l’art. 1 quater del decreto legge n. 105 del 2010, convertito in legge, con provvedimento n. 129/2010 (26), ha  fatto salvi gli effetti relativi alle procedure di denuncia di inizio attività per la realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, emanati sulla scorta di disposizioni regionali, caducate per mano della Consulta, recanti soglie superiori a quelle di cui alla tabella del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387; ciò, a condizione che gli impianti siano entrati in funzione entro 150 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione.
Questa conclusione della vicenda, tuttavia, non esime dal discutere la validità del ragionamento della Corte che ha inteso escludere la possibilità per le Regioni di prevedere dei regimi differenziati, per il sol fatto che la legge statale ne demandi l’attuazione all’intesa tra l’amministrazione centrale e la Conferenza Unificata. A detta della Corte, infatti, la scelta della procedura autorizzatoria da seguire, inerendo “l’esercizio della legislazione di principio dello Stato in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, è rimessa integralmente allo Stato. Afferma ancora la Corte che la preclusione all’intervento della Regione è giustificabile “per via della chiamata in sussidiarietà dello Stato, per esigenze di uniformità delle funzioni amministrative relative ai problemi energetici di livello nazionale”.
Il ragionamento del giudice costituzionale, pur se ribadito con fermezza più di una volta (27), desta alcune perplessità. Già di per sé, infatti, la laconicità del percorso argomentativo utilizzato è indice di una chiara predisposizione della giurisprudenza costituzionale a forzare, spesso, il dato normativo, onde giustificare una disciplina, quella statale, chiaramente lesiva delle prerogative regionali.
Inoltre, la durezza delle motivazioni delle decisioni, tutte sfavorevoli ai poteri regionali, anche in assenza degli ulteriori adempimenti amministrativi statali, appare eccessiva soprattutto ove si consideri che – secondo Costituzione – l’intervento statale dovrebbe sottostare a determinati limiti, il primo dei quali riguarda la possibilità di dettare solo ed esclusivamente i principi fondamentali della materia e non consentirebbe, perciò, di subordinare l’esercizio delle competenze legislative regionali ad ulteriori atti di carattere secondario e di contenuto amministrativo (28). Circostanza smentita, come si è avuto modo di analizzare, dall’ampiezza dell’intervento legislativo statale che, lungi dall’aver disposto dei soli principi, ha introdotto una disciplina specifica e dettagliata.
Infine, è bene considerare che l’esercizio della competenza statale, con la previsione dei principi fondamentali di una determinata materia di ambito concorrente, per quanto estesa, non può comunque risultare tale da menomare la tutela di numerosi altri ambiti materiali (quali il governo e lo sviluppo del territorio), rimessi alla competenza concorrente, che si legano alla materia della produzione e distribuzione delle energia elettrica e nei quali è irragionevole escludere l’intervento delle Regioni.
Neppure il richiamo che la Corte muove alla “chiamata in sussidiarietà” può essere invocato a difesa della disciplina statale; tale meccanismo è legittimato ad operare solo in presenza di uno specifico interesse che rende necessario l’intervento statale per uniformare le discipline, ed in base comunque ad una effettiva attività di concertazione; al contrario, nel settore energetico assistiamo ad una presa di posizione del legislatore statale, imposta, più che negoziata. Senza considerare che, anche assumendo la legittimità formale della “chiamata in sussidiarietà”, sarebbe comunque necessario poi valutare il rispetto dei presupposti della ragionevolezza e della proporzionalità sostanziale della disciplina; se analizziamo questi parametri, anche in relazione alla eterogeneità degli interessi coinvolti, per nulla valutati, ci accorgiamo che l’esaustività della normativa nazionale e gli scarsi poteri rimessi ai poteri decentrati determinano una ingente e costante erosione delle competenze rimesse alla cognizione residuale delle Regioni.
Da tale breve analisi non può non notarsi, quindi, come la Corte abbia giustificato la normativa statale mediante una chiara forzatura del sistema costituzionale.
Infine, la normativa regionale, nel prevedere una disciplina di favore per il privato, essendo volta alla semplificazione ed alla celerità nelle procedure autorizzatorie, risulta coerente con gli obiettivi della direttiva comunitaria 77/2001/CE, al cui rispetto sono tenuti sia il legislatore statale che quello regionale (art. 117 comma 1 Cost.). Senza tener conto che la dichiarazione di inizio attività sta divenendo un istituto di largo utilizzo nelle normative europee che incentivano sempre più il legislatore nazionale all’inserimento di questo istituto nelle discipline interne, in funzione di rafforzare le istanze di semplificazione e celerità (29).
Tuttavia il giudice delle leggi non ha ritenuto necessario considerare anche questi argomenti, limitandosi a una motivazione formale basata sulla legislazione statale, reputando che la contrarietà a questa implicasse automaticamente una violazione del riparto delle competenze in materia da parte della legislazione regionale.
Una decisone che non trova giustificazione neppure nell’ottica del rispetto del principio della libera concorrenza e della parità di trattamento per gli investitori in quanto l’innalzamento della soglia a livello regionale potrebbe attrarre gli operatori nelle zone in cui è presente la normativa più semplice e rapida; ma ciò non osta né con la direttiva comunitaria di riferimento, che ha, al contrario, il fine di incentivare la produzione mediante la celerità e la semplificazione delle procedure, né con le prerogative regionali, ben potendo queste, in funzione di tutela degli interessi connessi allo “sviluppo” ed al “governo del territorio”, decidere di implementare l’accesso al settore energetico.
Pertanto, non sussistendo ragioni ostative di ordine sostanziale, la censura delle disposizioni regionali sembra rispondere ad una logica in forza della quale la Corte tende ad allargare ingiustificatamente le competenze della legge statale, allo scopo di giustificare interventi normativi di dubbia consistenza; tale obiettivo in tema di riparto concorrente è raggiunto, sia attraverso l’inquadramento delle norme statali nel novero dei principi generali, anche quando esse chiaramente si pongono lo scopo di dettare la disciplina del settore, addirittura alle volte facendo dipendere l’intervento regionale dal previo esaurimento dei poteri amministrativi nazionali; ovvero mediante delle chiare forzature dello strumento della chiamata in sussidiarietà, avallata, spesso, senza una necessaria stringente valutazione dei presupposti che consentono di derogare al criterio di riparto delle competenze previsto in Costituzione.
Se si riprendono queste considerazioni critiche alla luce delle linee guide adottate, ci si avvede che queste conservano la rigidità codificata dalla giurisprudenza costituzionale dal momento che stabiliscono per ogni tipologia di impianto la capacità portante massima in funzione della quale si innesta il regime amministrativo da seguire (se edilizia libera, denuncia di inizio attività, o autorizzazione unica), non lasciando margini di differenziazione alle Regioni, le quali non potranno procedere ad individuare soglie differenti, anche al fine di catalizzare nel territorio gli investitori del settore. Una scelta irragionevole, tenuto conto che l’allargamento dell’utilizzo della d.i.a., magari nel rispetto di una soglia massima prevista dal legislatore statale, ed adattabile discrezionalmente alla caratteristiche del territorio, non si porrebbe neppure in contrasto con i principi consolidati in tema di procedimento amministrativo, quali la celerità ed il principio di “non aggravamento della procedura”.
 In definitiva, i piani energetici che le Regioni sono chiamate ad approvare al fine di attuare la regolamentazione statale non godranno di alcuna discrezionalità nelle scelte.
 
 
6.         La tutela ambientale nella materia dell’energia
 
Altra questione dibattuta nelle more dell’emanazione delle linee guida ha riguardato la possibilità per le Regioni di individuare alcune aree escluse dall’eventuale installazione degli impianti a causa del particolare pregio paesaggistico o ambientale di queste.
La normativa di riferimento sembrerebbe porre delle evidenti limitazioni all’ingerenza delle Regioni in materia di ponderazione del diritto dell’energia con la tutela dell’ambiente. Infatti, l’art. 12 comma 10 del d.lgs. n. 387/2003 determina la possibilità per le Regioni di individuare aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti, ma solo in attuazione delle linee guida del settore, volte in particolare ad assicurare un corretto inserimento degli impianti nel paesaggio.
Nonostante il quadro di riferimento descritto che sembrava, forse irragionevolmente, non lasciare margini di operatività alle Regioni e in attesa dell’attivazione degli strumenti cooperativi finalizzati all’emanazione delle linee guida, la Regione Puglia ha tentato, con l’art. 2, comma I, II e III della legge n. 31/2008, di individuare aree di rilievo paesaggistico o ambientale, sottratte all’installazione degli impianti (30).
Anche tale norma è stata censurata dalla Corte costituzionale con la decisone n. 119 del 2010, che ha escluso la possibilità per le Regioni di legiferare, in attesa dell’emanazione delle linee guida, essendo la materia della tutela dell’ambiente riservata dalla Costituzione alla competenze esclusiva dello Stato, e dovendosi ritenere ammessi interventi attuativi solo a seguito dell’attivazione dei descritti strumenti cooperativi.
Nella ponderazione del principio della tutela del paesaggio, con l’interesse alla produzione energetica, la Corte ha dato quindi preminenza a quest’ultimo “valore”, in forza di un’interpretazione rigida dei criteri di riparto previsti in Costituzione.
La Regione Puglia, in sede di giudizio di costituzionalità, aveva evidenziato come, in realtà, la disciplina regionale riguarderebbe anche “altri interessi e settori, dal governo del territorio, alla tutela della salute, alla valorizzazione dei beni culturali e ambientali ed alla promozione e organizzazione di attività culturali”; inoltre, sempre la Regione Puglia, aveva sottolineato come “la molteplicità degli interessi coinvolti, nel quadro di un nuovo ruolo riconosciuto alle Regioni dalla Riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, sarebbe connessa ad ambiti materiali, tutti appartenenti alla legislazione concorrente o a quella residuale regionale, con l’unica eccezione della ‘tutela dell’ambiente’, materia di pertinenza esclusiva statale, ma che la consolidata giurisprudenza costituzionale considera come valore da tutelare, piuttosto che semplice ambito materiale”.
La Corte, nella pronuncia in esame, respingeva queste osservazioni ribadendo che ammettere l’intervento regionale significherebbe provocare “l’impossibilità di realizzare impianti alimentati da energie rinnovabili in un determinato territorio, dal momento che l’emanazione delle linee guida nazionali per il corretto inserimento nel paesaggio di tali impianti è da ritenersi espressione della competenza statale di natura esclusiva in materia di tutela dell’ambiente”.
Si tratta di una censura prevedibile, in quanto assestata su una posizione già espressa dalla Corte, che di recente si era preoccupata di valutare la questione nella pronuncia con la quale ha dichiarato l’incostituzionalità della legge ragionale Basilicata n. 9 del 2007 (31).
Proprio in ossequio alla copiosa giurisprudenza pregressa (32), cui si erano peraltro già allineati gli organi di giustizia amministrativa (33), la Corte afferma, quindi, come le Regioni non possano, in attesa dell’emanazione delle linee guida, provvedere autonomamente alla individuazione di criteri per il corretto inserimento nel paesaggio degli impianti alimentati da fonti di energia alternativa. Allo Stato competerà anche la ponderazione dell’interesse alla tutela ambientale, con altri valori coinvolti, non potendo l’eventuale bilanciamento essere effettuato in altra sede decentrata.
Le argomentazioni utilizzate dalla Consulta, nonostante siano state ribadite in varie occasioni (34), suscitano comunque alcune perplessità.
Infatti, come del resto ha avuto modo di sottolineare la Regione Puglia nelle sue difese, seguendo la consolidata giurisprudenza costituzionale, la tutela dell’ambiente, lungi dal poter essere qualificata asetticamente come una “materia” a sé, nonostante il disposto dell’art. 117 comma II lett. s) Cost., deve ritenersi un “valore” avente rilievo “trasversale”, ed involgente ulteriori interessi, anche di competenza squisitamente regionale, quali il “governo e lo sviluppo del territorio” (35).
 In particolare, il giudice delle leggi ha avuto modo di sancire come “l'evoluzione legislativa e la giurisprudenza costituzionale portano ad escludere che possa identificarsi una materia in senso tecnico, qualificabile come tutela dell'ambiente, dal momento che non sembra configurabile come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, giacché, al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze” (36).
Nella giurisprudenza della Corte, l’ambiente è stato quindi sempre definito, quale "valore costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia trasversale, in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale”.
Già in forza di questa considerazione sarebbe possibile sollevare notevoli dubbi circa la decisione in commento, la quale ha escluso, in assenza delle linee guida, ogni potere regionale di individuare aree non idonee alla installazione degli impianti.
In tal modo si preclude, di fatto, che le Regioni possano dettare una disciplina attuativa, in ossequio al principio di differenziazione, al fine di garantire interventi rispondenti ai bisogni del territorio, fintantoché al disposto statale non sia data attuazione in via amministrativa con l’emanazione delle linee guida. Sarebbe stato invece più consono alla precedente posizione della Corte costituzionale prevedere la attuabilità da parte delle Regioni del disposto legislativo, anche in assenza dell’attivazione dei prescritti strumenti cooperativi, almeno per quelle aree il cui preminente rilievo ambientale sia oggettivamente riconosciuto all’interno di provvedimenti nazionali o internazionali.
Queste considerazioni assumono un rilievo particolare soprattutto a seguito dell’approvazione delle “linee guida”. Leggendo, infatti l’art. 17 di tale documento (unitamente con l’allegato n. 3) si nota come questo abbia disciplinato la procedura e i criteri per l’individuazione delle aree non idonee, lasciando però la scelta essenzialmente nelle mani degli enti locali di riferimento (37).
In altre parole, le linee guida prevedono ora, in materia ambientale, una normativa attuativa similare alle disposizioni legislative regionali emanate nel settore, aprendo in tal modo la strada ad una regolamentazione differenziata da parte delle stesse Regioni. Nonostante la disciplina regionale attuativa possa esprimersi solo sul piano amministrativo, atteggiandosi a funzione delegata dallo Stato, ai sensi dell’art. 118 c. III Cost., questa è comunque indice di un chiaro mutamento di prospettive. Infatti, sia la scelta dei siti non idonei, quanto la ponderazione tra la tutela dell’ambiente e l’interesse alla produzione dell’energia elettrica, è rimessa ora integralmente alle Regioni. Si legge al punto n. 17.2 delle linee guida che le Regioni e le Province autonome debbano ponderare le politiche di tutela dell'ambiente e del paesaggio con quelle di sviluppo delle energie rinnovabili “attraverso atti di programmazione congruenti con la quota minima di produzione di energia da fonti rinnovabili loro assegnata (burden sharing), in applicazione dell'articolo 2, comma 167, della legge 244/2007”, come modificato dall'articolo 8-bis della legge 27 febbraio 2009, n. 13, al fine “di assicurare uno sviluppo equilibrato delle diverse fonti” (38).
Ciò significa che il bilanciamento tra i due “valori” dovrà esser operato localmente, nel rispetto del quadro normativo di riferimento, senza che possa considerarsi astrattamente prevalente l’interesse alla produzione dell’energia su quello ambientale, come, invece, sembrava aver fatto presagire la Corte nella sua pronuncia. La scelta dovrà essere effettuata dalle Regioni nel rispetto non solo del criterio del c.d. “burden sharing”, ma anche in relazione ad altri parametri indicati nell’allegato II dello stesso decreto; in particolare si prevede che l’istruttoria aperta dalla Regione o dalla Provincia per valutare la non idoneità dell’area, dovrà fondarsi unicamente su “criteri tecnici oggettivi legati ad aspetti di tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio artistico-culturale”, e dovrà “essere differenziata con specifico riguardo alle diverse fonti rinnovabili e alle diverse taglie di impianto”. Inoltre l’intervento regionale non potrà riguardare porzioni significative del territorio “o zone genericamente soggette a tutela dell'ambiente”, “né tradursi nell'identificazione di fasce di rispetto di dimensioni non giustificate da specifiche e motivate esigenze di tutela”.
Il che equivale a dire che le Regioni dovranno procedere ad una istruttoria fondata sui criteri della specialità e della differenziazione, in modo da individuare per ciascuna area, le motivazioni concrete, nonché i limiti all’eventuale installazione dell’impianto, non potendo al contrario prevedere una generica ed immotivata esclusione (39).
A parte tale previsione le aree non idonee individuate nelle linee guida rispecchiano quelle già oggetto delle censurate legislazioni regionali (40). Particolarmente importante è poi la norma di chiusura che consente l’imposizione del vincolo anche per aree non comprese nell’elenco stilato, ma che comunque rivestano importanza fondamentale ai fini della tutela di svariati interessi, tra cui la protezione della fauna, della biodiversità, dell’assetto idrogeologico del territorio, nonché aree interessate da produzioni agricole, o alimentari di qualità (41).
Le Regioni, in definitiva, possano vantare un potere di intervento sul piano amministrativo al fine di garantire la tutela dell’ambiente e del paesaggio, ponderando questo valore con l’interesse alla produzione dell’energia elettrica; la disciplina regionale dovrà essere specifica e concreta, non potendo prevedere delle deroghe generalizzate, che, al contrario, dovranno rispondere alla tutela di un interesse particolare, concretamente valutato.
Una disciplina coerente se è vero che solo concentrando di fatto tale scelta nelle mani delle Regioni, ovvero degli enti locali delegati, è possibile garantire una corretta allocazione delle risorse produttive, nel rispetto dei vincoli paesaggistici, che divergendo da zona a zona, necessitano di un intervento di ambito regionale o locale teso a garantire la differenziazione.
Si può quindi terminare evidenziando che le stesse linee guide hanno avvalorato il precedente orientamento espresso da alcune leggi regionali nel vuoto di tutela in materia ambientale e la Corte, nel censurarle, ha sottovalutato – dal punto di vista costituzionale – l’apporto che le competenze legislative regionali possono conferire alla tutela dell’ambiente.
 
 
7.         Considerazioni conclusive
 
La materia della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili lascia ancora forti incertezze, soprattutto con riferimento alla legittimità di un sistema che sembra considerare irrilevante il disposto costituzionale che prevede un criterio di riparto concorrente.
Le obiezioni riguardano anche le sentenze della Corte costituzionale analizzate in quanto è sulla base di queste che si è cristallizzata una disciplina, anche attuativa, totalmente sfavorevole per i poteri regionali.
La disciplina descritta è notevolmente dettagliata, rimettendo poi la fase attuativa ai soli strumenti cooperativi. Una considerazione che assume un indiscutibile rilievo nella materia della produzione e distribuzione dell’energia elettrica, atteso che questa coinvolge numerosi altri interessi rimessi alla competenza concorrente, quali il governo del territorio, la tutela della salute e la valorizzazione dei beni culturali e ambientali.
Anche il seguito normativo, perfezionatosi con l’emanazione delle “linee guida” – a prescindere dalla piena compatibilità di tale atto con il riparto costituzionale delle competenze – ha tradito le aspettative degli operatori; questo documento ha infatti individuato una disciplina che esclude la possibilità per le Regioni di introdurre una regolamentazione esecutiva di carattere sostanziale.
Le incertezze si acuiscono, poi, passando alla valutazione della chiamata in sussidiarietà nel settore della produzione e distribuzione di energia elettrica per ricondurre a equilibrio l’esercizio delle competenze.
La Corte, nella richiamata pronuncia n. 383 del 2005, ha affermato che l’intervento dello Stato in via sussidiaria si giustifica in forza “della peculiarità del settore”, riconoscendosi, quindi, in capo agli organi nazionali, una maggiore idoneità a determinare il fabbisogno generale per intervenire in maniera adeguata in caso di situazioni di carenza.
Tuttavia, nonostante la ponderatezza dell’assunto, attesa l’ampiezza della materia della produzione e distribuzione di energia elettrica, che involge anche altre materie, è difficile concordare con la Corte e ravvisare l’esistenza di un interesse nazionale tanto forte da conferire legittimazione a una legislazione estremamente dettagliata e poco ossequiosa dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, nonché, forse, essa stessa lesiva di numerose attribuzioni costituzionali per le Regioni.
Se si giustifica, quindi, la chiamata in sussidiarietà anche per materie “ampie”, che si legano ed intrecciano ad altri numerosi interessi rimessi alla competenza sia concorrente, che residuale delle Regioni, ne deriva una chiara erosione delle attribuzioni costituzionali per le stesse Regioni.
A parte tale considerazione, inoltre, la legittimità della chiamata in sussidiarietà necessiterebbe di verificare - sulla base dei parametri di ragionevolezza e proporzionalità - anche il rispetto del principio di “leale collaborazione” (42). Questo parametro, infatti, non può ritenersi soddisfatto semplicemente dagli strumenti cooperativi utilizzati per raggiungere l’intesa con le Regioni (43), tanto più nel caso delle linee guida attuative della materia, che sono state redatte dagli organi statali, per poi essere rimessi all’approvazione della Conferenza unificata.
La violazione del principio di leale collaborazione deriva da due ordini di ragioni. Da un lato, la Conferenza non può ritenersi sede sufficiente all’instaurazione dei meccanismi cooperativi, per l’assenza di strumenti di raccordo con i poteri del legislatore regionale; d’altro canto, lo strumento dell’intesa dovrebbe precedere l’intervento legislativo statale e rilevare preliminarmente su questo piano e non solo sulla fase amministrativa-attuativa (44).
Solo in questo modo sarebbe possibile conferire una parvenza di legittimità allo “spostamento” delle competenze costituzionali che la Carta prevede in favore delle Regioni.
Infine, la precisione della normativa statale non può univocamente fondarsi sul vincolo creato dal legislatore europeo, in quanto gli interventi regionali sono stati, come si è detto, per lo più confacenti agli obiettivi dell’Unione che, ai sensi dell’art. 117 comma I Cost., vincola anche le stesse Regioni.
In definitiva, la giustificazione al pressante intervento statale nella materia della produzione e distribuzione di energia elettrica è realizzato, nelle argomentazioni della Corte, mediante delle chiare forzature del dettato costituzionale; in particolare, il giudice delle leggi tende ad allargare le maglie del sistema di riparto, in favore del legislatore statale, sia considerando quali norme di principio anche disposizioni di carattere palesemente attuativo, sia utilizzando in maniera impropria lo strumento della chiamata in sussidiarietà; si nota, quindi, una tendenza in forza della quale, questo istituto è utilizzato in modo generalizzato ed onnicomprensivo, per salvare interventi, che dovrebbero essere invece limitati all’individuazione della sola disciplina di principio.
Alla luce di tali considerazioni è almeno auspicabile un potenziamento degli strumenti cooperativi (45), mediante i quali, sulla base del principio di leale collaborazione, garantire un maggiore coinvolgimento delle Regioni che, in caso contrario, risulterebbero inesorabilmente spogliate delle proprie competenze determinate dalla Costituzione.
 
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NOTE
 
 (1) Si tratta di materie che possono essere definite più come “funzioni”, in quanto in grado di incidere in modo trasversale su competenze, sia esclusive dello Stato, quanto concorrenti, o residuali delle Regioni. Sul punto, vedi, F. Benelli, La “smaterializzazione delle materie”. Problemi teorici ed applicativi del nuovo Titolo V, Milano, 2006; E. Gianfrancesco, Materie (riparto tra Stato e Regioni), in Diz. dir. pubbl., vol. IV, 2006, pp. 3597 ss.; G. Arconzo, Le materie trasversali nella giurisprudenza della Corte costituzionale dopo la riforma del Titolo V, in L’incerto federalismo. Le competenze statali e regionali nella giurisprudenza costituzionale, a cura di N. Zanon - A. Concaro, Milano, 2005; M. Belletti, I criteri seguiti dalla Consulta nella definizione delle competenze di Stato e Regioni ed il superamento del riparto per materie, in, Le Regioni, n. 5, 2006; G. Scaccia, Le competenze legislative sussidiarie e trasversali, in Dir. Pubb., n. 2, 2004.
 
(2) Vedi, per tutti, Q. Camerlengo, Autonomia regionale e uniformità sostenibile: princìpi fondamentali, sussidiarietà e intese forti, in Le Regioni, 2006, pp. 422 - 437.
 
(3) Per un approfondimento, si vedano, S. Bartole, Collaborazione e sussidiarietà nel nuovo ordine regionale, in Forum dei Quaderni costituzionali; R. Dickmann, La Corte costituzionale attua (ed integra) il Titolo V, in www.federlaismi.it; A. D’Atena, L’allocazione delle funzioni amministrative in una sentenza ortopedica della Corte costituzionale, inwww.forumcostituzionale.it; A. Ruggeri, Il parallelismo “redivivo” e la sussidiarietà legislativa (ma non regolamentare…) in una storica (e, però, solo in parte soddisfacente) pronunzia, in Forum dei Quaderni costituzionali; La Corte costituzionale riscrive il Titolo V?, in www.forumcostituzionale.it; Q. CamerlengoDall’amministrazione alla legge, seguendo il principio di sussidiarietà. Riflessioni in merito alla sentenza n. 303 del 2003 della Corte costituzionale, L. Violini, I confini della sussidiarietà: potestà legislativa "concorrente", leale collaborazione e strict scrutiny (nota a Corte cost. n. 303/2003), in Le Regioni, n. 1, 2004.in www.forumcostituzionale.it;uadern iquaderni coquqqA. Morrone, 
 
(4) Vedi, O. Chessa, Sussidiarietà ed esigenze unitarie: modelli giurisprudenziali e modelli teorici a confronto, in, Le Regioni, n. 4/2004, pp. 941 ss.; e, S. Agosta, La Corte costituzionale da finalmente la “scossa” alla materia delle intese tra Stato e Regioni? (Breve nota a margine di una recente pronuncia sul sistema elettrico nazionale), in www.forumcostituzionale.it.
 
(5) Sul tema, vedi, S. Mangiameli, Il principio cooperativo nel primo e nel secondo regionalismo, in, TDS, Quaderni n. 1, Roma, 2008.
 
(6) In particolare, diverse Regioni (tra cui, Puglia, legge regionale n. 31/2008, Calabria, legge n. 38/2008 e n. 42/2008; Molise, legge n. 22/2009; Basilicata, legge n. 9/2007; Valle d’Aosta, legge n.18/2009; Toscana, legge n. 71/2009; Piemonte, legge n. 18/2010) hanno inteso sopperire all’inerzia dell’apparato amministrativo statale nell’emanazione delle linee guida, mediante interventi di natura spesso legislativa, finalizzati a garantire attuazione al disposto normativo statale. Interventi che hanno determinato il richiamo ai poteri della Corte, la quale ha, tuttavia, quasi sempre sposato le tesi del legislatore statale, dichiarando l’illegittimità costituzionale delle leggi regionali emanate.
 
(7) Si vedano, tra le altre, Corte costituzionale, n. 119 del 26 marzo 2010, che si è pronunciata sulla legittimità della legge regionale Puglia n. 31 del 2008; Corte costituzionale, sentenza n. 124 del 1° aprile 2010, sulle leggi della Regione Calabria n. 38 e n. 42 del 2008; Corte costituzionale, sentenza del 6 maggio 2010, n. 168 sulla legge della Regione Valle d’Aosta 2009, n. 18. Per un commento esaustivo a tali pronunce vedi, E. Di Salvatore,La materia della “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” nella giurisprudenza della Corte costituzionale (Gennaio-Maggio 2010), in Rivista AIC, n. 00 del 02.07.2010. Per un commento alla sentenza Corte costituzionale n. 195 del 2010 che ha giudicato sulla legittimità della legge regionale Molise n. 22 del 2009, nonché alla sentenza Corte costituzionale, 11 novembre 2010 n. 313 sulla legge Regione Toscana n. 71/2009 vedi, invece, M. Michetti, La materia della “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” nella giurisprudenza della Corte costituzionale (Giugno-Settembre 2010), sempre in Rivista AIC, n. 01, anno 2011.
 
(8) Sul titolo V della Costituzione, in tema di competenze concorrenti, vedi S. Mangiameli, La riforma del regionalismo italiano, Torino, 2002; S. Bartole, R. Bin, G. Falcon, R. Tosi, Diritto regionale. Dopo le riforme, Bologna, 2003; B. Caravita, La Costituzione dopo la riforma del titolo V – Stato, Regioni e autonomie fra Repubblica e Unione europea, Torino, 2002; T. Groppi, M. Olivetti, La repubblica delle autonomie. Regioni ed enti locali nel nuovo titolo V, II ed., Torino, 2003; T. Martines, A. Ruggeri, C. Salazar, Lineamenti di diritto regionale, VII ed., Milano, 2008; F. Staderini, Diritto degli enti locali, X ed., Padova, 2003; A. D’Atena, Diritto regionale, Torino, 2010.
 
(9) Le problematiche nascono proprio dalle incertezze inerenti la corretta delimitazione tra principi e regole. Ciò è stato evidenziato già in commento alla sentenza n. 303/2003, da, A. Ruggeri, Il parallelismo “redivivo” e la sussidiarietà legislativa (ma non regolamentare…) in una storica (e, però, solo in parte soddisfacente) pronunzia, cit.. In tale scritto l’Autore evidenzia infatti come “ nell'intento di giustificare anche... l'ingiustificabile, la Corte praticamente ci dice che una buona parte delle norme legislative attaccate dalle Regioni sono, appunto, principi e non regole..”. Come si vedrà di seguito, si tratta di una critica che ben si assesta anche al caso in esame.
 
(10) Si legge infatti nel n. 23 dei “Considerando” introduttivi alla direttiva 77/2001/CE che “le modalità di applicazione dovrebbero essere lasciate agli Stati membri in modo che ciascuno di essi possa scegliere il regime più rispondente alla sua particolare situazione. La presente direttiva non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento di obiettivi in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo”. Tale dictum lascia aperta agli Stati la possibilità di modellare le procedure in funzione del raggiungimento degli scopi, senza peraltro poter incidere in senso sfavorevole o negativo, ma solo in senso migliorativo per il richiedente. Dunque la direttiva 2001/77/CE può costituire un parametro interpretativo rilevante, anche se essa si limita ad indicare la tutela minima, lasciando cioè agli Stati membri la valutazione della compatibilità delle procedure autorizzatorie previste per l’installazione degli impianti.
 
(11) Corte costituzionale, n. 119 del 2010, in particolare par. 4 e par.6, nei quali la Consulta evidenzia come le procedure autorizzatorie individuate dalla disciplina statale, sono considerabili quali norme recanti “i principi fondamentali della materia”, insuscettibili, dunque, di essere derogati dalle disposizioni regionali.
 
(12) In tema di misure compensative, si veda, L. Scapillati, Impianti eolici e misure compensative per i Comuni, in Lexitalia.it, n. 7-8/2009, nonché L. Ricci, Procedure autorizzative per la realizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili e pluralità di domande, in Rivista giuridica dell’Ambiente, 2009
 
(13) La sentenza ha infatti dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4, lettera f), della legge 23 agosto 2004, n. 239 limitatamente alle parole «con esclusione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili»; pertanto la possibilità di prevedere misure compensative deve ritenersi ammessa anche in caso di energie rinnovabili. Già in questa pronuncia la Corte individuava i presupposti per l’applicazione delle misure di compensazione, escludendo, in particolare, quelle ad applicazione generalizzata, imposte, cioè, in assenza di specifiche e concrete esigenze ambientali. Per un commento alla sentenza, vedi Q. Camerlengo, Autonomia regionale e uniformità sostenibile, cit..
 
(14)In particolare, la suddetta lettera l) prescrive che alla domanda di autorizzazione sia allegato un atto con il quale il richiedente si impegna, tra l’altro: a) a costituire prima del rilascio della suddetta autorizzazione, una società di scopo con residenza fiscale nel territorio della Regione Calabria; b) a sottoscrivere garanzie fideiussorie; c) a favorire l’imprenditoria calabrese nella fase della realizzazione; d) a facilitare l’assunzione con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato di unità lavorative per la gestione dell’impianto; e) a versare a favore della Regione Calabria la somma di € 0,50 per ogni KW eolico di potenza elettrica nominale autorizzata (€ 1,5 per le altre tipologie) quali oneri per monitoraggio con relativa dotazione di antinfortunistica e per l’accertamento della regolare esecuzione delle opere. La successiva lettera o) stabilisce che il richiedente l’autorizzazione alleghi alla domanda la ricevuta di avvenuto versamento degli oneri istruttori a favore della Regione Calabria pari ad € 100 per ogni MW per il quale si richiede l’autorizzazione, con un minimo di € 300.
 
(15) Tale disposizione così recita: “In attuazione di quanto previsto dall’articolo1, comma 5, della legge 23 agosto 2004, n. 239, al fine di promuovere la riduzione della immissione in atmosfera di sostanze incidenti sulle alterazioni climatiche indotte dalle produzioni industriali, la Giunta regionale è autorizzata a stipulare accordi nei quali, a compensazione di riduzioni programmate delle emissioni da parte degli operatori industriali, sia previsto il rilascio di autorizzazioni per l’installazione e l’esercizio di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili ovvero altre misure di riequilibrio ambientale”.
 
(16) Vedi in particolare, sentenza Corte costituzionale, n. 248 del 2006.
 
(17) Così, sentenza Corte costituzionale, n. 119 del 2010, in particolare par. 2.2.
 
(18) In tema di misure compensative imposte dagli enti locali, varie pronunce tendono ad escludere la potestà dell’ente di imporre la compensazione in via generalizzata, in assenza dei requisiti indicati nella legge n. 239/2004. In particolare, T.A.R. Puglia, Bari, n. 709 del 1 Aprile 2008; T.A.R. Abruzzo, n. 614 del 22 ottobre 2009; T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, 21 maggio 2010, n. 1216. Inoltre, sul divieto per il Comune di stabilire unilateralmente misure di compensazione, si veda anche, T.A.R., Puglia, Lecce, 29 gennaio 2009, n. 118.
 
(19) Tale tesi era già stata sostenuta dal Consiglio di Stato, sez. III, nel parere del 14 ottobre 2008, n. 249, reso anche sulla base delle indicazioni fornite dalla citata sentenza della Corte costituzionale n. 383/2005. In particolare, secondo il Consiglio di Stato, “le misure compensative devono essere concrete e realistiche, cioè determinate tenendo conto delle specifiche caratteristiche del parco eolico e del suo specifico impatto ambientale e territoriale”. Infatti, secondo il citato art. 1, co. 4, lett. f), “ le misure compensative sono solo eventuali, e correlate alla circostanza che esigenze connesse agli indirizzi strategici richiedano concentrazioni territoriali di attività, impianti ed infrastrutture ad elevato impatto territoriale”. Dunque, a parere di tale organo, “non dà luogo a misura compensativa, in modo automatico, la semplice circostanza che venga realizzato un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili, a prescindere da ogni considerazione sulle sue caratteristiche e dimensioni e dal suo impatto sull’ambiente”. E comunque, conclude il Consiglio di Stato, “ tali misure compensative sono di competenza dello Stato o della Regione, in sede di conferenza di servizi, e non possono unilateralmente essere stabilite da un singolo Comune”.
 
(20) Si legge infatti nell’allegato II alle linee guida, che la misura compensativa potrà essere imposta in presenza di determinati criteri:
a) non dà luogo a misure, in modo automatico, la semplice circostanza che venga realizzato un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili, a prescindere da ogni considerazione sulle sue caratteristiche e dimensioni e dal suo impatto sull'ambiente”; b) le "misure di compensazione e di riequilibrio ambientale e territoriale" sono determinate in riferimento a «concentrazioni territoriali di attività, impianti ed infrastrutture ad elevato impatto territoriale», con specifico riguardo alle opere in questione; c) le misure compensative devono essere concrete e realistiche, cioè determinate tenendo conto delle specifiche caratteristiche dell'impianto e del suo specifico impatto ambientale e territoriale; d) secondo l'articolo 1, comma 4, lettera f) della legge 239 del 2004, le misure compensative sono solo "eventuali", e correlate alla circostanza che esigenze connesse agli indirizzi strategici nazionali richiedano concentrazioni territoriali di attività, impianti e infrastrutture ad elevato impatto territoriale; e) possono essere imposte misure compensative di carattere ambientale e territoriale e non meramente patrimoniali o economiche solo se ricorrono tutti i presupposti indicati nel citato articolo l, comma 4, lettera f) della legge 239 del 2004; f) le misure compensative sono definite in sede di conferenza di servizi, sentiti i Comuni interessati, anche sulla base di quanto stabilito da eventuali provvedimenti regionali e non possono unilateralmente essere fissate da un singolo Comune; g) nella definizione delle misure compensative si tiene conto dell'applicazione delle misure di mitigazione in concreto già previste, anche in sede di valutazione di impatto ambientale (qualora sia effettuata).
 
(21) Vedi, Corte costituzionale, 25 ottobre 2006, n. 364, par. n. 3, nel quale il giudice delle leggi ha sancito come il procedimento di cui al d.lgs. n. 387/2003, “deve qualificarsi quale principio fondamentale in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, in quanto tale disposizione risulta ispirata alle regole della semplificazione amministrativa e della celerità garantendo, in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, la conclusione entro un termine definito del procedimento autorizzativo”. Tale assunto è ribadito in varie pronunce tra cui, Corte costituzionale n. 336 e n. 383 del 2005.
 
(22) Vedi, Corte costituzionale, sentenza n. 168/2010, che ha dichiarato l’incostituzionalità della legge Valle d’Aosta, n. 18/2009, che all’art. 6 prevedeva una generalizzata sospensione per le procedure autorizzatorie, in attesa della individuazione dei siti non idonei. Vedi anche la più recente pronuncia, Corte costituzionale n. 192/2011 che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 27 della legge Piemonte n. 18/2010.
 
(23) In particolare, il Consiglio di Stato, sez. V, nella pronuncia del 26 febbraio 2010, n. 1139, dopo aver confermato che la procedura prevista sia tale da porsi quale “principio generale” ispirato a semplicità e celerità, onde garantire il rispetto della normativa comunitaria, ha sancito come “l’autorizzazione unica costituisce anche titolo per la costruzione dell’impianto, e dunque è sostitutiva anche del permesso di costruire”; il Comune, quindi, “può far valere il proprio interesse ad una corretta localizzazione urbanistica del parco eolico, e alla sua conformità edilizia, nell’ambito della conferenza di servizi che precede il rilascio dell’autorizzazione unica”. In senso conforme vedi, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 25 marzo 2010, n. 1652, secondo cui, alla luce dell’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003, ed in conformità a quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 364/2006: "l'indicazione del termine, contenuto nell'art. 12, comma 4, deve qualificarsi quale principio fondamentale in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale di energia, talché l’inerzia mantenuta dalla Regione a fronte di un’istanza di autorizzazione unica per la realizzazione di un impianto fotovoltaico viola la normativa di riferimento, la quale impone invece la definizione del procedimento, mediante adozione di un espresso provvedimento, nel termine di 180 giorni dalla data in cui vi è stata l’attivazione dell’iter”.Inoltre, sull’obbligo di conclusione del procedimento nei termini, mediante adozione di un provvedimento espresso, T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, 21 luglio 2010, n. 1799, per cui, decorso il termine di 180 giorni per la definizione del procedimento previsto dall’art. 12, 4° comma del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, non possono sussistere dubbi in ordine all’obbligo dell’Amministrazione Regionale di concludere, con provvedimento espresso e motivato (art. 2, c. 1, legge n. 241/1990), il procedimento instaurato a seguito dell’istanza tesa ad ottenere l’autorizzazione unica prevista dal menzionato art. 12.
 
(24) Sul punto vedi, A. Cerri, Corso di Giustizia costituzionale, Milano, 1994, pag. 103, F. Modugno, Esistenza della legge incostituzionale ed autonomia del potere esecutivo, in Giur. Cost., 1963, p. 1728; A. Cervati, Gli effetti della sentenza di incostituzionalità sull’atto amministrativo, in Giur. Cost., p. 1963; più di recente sulle varie tesi, F. Caringella, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2007, 1173 e ss..
 
(25) Vedi, ancora, F. Caringella, Manuale di diritto amministrativo, cit..
 
(26) Tale diposizione è stata oggetto di un giudizio innanzi alla Corte costituzionale, che, con sentenza n. 313 dell’11 novembre 2010, ha ritenuto la ragionevolezza del limite temporale previsto dalla norma per l’intervento in sanatoria; solo in tal modo a detta della Corte sarebbe infatti possibile “non pregiudicare i limiti di principio contenuti nella tabella allegata al d.lgs. n. 387 del 2003”.
 
(27) Vedi, Corte costituzionale del 4 giugno 2010, n. 194, che ha giudicato sulla legittimità costituzionale della legge regionale Molise n. 22 del 2009. In particolare la Corte ha censurato l’art. 3, comma I, della citata legge regionale, volta anch’essa a costituire un regime autorizzatorio semplificato, innalzando la soglia nazionale in funzione della quale è sufficiente la denuncia di inizio attività. A detta della Corte la norma è censurabile in quanto crea “una competenza autorizzatoria, a favore dei Comuni, per tipi di impianti caratterizzati da determinate capacità di generazione, derogatoria rispetto all’assetto delineato dal d.lgs. n. 387 del 2003, che all’art. 12 assoggetta la costruzione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili all’autorizzazione unica delle Regioni (o delle Province delegate), e ove la capacità di generazione degli stessi impianti sia inferiore alle soglie individuate dalla tabella A dello stesso d.lgs. n. 387 del 2003, ne subordina la costruzione e l’esercizio alla sola denuncia di inizio attività”. Inoltre, la disposizione è censurata, in quanto (riprendendo le motivazioni addotte nelle sentenze 119 e 124 del 2010) maggiori soglie di capacità di generazione dei siti di installazione, per i quali si proceda con diversa disciplina, “possono essere individuate solo con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con la Conferenza unificata, senza che la Regione possa provvedervi autonomamente”.
 
(28) Sul punto, S. Mangiameli, Le materie di competenza regionale, Milano, 1992, secondo cui, in tema di riparto concorrente delle competenze, la normazione statale nell’individuazione dei principi dovrebbe sottostare a diversi limiti, onde garantire l’intervento regionale successivo. In particolare le norme statali dovrebbero essere, non auto-applicative, non estremamente dettagliate, in modo di premettere delle scelte differenziate a livello regionale, ed in modo di lasciare comunque un discreto margine di discrezionalità politica ai livelli decentrati. La decisione della Corte sembra invece avallare la possibilità per lo Stato, in materia di riparto concorrente, di disciplinare in modo puntuale la materia, senza lasciare margini di scelta alle Regioni, così escludendo ogni possibilità di “differenziazione” a livello territoriale; scelta ingiustificata alla luce della normativa europea, se consideriamo che le disposizioni regionali hanno teso a disporre in modo conforme alla ratio delle direttive, ovvero secondo il favor per la produzione e distribuzione dell’energia elettrica. Si veda, sul punto, anche, A. D’Atena, Materie legislative e tipologia delle competenze, in Quad. Cost., 2003.
 
(29) Si pensi alle recenti modifiche normative in tema di d.i.a. che hanno implementato l’utilizzo dell’istituto, quali la riforma del dictum di cui all’art. 19 della legge n. 241/90 avvenuta per mezzo delle leggi n. 80/2005 e n. 69/2009 che hanno esteso la d.i.a anche per atti abilitativi connotati da discrezionalità tecnica, per le domande di iscrizione agli albi, nonché per le concessioni non costitutive. Si pensi altresì alla “direttiva servizi” 2006/123CE per mezzo della quale nello stesso art. 19, comma 2, della citata legge si leggono ipotesi in cui l’attività possa essere già iniziata a seguito della presentazione della dichiarazione di inizio attività, senza attendere il termine di trenta giorni decorrenti dalla richiesta per poter intraprendere l’attività stessa. L’ulteriore implementazione all’utilizzo dell’istituto è avvenuta per mezzo degli art. 2 e 38 della legge n. 133/2008 in tema, rispettivamente, di comunicazioni elettroniche e di sportello unico per le attività produttive. Inoltre, anche il d.l. n. 40/2010, attuativo della c.d. “direttiva incentivi”, ha di fatto inteso liberalizzare attività edilizie di ristrutturazione per le quali adesso è sufficiente una mera denuncia correlata con una relazione di un esperto, riscrivendo così l’art. 6 del T.U. sull’edilizia, n. 380/2001.
 
(30) Nella citata legge regionale si pongono dei limiti essenzialmente per i siti rete natura 2000 di importanza comunitaria e protezione speciale, ovvero aree protette nazionali e regionali, ovvero ancora aree agricole di particolare pregio indicate anche con delibera consiliare comunale.
 
(31) Per un commento a tale pronuncia vedi, L. Bitto, La Corte boccia le restrizioni regionali alla localizzazione degli impianti da fonti rinnovabili, in Forum di Quaderni Costituzionali, 26 giugno 2009.
 
(32) In particolare vedi, Corte costituzionale, sentenza n. 378/2007, ampiamente commentata; per tutti, A. Roccella, Autonomie speciali e tutela dell’ambiente (nota a Corte cost., 14 novembre 2007, n. 378, con richiamo anche a n. 380 del 2007), in Le Regioni, n. 2/2008. Si vedano anche Corte Cost., n. 214/2008; Corte Cost., n. 232/2008; vedi infine Corte Cost., n. 214/2008.
 
(33) Sul punto, T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I , 24 giugno 2010, n. 2637, che sancisce come, ai sensi dell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, gli impianti eolici possono essere in ogni caso ubicati nelle zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici; stesse conclusioni per T.A.R. Umbria, Perugia, 15 giugno 2007, n. 518, e T.A.R. Abruzzo, Pescara, sez. I, 20 giugno 2009, n. 46. Inoltre, per T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 16 marzo 2010, n. 1479, gli impianti di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile possono legittimamente essere ubicati anche in zone classificate agricole dallo strumento urbanistico vigente nel Comune. A detta di tale organo, “nell’esercizio della propria discrezionalità in materia di governo del territorio i Comuni possono certamente prevedere aree specificamente destinate ad impianti eolici mentre in mancanza di una simile previsione conformativa detti impianti possono essere localizzati, senza distinzioni, in tutte le zone agricole”.
 
(34) Vedi Corte Cost. n. 168/2010 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 della legge Valle d’Aosta n. 18/2009, la quale prevedeva una delega ai Comuni ai fini della compilazione di un elenco nel quale inserire i siti non idonei alla installazione degli impianti. Sulla falsariga di tale pronuncia, vedi anche Corte Cost. n. 192/2011 che ha giudicato sull’art. 27 della legge Piemonte n. 18/2010, che aveva tentato, anche questa, di implementare le competenze regionali ai fini della tutela del paesaggio, mediante la previsione di alcune aree escluse per dalla realizzazione di impianti relativi ad energie rinnovabili.
 
(35) Vedi sentenza Corte Cost. n. 407 del 2002. Sul tema del rilievo ambientale e del bilanciamento con la materia della produzione di energia elettrica, F. Di Dio, Eolico e Regioni: illegittime normative e procedure regionali in assenza di linee guida statali sulla localizzazione degli impianti da fonti rinnovabili, nota a Corte cost. n.166/09, in Rivista giuridica dell’Ambiente, 2009.
 
(36) Corte costituzionale, sentenza n. 407 del 2002, Considerato in diritto n. 3.2.
 
(37)Le linee guida individuano anche le finalità dell’intervento regionale, al punto 17.1. Si legge in tale articolo che questo è “teso alla ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell' ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale che identificano obiettivi di protezione non compatibili con l'insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, i quali determinerebbero, pertanto, una elevata probabilità di esito negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione”.
 
(38) In particolare, il punto 17.3 delle linee guida, prevede che, anche in attesa dell'emanazione del decreto di cui all'articolo 8-bis della legge 27 febbraio 2009, n. 13, le Regioni potranno comunque procedere ad individuare le aree non idonee senza la contestuale programmazione di cui al punto precedente.
 
(39) Proprio tale considerazione ha ispirato anche la previsione contenuta nello stesso allegato, in forza della quale le zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici non possono essere genericamente considerate aree e siti non idonei; con ciò sopendo una disputa che aveva invece visto svariate Regioni (in primis la Puglia) tentare di escludere dal novero delle aree idonee, anche quelle agricole, in via però del tutto generalizzata.
 
(40) Tra queste ricordiamo i siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell'Unesco; zone all'interno di coni visuali la cui immagine è storicizzata e identifica i luoghi anche in termini di notorietà internazionale di attrattività turistica; zone situate in prossimità di parchi archeologici e nelle aree contermini ad emergenze di particolare interesse culturale, storico e/o religioso; le aree naturali protette istituite ai sensi della Legge 394/91 ed inserite nell'Elenco ufficiale delle Aree naturali protette; le aree incluse nella Rete Natura 2000 designate in base alla direttive comunitarie.
 
(41) Interessante analizzare come le Regioni abbiano dato attuazione a tale disposto in via amministrativa. In tal senso la giunta della Regione Puglia ha emanato un regolamento, il n. 195 del 31 dicembre 2010, con il quale ha individuato per ciascuna area protetta i limiti specifici all’installazione degli impianti, distinguendoli in base alla capacità, al regime autorizzatorio, nonché alla fonte energetica. Ne deriva una vera e propria mappatura del territorio sulla base dei requisiti stabiliti dalla normativa statale di riferimento.
 
(42) S. Bartole, Principio di collaborazione e proporzionalità degli interventi statali in ambiti regionali, in Giur. cost., 2003, pp. 259 ss.
 
(43) Vedi, sul punto, A. D'Atena, Sulla pretesa differenza tra intese «deboli» e pareri nei rapporti tra Stato e Regioni, in Giur. cost., 1991, pp. 3908 e ss., e, A. Morrone, La Corte costituzionale e la cooperazione tra Stato e Regione nella fattispecie dell'intesa: analisi critica di un modello contraddittorio, in Riv. giur. amb., 1995, pp. 659 e ss..
 
(44) Queste osservazioni sono riprese da, S. Mangiameli, Il principio cooperativo nel primo e nel secondo regionalismo, cit..
 
(45) Sul punto, vedi ancora, S. Mangiameli, Il principio cooperativo nel primo e nel secondo regionalismo, cit.. Per tale dottrina, al fine di garantire un rafforzamento del regionalismo, “si potrebbe pensare a realizzare una concertazione orizzontale delle Regioni, in grado di determinare, anche per le politiche pubbliche sovraregionali, ma costituzionalmente rientranti nelle materie di competenza regionale, un intervento coordinato delle Regioni che escluda l’assunzione sussidiaria della disciplina della materia regionale, da parte del legislatore statale. Si tratta di un modello di collaborazione ampiamente praticato nel federalismo americano grazie al quale il coordinamento degli stati membri sul codice di commercio ha limitato l’espansione dei poteri della Federazione attraverso la commerce clause”.

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