1. Considerazioni generali

2. Reati contro il patrimonio

2.1. Premessa

2.2. Il reato di circonvenzione di incapaci (art. 643 c.p.)

2.3. Il reato di truffa (art. 640)

3. Reati contro la persona e contro la famiglia

3.1. Premessa

3.2. Abbandono di persone incapaci (art. 591 c.p.)

3.3. Il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.)

3.4. Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina (art. 571 c.p.)

4. Conclusioni

 

1. Considerazioni generali

Le persone anziane, insieme a donne e minori, fanno parte della categoria dei c.d. soggetti deboli, i quali proprio in ragione della loro maggiore vulnerabilità necessitano di una più pregnante tutela. Tuttavia, il riconoscimento di un vero e proprio diritto degli anziani, a differenza di donne e minori, si è avuto solo in tempi recenti. Si è, infatti, dovuto attendere il 2000, anno in cui è stato solennemente proclamato il testo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, la quale prevede espressamente per la prima volta, all’art. 25, il «diritto degli anziani di condurre una vita dignitosa e indipendente e di partecipare alla vita sociale e culturale»[1]. Ciò nonostante il fenomeno dell’abuso nei confronti delle persone anziane, come si avrà modo di vedere, è sempre più diffuso. Il legislatore nazionale, per la particolare riprovevolezza dei reati che vengono commessi nei confronti di tali soggetti, è intervenuto, sebbene parzialmente, a punire le condotte che più specificamente riguardano o possono rivolgersi contro i soggetti anziani, nonché a modellare in senso più severo la punibilità dei reati quando commessi nei confronti di tale categoria di persone.

Il lavoro, pertanto, intende fornire un quadro delle singole fattispecie di reato che maggiormente ricorrono nei confronti dei soggetti anziani attraverso un’analisi della giurisprudenza penale riferita all’arco temporale che va dal 2006 al 2016. L’analisi è stata svolta complessivamente su 118 sentenze, delle quali 105 dei giudici di legittimità e 12 emanate dai giudici di merito.

La ricerca ha preso in considerazione in primo luogo i reati di cui agli artt. 591, comma 1, e 593, comma 1, c.p., nonché alle aggravanti previste dall’art. 61, comma 1, nn. 5 e 11, c.p.; in secondo luogo, si è più in generale tenuto in considerazione, nell’analisi di singole fattispecie di reato, il riferimento all’età senile della vittima.

In relazione agli artt. 591 e 593 c.p., concernenti rispettivamente il reato di abbandono di persone minori e incapaci e il reato di omissione di soccorso, infatti, la lettera della norma si riferisce espressamente, oltre che ai minori, ai soggetti incapaci di provvedere a se stessi «per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa». Si tratta in entrambi i casi, dunque, di previsioni volte a tutelare i beni della vita e dell’incolumità individuale, nel primo caso connessa con l'osservanza di obblighi umani e assistenziali, nel secondo con i doveri di solidarietà sociale.

Nelle sentenze analizzate e, come si è detto, relative all’arco temporale che va dal 2006 al 2016, il reato di cui all’art. 591 c.p. ricorre in otto sentenze, delle quali tre volte in concorso con il reato di maltrattamenti di cui all’art. 572 c.p., due volte con quello di sequestro di persona, ex art. 605 c.p. Il reato di omissione di soccorso di cui al succitato art. 593 c.p., invece, è stato oggetto di una sola delle 118 pronunce suddette.

Con riguardo al secondo e più generale parametro di ricerca utilizzato, dall’analisi delle sentenze è emerso che nella maggior parte delle ipotesi in cui sono coinvolti soggetti anziani ci si trova innanzi a delitti contro il patrimonio, con particolare riferimento ai reati di: circonvenzione di persone incapaci, (art. 643 c.p.), truffa (art. 640 c.p.), rapina (art. 628 c.p.) e, infine, furto (art. 624 c.p.). In alcuni casi, tali reati concorrono altresì con i delitti contro la persona, quali il reato di omicidio (art. 575 c.p.), di sequestro di persona (art. 605 c.p.) e di lesioni (art. 582 c.p.). 

Da ultimo vi sono i delitti contro la persona, quali il reato di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) e di abuso di mezzi di correzione e disciplina (art. 571 c.p.), con i quali concorre la maggior parte delle volte il reato di abbandono di persone minori e incapaci, di cui al citato art. 591 c.p.

L’art. 61, comma 1, n. 5 e 11, c.p., come accennato, identifica due circostanze aggravanti comuni, consistenti, rispettivamente, nell’aver «profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all'età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa» e nell’aver «commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni di ufficio, di prestazione d'opera, di coabitazione, o di ospitalità». La prima di tali circostanze si rinviene in 44 sentenze, mentre la seconda solo in 5.

Di particolare rilevanza in questo contesto risulta la previsione del succitato articolo 61, comma 1, n. 5,  c.p.,  infatti  l’art.  1, comma  7,  della  Legge  15  luglio  2009,  n.  94,  recante “Disposizioni  in materia  di  sicurezza  pubblica”,  ha  modificato  la  circostanza  comune  della  c.d.  minorata  difesa, riferendola  espressamente  sia  all’età  infantile  che  senile  della  vittima,  con  l’intento  di  tutelare  le persone anziane contro i pericoli dello sfruttamento, a fini illeciti, della loro età. Riguardo a tale aggravante, l’orientamento più risalente della giurisprudenza di legittimità escludeva che l'età avanzata potesse essere sufficiente ai fini della configurabilità dell'aggravante, ritenendo fosse necessario che la capacità di percezione e reazione della condotta antigiuridica da parte della vittima anziana dovesse risultare in concreto menomata[2]. La giurisprudenza più recente, invece, ritiene che l’età della vittima sia di per sé sufficiente a far scattare l’aggravante della minorata difesa, in quanto fondata su un mero dato anagrafico. Secondo tale orientamento, quindi, non risulterebbe necessario alcun accertamento del concreto indebolimento delle facoltà mentali o di ulteriori condizioni personali dovuti all’età senile della vittima, né la verifica di un’effettiva situazione di approfittamento da parte dell’agente[3]. Inoltre, va da ultimo rilevato che, nei casi in cui ricorra l’aggravante di cui al succitato art. 61, comma 1, n. 5, non possa applicarsi l’ipotesi di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis, comma 2, c.p., e, altresì, che, all’art. 640, comma 2 bis, c.p., è stata prevista una fattispecie penale autonoma del reato di truffa.

I dati raccolti, infine, hanno evidenziato una maggiore concentrazione del contenzioso tra gli anni 2014 e 2015, mentre lo stesso appare residuale negli anni 2006 e 2007. Particolare interesse presenta l’anno 2015, durante il quale è stato emesso un numero di sentenze pari al 25% del totale di quelle esaminate. Con riferimento agli ambiti territoriali, invece, le Regioni in cui si è riscontrato un numero più elevato di procedimenti penali inerenti ai reati presi in considerazione sono la Calabria, la Liguria e l’Umbria; quelle in cui i valori risultano più bassi sono la Toscana, la Campania, il Veneto e la Sardegna; mentre risultano inesistenti in Valle D’Aosta e Basilicata[4].

 

2. Reati contro il patrimonio

2.1. Premessa

La maggior parte dei reati a danno di anziani, come accennato, vengono compiuti mediante frode, in modo tale da sfruttare lo stato d’inferiorità ovvero le condizioni di debolezza del soggetto passivo e conseguire un ingiusto profitto. Infatti, nelle 118 sentenze analizzate, i delitti che ricorrono più frequentemente sono il reato di circonvenzione di incapaci e quello di truffa.

 

2.2. Il reato di circonvenzione di incapaci (art. 643 c.p.)

Il reato di circonvenzione di incapaci ricorre quando «taluno per procurare a sé o ad altri un profitto, abusando dei bisogni, delle passioni o della inesperienza di una persona minore, ovvero abusando dello stato di infermità o deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata, la induce a compiere un atto, che importi qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso» (art. 643 c.p.).

Il motivo per cui la vecchiaia sia tra le situazioni maggiormente esposte al reato di circonvenzione potrebbe rinvenirsi nel fatto che tale condotta antigiuridica rientra nella categoria dei reati per la cui configurabilità è necessaria la sussistenza di un determinato status di inferiorità della vittima rispetto alla normalità. I soggetti passivi del delitto in questione si identificano, infatti, in relazione alla particolare situazione soggettiva in cui si trovano, la quale costituisce il presupposto della condotta criminosa.

Secondo la lettera della norma, dunque, il reato di circonvenzione di incapace può essere commesso esclusivamente nei confronti di minori, infermi e soggetti affetti da deficienza psichica. Con riferimento alle nozioni di infermità e deficienza psichica, secondo l’orientamento granitico della giurisprudenza, il concetto di incapacità risulta molto ampio, comprendendo non solo coloro che sono affetti da una vera e propria malattia mentale, ma chiunque risulti colpito da una menomazione, anche temporanea, delle facoltà di discernimento o di autodeterminazione[5]. In tal senso, quindi, l’incapacità della vittima può essere dovuta non solo da cause patologiche o da anomalie psichiche, ma anche fisiche, come ad esempio uno stato di decadimento senile[6].

In medicina legale si sostiene che la nozione di deficienza psichica debba essere ancorata, oltre che ad un’asserita menomazione mentale, altresì ad un complesso di condizioni che agiscono in modo sinergico[7], tra le quali la relazione tra la vittima e l’autore del reato e le componenti affettivo – pulsionali sottese a tale rapporto. Alcuni autori rilevano, infatti, come nella terza età l’affettività  è sempre più auto – centrata e auto - referenziale, per cui si accompagna ad una accentuata attenzione ai bisogni personali, con una conseguente minore capacità discriminativa di chi li soddisfa[8].

Tuttavia, l’età avanzata non integra di per sé uno stato di deficienza psichica, occorrendo volta per volta verificare se il soggetto sia affetto da un indebolimento mentale[9]; la valutazione della prova dell'induzione, invece, secondo la giurisprudenza di legittimità non richiede necessariamente la dimostrazione di episodi specifici, ma può risultare altresì da elementi indiretti e indiziari, purché «gravi, precisi e concordanti, come la natura degli atti compiuti e l'incontestabile pregiudizio da essi derivato»[10].

La giurisprudenza ha ritenuto che rileva ai fini della sussistenza della condizione d’incapacità «la fragilità e la debolezza di carattere»[11]; «un inizio di demenza senile accompagnata da encefalopatia degenerativa»[12]; «la condizione psichica di un soggetto ultraottantenne, affetto, da svariati anni, da sindrome ansioso –depressiva, che nutriva nei confronti della pronipote (molto più giovane di lui) un trasporto affettivo ed amoroso che si risolveva in una costante ed ossessiva angoscia di perdita, ed in una gelosia patologica»[13]; «la condizione di un’anziana signora, affetta da epatopatia cronica, comportante momenti di scarsa lucidità e stato di torpore»[14]; «la passione morbosa che una donna di età avanzata nutriva per l’agente (assai più giovane), commista ad una costante esaltazione mistico - sentimentale»[15]; «l’età avanzata del soggetto passivo, che sebbene – ove isolatamente considerata – possa non essere elemento idoneo a dimostrare la deficienza psichica agli effetti del delitto in parola, però neppure può essere trascurata ove sia di gran lunga superiore alla media della vita ed abbia messo in luce imponenti manifestazioni di decadimento mentale»[16].

Il delitto si caratterizza, altresì, per la compartecipazione del soggetto passivo. Ai fini della sussistenza del reato, infatti, è necessario che la condizione d’incapacità della vittima sia rilevabile oggettivamente e riconoscibile soprattutto dall’autore del reato[17], poiché la condotta materiale dell’agente deve consistere nel volontario e consapevole sfruttamento o abuso di tale condizione di debolezza al fine di indurre il soggetto passivo, attraverso pressioni morali[18], nonché semplici richieste[19], a prestare consenso per il compimento di un atto pregiudizievole che una persona di media capacità critica non avrebbe dato[20].

La ratio dell’incriminazione, quindi, è da rintracciarsi nella tutela di una particolare categoria di soggetti che si trovano in una condizione di inferiorità psichica tale da ridurre i poteri di critica e difesa contro le altrui insidie e li rende facili prede dell’altrui suggestione[21].

Nonostante venga qualificato come reato di tipo “comune”, potendo essere commesso da “chiunque”, il reato è generalmente realizzabile da chi ha la possibilità di approfittare della condizione di debolezza della vittima in quanto in posizione di vantaggio rispetto alla stessa[22]. Si crea in tal modo un rapporto asimmetrico tra il reo e la vittima che accentua il disvalore del reato.

Se si passa all’esame dell’aggravante di cui all’art. 61, n. 5, c.p., che può ricorrere per il reato in esame, la dottrina ha da sempre palesato dubbi in merito alla sua applicazione, ciò in quanto tale ipotesi circostanziale sembrerebbe ricalcare il modello di aggressione previsto nel reato di circonvenzione[23]. La giurisprudenza, in passato, aveva rilevato la differenza tra la “minorata difesa” e lo stato di minorazione dell’incapace, argomentando che per configurare l’aggravante è sufficiente che la difesa sia semplicemente ostacolata per condizioni di tempo o di luogo, oppure perché si tratta di persona debole o incapace di difendersi, laddove, per aversi circonvenzione, è invece richiesta la sussistenza di un’effettiva minorazione delle facoltà intellettive o volitive che, indebolendo il potere di critica, facilita la suggestionabilità del minorato[24]. Tuttavia, a seguito della modifica di tale circostanza comune, avvenuta con la ricordata legge 15 luglio 2009, n. 94, non vi è stata alcuna pronuncia in merito.

Si è notato, invece, che ricorre più volte, in tema di circonvenzione di incapaci, la circostanza aggravante di cui all’art. 61, n. 11, c.p., consistente nell’aver «commesso il fatto con l’abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni di ufficio, di prestazione d'opera, di coabitazione, o di ospitalità». Il reo, legato alla vittima da un rapporto obbligatorio di "facere", abusa della sua relazione fiduciaria per essere agevolato nella commissione del delitto di circonvenzione[25]. Emerge, quindi, che, nella maggior parte dei casi, l’agente del reato di circonvenzione di incapaci è colui che spesso è ritenuto un soggetto affidabile e sicuro, legato all’anziano da legami di parentela o che si occupa dell’assistenza e/o cura della vittima[26], che frequenta abitualmente l'abitazione del soggetto passivo[27], ma che allo stesso tempo si approfitta della condizione di dipendenza fisica e affettiva del soggetto anziano per porre in essere la condotta fraudolenta.

 

2.3. Il reato di truffa (art. 640)

Il mero sfruttamento e la strumentalizzazione da parte del reo del soggetto passivo differenzia il reato di circonvenzione di incapaci, di cui si è appena trattato, da quello di truffa, di cui all’art. 640 c.p., il quale postula l’uso di artifici o raggiri per indurre in errore il circonvenuto al fine di conseguire un ingiusto profitto[28]. Infatti, la principale differenza tra i due tipi di delitto, entrambi di “frode”, si rinviene nel fatto che nella truffa l’elemento costitutivo del reato è rappresentato dalla condotta fraudolenta dell’agente mentre, nella circonvenzione di incapace, la frode sarebbe presunta dal legislatore in quanto la condotta dell’agente, come accennato, è rappresentata dall’abuso dello stato d’incapacità del minorato. Quindi, nel reato in esame manca la situazione che vede la condizione di normalità dell’agente contrapposta a quella di debolezza della vittima, poiché la formazione di volontà di quest’ultima, nella truffa, è dovuta all’inganno mentre, nel reato di circonvenzione di incapace, alla pressione morale esercitata dall’agente sulla psiche del soggetto passivo. In entrambi i reati vi è la cooperazione artificiosa della vittima ma, nella truffa, attraverso l’opera di inganno, l’agente carpisce la buona fede del soggetto passivo e lo induce in tal modo a compiere un atto dispositivo per esso lesivo.

Le nozioni di artifizi e raggiri sono state oggetto di un quadro esegetico piuttosto articolato sia in dottrina che in giurisprudenza. Per ciò che rileva ai fini della presente ricerca, la giurisprudenza si divide sul tema.

Un primo orientamento annovera tra gli artifizi e raggiri solo quelle condotte dotate di un grado di incisività e pericolosità tali da indurre la vittima a compiere un atto di disposizione patrimoniale sfavorevole per sé stessa e favorevole per il reo. La valutazione sulla legittimità dell’affidamento della vittima rispetto alla credibilità dell’agente deve compiersi ex ante al fine di verificare se l’errore era inevitabile ovvero se si sarebbe dovuta pretendere maggiore prudenza da parte del soggetto passivo in modo da evitare il verificarsi dell’evento dannoso[29].

Il secondo orientamento, che è altresì quello prevalente, ritiene, invece, che la valutazione dell’induzione in errore debba farsi ex post, in quanto qualsiasi comportamento ingannatorio, a prescindere dall’imprudenza, credulità e leggerezza della vittima, non vale ad escludere l’idoneità della condotta a porre in essere il reato di truffa quando l’artificio o il raggiro posto in essere dall'agente abbia in concreto indotto in errore la parte offesa[30]. In tal caso è sufficiente solo che sia ravvisabile un nesso eziologico tra il comportamento fraudolento posto in essere dall’agente e l’errore della vittima, con la conseguenza che, anche nelle ipotesi di manifesta grossolanità dell’inganno, il successo del realizzarsi dell’evento criminoso non può essere escluso qualora si tratti di persona particolarmente vulnerabile. Infatti, qualora la persona offesa sia un soggetto anziano la mancanza di diligenza da parte della stessa o la facilità con cui l’agente riesce a carpire la sua fiducia può essere dovuta, per via dell’età, ad una maggiore credulità e fragilità della vittima rispetto alla normalità.

Proprio in ragione dell’emersione di nuove esigenze di tutela si è assistito ad una dilatazione applicativa della fattispecie tipica di truffa e, in particolare, la più volte ricordata legge 15 luglio 2009, n. 94, con l’art. 3, comma 28, ha introdotto una nuova fattispecie, nelle ipotesi in cui il reato di truffa venga commesso ai danni di anziani e minori. Infatti, al ricorrere di tali ipotesi, la disposizione dell’art. 640, comma 2, n. 2 bis, c.p., richiama il succitato articolo 61, comma 1, n. 5, c.p., disciplinante la circostanza aggravante della “minorata difesa”[31]. Secondo la giurisprudenza, la ratio della modifica normativa è «finalizzata a tutelare le "persone anziane" contro i pericoli dello sfruttamento a fini illeciti di tale condizione»; quindi, occorre valutare, di volta in volta, «se si sia in presenza di una complessiva situazione di approfittamento della particolare vulnerabilità emotiva e psicologica propria dell'età senile»[32].

Dunque, come già accennato in premessa, se precedentemente alla modifica legislativa la giurisprudenza di legittimità riteneva che l'età della persona offesa non poteva essere considerata elemento da solo sufficiente ad integrare l'aggravante in esame «dovendo, piuttosto, questa accompagnarsi a fenomeni di decadimento, o comunque, di indebolimento delle facoltà mentali (o ad ulteriori condizioni personali, quali il basso livello culturale), che determinano un diminuito apprezzamento critico della realtà e una menomata capacità di reazione e di contrasto dell'azione antigiuridica»[33], con la modifica testuale dell’art. 61, comma 1, n. 5, c.p., sono state superate le precedenti dispute giurisprudenziali in materia e si è consolidato il principio di diritto secondo cui «in tema di minorata difesa, la circostanza aggravante di aver approfittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona tali da ostacolare la pubblica o privata difesa, deve essere specificamente valutata anche in riferimento all'età senile e alla debolezza fisica della persona offesa, avendo voluto il legislatore assegnare rilevanza ad una serie di situazioni che denotano nel soggetto passivo una particolare vulnerabilità della quale l'agente trae consapevolmente vantaggio»[34].

Inoltre, i giudici della Suprema Corte hanno chiarito come «ai fini della ravvisabilità dell'aggravante de qua non è richiesto che la difesa sia quasi o del tutto impossibile, ma è sufficiente che essa sia semplicemente ostacolata: la debolezza fisica dovuta all'età senile costituisce una minorazione delle capacità difensive del soggetto che impedisce il tentativo di reazione possibile a una persona giovane e di ordinaria prestanza fisica, particolarmente quando l'azione non venga esercitata con uso di arma o altro mezzo intimidatorio, ma sfruttando una minore capacità di reazione anche di tipo mentale e soprattutto quando risulti che la vittima del reato è stata scelta dall'agente proprio in considerazione dell'avanzata età»[35].

Ne deriva, allora, che, per l’applicazione della fattispecie penale autonoma del reato di truffa, di cui all’art. 640, comma 2, n. 2 bis, non è necessario che l’agente abbia ricercato condizioni oggettivamente utili e favorevoli, quale, appunto, l'età avanzata della persona offesa, per poter essere agevolato nella commissione del reato, ma è solo sufficiente che abbia consapevolmente approfittato di tali condizioni[36].

 

3. Reati contro la persona e contro la famiglia

3.1. Premessa

L’altra categoria di delitti estremamente diffusi nei confronti di soggetti anziani sono il reato di abbandono di persone incapaci, ex art. 591 c.p., di maltrattamenti in famiglia, di cui all’art. 572, c.p., e di abuso di mezzi di correzione e di disciplina, ex art. 571 c.p.

Molti reati in cui le vittime sono persone anziane vengono commessi da persone che hanno un legame affettivo ovvero doveri di cura e custodia nei confronti dei soggetti passivi. Infatti, i reati in esame sono reati “propri”, tali delitti sono caratterizzati dal fatto che l’agente non può essere un soggetto “generico”, ossia una qualsiasi persona che si trovi per caso fortuito a diretto contatto con la vittima, ma per la loro configurabilità è necessario che il soggetto attivo assuma una particolare qualifica soggettiva.

Nell’art. 591 c.p. la condotta criminosa è realizzata dal soggetto sul quale incombe il dovere giuridico di «custodia» o di «cura» dell’incapace, mentre nella prima parte del comma 1 dell’art. 572 c.p. da colui che ha legami familiari o rapporti di convivenza con il soggetto passivo. Da ultimo, nell’art. 571 e nella seconda parte del comma 1 dell’art. 572 c.p., l’agente del reato è legato alla vittima in quanto la stessa è «sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l'esercizio di una professione o di un'arte».

 

3.2. Abbandono di persone incapaci (art. 591 c.p.)

Nel reato di abbandono di persone incapaci il reo è legato alla vittima da un rapporto di protezione e non è tenuto al mero rispetto di un obbligo legale di assistenza, come quello stabilito all'art. 570 c.p. disciplinante la violazione degli obblighi di assistenza familiare, bensì ad un dovere di cura e custodia. Pertanto, la norma dell'art. 591 c.p. punisce l’inadempimento di tale dovere causato da qualsiasi condotta dalla quale derivi una situazione di pericolo, di cui l’agente abbia l'esatta percezione, per l'incolumità della persona incapace[37]. Infatti, tale previsione , tutelando il valore etico-sociale della sicurezza della persona, impone la piena attivazione del titolare dell'obbligo giuridico a protezione del bene garantito anche in situazione di pericolo solo potenziale ovvero relativa o parziale.

Dalle sentenze analizzate è emerso che configura il reato di cui all'art. 591 c.p. anche la condotta dei responsabili dell'assistenza di soggetti ricoverati presso una casa di cura e di riposo privata i quali non pongono rimedio alla evidente insufficienza e inadeguatezza delle strutture assistenziali[38]. Inoltre, il reato di abbandono di persone minori o incapaci, avendo natura permanente, si protrae fino a quando i rei non facciano cessare le situazioni che non consentono un'assistenza o cura adeguata o fin tanto che tali situazioni non cessino per intervento esterno[39].

Per la configurazione di tale reato vale lo stesso discorso svolto con riferimento al delitto di circonvenzione di incapaci sulla necessaria appartenenza della vittima ad una determinata categoria di soggetti in stato di inferiorità psichico-fisico. Si tratta di soggetti che non sono in grado di provvedere a sé stessi, nella specie a causa della vecchiaia, e per tale motivo necessitano di cura e custodia da parte di una persona determinata.

Il motivo della ricorrenza di tale reato nei confronti di persone anziane può rinvenirsi nel fatto che l’avanzare dell’età rende i soggetti più deboli e vulnerabili sia da un punto di vista fisico che psichico. La vecchiaia, infatti, anche se non è una condizione patologica ma fisiologica, può rappresentare una possibile causa di inettitudine fisica o mentale all'autodeterminazione del soggetto anziano nonché alla capacità di provvedere a sé stessi.

Tuttavia, è necessaria una verifica concreta per stabilire l’effettiva sussistenza, nei soggetti anziani, di una condizione di incapacità dovuta alla vecchiaia, a differenza dei minori quattordicenni per cui vi è una presunzione iuris et de iure[40]. In tal senso, la valutazione è piuttosto difficoltosa, atteso che anche legislativamente non è fissato un limite di età oltre la quale una persona può considerarsi “vecchia” ai fini dell’art. 591 c.p.[41]. La giurisprudenza, infatti, ha stabilito che ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 591, primo comma, c.p., la vecchiaia non può essere intesa come condizione determinante una presunzione assoluta d'incapacità di provvedere a sé stessi, dovendosi invece accertare, di volta in volta, se essa sia concretamente causa di pericolo per l'incolumità dell'anziano, sì da dar luogo all'altrui dovere di assumere le opportune iniziative volte ad ovviare al suddetto pericolo[42].

L’inciso “cura” e “custodia” che si rinviene nella lettera della norma non deve far ritenere che il rapporto di protezione che lega il reo alla vittima valga unicamente ad identificare un rapporto obbligatorio legalmente costituito in ragione di un servizio prestato. Ma la stessa giurisprudenza distingue i due concetti ricollegando la relazione di cura ad un dovere che può scaturire solo da una valida fonte giuridica, quale la legge o un contratto, mentre «la relazione di custodia potrà sorgere non solo per l'adempimento di un obbligo giuridico formale, ma anche per spontanea assunzione da parte del soggetto agente o per effetto di una mera situazione di fatto tale per cui il soggetto passivo sia entrato nella sfera di controllo e di disponibilità del soggetto attivo».

In tale ultimo caso si avrà un obbligo di sorveglianza diretta ed immediata riferibile prevalentemente a soggetti minori d'età ovvero agli anziani non autosufficienti[43]. La Corte ha, infatti, dichiarato la responsabilità penale in capo al figlio che non si prende cura di un genitore, nonostante quest’ultimo non sia affidato alla sua custodia, rammentando come ai membri della famiglia spetta un dovere morale di cura, oltre che giuridico, ravvisabile nelle «norme di livello costituzionale riguardanti il riconoscimento della famiglia come società naturale (art. 29 Cost.), il suo inquadramento tra le formazioni sociali ove si svolge la personalità dei singoli e l'adempimento dei doveri di solidarietà sociale (art. 3 Cost.), nonché di quelle del codice civile che impongono il dovere di rispetto dei figli verso i genitori, che diventa concretamente stringente in caso di stato di bisogno ed incapacità del singolo a provvedere al proprio mantenimento (art. 433 c.c.)»[44]. Non solo, l’obbligo di solidarietà nell’ordinamento italiano è talmente pregnante che la stessa lettera del quarto comma dell’art. 591 c.p. prevede un aumento della pena edittale qualora il fatto venga commesso «dal genitore, dal figlio, dal tutore o dal coniuge, ovvero dall'adottante o dall'adottato».

Tuttavia, è paradossale vedere come una netta preponderanza dei reati commessi contro gli anziani sono riferibili altresì alla fattispecie prevista all’art. 572 c.p., disciplinante il reato di maltrattamenti in famiglia, di cui al paragrafo successivo. Molte volte tale reato concorre con quello di abbandono di persone minori o incapaci, di cui si è appena trattato, ciò è possibile in quanto «le relative fattispecie incriminatrici sono poste a tutela di beni diversi (…)ma sono anche caratterizzate da condotte diverse»[45].

Qquindi, non solo gli anziani spesso vengono abbandonati a sé stessi ed esposti a situazioni di pericolo, a cagione delle loro condizioni fisiologiche, ma sono altresì vittime di programmatici e continui maltrattamenti psico-fisici da parte di persone di famiglia e conviventi[46] ovvero di dipendenti delle strutture residenziali nelle quali tali soggetti vengono ospitati o ricoverati[47].

Dalle sentenze analizzate è emerso che, nella maggior parte delle ipotesi in cui il reato in esame viene commesso dai figli della vittima, i rei soffrono di instabilità psichica dovuta ad assunzione e dipendenza da sostanze psicotrope ovvero sono spinti alla commissione degli atti criminosi per interessi di tipo patrimoniale[48].

 

3.3. Il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.)

Il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi è disciplinato all’art. 572, c.p., che dispone che è colpevole di tale delitto chi «maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte».

Il delitto in questione viene realizzato attraverso comportamenti vessatori continui che costituiscono fonte di un disagio continuo ed incompatibile con normali condizioni di vita e tali da rendere abitualmente dolorose e mortificanti le relazioni tra il soggetto attivo e le vittime.

Tali comportamenti possono consistere in fatti lesivi dell’integrità fisica quali percosse, lesioni, ingiurie, minacce e privazioni imposte alla vittima, ma anche in atti o parole di scherno, disprezzo, umiliazione, di asservimento e di vilipendio idonei a cagionare durevoli sofferenze morali che determinano uno stato di avvilimento e che offendono il decoro e la dignità della persona, ovvero, altresì, con violenze capaci di produrre sensazioni dolorose ancorché tali da non lasciare traccia.

Tuttavia, i giudici di legittimità, pronunciandosi in tema di maltrattamenti di persone affidate ad una pubblica struttura di assistenza e cura per persone anziane (o minori o minorate o comunque bisognose di aiuto), hanno stabilito che il delitto di maltrattamenti previsto dall'art. 572 c.p. può essere realizzato anche mediante condotte omissive, individuabili nel deliberato astenersi, da parte dei responsabili, dall'impedire che persone non autorizzate realizzino condotte illegittime integranti l'elemento oggettivo del reato. Infatti, in tale situazione, la violazione del dovere funzionale, di natura pubblicistica, di cui sono onerati tali soggetti integra la fattispecie legale dell’art. 40 c.p. secondo la quale non impedire il verificarsi di un evento che si ha il dovere giuridico di impedire equivale a cagionarlo[49]. Non solo, la Corte di legittimità ha altresì stabilito che lo stato di sofferenza e di umiliazione delle vittime può derivare anche da un clima generalmente instaurato all'interno di una comunità in conseguenza di atti di sopraffazione indistintamente e variamente commessi a carico delle persone sottoposte al potere dei soggetti attivi, a prescindere dall'entità numerica degli atti vessatori e dalla loro riferibilità ad uno qualsiasi dei soggetti passivi[50].

Nel reato in esame l'oggetto giuridico non è costituito solo dall'interesse dello Stato alla salvaguardia della famiglia da comportamenti vessatori e violenti, ma anche dalla difesa dell'incolumità fisica e psichica delle persone indicate nella norma, interessate al rispetto della loro personalità nello svolgimento di un rapporto fondato su vincoli familiari. Infatti, l’elemento psicologico del reo consiste nella coscienza e volontà di sottoporre il soggetto passivo ad una serie di sofferenze fisiche o morali in modo continuo e abituale attraverso una condotta oppressiva e prevaricatoria idonea ad imporre un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile, tale da avvilire la sua personalità[51]. Tale finalità risulta facilmente perseguibile in presenza di anziani, in quanto soggetti indifesi e maggiormente vulnerabili, sia fisicamente che a livello psichico.

 

3.4. Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina (art. 571 c.p.)

Un’ulteriore reato contro la persona rinvenuto nelle sentenze analizzate è rappresentato dall’abuso dei mezzi di correzione o di disciplina[52], di cui all'art. 571 c.p. Tale delitto si verifica più raramente nei confronti dei soggetti anziani poiché si rivolge prettamente a minori, minorati e dipendenti.

In ogni caso, l’articolo in questione riproduce la previsione della seconda parte del delitto di maltrattamenti in famiglia, ex art. 572 c.p., e dispone, infatti, che è punito, qualora «dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente», colui che «abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte».

La differenza tra i due delitti consiste nel fatto che nel reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, di cui all'art. 571 c.p., il reo agisce attraverso un uso distorto e eccessivo di mezzi aventi funzione educativa che sarebbero di per sé leciti mentre nel successivo art. 572 c.p. relativo ai maltrattamenti in famiglia l’agente ricorre ad una condotta (maltrattamenti) meramente illecita[53].

La nozione di malattia usata dalla lettera dell’art. 571 c.p., la cui provocazione determina la rilevanza penale della condotta, è molto ampia, atteso che non deve essere necessariamente accertata attraverso una perizia medico-legale, ma può essere desunta anche dalla natura stessa dell’abuso. In tal modo tale concetto potrebbe ricomprendere qualsiasi conseguenza rilevante sulla salute psichica del soggetto passivo, dallo stato d’ansia all’insonnia, dalla depressione ai disturbi del carattere e del comportamento[54]. La maggiore vulnerabilità dei soggetti anziani ancora una volta potrebbe renderli facilmente assoggettabili, in caso di abuso, al pericolo di una malattia di mente come intesa dalla previsione di cui all’art. 571 c.p.

 

4. Conclusioni

Come si è visto, nel corso degli anni si è assistito ad un interesse sempre più crescente e ad una maggiore sensibilità in tema di tutela dei soggetti “deboli” da parte dei giudici.

Anche il legislatore nazionale ha mostrato una maggiore attenzione in materia, come dimostrato dalla più volte citata legge 15 luglio 2009, n. 94. Sino a tale innovazione legislativa, i soggetti anziani ritrovavano unicamente nella fattispecie della circonvenzione di incapaci una salvaguardia da coloro che si approfittavano dell’età avanzata per poter conseguire facilmente un profitto. L’introduzione dell’aggravante anche in relazione all’età dei soggetti passivi ha reso la tutela delle vittime anziane più pregnante; prova di ciò, come si è potuto vedere, è data dall’interpretazione della norma da parte della giurisprudenza in modo tendenzialmente estensivo.

La maggiore attenzione alle vittime deboli del reato è dovuta ai vari atti normativi emanati dagli organismi europei e concernenti la tutela della vittima del reato, quelli di carattere generale ma soprattutto quelli concernenti specifici reati commessi nei confronti di soggetti maggiormente vulnerabili. In ambito europeo, infatti, nel tempo si è affermata una vera e propria politica di protezione della vittima del reato[55].

Nonostante tali atti interessino soprattutto la tutela dei diritti della persona offesa nell’ambito del processo penale, incidendo sulle misure cautelari, sulle norme che regolano l’incidente probatorio e su quelle concernenti l’esame testimoniale, gli stessi hanno comunque svolto un importante ruolo di sollecitazione nei confronti dei legislatori nazionali ad interessarsi alla condizione particolare della vittima del reato soprattutto nel caso di soggetti particolarmente vulnerabili e quindi bisognosi di una specifica protezione e assistenza.

Viene in rilievo, in particolare, la direttiva 2012/29/UE, che ha una portata piuttosto ampia, applicandosi a tutte le ipotesi di reato e prevedendo che gli istituti di tutela vengano parametrati sulla condizione personale della vittima. Il d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212, con cui si è data attuazione alla direttiva, ha introdotto nel nostro ordinamento, con l’art. 1, comma 1, l’art. 90 quater, c.p.p., in conformità ai principi europei, la definizione di “condizione di particolare vulnerabilità”, la quale «è desunta, oltre che dall’età e dallo stato di infermità o di deficienza psichica, dal tipo di reato, dalle modalità e circostanze del fatto per cui si procede. Per la valutazione della condizione si tiene conto se il fatto risulta commesso con violenza alla persona o con odio razziale, se è riconducibile ad ambiti di criminalità organizzata o di terrorismo, anche internazionale, o di tratta degli esseri umani, se si caratterizza per finalità di discriminazione, e se la persona offesa è affettivamente, psicologicamente o economicamente dipendente dall’autore del reato».

Va considerato, da ultimo, che l’abuso dell’anziano spesso non è riscontrato e rilevato. Con riferimento ai delitti che si consumano nelle strutture residenziali di assistenza e di cura, infatti, vi è la possibilità che molti fatti non vengano denunciati da parte dei soggetti anziani per vergogna o timore ovvero perché l’anziano stesso è incapace di segnalare quanto gli succede a causa del suo deterioramento mentale. Ciò può accadere anche nel caso in cui gli abusi avvengano negli ambienti domestici; in questo caso, però, si aggiunge altresì la condizione di isolamento del soggetto anziano dovuta alla sua condizione psicofisica. Infatti, se, da una parte, la socializzazione limitata ai soli componenti del nucleo familiare potrebbe rappresentare un elemento di protezione rispetto ai reati commessi da persone sconosciute, dall’altra, vero è che, nei casi in cui l’abuso è perpetrato all’interno delle mura domestiche, l’isolamento aumenta il rischio della commissione del reato e la possibilità che questo rimanga impunito. Inoltre, se si considera che molti abusi non consistono in violenza fisica ma prettamente psicologica, appare chiaro che risulta molto difficile diagnosticarli.

Senza considerare che, come in tutti i casi di minacce di abbandono, umiliazioni, vessazioni, ansia indotta e indifferenza, a cui, come si è avuto modo di vedere, sono soggette le persone anziane, tali condotte non lasciano “segni” esterni visibili.

In conclusione, sebbene si riscontrino tali interessanti novità, il fenomeno dei reati contro anziani appare ancora sottovalutato, a differenza di quanto accade in caso di abusi di donne e minori, rientranti anche essi nella categoria dei c.d. soggetti deboli, per i quali da vari anni sono state improntate iniziative e legislazioni ad hoc.

 

Silvia Lacerenza

Dottoranda di ricerca in “Processi di armonizzazione del diritto tra storia e sistema”

presso Università degli Studi di Teramo e Borsista ISSiRFA-CNR.

 

 

La presente ricerca rientra nel modulo ISSiRFA “Progetto di Interesse strategico Invecchiamento” del CNR


[1] Per una più ampia disamina sull’argomento v. E. Caracciolo Di Torella, Art. 25 Diritti degli anziani, in S. Allegrezza, R. Mastroianni, F. Pappalardo, O. Pollicino, O. Razzolini (a cura di), Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, Giuffrè, 2017,  pagg. 489 ss.; C. Martin, D. Rodríguez-Pinzón, B. Brown, The Human Rights of Older Persons in the European Institutions: Law and Policy, in Human Rights of Older People Universal and Regional Legal Perspectives, Springer, 2015, pagg. 125-214; P.F. Lotito, Art. 25 Diritti degli anziani, in R. Bifulco, M. Cartabia, A. Celotto (a cura di), L’Europa dei diritti – Commento alla Carta dei diritti fondamentali dell’unione Europea, Il Mulino, Bologna, 2001, pagg. 195 ss. V. altresì M. Mangiameli, The rights of disabled eldery people, in Italian Papers on Federalism, dicembre, 2014.

[2] Cfr. ex plurimis, Cass. Pen., Sez. II, 17 settembre 2008, n. 39023.

[3] Cfr. Cass. pen., Sez. V, 15 luglio 2016, n. 30340.

[4] La percentuale è stata calcolata sul rapporto tra la popolazione anziana stanziata su ogni regione, secondo i dati stabiliti dall’ISTAT per l’anno 2015, e il numero di procedimenti penali che risultano attivati sul medesimo territorio, calcolati sulla base delle sentenze rinvenute nell’ambito della presente ricerca. Pertanto, tale dato, per quanto significativo, non rappresenta un valore assoluto.

[5] Cass. Pen., Sez. II, 17 febbraio 2009, n. 11077; Id., 26 maggio 2009, n. 25685; Id., 02 luglio 2009, n. 36277; Id., 09 aprile 2010, n. 23032; Id., 18 giugno 2010, n. 33864; Id., Sez. V, 04 maggio 2010, n. 29729; Id., Sez. II, 20 settembre 2011, n. 41009; Id., 14 dicembre 2011 n. 48575; Id., 10 novembre 2011, n. 45327; Id., 16 novembre 2012, n. 5685; Id., 12 febbraio 2015, n. 9358.

[6] Cfr. T. Bandini - M. Lagazzi, L’indagine psichiatrico-forense sull’anziano vittima di circonvenzione d’incapace, in Riv. it. med. leg., 1990, pagg. 770 ss.

[7] Cfr. D. Dawan, La circonvenzione di persone incapaci, 2003.

[8] Cass. Pen., Sez. II, 11 dicembre 2007, n. 1407; Id., 29 febbraio 2012, n. 21933; Id., 21 maggio 2015, n. 33747. Cfr. in particolare, C. Barbieri - A. Luzzago, L’affettività dell’anziano nell’ipotesi di circonvenzione di incapace: considerazioni tecnico-valutative, in Riv. it. med. leg., 2006, pagg. 557 ss.

[9] Cass. Pen., Sez. II, 22 marzo 2007, n. 14450; Id., 12 aprile 2007, n. 23429; Id., 11 dicembre 2007, n. 1407; Id., 17 febbraio 2009, n. 11077; Id., 22 dicembre 2009, n. 2777; Id., Sez. V, 04 maggio 2010, n. 29729; Id., Sez. II, 16 novembre 2012, n. 5685; Id., 29 febbraio 2012, n. 21933; Id., 12 febbraio 2015, n. 9358. 

[10] Cass. Pen., Sez. II, 14ottobre 2009, n. 2744; Id., 13 novembre 2009 5807; Id., 18 giugno 2010, n. 33864; Id., 17 settembre 2010, n. 44030; Id., 01 dicembre 2010, n. 44047; Id., Sez. V, 04 maggio 2010, n. 29729; Id., Sez. II, 14 dicembre 2011, n. 48575; Id., 20 settembre 2011, n. 41009; Id., 12 febbraio 2015, n. 9358.

[11] Cass. Pen., Sez. II, 10 novembre 2011, n. 45327.

[12] Corte di App. Roma, Sez. II, 11 maggio 2010, n. 3194.

[13] Trib. Milano, sez. IX, 21 gennaio 2008, in Foro ambrosiano, 2007, 4, pag. 434.

[14] Trib. Milano, 20 giugno 1997, in Giur. di merito, 1998, pag. 299.

[15] Cfr. Cass. Pen., sez. V, 14 dicembre 1977, in Giust. Pen., 1979, II, pag. 256; nonché, più recente¸ Cass. Pen., Sez. II, 17 febbraio 2009, n. 11077.

[16] Cass. Pen., Sez. V, 08 giugno 1979, in Riv. It. Med. Leg., 1980, pag. 923.

[17] Cass. Pen., Sez. II, 11 dicembre 2007, n. 1407; Id., 17 febbraio 2009, n. 11077; Id., 10 novembre 2011, n. 45327.

[18] Cass. Pen., Sez. V, 04 maggio 2010, n. 29729

[19] Cass. Pen., sez. II, 07 aprile 2009, n. 18583.

[20] Cass. Pen., sez. II, 22 aprile 2008, n. 19665; Id., 26 maggio 2009, n. 25685; Id., Sez. V, 04 maggio 2010, n. 29729; Id., Sez. II, 12 febbraio 2015, n. 9358.

[21] Cass. Pen., Sez. II, 09 aprile 2010 n. 23032; Id., 16 novembre 2012, n. 5685; Id., 13 dicembre 2013, n. 15194; Id., 05 marzo 2013, n. 26732.

[22] Si veda sul punto, C. Pedrazzi, Inganno ed errore nei delitti contro il patrimonio, Milano, 1955.

[23] Cfr. G. Marini, op. cit., secondo il quale l’aggravante sarebbe comunque applicabile perché la “minorata difesa”, essendo graduabile, può presentarsi diversamente in funzione dei rapporti interpersonali che caratterizzano le relazioni tra vittima e agente. Di diverso avviso, M.L. Ferrante, La circonvenzione di persone incapaci, Torino, 1999, il quale invece ha osservato che l’applicazione di tale circostanza, fondata su elementi che rappresentano dati costitutivi del reato, farebbe gravare due volte sull’agente l’approfittamento della condizione di minorazione dell’incapace. 

[24] Cass. Pen., Sez. II, 4 maggio 1990, n. 2231.

[25] Cass. Pen., Sez. V, 17 dicembre 2014, n. 7317; Id., Sez. II, 10 gennaio 2013, n. 14651; Id., 11 marzo 2011, n. 24093; Id., 12 novembre 2010, n. 43729; Id., 17 settembre 2010, n. 35353.

[26] Cass. Pen., Sez. V, 04 maggio 2010, n. 29729; Id., Sez. II, 25 maggio 2011, n. 23152; Id., 10 novembre 2011, n. 45327.

[27] Cass. Pen., Sez. II, 28 settembre 2011, n. 46576.

[28] Cass. Pen., Sez. V, 07 gennaio 2016 n. 22504; Id., 03 giugno 2015, n. 42577; Id., Sez. I, 25 giugno 2014, n. 31310; Id., Sez. II, 20 maggio 2014, n. 36152; Id., 09 maggio 2013, n. 24470; Id., Sez. V 26 settembre 2012, n. 40953; Id., Sez. II, 11 maggio 2012, n. 31551.

[29] Cass. Pen., Sez. II, 04 ottobre 2012, n. 40624.

[30] Cass. Pen., Sez. II, 15 giugno 2016, n. 30952; Id., 07 maggio 2015, n. 24499; Id., 25 settembre 2014, n. 42941; Id., 13 giugno 2012, n. 30686.

[31] Cfr. Cass. Pen., Sez. II, 10 febbraio 2016, n. 8102; Id., Sez. V, 01 febbraio 2016, n. 20260; Id., Sez. IV, 04 dicembre 2015, n. 49360; Id., Sez. II, 12 novembre 2015, n. 9468; Id., 21 ottobre 2015, n. 45216; Id., 05 giugno 2014, n. 30229; Id., 11 aprile 2014, n. 17767; Id., 08 gennaio 2014, n. 3598; Id., Sez. V, 02 luglio 2014, n. 44398; Id., Sez. II, 22 dicembre 2014, n. 980; Id., 19 novembre 2014, n. 51468; Id., Sez. V, 28 ottobre 2014, n. 11448; Id., Sez. II, 21 marzo 2013, n. 15756; Id., 04 ottobre 2013, n. 47401; Id., 12 luglio 2012, n. 41924; Id., Sez. II, 21 ottobre 2011, n. 2896; Id., 23 settembre 2010, n. 35997.

[32] Cfr. Cass. Pen., Sez. II, 23 settembre 2010, n. 35997.

[33] Cass. Pen., Sez. II, 17 settembre 2008, n. 39023.

[34] Cass. Pen., Sez. II, 10 febbraio 2016, n. 8102; Id., Sez. V, 01 febbraio 2016, n. 20260; Id., Sez. II, 12 novembre 2015, n. 9468; Id., 21 ottobre 2015, n. 45216; Id., 02 marzo 2015, n. 8998; Id., 05 giugno 2014, n. 30229; Id., Sez. V, 28 ottobre 2014, n. 11448; Id., Sez. II, 21 marzo 2013, n. 15756; Id., 21 ottobre 2011, n. 2896; Id., Sez. V, 24 ottobre 2011, n. 38347; Id., Sez. II, 23 settembre 2010, n. 35997.

[35] Cass. Pen., Sez. II, 10 febbraio 2016, n. 8102; Id., Sez. IV, 04 dicembre 2015, n. 49360; Id., Sez. II, 19 novembre 2014, n. 51468.

[36] Cass. Pen., Sez. I, 24 novembre 2010, n. 1319.

[37] Cfr. Cass. Pen., Sez. V, 13 luglio 2007, n. 39303.

[38] Cfr. Cass. Pen., Sez. V, 7 maggio 2014, n. 35079.

[39] Cfr. Cass. Pen., Sez. V, 16 febbraio 2016, n. 29200.

[40] Cfr. sul punto G.D. Pisapia, Abbandono di minori o incapaci, in Enc.diritto, I, 1958, 32 ss., l’autore ritiene che sarebbe stato più opportuno fare riferimento nella formulazione della norma di cui all’art. 591 c.p. alla situazione di fatto in cui il soggetto si trova e che lo rende incapace di provvedere a sé stesso piuttosto che al concetto di incapacità dato che già di per sé il riferimento ad “altre cause” rende superfluo il riferimento alle cause che determinano incapacità e, inoltre, perché la vecchiaia può essere una causa di menomazione fisica o psichica più che di incapacità.

[41] Cfr. Cass. Pen., Sez. V, 2 luglio 2009, n. 31905.

[42] Cfr. Cass. Pen., sez. V, 09 aprile 1999, n. 6885, con la quale i giudici di legittimità hanno escluso che potessero essere incriminati del reato di cui all'art. 591 c.p. i figli di una donna novantatreenne lasciata a vivere da sola, atteso che detta donna, nonostante l'età, appariva ancora in grado di condurre vita autonoma e non mostrava intenzione alcuna di accettare il ricovero in una casa di riposo.

[43] Cfr. sul punto, Cass. Pen., Sez. V, 10 maggio 2016, n. 19448; Id., Sez. IV, 5 aprile 2013, n. 50606; Id., Sez. IV, 22 maggio 2007, n. 25527.

[44] Cfr. Cass. Pen., Sez. V, 18 ottobre 2016, n. 44089.

[45] Cfr. Cass. Pen., Sez. II, 08 marzo 2013, n. 10994.

[46] Cfr. Cass. Pen., Sez. I, 24 settembre 2014,n. 44230; Id., Sez. VI, 11 aprile 2014, n. 18750; Id., Sez. VI, 10 maggio 2012, n. 36565.

[47] Cfr. ex plurimis, Cass. Pen., Sez. V, 29 maggio 2015, n. 39213; Id., Sez. VI, 10 febbraio 2015, n. 16456; Id., Sez. VI, 21 luglio 2015, n. 36941; ; Id., Sez. VI, 10 dicembre 2015, n. 7760; ; Id., Sez. V, 21 gennaio 2015, n. 13523; ; Id., Sez. VI, 11 dicembre 2013, n. 14837.

[48] Cfr. Cass. Pen., Sez. I, 24 settembre 2014,n. 44230; Id., Sez. VI, 11 aprile 2014, n. 18750; Id., Sez. VI, 10 maggio 2012, n. 36565.

[49] Cass. Pen., Sez. VI, 11 dicembre 2013, n. 14837.

[50] Cfr. Cass. Pen., Sez. V, 29 maggio 2015, n. 39213; Id., Sez. VI, 10 dicembre 2015, n. 7760; Id., Sez. VI, 03 marzo 2010, n. 8592.

[51] Cass. Pen., Sez. I, 24 settembre 2014,n. 44230; Id., Sez. VI, 11 aprile 2014, n. 18750.

[52] Cass. Pen., Sez. VI, 02 ottobre 2003,n. 42987.

[53] Sulle caratteristiche per la configurabilità del reato di abuso di mezzi di correzione o disciplina si veda Cass. Pen., Sez. V, 14 ottobre 1986,n. 10841, e Id., Sez. VI, 22 settembre 2005, n. 39927.

[54] Cass. Pen., Sez. VI, 07 febbraio 2005, n. 16491; Id., 21 maggio 1998, n. 6001.

[55] Per una più ampia disamina sugli atti normativi europei in tema di tutela della vittima del reato, M. Venturoli, La tutela della vittima nelle fonti europee; nonché, D. Ferranti, Strumenti di tutela processuale per la vittima del reato. Sguardo di insieme sulle recenti innovazioni alla luce dell’attuazione della direttiva 2012/29/UE, entrambi in www.penalecontemporaneo.it.

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