Marco OLIVETTI, Il nuovo statuto della Regione Puglia (Maggio 2005)
(Testo della comunicazione presentata all’incontro di studi in memoria di G. Mor, aggiornato al 10.1.2005)
SOMMARIO:
1. L’elaborazione dei nuovi statuti regionali dopo la legge cost. n. 1/1999.
2. La struttura del documento.
3. Le opzioni di fondo.
4. Le disposizioni di principio (e, in più in generale, lo stile del documento).
4.1. Le disposizioni di principio nello statuto pugliese.
4.2. La recente giurisprudenza della Corte costituzionale sulle disposizioni di principio.
4.3. I principi fondamentali di organizzazione e funzionamento: una categoria particolare di principi.
5. Partecipazione e referendum.
6. Gli organi regionali.
6.1. Il Consiglio regionale.
6.2. La forma di governo: elezione diretta con governo di legislatura.
6.3. La formazione della Giunta.
6.4. La cessazione della Giunta.
6.5. L’esecutivo regionale tra collegialità e direzione monocratica.
6.6. La pletorica composizione degli organi regionali.
7. Il Consiglio delle autonomie locali.
8. Il Consiglio statutario.
9. Gli altri organi regionali.
10. Bilancio e programmazione.
11. La revisione dello statuto.
12. Uno statuto “leggero” o uno statuto inutile?
NOTE
1. L’elaborazione dei nuovi statuti regionali dopo la legge cost. n. 1/1999.
A cinque anni dall’entrata in vigore della legge cost. n. 1/1999, la quale, modificando incisivamente gli art. 121, 122, 123 e 126 della Costituzione, ha reso necessaria la revisione degli statuti regionali ordinari adottati nel 1971, la stagione statutaria – entrata nel vivo con molto ritardo – non si è ancora conclusa. Certo, notevoli sono i progressi compiuti rispetto ad un anno fa (1), quando nessun nuovo statuto era ancora entrato in vigore e sull’unico ad aver concluso il proprio iter a livello regionale stava per calare la mannaia della Corte costituzionale con l’infelice sent. n. 2/2004 (2). Tuttavia rimane il fatto che – a pochi mesi dalla conclusione della VII legislatura delle Regioni ordinarie – gli statuti in vigore sono appena tre (3), e, fra le Regioni che mancano all’appello, vi sono tutte le principali Regioni dell’Italia settentrionale, motori, per un verso o per l’altro, del processo di regionalizzazione, oltre che battistrada dello sviluppo economico (e talora anche sociale) del Paese.
Le cause di questo ritardo sono senza dubbio molteplici: il perdurante quadro di incertezza in cui le Regioni hanno dovuto muoversi (quanto ad es. al contesto costituzionale di riferimento (4)), riflesso della mancanza di un consenso minimo tra gli attori politici ed istituzionali sugli equilibri di fondo del regionalismo italiano; la grande battaglia sull’interpretazione della forma di governo regionale (e, in particolare, sulla utilizzazione della potestà di deroga all’elezione del Presidente della Giunta a suffragio universale e diretto (5)), che ha visto in molte Regioni una contrapposizione netta fra Presidente della Giunta e Consiglio regionale; la difficoltà delle Regioni di definirsi in un contesto segnato dalla presenza di attori diversi, ciascuno con un suo ruolo tutt’altro che marginale (dagli enti locali alle autonomie funzionali ai soggetti della società civile organizzata (6)); il centralismo legislativo praticato dalla maggioranza parlamentare durante la XIV legislatura (7), avallato dal – tradizionale, ma oggi fortemente rinvigorito – antiregionalismo della Corte costituzionale (8).
Se tutto ciò è vero, e se questi eventi contribuiscono in misura considerevole a spiegare molte delle difficoltà della stagione statutaria, occorre peraltro riconoscere che la lentezza e i ritardi di questa sono il riflesso di due fenomeni che richiederebbero conferme da parte della ricerca sociale, ma che si presentano all’osservatore dei processi istituzionali con una certa evidenza: la qualità scadente delle classi politiche regionali e la legittimazione debole dell’ente territoriale Regione. Si tratta, certo, di due dati tutt’altro che nuovi, ma è forse sorprendente doverli sottolineare dopo una stagione – durata nel complesso oltre un decennio – segnata da un duplice processo: da un lato l’aumento delle competenze regionali; dall’altro la riforma dei sistemi di governo (dalla legge n. 43/1995 alla legge cost. n. 1/1999), nella direzione di una presidenzializzazione delle istituzioni regionali. Ora, mentre cure di segno analogo hanno contribuito a rivitalizzare i Comuni nell’arco degli ultimi tre lustri, ciò non si può dire sia avvenuto per le Regioni. E una lettura anche sommaria dei nuovi statuti che hanno concluso il loro iter formativo sembra confermare, con qualche rara eccezione, queste osservazioni.
2. La struttura del documento.
In questo scenario, il nuovo statuto pugliese è stato il primo ad entrare in vigore (9). La bozza di «Revisione dello statuto della Regione Puglia» – predisposta nel marzo 2003 dalla Commissione consiliare permanente per gli affari istituzionali del Consiglio regionale pugliese – è stata approvata in prima lettura dal Consiglio l’11 settembre 2003. Il 21 ottobre 2003 il Consiglio regionale ha revocato la prima deliberazione ed ha adottato una nuova prima deliberazione dello statuto regionale, apportando peraltro modificazioni nel complesso marginali. Infine, il 3, 4 e 5 febbraio 2004, il Consiglio regionale ha approvato lo statuto in seconda deliberazione. Decorsi i trenta giorni per l’impugnazione governativa (10) ed i tre mesi di vacatio per consentire la presentazione di una eventuale richiesta di referendum sospensivo (11), lo statuto è stato promulgato dal Presidente della Giunta regionale, Raffaele Fitto, il 12 maggio 2004 e pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Puglia n. 57 del 12 maggio 2004 (12).
Il nuovo statuto pugliese è composto di 62 articoli, ripartiti in sei titoli, dedicati rispettivamente a: principi (titolo I); compiti e finalità (titolo II); partecipazione (titolo III); organi della Regione (titolo IV); ordinamento amministrativo (titolo V); ordinamento in materia di programmazione, bilancio, finanze e contabilità (titolo VI). Esso si caratterizza pertanto come revisione totale dello statuto regionale: non si tratta, cioè, di un mero adattamento dello statuto pugliese del 1971 alle modifiche costituzionali introdotte nell’ordinamento repubblicano dalle leggi cost. n. 1/1999 e n. 3/2001, innovando le parti rese obsolete da tali riforme, ma di una riscrittura complessiva del testo statutario. Una scelta, quest’ultima, non obbligata dalla legge cost. n. 1/1999, ma omogenea a quelle operate dalle altre Regioni ordinarie italiane.
3. Le opzioni di fondo.
Le scelte caratterizzanti del nuovo statuto pugliese – che appaiono in parte comuni a quelle prevalenti anche in altre Regioni nell’attuale stagione statutaria – sono le seguenti:
a) la previsione di un’ampia rete di disposizioni di principio, cui sono dedicati i primi due titoli;
b) un certa tiepidezza verso i meccanismi partecipativi, al di là delle enfatiche dichiarazioni di favore nei confronti della partecipazione;
c) l’opzione, in materia di forma di governo, per l’elezione diretta del Presidente con governo di legislatura, ovvero per il modello indicato in via preferenziale (ma con possibilità di deroga) dagli art. 121, 122 e 126 Cost.;
d) la menzione (ma non la disciplina) nello statuto di una serie piuttosto varia di organi regionali non necessari (cfr. capo II del titolo III);
e) il rinvio a fonti ulteriori per la disciplina di vari istituti, appena abbozzati nello statuto.
4. Le disposizioni di principio (e, in più in generale, lo stile del documento).
4.1. Le disposizioni di principio nello statuto pugliese.
A differenza di altri statuti regionali elaborati negli ultimi mesi (13), il nuovo statuto pugliese non contiene un Preambolo e include gran parte delle disposizioni di principio nei primi due titoli, dedicati, appunto, ai “principi” (art. 1-7) e ai “compiti e finalità” (art. 8-12). Si tratta di una parte relativamente ampia: ben 11 articoli, composti di numerosi commi, a loro volta piuttosto lunghi e collocati quasi a casaccio.
A) L’art. 1, 1° co., individua come valore “fondante” della comunità politica regionale il rispetto della dignità, dei diritti e della libertà della persona umana. Su questa base, il 3° co. della medesima disposizione precisa che la Regione favorisce l’autogoverno e la sicurezza dei suoi cittadini e l’art. 3 elenca una serie di ulteriori valori (pace (14), solidarietà, accoglienza, sviluppo umano, tutela delle differenze). Come altri nuovi statuti, l’art. 1, 3° co., colloca l’azione regionale a tutela dei diritti nel quadro dei “principi della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e della Costituzione italiana” (15). L’intento di queste disposizioni sembra essere quello di collocare l’organizzazione dei poteri regionali e l’azione della Regione nel quadro del costituzionalismo multilevel dei diritti. La genericità delle formulazioni contenute nello statuto pugliese le rende tuttavia inidonee ad esprimere con originalità questa aspirazione.
B) Due questioni ideologiche hanno attraversato il dibattito nel Consiglio regionale pugliese, così come in altri Consigli: il riferimento alla Resistenza e quello alle radici cristiane.
Dopo un acceso dibattito in Consiglio regionale durante la prima deliberazione del testo finale dello statuto, è stato omesso il riferimento ai “valori della Resistenza” – già previsto dall’art. 1, 1° co., dello statuto del 1971 e riprodotto nella bozza di statuto approvata nel marzo 2003 dalla Commissione affari istituzionali – ed è stato sostituito con un riferimento ai “valori che hanno informato quanti si sono battuti per la liberazione e per la riconquista della democrazia nel nostro Paese”. Ora, la differenza fra la menzione della “liberazione” e quella della “resistenza” appare tutto sommato ridotta, anche se si può pensare che la lotta per la liberazione del Paese possa essere intesa come un processo più ampio della resistenza, se quest’ultima era intesa come riferita unicamente al ruolo svolto dalle organizzazioni partigiane (16). Sembra, in generale, che le forze politiche pugliesi abbiano perso un’occasione nel cercare su questi temi – il cui inserimento nello statuto non è, ovviamente, necessario – un consenso che facesse sintesi, muovendo, ad es., dalla lettura dossettiana della guerra come esperienza collettiva che costituisce la matrice della Costituzione e della rinascita democratica del Paese (17): una rilettura che avrebbe potuto essere un approccio utile per guardare con più serenità ad una fase che può essere ritenuta la più drammatica della recente storia italiana.
C) La menzione delle radici cristiane (18) è stata inserita – e quasi annegata – nel verboso 2° comma dell’art. 1, il quale afferma che “la Puglia, per la storia plurisecolare di culture, religiosità, cristianità e laboriosità delle popolazioni che la abitano e per il carattere aperto e solare del suo territorio proteso sul mare, è ponte dell’Europa verso le genti del Levante e del Mediterraneo negli scambi culturali, economici e nelle azioni di pace”. L’art. 1, 2° co., tenta di descrivere con una immagine sintetica l’identità della Regione, evidenziandone sia il radicamento in una storia ricca di tradizioni religiose, sia il ruolo di ponte e di luogo di incontro fra culture (19). La menzione delle radici cristiane ha trovato una formulazione curiosa, nella quale è ora presente – a differenza che nel testo della Commissione istituzionale – un doppio riferimento alle tradizioni di “religiosità” e di “cristianità” del popolo pugliese, come se fosse possibile, nella Regione Puglia, distinguere fra le due cose, almeno negli ultimi 1.700 anni: si potrebbe pensare che lo statuto abbia inteso evocare la presenza sul territorio regionale della storica comunità ebraica di Trani o quella degli emirati islamici di Taranto e Bari nel IX secolo dopo Cristo (20), ma tale ipotesi muoverebbe da una visione ottimistica degli orizzonti culturali dei redattori dello Statuto. Nel complesso, comunque, il comma in esame appare criticabile per gli eccessi di retorica che trasudano da ogni sua parola (21).
D) L’art. 1, 4° co., contiene invece una interessante definizione del principio di sussidiarietà: “La Regione esercita la propria funzione di governo attuando il principio di sussidiarietà, come responsabilità primaria delle istituzioni più vicine ai bisogni e come integrazione costante con le iniziative delle formazioni sociali e del volontariato dirette all’interesse generale e alla tutela pubblica dei diritti universali”. La sussidiarietà viene intesa da questa disposizione non come divieto di intervento pubblico, né come comodo outsorcing di compiti pubblici e neppure come mero meccanismo sostitutivo da parte del potere pubblico rispetto alle autonomie sociali in caso di fallimento di queste ultime. Alle autonomie sociali, lo statuto riconosce una responsabilità primaria, destinata tuttavia ad essere costantemente integrata dall’azione regionale quando è orientata nell’interesse generale e finalizzata alla tutela dei diritti “universali” (sic!).
E) Interessante è anche la menzione delle “generazioni future” (22) contenuta negli art. 2, 1° co., e 10, 2° co., con riferimento nel primo caso al territorio e alle tradizioni da tramandare e nel secondo caso all’azione responsabile della Regione: si tratta infatti di una assunzione di responsabilità che presenta particolare rilievo nella prospettiva di una educazione civica al rispetto dell’ambiente e del territorio. Ed è significativo che il rapporto con le generazioni future affiori non solo con riferimento al territorio o all’ambiente – come nell’art. 20a della Legge fondamentale di Bonn – ma anche alle “tradizioni regionali”, individuate come “risorsa da tramandare”.
F) Fra i valori cui la Regione dichiara di voler ispirare la sua azione vengono poi menzionati la tutela delle minoranze linguistiche, la valorizzazione del legame con i pugliesi emigrati (23); la tutela di anziani, minori e infanti, nonché della famiglia (con un impegno particolare al sostegno delle giovani coppie e dei nuclei familiari socialmente svantaggiati) (24); l’impegno alla promozione della parità (25); la promozione della qualità della vita dei cittadini, specie con riguardo a talune categorie di soggetti deboli e alla tutela ed alla salvaguardia delle risorse idriche e naturali (26); l’incentivazione dello sviluppo sostenibile dell’economia pugliese e la previsione di politiche attive del lavoro (27), la promozione della cultura, nelle sue varie dimensioni (arte, musica, sport, beni culturali e archeologici, spettacolo, studio, ricerca scientifica (28)).
G) Nel complesso, i primi due titoli dello statuto evidenziano una contraddizione che attiene alla tecnica normativa: da un lato lo statuto manifesta, con tali disposizioni, la propria “vocazione costituzionale”, accostandosi quindi alle Costituzioni degli Stati membri degli Stati federali, ed aspira ad indirizzare la normazione regionale subordinata (anzitutto di rango legislativo). Dall’altro lo “stile” normativo del documento lascia a desiderare: le disposizioni normative sono formulate genericamente, spesso solo evocando, anziché articolando, i valori cui fanno riferimento (29) ed al tempo stesso esse sono eccessivamente lunghe e verbose e difettano sia della eleganza stilistica, sia della forma concisa che si addicono al linguaggio costituzionale, specie se raffrontato con le parti corrispondenti dello statuto del 1971, che evidenziano ben altra avvedutezza tecnica (30). Ne risulta una capacità prescrittiva che sarebbe ridotta anche se tali formule fossero inserite nella Costituzione di uno Stato sovrano, e non in uno statuto regionale.
Anche l’ordine seguito in questa parte dello statuto appare poco perspicuo: da un lato, non è chiara la distinzione fra “principi” e “compiti e finalità”, atteso che sembra trattarsi di disposizioni aventi struttura analoga; dall’altro, l’elencazione dei valori cui dovrebbe ispirarsi l’azione regionale (contenuta negli art. 4-6 e 10-12) è interrotta da disposizioni relative alla estensione territoriale della Regione (31), al capoluogo, al gonfalone ed allo stemma, alle sedi degli organi regionali (32), nonché da quelle – anch’esse molto generiche – relative ai rapporti della Regione con altri enti territoriali (autonomie locali (33); Unione europea (34); altri Stati ed enti territoriali interni ad essi (35); altre Regioni (36) ).
4.2. La recente giurisprudenza della Corte costituzionale sulle disposizioni di principio.
Di tale configurazione delle disposizioni di principio, comunque, non sembra vi sia da dolersi oltre misura, almeno se esse vengono lette alla luce della più recente giurisprudenza della Corte costituzionale, secondo la quale a disposizioni di questo tipo «anche se materialmente inserite in un atto-fonte, non può essere riconosciuta alcuna efficacia giuridica, collocandosi esse precipuamente sul piano dei convincimenti espressivi delle diverse sensibilità politiche presenti nella comunità regionale al momento dell’approvazione dello statuto». Infatti, sempre secondo la Corte, «tali proclamazioni di obiettivi e di impegni non possono certo essere assimilate alle c.d. norme programmatiche della Costituzione, alle quali, per il loro valore di principio, sono stati generalmente riconosciuti non solo un valore programmatico nei confronti della futura disciplina legislativa, ma soprattutto una funzione di integrazione e di interpretazione delle norme vigenti. Qui però non siamo in presenza di Carte costituzionali, ma solo di fonti regionali “a competenza riservata e specializzata”, cioè di statuti di autonomia, i quali, anche se costituzionalmente garantiti, debbono comunque “essere in armonia con i precetti ed i principi tutti ricavabili dalla Costituzione”» (37).
Le argomentazioni della Corte sembrano rendere del tutto inutile ogni ragionamento sulle disposizioni in questione, almeno dal punto di vista del giurista. Esse, invece, andrebbero consegnate alla politique politicienne, o, tutt’alpiù, segnalate all’attenzione del linguista o degli studiosi dei fenomeni sociali e culturali. Tuttavia, la tesi che possano esistere disposizioni contenute in un atto normativo e che, ciononostante, sono prive, in radice, quasi ontologicamente, di qualsiasi efficacia giuridica, al punto da non meritare uno scrutinio di costituzionalità che ne esamini la compatibilità con le norme costituzionali sul riparto di competenza, oltre che con le disposizioni costituzionali di principio, appare piuttosto peregrina e non meriterebbe nemmeno di essere commentata, se non fosse contenuta in una sentenza di un organo – malgrado tutto – così autorevole come la Corte costituzionale. Infatti, non dovrebbe sussistere una terza possibilità rispetto all’alternativa: o le disposizioni di principio non sono idonee ad esprimere alcun contenuto giuridico, in quanto esse non dovrebbero essere incluse in un certo tipo di atto normativo (perché esso violerebbe in tal modo norme superiori o regole sulla competenza) e allora la conseguenza dovrebbe essere, necessariamente, quella di una loro dichiarazione di illegittimità costituzionale (38). Oppure l’atto normativo in questione – nel caso in esame lo statuto della Regione ordinaria – è abilitato a prevedere disposizioni di questo tipo, ma allora esse avranno pure una qualche efficacia. Del resto la dottrina che aveva difeso, negli anni settanta, le disposizioni di principio già allora incluse negli statuti ordinari, era giunta, nella sostanza, ad affermare che ad esse sarebbe spettata una efficacia che potremmo definire “interstiziale”. Si sarebbe cioè trattato di disposizioni destinate ad operare, per così dire, “nelle pieghe” dell’ordinamento, in un’intricata rete di limiti di gerarchia (in particolare le norme costituzionali di principio) e di competenza (relativa sia alle materie su cui le Regioni sono abilitate a legiferare, sia al modo di disciplina che nelle diverse materie è loro consentito) (39). Del resto, non diversa da questa è l’efficacia delle analoghe disposizioni contenute nelle Costituzioni degli Stati membri degli Stati federali, che la Corte costituzionale tende a distinguere con tanto rigore dagli statuti regionali italiani, ignorando evidentemente il ruolo oggi svolto da tali atti normativi negli Stati federali, almeno in Europa (40).
4.3. I principi fondamentali di organizzazione e funzionamento: una categoria particolare di disposizioni di principio.
Nelle sue decisioni sulle disposizioni di principio, tuttavia, la Corte ha riservato un trattamento particolare ad alcune di esse: i principi fondamentali di organizzazione e di funzionamento della Regione menzionati espressamente dall’art. 123 Cost., che la sent. n. 372/2004 ha non solo “salvato” dall’incostituzionalità, ma anche riconosciuto produttive di effetti giuridici, e, in particolare, di vincoli a carico delle leggi regionali. Di tali principi la Corte ha però dato un’interpretazione restrittiva quanto agli ambiti materiali cui essi possono riferirsi, che coincidono con la materia dell’amministrazione regionale (41).
Lo statuto pugliese è piuttosto avaro di disposizioni di questo tipo, che sono contenute nel titolo V (“ordinamento amministrativo”), composto appena di tre articoli, uno dei quali, fra l’altro, dedicato alla pubblicazione degli atti normativi regionali (art. 53). Ad esse pare inoltre riconducibile la disciplina del diritto all’informazione (42).
L’elencazione dei principi guida dell’azione amministrativa, tuttavia, si rivela poco originale e, laddove questa originalità fa capolino, probabilmente paradossale.
I principi individuati dall’art. 51 del nuovo statuto pugliese costituiscono, infatti, mera ripetizione di principi costituzionali (buon andamento e imparzialità della p.a.) o, al meglio, una esplicitazione di principi già consolidati nella legislazione statale e di solito ricondotti dalla dottrina ai principi costituzionali (trasparenza, pubblicità, semplificazione normativa e procedimentale; partecipazione al procedimento; efficacia, efficienza, tempestività ed economicità). Alla legge regionale è devoluta ogni scelta per fissare i criteri e le modalità per la verifica e il rispetto di tali principi, senza che nello statuto si possa ravvisare un tentativo di spingersi oltre la loro evocazione e di articolarne la portata prescrittiva, in maniera al tempo stesso originale e dotata di senso (43).
Un elemento di originalità si può invece vedere nell’art. 52, che esprime una buona intenzione sommamente encomiabile, ma la cui portata prescrittiva appare dubbia. Secondo tale disposizione, “la Regione assicura, attraverso apposite intese con i comuni, che il cittadino possa rivolgersi al Comune per il disbrigo di ogni e qualunque adempimento amministrativo che lo riguardi, indipendentemente dalle amministrazioni pubbliche competenti”. Ora, la buona intenzione consiste certo in una “amministrazione più vicina al cittadino”, anzitutto dal punto di vista geografico: e ciò è senza dubbio encomiabile, alla luce del principio di sussidiarietà. Occorre però sottolineare che la disposizione può dispiegare la sua efficacia per le sole funzioni amministrative regionali, non certo per quelle statali o di livello sopranazionale, mentre non è chiara la sua portata prescrittiva rispetto a funzioni amministrative di enti infraregionali diversi dal Comune, quali le Province e le Comunità montane: ed è in questo aspetto – proprio nel sottolineare che essa si riferisce ad “ogni e qualunque adempimento amministrativo” – che la disposizione appare demagogica.
5. Partecipazione e referendum.
Il titolo III dello statuto pugliese, che disciplina la partecipazione, evidenzia un netto scarto fra il capo I (dedicato alla “partecipazione” in generale) ed il capo II, in cui la partecipazione stessa viene tradotta in strumenti a disposizione della cittadinanza attiva.
Nell’art. 13, infatti, si “riconosce nella partecipazione attiva e consapevole dei cittadini l’elemento qualificante della vita pubblica democratica” e nell’art. 14 si dà ampio rilievo al diritto all’informazione. Ma negli art. 15 e seguenti la traduzione operativa degli istituti di partecipazione non sembra ispirata ad un reale favor nei confronti di essa.
Singolarmente, infatti, l’art. 15, 3° co. stabilisce che non è ammessa l’iniziativa legislativa popolare per la revisione dello statuto (44): il che è piuttosto singolare, se si considera che ogni decisione in materia sarebbe comunque riservata al Consiglio regionale e che, d’altro canto, l’art. 123 Cost. prevede la possibilità dell’intervento popolare in sede di referendum sospensivo-confermativo sullo statuto medesimo, aprendo così la via ad una forma importante di partecipazione popolare nella redazione della Carta fondamentale della Regione (che non vi è ragione di ritenere debba essere l’unica) (45).
Inoltre la tipologia dei referendum viene limitata a quelli abrogativo (46) e consultivo (oltre ovviamente a quello statutario), mentre lo statuto si guarda bene dall’introdurre forme di referendum propositivo (47), anche nella variante debole del referendum propositivo “consultivo” (quest’ultimo è infatti ammesso solo nella forma del referendum su iniziativa delle autorità regionali (48)). Le forme di referendum previste dallo statuto pugliese sono pertanto:
a) il referendum statutario, disciplinato direttamente dall’art. 123 Cost., e caratterizzato, com’è noto, dall’iniziativa popolare o delle minoranze del Consiglio regionale e dagli effetti sospensivi prodotti dalla richiesta di referendum e impeditivi della promulgazione della legge di riforma statutaria nel caso di sua approvazione;
b) il referendum abrogativo, che ha ad oggetto leggi (salvo le materie espressamente sottratte), regolamenti e provvedimenti amministrativi generali della Regione; anche in questo caso l’iniziativa è popolare, cui si affianca l’iniziativa di enti locali infraregionali (3 Consigli provinciali o 30 Consigli regionali);
c) il referendum consultivo (c.d. “facoltativo”), invece, può avere ad oggetto proposte di legge, proposte di regolamenti e proposte di atti di programmazione generale e settoriale; l’iniziativa è riservata al Consiglio regionale, che può indire il referendum consultivo a maggioranza assoluta (49); gli effetti non sono vincolanti, anche se non sono equiparabili a quelli di un sondaggio di opinione (50);
d) una variante del referendum consultivo (c.d. “obbligatorio” (51)) è poi quella prevista dall’art. 19, 2° co., per la modificazione dei confini degli enti territoriali, ma da un lato la disposizione statutaria è meramente ripetitiva dell’art. 133, 2° co., Cost., e dall’altro ogni ulteriore scelta è rimessa alla legge regionale (52).
Un altro elemento da cui traspare lo scarso favore per l’istituto del referendum è la previsione del quorum di partecipazione del cinquanta per cento degli aventi diritto al voto per la validità del referendum abrogativo (53). Si tratta, certo, di una regola in vigore anche nell’ordinamento statale (art. 75 Cost.), ma non è meno noto che proprio tale regola si sta rivelando oltremodo efficace per annullare il ruolo di contropotere dell’istituto referendario. L’indubbia esigenza di attribuire rilevanza al voto referendario solo in presenza di un livello minimo di partecipazione avrebbe potuto essere soddisfatta con regole diverse, ad es. subordinando la validità del referendum alla partecipazione al voto di un numero di elettori pari ad almeno la metà più uno dei votanti nelle ultime elezioni regionali (54): in tal modo si sarebbe potuto tenere conto del calo generalizzato della partecipazione al voto, che rischia, nel caso del referendum, di rendere praticamente inutilizzabile l’istituto. Che il mancato raggiungimento del quorum sia l’ipotesi più probabile nel referendum abrogativo regionale è singolarmente riconosciuto dallo stesso art. 18, 7° co., il quale prevede l’impossibilità per tre anni di ripresentare una richiesta di referendum per cui non sia stato raggiunto il quorum prescritto dalla legge (e non per il caso, previsto invece dall’art. 38 della legge n. 352/1970 per il referendum abrogativo di leggi statali, di vittoria dei “no” (55)).
L’art. 18, 5° co., attribuisce il potere di giudicare sull’ammissibilità del quesito referendario al Consiglio statutario regionale (56). La scelta è in sé sicuramente condivisibile, ed è certo preferibile alla disciplina previgente, che attribuiva tale giudizio all’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale, che doveva decidere all’unanimità, e, ove tale requisito non fosse stato raggiunto, al Consiglio stesso (57). E’ tuttavia discutibile che lo statuto rinunci del tutto a stabilire quando questa verifica debba avvenire: se dopo il completamento della raccolta delle firme – come a livello statale – o in un momento precedente (ad es. dopo il deposito del quesito, come da taluni suggerito per esigenze di economia procedimentale (58)).
6. Gli organi regionali.
Lo statuto pugliese disciplina gli organi della Regione nell’ampio titolo IV (art. 20-50), che costituisce il cuore della disciplina statutaria e che, dopo due disposizioni introduttive, in cui si elencano gli “organi” e gli “organi a rilevanza statutaria”, si articola in due “capi”, dedicati rispettivamente a ciascuna di tali due categorie di organi regionali. La distinzione ora citata solleva peraltro qualche dubbio, poiché, se l’art. 121, 1° co., Cost. è rimasto inalterato anche dopo le leggi cost. n. 1/1999 e n. 3/2001 (e continua pertanto a stabilire che “sono organi della Regione il Consiglio, la Giunta e il suo Presidente”), la seconda delle due leggi cost. da ultimo citate ha inserito un quarto organo necessario, il Consiglio delle autonomie locali: quest’ultimo, pertanto, avrebbe forse dovuto essere inserito fra gli “organi” regionali e non fra gli organi a rilevanza statutaria (59). La stessa distinzione fra le due tipologie, peraltro, pur evocando quella fra organi costituzionali ed organi a rilevanza costituzionale, appare piuttosto sfuggente (60). Essa può certo basarsi su una distinzione fra organi cui sono attribuiti poteri autoritativi ed organi privi di tali poteri, ma non può fondarsi sul quantum di disciplina statutaria degli organi regionali rispetto a quelli di rilievo statutario, atteso che – come si vedrà meglio oltre – anche i primi sono disciplinati dallo statuto in maniera molto essenziale, con rinvio di scelte tutt’altro che marginali a fonti ulteriori.
6.1. Il Consiglio regionale.
Buona parte del titolo III dello statuto pugliese è dedicata al Consiglio regionale. Le disposizioni statutarie sono divise in due sezioni: una relativa al Consiglio come organo collegiale (art. 22-37) e l’altra ai consiglieri regionali (art. 38-40), anche se alcune delle scelte di maggior rilievo sono rinviate al Regolamento interno del Consiglio (61).
a) Composizione e struttura. Il Consiglio regionale è composto di 70 membri, otto in più del numero attuale (62), eletti secondo modalità stabilite dalla legge elettorale regionale, nel limite dei principi fondamentali stabiliti dalla legge statale. Coerentemente con la (peraltro discutibile) giurisprudenza costituzionale in materia (63) lo statuto pugliese non contiene principi in materia elettorale – ad eccezione di quello della contestualità fra elezione del Consiglio e del Presidente della Giunta (64) – né sulle cause di ineleggibilità e di incompatibilità, e si limita a stabilire una norma procedimentale che prescrive l’approvazione della legge elettorale regionale a maggioranza assoluta (65). Lo statuto non ha previsto un termine per l’approvazione di tale legge (evocata anche dall’art. 41 circa l’elezione del Presidente), che, comunque, non è stata ancora adottata nel momento in cui si licenziano queste note (66).
Lo statuto non si pronuncia sulla durata della legislatura consiliare – la cui determinazione è riservata alla legge statale dall’art. 122, 1° co. (67) – e si limita a disciplinare la prima convocazione del Consiglio (68) ed a prevedere l’applicazione ad esso della prorogatio “fino alla data di proclamazione degli eletti” (69), dando così attuazione alla sent. n. 196/2003, che aveva ritenuto riservate allo statuto – e precluse alla legge regionale ordinaria – scelte di questo tipo.
Lo statuto menziona solo genericamente le articolazioni interne del Consiglio, ad eccezione dell’Ufficio di Presidenza, che trova negli art. 27 e 28 una disciplina sufficientemente compiuta. Vengono menzionati, ma non regolati, i gruppi (70), le commissioni permanenti e le commissioni di inchiesta, ma su composizione, tipologie e funzioni di tali organi regna sovrano il silenzio (71).
b) Funzionamento. Il funzionamento del Consiglio regionale come plenum viene disciplinato nell’art. 35, il quale stabilisce la regola della pubblicità delle sedute e prevede che l’Ufficio di Presidenza individui “le modalità e gli strumenti più idonei a favorirne la più ampia informazione”, con l’aggiunta che le sedute in cui sono discusse le interrogazioni a risposta immediata “devono essere dotate di strumenti di comunicazione esterna” (peraltro non meglio precisati). I quorum strutturale e funzionale per il Consiglio riproducono quelli fissati dall’art. 64 Cost. per le Camere, con la sola eccezione delle deliberazioni concernenti materie “tributarie e di bilancio”, per le quali è previsto “il voto favorevole della maggioranza dei consiglieri in carica”.
La regola generale di votazione è lo scrutinio palese, con le eccezioni previste dallo statuto e dal regolamento interno e, necessariamente, dei voti concernenti le persone.
L’art. 36 prevede poi che l’Ufficio di Presidenza deliberi il calendario dei lavori, previo parere di tre tipi di soggetti: a) Presidente della Giunta; b) Presidenti delle Commissioni consiliari; c) Presidenti dei Gruppi consiliari. Si tratta di una tecnica di gestione del calendario consiliare affidata alla maggioranza consiliare più che alla Presidenza della Giunta o alla Giunta stessa: in generale, infatti, lo statuto non prevede poteri di direzione giuntale del lavoro consiliare (72), ma fa passare tale potere attraverso l’influenza che il leader dell’Esecutivo regionale dovrebbe essere in grado di esercitare in quanto capo della maggioranza eletta “contestualmente” (73) a lui.
Quattro articolazioni interne del Consiglio trovano sommaria disciplina nello statuto: il Presidente, l’Ufficio di Presidenza, i Gruppi consiliari, le Commissioni consiliari permanenti, di indagine e di inchiesta (74). Solo il Presidente (75) e l’Ufficio di Presidenza (76), peraltro, trovano nello statuto una disciplina sufficientemente definita, malgrado siano rinviate al Regolamento interno del Consiglio le norme sulle loro modalità di elezione. Le norme sui gruppi e sulle Commissioni sono invece vere e proprie norme in bianco, che rinviano quasi ogni determinazione al regolamento interno del Consiglio.
c) Funzioni. Le funzioni che lo statuto riconosce al Consiglio regionale sono la rappresentanza della Regione, la funzione legislativa, il controllo e l’indirizzo politico della Giunta e l’autonomia regolamentare interna.
c1) La funzione di rappresentanza non è oggetto di una disciplina autonoma, ma si può ragionevolmente ritenere che l’esercizio di essa passi attraverso l’esercizio delle altre due funzioni or ora menzionate. La rappresentanza di cui è investito il Consiglio regionale è quella della “comunità pugliese” (77), mentre il Presidente della Giunta “rappresenta la Regione” (78) e il Presidente del Consiglio regionale “rappresenta il Consiglio regionale” (79): ma fra i primi due tipi di rappresentanza non è agevole distinguere, atteso che la rappresentanza della Regione che l’art. 42, 1° co., attribuisce al Presidente della Giunta, riproducendo letteralmente l’art. 121, 4° co., Cost., sembrerebbe riferirsi sia alla Regione-apparato, sia alla Regione-comunità. Piuttosto, la distinzione dovrebbe basarsi sul modo della rappresentanza, che nel caso del Consiglio dovrebbe includere l’elemento della pluralità della comunità regionale, in tutta la ricchezza delle sue articolazioni, sia pure attraverso la mediazione della rappresentanza politica, mentre nel caso del Presidente della Giunta dovrebbe evidenziare la dimensione dell’unità della comunità regionale.
c2) La disciplina della funzione legislativa è quasi inesistente nello statuto: non solo per quanto riguarda le regole sul riparto di competenze – che sono ovviamente fissate ab externo (dalla Costituzione statale) – o per le disposizioni statutarie di principio – che sono a maglia molto larga e paiono in gran parte strutturalmente inidonee ad indirizzare la legislazione regionale (tralasciando ora l’interpretazione di esse data dalla Corte costituzionale, di cui si è discusso sopra) – ma, soprattutto, dal punto di vista procedimentale: al riguardo lo statuto non contiene scelte degne di rilievo, e la disciplina dell’iter legis è interamente devoluta al regolamento interno del Consiglio.
A differenza dello statuto del 1971, che conteneva un titolo II, articolatamente dedicato alla disciplina del “procedimento di formazione delle leggi e dei regolamenti” (art. 53-62), il nuovo statuto tace sulle varie fasi del procedimento legislativo regionale (80): l’iniziativa, la fase istruttoria e l’approvazione, e contiene brevi cenni sulla promulgazione e la pubblicazione.
Quest’ultimo vuoto di disciplina si colloca ai limiti della legittimità costituzionale, se si considera che la disciplina dell’iniziativa legislativa è configurata dall’art. 123 Cost. come un contenuto necessario dello statuto (il che vale soprattutto se si aderisce alla concezione dello statuto come fonte specializzata, competente unicamente sulle materie indicate dall’art. 123 Cost., ora accolta dalla Corte cost. nelle già citate sent. n. 372, 378 e 379 del 2004). Lo statuto pugliese accenna appena al problema nell’art. 39, laddove si lascia sfuggire che “il consigliere regionale esercita il diritto di iniziativa legislativa” (81), e nell’art. 15, laddove regola l’iniziativa legislativa popolare e degli enti territoriali. Singolarmente, invece, nessuna norma è stabilita riguardo all’iniziativa della Giunta e/o del Presidente della Giunta, che sono previste solo per leggi settoriali (bilancio, ecc.). Non è chiaro se questo sia il frutto di una disattenzione (82) o di una scelta consapevole, ma sembra comunque doversi concludere che, in punto di diritto, la Giunta regionale pugliese, dopo l’entrata in vigore del nuovo statuto (83), non è più facoltizzata alla presentazione di disegni di legge al Consiglio (84), salvi i casi in cui lo statuto non preveda espressamente – magari in forma riservata – tale potere. Il problema è comunque in parte ridimensionato dalla norma secondo cui il Presidente della Giunta fa automaticamente parte del Consiglio regionale (85) (ed ha quindi l’iniziativa legislativa in quanto consigliere (86)).
Sulla fase istruttoria, poi, lo statuto oscilla fra il dire troppo e troppo poco. L’art. 32 stabilisce infatti che le Commissioni consiliari permanenti esercitano, fra l’altro, le funzioni “referente, consultiva, legislativa”, evocando così la possibilità che la legge sia approvata in Commissione o redatta in tale sede con sola riserva di approvazione finale da parte del Consiglio. Singolarmente, però, lo statuto pugliese, dopo questo soprassalto di ardimento, rinvia al Regolamento interno del Consiglio ogni determinazione sulle “modalità” in cui ciò possa avvenire. Ora, com’è noto, la questione della legittimità di disposizioni statutarie che prevedano le commissioni consiliari deliberanti è stata discussa da una dottrina non recente, con prevalenza dell’opinione negativa (87). Si può certo ritenere che la competenza statutaria in materia di forma di governo legittimi oggi lo statuto ad intervenire più incisivamente sul procedimento legislativo, fra l’altro prevedendo le commissioni deliberanti (ed è questa la tesi che abbiamo sostenuto in altra sede (88)). Ma, in tal caso, la scelta dovrebbe essere compiuta dallo statuto – fonte abilitata a disciplinare la forma di governo regionale, nella quale non sarebbe arbitrario ritenere inclusa la disciplina delle fonti regionali del diritto – e non devoluta integralmente al regolamento interno (89), oltretutto senza prevedere regole sulla composizione delle commissioni (90) né idonee garanzie per le minoranze (del tipo, ad es., di quelle previste dall’art. 72 Cost.) e forme di riserva al plenum consiliare per determinate materie (91).
Mentre l’art. 58 dello statuto del 1971 prevedeva con precisione la formula di promulgazione (92), l’art. 41 del nuovo statuto si limita ad evocare, più che a regolare, la promulgazione della legge regionale, nel contesto dell’elencazione delle funzioni del Presidente della Giunta. L’art. 41 non attribuisce a quest’ultimo alcun potere di veto sospensivo (93), coerentemente, in fondo, con una forma di governo che pare ispirarsi alla valorizzazione del continuum Consiglio-Presidente, più che ad una separazione netta fra i due poteri (che pure affiora nella mancata attribuzione alla Giunta dell’iniziativa legislativa).
La pubblicazione e l’entrata in vigore della legge regionale sono infine disciplinate dallo statuto in una distinta e anomala sedes materiae: l’art. 53 – collocato singolarmente nel titolo V, relativo all’ordinamento amministrativo – prevede infatti la pubblicazione delle leggi regionali sul Bollettino Ufficiale della Regione entro 10 giorni dalla promulgazione e la loro entrata in vigore il quindicesimo giorno successivo, salvo i casi di urgenza.
Mancano, infine, norme sulla qualità della legislazione regionale (94).
c3) Più circostanziata è la disciplina della funzione di controllo e indirizzo politico della Giunta. Al riguardo, infatti, lo statuto menziona le tradizionali forme di controllo politico, attivabili dal Consiglio o dai singoli consiglieri: il question time (95), l’interrogazione, l’interpellanza, la mozione (96), l’accesso ai documenti amministrativi (97), la commissione di inchiesta o di indagine (98) e la sfiducia, pur senza tratti di particolare originalità. Ne risulta una immagine del potere di controllo consiliare nel complesso diffusa nell’Assemblea piuttosto che qualificata in capo a talune componenti di essa.
Il testo approvato nel marzo 2003 dalla Commissione consiliare per gli affari istituzionali conteneva invece una interessante novità, ovvero la mozione di sfiducia contro il singolo assessore, la cui approvazione avrebbe fatto sorgere “l’obbligo per il Presidente di revocarlo” (99). Ma questo meccanismo di controllo consiliare sugli assessori è stato abbandonato nel testo approvato definitivamente dal Consiglio (100).
Alla disciplina del bilancio e della programmazione, e dei poteri in materia della Giunta e del Consiglio, lo statuto dedica un apposito titolo, che verrà esaminato infra nel par. 10.
c4) Un ruolo cruciale spetta infine alla autonomia regolamentare interna del Consiglio regionale, la quale ha un raggio di azione molto ampio, come si è già visto.
6.2. La forma di governo: elezione diretta con governo di legislatura.
L’esame delle disposizioni relative alla Giunta regionale e al suo Presidente richiede un cenno preliminare sulle scelte operate dallo statuto circa la forma di governo in senso stretto, materia sulla quale lo statuto doveva – in base alla legge cost. n. 1/1999 – decidere su una alternativa di fondo: confermare la scelta compiuta in via preferenziale a livello costituzionale in favore dell’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e del governo di legislatura (art. 121, 5° co. e 126, 2° co., Cost.) o sostituirla con un diverso modello di elezione del Presidente ed un diverso sistema di governo.
La scelta dello statuto pugliese su questo punto è “chiara e distinta”. L’art. 41, 1° co., recita infatti: “il Presidente della Giunta regionale è eletto a suffragio universale e diretto… contestualmente alla elezione del Consiglio ed è componente dello stesso”, mentre il 3° ed il 4° co. dell’art. 22 riproducono letteralmente il 2° ed il 3° co. dell’art. 126, che contengono le norme relative alla mozione di sfiducia che il Consiglio regionale può approvare nei confronti del Presidente della Giunta e la disciplina dello scioglimento automatico del Consiglio regionale che segue all’approvazione della mozione di sfiducia e ad altri eventi riguardanti la persona del Presidente (dimissioni volontarie, impedimento permanente, morte) oltre che alle dimissioni presentate dalla maggioranza dei consiglieri. Viene confermato (né poteva essere diversamente, dato il testo dell’art. 121, 5° co., Cost.) anche il potere del Presidente di nominare (101) e di revocare (102) gli altri membri della Giunta regionale. Vengono pertanto riprodotte le coordinate di base – del resto già costituzionalmente prefigurate – del governo di legislatura con elezione diretta del vertice del potere esecutivo (in questo caso del Presidente della Giunta regionale).
Il modello di elezione diretta prescelto nello statuto pugliese è coerente sia al suo interno, sia con le norme costituzionali sul sistema di governo regionale. In questo quadro, peraltro, la bozza di statuto rinuncia del tutto a introdurre elementi di riequilibrio della supremazia presidenziale (103), quali forme di distinzione fra l’elezione del Presidente e quella del Consiglio (si è visto, anzi, che lo statuto stabilisce che il Presidente sia eletto contestualmente al Consiglio) o modalità di procedimentalizzazione del potere di nomina e revoca degli assessori: la nomina produce effetto indipendentemente dalla comunicazione al Consiglio, che pure deve aver luogo “nella seduta successiva alla nomina” (104). Debole è anche lo statuto costituzionale dell’opposizione (105), mentre non vi è traccia di una disciplina dei poteri presidenziali di nomina.
Nella versione definitiva dello statuto è venuto meno il potere del Presidente della Giunta di porre formalmente la questione di fiducia sui progetti di legge di iniziativa della Giunta, sentita la Giunta stessa, che era stato invece previsto nel progetto di statuto elaborato dalla Commissione consiliare per gli affari istituzionali (106).
6.3. La formazione della Giunta.
Per quanto attiene alla formazione ed alla cessazione della Giunta, lo statuto contiene alcune disposizioni dotate di un certo grado di originalità, ma appare per taluni aspetti (relativi alla formazione della Giunta) non del tutto chiaro.
Per quanto attiene alla formazione della Giunta, la sequenza procedimentale sembrerebbe essere la seguente:
a) proclamazione dei risultati delle elezioni regionali (del Consiglio e del Presidente della Giunta);
b) immediata assunzione delle funzioni da parte del Presidente della Giunta, il quale assume non solo le funzioni presidenziali, ma anche quelle di tutta la Giunta, che esercita sino alla data della nomina degli altri componenti della Giunta medesima;
c) prestazione del giuramento da parte del nuovo Presidente della Giunta nella prima riunione del nuovo Consiglio, dopo la convalida dei consiglieri eletti;
d) nomina degli altri membri della Giunta regionale (incluso un Vicepresidente) da parte del Presidente della Giunta, entro dieci giorni dalla proclamazione del Presidente.
e) comunicazione dell’avvenuta nomina degli altri membri della Giunta al Consiglio regionale da parte del Presidente della Giunta (nella seduta consiliare successiva alla nomina), che è altresì tenuto a comunicare il programma di governo.
Si deve sottolineare che, dando per scontato che la “proclamazione” cui accenna l’art. 41, 4° co., sia la stessa per il Consiglio e per il Presidente della Giunta (i quali sono eletti contestualmente), l’effettiva assunzione delle funzioni avverrebbe prima per il Presidente (all’atto stesso della propria proclamazione (107)) e per gli altri membri della Giunta (che dovranno essere nominati entro dieci giorni dalla proclamazione del Presidente (108)) che per il Consiglio. Quest’ultimo, infatti, deve ritenersi validamente esistente a partire dalla propria proclamazione, anche considerato che in tale data cessano dalla carica di consiglieri i membri del Consiglio precedente (109), ma la prima seduta del nuovo Consiglio deve essere convocata – come si è visto – non prima di 15 e non dopo 20 giorni dalla proclamazione (110), e solo a partire dalla prima riunione il nuovo Consiglio potrà effettivamente esercitare le sue funzioni. Solo nella prima seduta consiliare – dopo le operazioni di convalida – il Presidente può prestare giuramento davanti al Consiglio, con la conseguenza che il giuramento avverrebbe non prima, ma dopo l’assunzione delle funzioni (a differenza di quanto accade nell’ordinamento statale per il Presidente della Repubblica e per il Presidente del Consiglio dei Ministri).
Quali che siano, comunque, le aporie di questo procedimento, vanno segnalate tre novità.
La prima consiste nella prestazione del giuramento da parte del Presidente della Giunta, che si segnala da un lato per la particolarità di essere previsto solo per il Presidente, e non anche per gli altri membri della Giunta, e dall’altro per la precisazione che esso dovrebbe avere ad oggetto non solo la Costituzione, ma anche lo statuto.
La seconda consiste nell’assunzione da parte del Presidente anche delle funzioni degli altri membri della Giunta, fino alla nomina di questi ultimi (111). Si può qui vedere l’ultima frontiera della torsione presidenzialista dell’esecutivo regionale, che può arrivare ad identificarsi col solo Presidente, sia pure transitoriamente, con buona pace dell’art. 121 Cost. che continua a identificare l’Esecutivo regionale nel collegio giuntale. Al tempo stesso si ha qui una parziale deroga alla regola della prorogatio della Giunta.
La terza novità è rappresentata dall’obbligo per il Presidente di dare al Consiglio comunicazione non solo della nomina degli altri membri della Giunta, ma anche del programma (112). Lo statuto pugliese non si è però spinto a prevedere espressamente che abbia luogo un dibattito (113), anche se quest’ultimo non è affatto precluso, né ha richiesto un voto consiliare sul programma (114).
Lo statuto pugliese non obbliga però il Presidente della Giunta regionale a presentarsi al Consiglio anche per comunicare variazioni del programma o della composizione della Giunta nel corso della legislatura (115), né prevede un dibattito annuale sullo “stato della Regione” (116), ma si limita a stabilire che il Presidente “riferisce annualmente al Consiglio regionale sullo stato di attuazione del piano di sviluppo regionale, dei piani e dei programmi attuativi e sulla situazione gestionale complessiva della Regione” (117).
6.4. La cessazione della Giunta.
Per quanto riguarda la cessazione della Giunta, essa consegue ad ogni caso di cessazione dalla carica del Presidente della Giunta (scadenza, sfiducia, dimissioni contestuali della maggioranza dei consiglieri, dimissioni volontarie, impedimento permanente, morte del Presidente), oltre che di scioglimento del Consiglio regionale.
In ogni caso di cessazione della Giunta, questa rimane in carica per il disbrigo degli affari correnti sino alla proclamazione del nuovo Presidente della Giunta.
Gli ultimi due commi dell’art. 41 differenziano invece la prorogatio del Presidente della Giunta, a seconda che la causa di cessazione del medesimo (e, con lui, della Giunta, oltre che del Consiglio) sia la sfiducia del Consiglio alla Giunta o le dimissioni contestuali della maggioranza dei consiglieri (nei quali casi il Presidente della Giunta rimane in carica assieme agli altri membri della Giunta sino alle nuove elezioni (118)) oppure le dimissioni volontarie, la rimozione, l’impedimento permanente o la morte del Presidente, nei quali casi il Vice Presidente subentra al Presidente e ne esercita le funzioni – alla guida della Giunta uscente – fino alle nuove elezioni per l’ordinaria amministrazione (119). Quest’ultima soluzione appare compatibile con la clausola aut simul stabunt aut simul cadent di cui all’art. 126 Cost. e con la sent. n. 304/2002, in quanto la sostituzione del Presidente della Giunta ha effetto solo sino alle nuove elezioni. Si tratta, comunque, di una conseguenza che tende a ridimensionare l’efficacia di scioglimento del Consiglio che si riconnette alle dimissioni del Presidente della Giunta.
6.5. L’esecutivo regionale tra collegialità e direzione monocratica.
Il cuore dei problemi posti dal potere esecutivo regionale è rappresentato dai rapporti fra la Giunta ed il suo Presidente. Quest’ultimo è collocato dallo statuto – che su gran parte delle questioni non fa che eseguire disposizioni costituzionali – in una strana posizione di supremazia, che combina chiari elementi gerarchici con l’appartenenza all’organo collegiale. La supremazia gerarchica del Presidente è ben visibile nel potere di nomina e revoca degli altri membri della Giunta (120) e nella assunzione provvisoria delle funzioni giuntali nel periodo che intercorre fra la proclamazione della elezione del Presidente e la nomina degli assessori (121). D’altro canto, però, le principali funzioni dell’esecutivo regionale sono attribuite all’organo collegiale e non al suo Presidente, il quale, nelle deliberazioni collegiali della Giunta è equiparato agli altri componenti, con la sola eccezione per cui il suo voto determina l’esito della votazione in caso di parità (122).
a) Composizione. La Giunta è composta da un numero variabile di assessori, con un massimo di quattordici, incluso un Vicepresidente (123). Il Vicepresidente ha essenzialmente funzioni di supplenza, oltre che di sostituzione in talune fattispecie specifiche (124). La Giunta opera come organo collegiale, ma il Kollegialprinzip è temperato da una sorta di Kanzlerprinzip, che consente al Presidente di impartire direttive all’organo collegiale, di dirigerne la politica e di coordinarne l’attività, oltre che di delegare ai singoli assessori settori organici di materie e compiti circoscritti di missione, anche temporalmente delimitati. E’ quindi corretto l’art. 43, 3° co., II parte, laddove afferma che la Giunta “partecipa alla determinazione e all’attuazione dell’indirizzo politico-amministrativo della Regione”.
La Giunta delibera in sedute non pubbliche e può adottare un regolamento interno (125).
Nulla è detto circa i requisiti per la nomina ad assessore: non si prevede né la limitazione ai consiglieri (come ai sensi dell’art. 121 Cost., testo originario), né alcuna forma di incompatibilità fra le posizioni di consigliere e di assessore, né alcuna riserva ai consiglieri di un numero minimo di posti all’interno della Giunta (126). Il testo della Commissione istituzionale aveva invece optato per l’incompatibilità “svedese”, stabilendo che la carica di componente della Giunta regionale non è compatibile con quella di consigliere regionale, con la conseguenza che il consigliere nominato membro della Giunta sarebbe stato sospeso dalle funzioni di consigliere per tutto il periodo di appartenenza alla Giunta, salva la facoltà di riacquistare lo status di consigliere in caso di perdita, durante la legislatura, della posizione di membro della Giunta (127). Accantonata questa soluzione, pare opportuno che non sia stata prevista l’incompatibilità secca fra consigliere ed assessore, che avrebbe sbilanciato il rapporto fra Presidente, assessori e consiglieri in modo analogo a quanto accade a livello comunale. Tale opzione, comunque, non rientra nel campo di intervento aperto allo statuto, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale (128).
b) Funzioni. E’ alla Giunta, e non al suo Presidente, che spettano le attribuzioni tipiche del potere esecutivo. Le funzioni della Giunta possono essere così raggruppate:
1) compiti di preparazione e di proposta rispetto alle delibere del Consiglio regionale in taluni settori (bilancio, rendiconto, programmazione finanziaria (129));
2) la direzione dell’amministrazione regionale, sulla base delle direttive presidenziali, nonché la gestione del bilancio e del patrimonio regionale;
3) la rappresentanza processuale della Regione;
4) la sovrintendenza sulla gestione dei beni pubblici regionali e la vigilanza sugli enti pubblici regionali;
5) la potestà regolamentare;
6) la competenza amministrativa generale e residuale (130).
Le funzioni presidenziali (131) sono invece raggruppabili in:
1) funzioni di “capo di Stato” a livello regionale (le Staatsoberhaupliche Funktionen di cui parla la dottrina germanica (132)): la rappresentanza della Regione (133); la promulgazione delle leggi e l’emanazione dei regolamenti (134); l’indizione dei referendum (135);
2) funzioni di direzione della Giunta: la nomina e revoca degli assessori nonché l’attribuzione delle funzioni agli assessori medesimi (136);
3) funzioni di direzione amministrativa: l’adozione di provvedimenti di organizzazione degli uffici regionali; l’adozione delle ordinanze di necessità ed urgenza, salvo ratifica della Giunta (137);
4) rappresentanza dell’organo Giunta nei rapporti con il Consiglio regionale e dell’ente Regione nei rapporti con lo Stato.
c) La potestà regolamentare regionale. Di un certo interesse è la disciplina della potestà regolamentare regionale. L’art. 44 prevede che in via generale la potestà regolamentare sia esercitata dalla Giunta regionale, ma con una partecipazione del Consiglio affidata alla formula del “parere preventivo obbligatorio, non vincolante” (138): una soluzione che appare idonea ad equilibrare la riserva alla Giunta la potestà regolamentare con un coinvolgimento formale e preventivo del Consiglio nel processo decisionale (139). Al tempo stesso l’art. 44, 3° co., precisa che tale procedura è derogabile nei casi di necessità ed urgenza. L’art. 44, 5° co., autorizza la Giunta ad “avvalersi del parere del Consiglio di Stato nell’esercizio dell’attività regolamentare”: non si tratta dunque di un obbligo, ma di una facoltà; e d’altro canto si possono nutrire dubbi sulla sufficienza di questa disposizione a obbligare il Consiglio di Stato (che è organo statale e non regionale) a predisporre i pareri eventualmente richiesti dalla Giunta regionale pugliese. Avendo lo statuto istituito un – sia pur claudicante – Consiglio statutario (140), non si capisce perché questa funzione tecnico-consultiva non sia stata attribuita a tale organo (141).
L’art. 44 individua quattro tipologie di regolamenti: esecutivi, di attuazione, integrativi e di delegificazione. Questi ultimi possono essere adottati solo sulla base di una espressa delega del Consiglio regionale, da cui sembrerebbe doversi desumere l’inammissibilità di simili regolamenti in assenza di tale delega (e ciò appare condivisibile). L’enumerazione deve ritenersi tassativa, con la conseguenza che non sembrano ammissibili regolamenti indipendenti, né riserve di regolamento.
Lo statuto non contiene previsioni relative ai regolamenti delegati in materie di competenza esclusiva statale (142), né su eventuali regolamenti di recezione della normativa comunitaria (143). Non sono espressamente previste potestà regolamentari del Presidente della Giunta, anche se i summenzionati “provvedimenti di organizzazione degli uffici regionali” che egli è competente ad adottare potrebbero essere considerati forme anomale di regolamenti (presidenziali) organizzativi.
6.6. La pletorica composizione degli organi regionali.
In materia di organizzazione regionale, va segnalata la tendenza alla dilatazione numerica degli organi politici, che costituisce uno dei tratti comuni ai progetti di statuto attualmente discussi dai Consigli delle Regioni ordinarie.
Si è visto che il numero dei membri del Consiglio regionale pugliese viene aumentato da 62 a 70 membri (144); il numero dei membri della Giunta regionale è variabile, ma può arrivare a comprendere un quinto dei membri del Consiglio, vale a dire 14 componenti, più il Presidente (145); il Consiglio delle autonomie locali “è composto da un numero di membri non superiore a quello del Consiglio regionale” (quindi nuovamente 70 membri (146)). A ciò vanno aggiunti i 5 componenti del Consiglio statutario regionale e la complessa rete delle autorità di garanzia.
E’ difficile non cogliere una tendenza della classe politica regionale a moltiplicare gli spazi disponibili di potere (apparente o reale, questo poco importa), pur in un sistema che ha un centro ben preciso, rappresentato, come si è visto, dalla figura del Presidente della Giunta: la logica perseguita sembra essere un festoso compromesso fra il divide et impera e il panem et circenses.
7. Il Consiglio delle autonomie locali.
Com’è noto, l’art. 7 della legge cost. n. 3/2001 ha inserito nell’art. 123 Cost. un 4° co., che ha imposto agli statuti regionali di disciplinare il Consiglio delle autonomie locali “quale organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali”, costituzionalizzando un organo che – sia pure con caratteristiche talora molto diverse – varie leggi regionali avevano previsto nel corso degli anni novanta (147), e, fra esse, la legge reg. pugliese n. 22/2000 (art. 6-8), la quale aveva istituito una “Conferenza permanente Regioni/Autonomie locali” (148).
L’art. 45 dello statuto pugliese adempie sommariamente al mandato costituzionale ora citato, delineando una scheletrica disciplina del quarto organo regionale necessario, che viene incluso fra gli “organi a rilevanza statutaria”. La vera e propria disciplina del Consiglio delle autonomie è stata però demandata dall’art. 45, 3° co., ad una specifica legge regionale, da adottarsi “sentite le associazioni di rappresentanza” degli enti locali, e per la cui approvazione è stato previsto un termine breve, di sessanta giorni dalla entrata in vigore dello statuto: termine che non è stato rispettato, atteso che, a quasi un anno dalla approvazione del nuovo statuto, nessuna legge con questo contenuto è stata adottata (149).
a) Composizione. Circa la composizione del Consiglio delle autonomie locali, l’art. 45, 2° co., non ha operato scelte compiute, ma ha fissato due criteri di massima (150). Per il numero dei componenti è stato previsto un limite massimo, determinandolo non con una cifra assoluta, ma con riferimento al numero dei componenti il Consiglio regionale (settanta membri) (151). I componenti del Consiglio delle autonomie locali sono “in rappresentanza dei Consigli comunali, provinciali, della Città metropolitana e delle Comunità montane”: l’art. 45 non ripartisce però i membri del Consiglio fra le varie categorie, né prevede le modalità di elezione (scelte tutte rimesse alla legge regionale), ma integra in tre modi il disposto costituzionale.
Vengono anzitutto individuati gli enti locali rappresentati nel Consiglio delle autonomie: non solo province e comuni, ma anche la (per ora non ancora esistente) Città metropolitana di Bari e, soprattutto, le Comunità montane (152).
Inoltre, l’art. 45, 2° comma, precisa che sono i Consigli di tali organi – e non le Giunte, né i vertici di queste ultime (153) – ad essere rappresentati nel Consiglio delle autonomie locali.
Infine, il 3° co. dell’art. 45 prevede che la legge chiamata a disciplinare l’organo in esame garantisca l’”equilibrata rappresentanza territoriale” e “il pluralismo rappresentativo”.
Con questa tecnica di disciplina della composizione del Consiglio delle autonomie si è fatto “destatutizzata” una serie di scelte rilevanti per la conformazione dell’organo, rimettendolo del tutto nelle mani della maggioranza parlamentare del momento, al punto che ci si potrebbe chiedere se la “riserva di statuto” prevista dall’art. 123, 4° co., sia stata soddisfatta dalle norme in commento.
Dai criteri indicati risulta comunque che l’attuale composizione della Conferenza permanente Regione-Enti locali di cui alla legge reg. n. 22/2000, caratterizzata dalla compresenza di autorità regionali, sia pure senza diritto di voto, e di rappresentanti delle associazioni degli enti locali (154) non soddisfa i nuovi requisiti statutari.
b) Funzioni. Anche riguardo alle funzioni, l’art. 45, pur non disciplinando direttamente l’organo in questione, specifica – anche se con una formulazione molto confusa – la previsione dell’art. 123 Cost., che si limita a delineare il Consiglio delle autonomie come “organo di consultazione” fra Regione ed enti locali. Il 1° co. Dell’art. 45 dello statuto pugliese precisa che il Consiglio è organo di rappresentanza e di partecipazione delle autonomie locali, finalizzato a favorirne l’intervento nei processi decisionali regionali, con funzione di “raccordo” e di “consultazione” (155). Scarsi sono gli elementi per comprendere se il Consiglio delle autonomie locali sia più vicino ad una Conferenza regionale delle autonomie locali – collocata “presso la Giunta” – o ad una sorta di Camera delle autonomie, collocata “presso il Consiglio regionale”. L’art. 45 dello statuto precisa in effetti che il Consiglio delle autonomie “è istituito … con sede presso il Consiglio regionale”, ma non si pronuncia sul tipo di funzioni regionali cui sia chiamato a partecipare, né, tantomeno, si spinge ad individuarne la fase, limitandosi a prevedere, in generale, che esso è finalizzato a favorire l’intervento delle autonomie locali “nei processi decisionali della Regione” (156).
Nessun cenno vi è nello statuto alla funzione assegnata ai Consigli delle autonomie locali dall’art. 32 della legge n. 87/1953, come modificato dall’art. 9, 3° co., della legge n. 131/2003, secondo il quale «la questione di legittimità costituzionale, previa deliberazione della Giunta regionale, anche su proposta del Consiglio delle autonomie locali, è promossa dal Presidente della Giunta mediante ricorso diretto alla Corte costituzionale e notificato al Presidente del Consiglio dei ministri entro il termine di sessanta giorni dalla pubblicazione della legge o dell’atto impugnati» (157).
c) Funzionamento. Alla legge regionale è rimessa anche la determinazione delle norme sul funzionamento interno del Consiglio delle autonomie (158), dei quorum di validità delle sedute e delle deliberazioni alle regole sull’elezione del Presidente e sulla convocazione e la periodicità delle sedute. A differenza di altri statuti (159), lo statuto pugliese non ha rinviato tali materie al regolamento interno del Consiglio delle autonomie (160).
8. Il Consiglio statutario.
Come buona parte degli statuti già approvati o tuttora in corso di elaborazione (161), anche lo statuto pugliese ha accolto la proposta – avanzata in dottrina (162) – di istituire un organo di garanzia della rigidità dello statuto. A tale organo, disciplinato dagli art. 47, 48 e 49, è stata attribuita la denominazione di “Consiglio statutario regionale”.
a) Composizione ed elezione. L’art. 48 dello statuto stabilisce che il Consiglio statutario regionale è composto di cinque membri, eletti con voto limitato dal Consiglio regionale. L’art. 48 fissa anche i requisiti di eleggibilità, stabilendo che tre dei membri del Consiglio statutario debbano essere eletti fra gli ex consiglieri regionali che abbiano esercitato la funzione per almeno dieci anni e due fra gli esperti di diritto. L’art. 48, 2° co., stabilisce inoltre che il Consiglio statutario elegge il suo Presidente (deve supporsi: al proprio interno) e che le funzioni di segretario sono esercitate dal componente più giovane. Lo statuto tace sia sulla durata del mandato del Consiglio, rimettendo ogni determinazione sul punto ad una legge regionale di attuazione (competente a disciplinare il funzionamento, l’organizzazione, il trattamento economico e le cause di incompatibilità dei membri del Consiglio), di cui l’art. 49 prevede la necessaria approvazione entro 6 mesi dall’entrata in vigore dello Statuto (e di cui, al momento, non vi è traccia).
Si tratta, nel complesso, di scelte in parte deboli, in parte criticabili.
La debolezza della scelta compiuta dallo statuto riguarda sia la procedura di elezione – che appare idonea ad assicurare alle minoranze due componenti su cinque del Consiglio, ma non ad imporre alla maggioranza ed alla minoranza di scegliere i componenti consensualmente, come sarebbe accaduto se fosse stata stabilita una maggioranza qualificata per l’elezione (163) – sia il rinvio alla legge regionale della determinazione della durata, oltre che di ogni profilo relativo al funzionamento.
Decisamente criticabili appaiono invece le scelte compiute dallo statuto pugliese riguardo ai requisiti per la nomina dei membri del Consiglio statutario, come ben si vede se si confronta la disciplina dell’art. 48 con il testo predisposto dalla Commissione consiliare che aveva redatto il testo base dello statuto, e che aveva previsto che dei cinque membri del Consiglio, due soltanto fossero gli ex consiglieri, affiancati da tre professori di diritto delle università pugliesi, nominati dai Rettori di tali Università. Per quanto riguarda la riserva di tre posti su cinque ad ex consiglieri regionali, la scelta conferma la tendenza di alcuni disegni di legge recenti a individuare posizioni di presunto potere per politici non rieletti (si pensi al Senato configurato nel testo originario del disegno di legge costituzionale A.S. n. 2544 della presente legislatura), e, soprattutto, solleva dubbi sulla effettiva capacità di membri con siffatta provenienza di acquisire autonomia dai Consigli regionali (164) ed evidenzia uno “sbilanciamento della componente politica a detrimento di quella tecnica” (165). Anche l’utilizzazione della generica dizione di “esperti in discipline giuridiche” (categoria all’interno della quale andranno eletti due membri del Consiglio statutario), non appare idonea a rafforzare la legittimazione dell’organo, dato che si tratta di una qualificazione estremamente generica, specie in una Regione in cui molto numerosi sono gli esercenti vari tipi di professioni legali.
b) Le funzioni. Non meno debole e indeterminato si rivela il quadro per quanto attiene alle funzioni del Consiglio statutario, pure genericamente riconducibili alla garanzia della rigidità dello statuto.
La competenza più importante parrebbe essere quella di verificare la “incompatibilità statutaria delle proposte di legge” (166), ma tale verifica è configurata come una specie di giudizio di secondo grado, rispetto ad una prima valutazione compiuta “dalla competente commissione consiliare”, oltretutto nei casi previsti dal regolamento interno del Consiglio regionale (167). Lo statuto tace del tutto sia sulla fase del procedimento di formazione della legge in cui potranno avvenire tali valutazioni, sia sui soggetti legittimati ad adire il Consiglio statutario e sugli effetti delle “pronunce” del Consiglio medesimo; e non è nemmeno chiaro se la competenza a regolare questi profili spetti al regolamento interno del Consiglio regionale o alla legge regionale indicata dall’art. 49 dello statuto. Alla stregua dello statuto è pertanto impossibile dire se il Consiglio sia effettivamente configurato come un organo di garanzia della superiorità dello statuto sulla legge regionale, specie se si considera la genericità delle disposizioni di principio contenute nei primi due titoli dello statuto medesimo.
Al Consiglio statutario non è invece attribuita la competenza a giudicare della compatibilità con lo statuto dei regolamenti, il che forse si spiega con il fatto che essi, nel “sistema delle fonti” pugliese, sono configurati sempre come fonte subordinata alla legge, per cui non sembrerebbero potersi dare casi di diretta subordinazione di regolamenti allo statuto. Non è chiaro, però, se tale ipotesi potrebbe verificarsi nel caso di taluni regolamenti, quali i regolamenti delegati dal Governo, quelli di esecuzione diretta di norme comunitarie (167bis) e quelli (presidenziali) di organizzazione degli uffici amministrativi (168).
Minori sembrano essere i problemi posti dalla seconda competenza del Consiglio statutario, ovvero la verifica dell’ammissibilità dei referendum (abrogativo e statutario), della sussistenza del quorum per la richiesta di referendum statutario e dell’ammissibilità dell’iniziativa legislativa della frazione del corpo elettorale e degli enti locali individuati dallo statuto. L’esigenza di attribuire funzioni simili ad un organo sottratto al circuito decisionale politico era infatti ben nota anche prima della legge cost. n. 1/1999 (quando la competenza in questione era attribuita, nella Regione Puglia come in altre Regioni, all’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale (169)) e ciò spiega la scelta dello statuto pugliese, così come quella di altri statuti (170).
Estremamente fumosa è invece la terza competenza riconosciuta dallo statuto al Consiglio statutario, che consiste nella verifica della “valutazione delle capacità dei soggetti non pubblici che la Regione individua per il conferimento dei compiti di per sé pubblici”. A prescindere, ora, da quali siano le capacità da verificare e di quali soggetti e compiti si tratti (anche se non è difficile intravedere qui un sia pur confuso richiamo del principio di sussidiarietà orizzontale, enunciato dall’art. 1, 4° co., dello statuto), non si comprende cosa abbia a che fare una competenza di questo tipo con un organo di garanzia della superiorità dello statuto e, in prospettiva comparatistica, con quelle che gli statuti attualmente in corso di approvazione tendono ad attribuire agli organi simili al Consiglio statutario pugliese. Si consideri, infine, che lo statuto ha cura di precisare la natura delle pronunce rese dal Consiglio in questo caso: si tratta – secondo l’art. 47 lett. c – di un “parere non vincolante”, dunque di una valutazione che dovrebbe poter essere superata dall’organo competente alla decisione (anche qui non è dato sapere quale sia). Ma ciò rischia di riaprire un’altra spinosa questione: quella della natura delle pronunce del Consiglio nell’esercizio delle altre sue competenze, che pure dovrebbero essere sempre “pareri non vincolanti” (171), anche se la specificazione della loro natura non vincolante solo per la terza competenza del Consiglio statutario sembrerebbe aprire la via a conclusioni diverse.
Va infine registrata la scomparsa, dall’elenco delle competenze dello statuto, di quelle a dirimere “con funzione arbitrale, i conflitti di attribuzione tra Organi della Regione” (172) e a formulare “risoluzione conciliativa nei conflitti tra Regione, autonomie locali e funzionali, aventi ad oggetto l’applicazione delle norme statutarie”, originariamente previste dal progetto della Commissione istituzionale (173). La scelta del Consiglio regionale è in effetti poco comprensibile, specie per la prima di tali due competenze, che molti statuti in corso di elaborazione hanno attribuito ad organi simili al Consiglio statutario pugliese. In tal modo ne sono state assottigliate le funzioni sino a renderlo una potenziale istituzione fantasma: e la scelta di prevederlo comunque, in questa forma quasi del tutto inutile (174), è poco razionale, se si considera che nessuna disposizione costituzionale obbligava lo statuto pugliese a prevedere una istituzione di questo tipo.
Lo statuto pugliese tace anche sui soggetti legittimati ad adire il Consiglio statutario (175) e sulle modalità di adozione dei pareri (176): e anche questa opzione è rimessa in parte al Regolamento interno del Consiglio, in parte alla legge regionale di attuazione.
9. Gli altri organi regionali.
Il quadro degli organi regionali è completato dalla Conferenza regionale permanente per la programmazione economica, territoriale e sociale (177), inclusa fra gli organi a rilevanza statutaria, e dalle autorità di garanzia (178): l’Ufficio della difesa civica; il Consiglio generale dei pugliesi nel mondo e il Comitato per l’informazione e la comunicazione. Si tratta di organi già previsti nella legislazione regionale pugliese, sia pure con formule organizzative talora diverse da quelle delineate nello statuto.
a) La Conferenza regionale per la programmazione economica, territoriale e sociale è un organo consultivo della Regione, composto da “delegati” delle autonomie funzionali, delle formazioni sociali e del terzo settore: dunque il punto di emersione istituzionale della sussidiarietà orizzontale (179), allo stesso modo in cui il Consiglio delle autonomie locali lo è della sussidiarietà verticale.
Peraltro, se la composizione e i criteri di nomina della Conferenza regionale sono rinviati – come nel caso del Consiglio delle autonomie – ad una legge regionale da approvarsi entro sessanta giorni dall’entrata in vigore dello statuto (180) (con il solo criterio della “effettiva rappresentatività” delle diverse componenti), le funzioni consultive della Conferenza sono regolate dallo statuto in maniera un po’ meno confusa di quanto accade per il Consiglio. L’art. 46, 2° co., individua infatti con relativa precisione gli atti su cui la Conferenza – che tiene due sessioni annuali – è chiamata a “formulare proposte e indirizzi” e ad “esprimere pareri”: a) i documenti generali di programmazione della Regione; b) la legge finanziaria regionale; c) i bilanci consuntivi della Regione e degli enti, aziende e agenzie ad essa collegati (in quest’ultimo caso mediante un monitoraggio sull’efficienza delle azione programmate).
Tale organo si affiancherà al Consiglio regionale dell’Economia e del Lavoro, istituito nella Regione Puglia dalla legge reg. n. 10/1995 per assicurare “la partecipazione al processo di programmazione …delle forze economiche e sociali” e che a tal fine è abilitato ad esprimere pareri su una nutrita serie di atti regionali in materia economica e di compiere studi sulle medesime tematiche. Singolarmente, l’art. 46 del nuovo statuto non menziona il CREL (181), e, d’altro canto, configura la Conferenza territoriale come un organo destinato in parte a sovrapporsi con esso, ma non a sostituirlo, atteso che i soggetti cui i due organi sono destinati a dare rappresentanza sono diversi fra loro (le tradizionali “categorie produttive” per il CREL; i soggetti più tipici della sussidiarietà sociale per la Conferenza), anche se essi confluiscono entrambi nel Consiglio nazionale dell’Economia e del Lavoro a livello nazionale.
b) L’Ufficio di Difesa Civica è un “organo ausiliario e indipendente composto di cinque componenti eletti dal Consiglio regionale” (182) che costituisce la versione pugliese del difensore civico regionale. Quest’ultimo organo non era stato previsto dallo statuto pugliese del 1971, a differenza di altri statuti adottati in quel frangente; esso aveva trovato una sua disciplina nella Regione con la legge reg. n. 38/1981. Diversamente dai difensori civici previsti in altre Regioni (e nella stessa Puglia, ai sensi della legge or ora citata), l’Ufficio per la Difesa Civica ha natura collegiale, con la finalità di consentire il concorso di “conoscenze, esigenze ed esperienze varie” che un organo monocratico non garantirebbe (182 bis).
L’art. 50, 2° co., lett. a) dello Statuto individua – con una certa generosità, che finisce peraltro per tradursi in genericità e confusione (182 ter) – le finalità di tutela dei diritti e degli interessi cui l’Ufficio è preposto:
- diritti e interessi di persone ed enti nei confronti di soggetti svolgenti una funzione pubblica;
- diritti e principi fondamentali previsti dagli art. da 3 a 6 dello statuto;
- infanzia, adolescenti e minori;
- diritti e libertà fondamentali degli immigrati;
- diritti e interessi dei consumatori e degli utenti.
L’art. 50, 4° co., dello statuto prevede che l’Ufficio interviene su domanda o di propria iniziativa per indurre gli organi e le strutture che abbiano posto in essere abusi o irregolarità a provi rimedio e a rimuoverne le cause. La medesima disposizione precisa che l’Ufficio di difesa civica opera mediante “criteri e procedure non giurisdizionali”, secondo la logica dell’istituto del difensore civico (183).
c) Il Consiglio generale dei pugliesi nel mondo è un organo cui lo statuto attribuisce il compito di intervenire “nella tutela dei diritti dei cittadini pugliesi (sic!) stabilitisi all’estero” (184). Nulla di più è detto circa la composizione e le funzioni di tale Consiglio, che l’art. 50, 6° co., rinvia alla legge regionale. Peraltro esiste già nella Regione Puglia un organo denominato proprio in questo modo, istituito dall’art. 7 della legge reg. n. 23/2000, con una composizione molto articolata, strutturata sulla base di designazioni provenienti dalle associazioni e delle federazione dei cittadini italiani di origine pugliese residenti all’estero. Tale organo, secondo la legge reg. ora citata, ha funzioni di proposizione, consulenza e indirizzo nella realizzazione dei piani regionali di intervento a tutela dei pugliesi residenti all’estero.
d) Il Comitato per l’informazione e la comunicazione (Co.re.com.), il quale “interviene a tutela della conoscenza e trasparenza dell’azione legislativa e amministrativa” (185), è previsto dall’art. 50, 2° co., lett. c), dello statuto, che rinvia però alla legge regionale la determinazione della sua composizione e delle sue funzioni. Anche in questo caso, la legislazione regionale prestatutaria aveva già previsto un organo avente una denominazione simile, il Comitato regionale per le Comunicazioni, istituito in attuazione della legge statale n. 249/1997, e avente funzioni di “assicurare a livello territoriale regionale le necessarie funzioni di governo, di garanzia e di controllo in tema di comunicazioni” (186). Malgrado la quasi identità della denominazione dell’organo previsto dallo statuto con quello delineato dalla legge reg. ora citata, non sembra esservi totale coincidenza fra le funzioni dei due organi, con la conseguenza che si potrebbe dubitare sulla configurazione della legge reg. n. 3/2000 come legge di attuazione anticipata del nuovo statuto.
10. Bilancio e programmazione
Lo statuto pugliese contiene un titolo VI, composto di ben nove articoli, dedicato all’”ordinamento in materia di programmazione, bilancio, finanze e contabilità”, che prevede una definizione molto essenziale degli strumenti regionali in questo complesso ambito materiale. Si tratta, peraltro, di un titolo composto in buona parte di disposizioni superflue o inutili: le prime, che ripetono disposizioni costituzionali senza aggiungervi alcun contenuto innovativo (187); le seconde, che si limitano a menzionare un determinato istituto, ma ne rinviano la disciplina alla legge regionale (188).
Traspaiono comunque da questo titolo dello statuto due importanti principi organizzativi.
In primo luogo è accolto il metodo della programmazione, ovvero un sistema “a scatole” che prevede un primo livello di programmazione affidato al piano regionale di sviluppo (il quale, però, non viene definito dallo statuto), un secondo al documento annuale di programmazione economica e finanziaria (che è “atto di indirizzo programmatico, economico e finanziario dell’attività di governo della Regione”), un terzo al bilancio annuale di previsione ed alla legge finanziaria (quest’ultima è finalizzata alla “regolazione annuale degli stanziamenti previsti dalla legislazione regionale vigente, al fine di adeguare gli effetti finanziari agli obiettivi, nel rispetto della programmazione economico-finanziaria regionale”).
In secondo luogo, la distribuzione dei poteri fra gli organi regionali prevede, per tutti questi documenti la riserva di predisposizione (e quindi di iniziativa) in capo alla Giunta regionale e la necessaria approvazione da parte del Consiglio (189), oltre alla possibilità che la Conferenza regionale per la programmazione economica, territoriale e sociale formuli pareri. Non viene precisato che la forma di approvazione è quella della legge, con eccezione della legge finanziaria annuale (per la quale, fra l’altro, non è precisata la riserva di iniziativa alla Giunta (190)): ne segue che tali provvedimenti potrebbero rivestire anche la forma di una deliberazione consiliare non legislativa. E’ dubbio però che tale forma sia sufficiente per il bilancio regionale annuale.
11. La revisione dello statuto.
Lo statuto tace quasi del tutto sulle procedure per la propria revisione (191), limitandosi a confermare quanto previsto dall’art. 123 Cost. (192), ad attribuire al Consiglio statutario la competenza a verificare la sussistenza del quorum per la richiesta e a dichiararne l’ammissibilità (193) e ad escludere – come si è visto – l’iniziativa popolare sulla revisione dello statuto (194).
Non è al riguardo condivisibile il rilievo secondo cui “altra disciplina non occorreva” (195) e una disciplina così scarna appare criticabile. Si è infatti persa l’occasione per integrare le norme costituzionali sulla revisione dello statuto (196), il che avrebbe potuto avvenire quantomeno nelle seguenti direzioni:
a) attribuendo formale rilievo alla partecipazione alla revisione dello statuto ad organi diversi dal Consiglio regionale (depositario della decisione sul punto, assieme al corpo elettorale della Regione), quali il Consiglio delle autonomie locali (197), la Conferenza per la programmazione e il Consiglio statutario, che tutti avrebbero potuto esprimere (in forma consultiva) punti di vista utili in un processo di revisione della lex fundamentalis della Regione;
b) regolando più articolatamente, sia pure per principia, il referendum statutario (198);
c) disciplinando la pubblicazione nel Bollettino Ufficiale dello statuto dopo la seconda deliberazione consiliare (199);
d) disciplinando l’entrata in vigore del nuovo statuto e prevedendo l’abrogazione delle disposizioni legislative regionali previgenti con esso incompatibili (200);
e) prevedendo una verifica periodica da parte di una Commissione consiliare sulla idoneità delle norme statutarie, al fine di agevolare una costante “manutenzione” dello statuto.
12. Uno statuto “leggero” o uno statuto inutile?
Si è visto che lo statuto pugliese è caratterizzato da un ricorso abbondante alla tecnica del rinvio ad altre fonti per l’adozione di scelte tutt’altro che marginali per delineare l’assetto complessivo della forma di governo regionale. Al regolamento interno del Consiglio regionale (201) è rinviata ogni determinazione per quanto concerne il procedimento legislativo (202) (inclusa la stessa possibilità di prevedere commissioni in sede deliberante (203), l’elezione del Presidente e dell’Ufficio di presidenza del Consiglio regionale (204), il numero delle Commissioni permanenti (205), la disciplina dei gruppi consiliari (206) e il giudizio sulla incompatibilità statutaria delle leggi da parte della Commissione affari istituzionali del Consiglio regionale (207).
Lo statuto fa poi rinvio a varie leggi regionali, prevedendo, il più delle volte, che esse siano adottate entro termini brevi dall’entrata in vigore dello statuto medesimo: così l’art. 49 prevede che entro 6 mesi dall’entrata in vigore dello statuto sia approvata la legge istitutiva del Consiglio statutario, l’art. 45, 3° co., e l’art. 46, 4° co., prevedono addirittura termini di 60 giorni dall’entrata in vigore dello statuto per l’approvazione delle leggi relative, rispettivamente, alla legge sul Consiglio delle autonomie locali e sulla Conferenza regionale permanente per la programmazione economica, territoriale e sociale e, infine, l’art. 37, 4° comma, precisa che entro un anno dall’entrata in vigore dello statuto dovrà essere approvato il nuovo regolamento del Consiglio regionale. Termini, questi, dei quali nessuno è stato rispettato.
In altri casi, infine, lo statuto opera rinvii più generici alla legge regionale, di cui pullulano, in particolare, i titoli V e VI.
Siffatta ampia serie di rinvii a fonti ulteriori conferma che lo statuto pugliese si presenta non tanto come uno statuto breve e aperto alle evoluzioni della società e del sistema politico della Regione (208), ma piuttosto come un atto debole, scarsamente innovativo (in cui gli spunti di innovazione, laddove esistono, sono appena abbozzati), “completamente disorganico” (209), con evidenti eccessi di retorica e di verbosità nei principi, cui non corrisponde però nessuna – neppur abbozzata – traduzione operativa.
Si tratta decisamente di una occasione mancata: il primo fra i nuovi statuti ad entrare in vigore dopo la legge cost. n. 1/1999 ben sintetizza – pur esasperandone i difetti – i limiti della stagione statutaria tuttora in corso e si rivela tutto sommato inutile, considerato che esso ha adempiuto solo formalmente all’obbligazione costituzionale di approvare un “nuovo statuto” ai sensi dell’art. 5 della legge cost. appena citata, adeguato alle sfide lanciate alle Regioni dalla legge cost. n. 3/2001. Ad operare una siffatta revisione formale, che consolidasse in un unico testo normativo, coordinandola, la disciplina che, dopo la riforma del 1999, era distribuita fra lo statuto e la nuova legislazione costituzionale, sarebbe stata più che sufficiente una revisione parziale e puntuale dello statuto del 1971, rispetto al quale, oltretutto, la nuova lex fundamentalis pugliese rappresenta un netto regresso dal punto di vista della tecnica normativa (210).
NOTE
(1) Nel momento in cui ebbe luogo il seminario nel quale questa comunicazione venne presentata oralmente (20.12.2003), solo la Regione Emilia-Romagna aveva approvato una legge di modifica del proprio statuto, ai sensi dell’art. 123, nuovo testo, che era regolarmente entrata in vigore (l. r. n. 4/2001). Una delibera legislativa statutaria era stata approvata nel 2001 anche dalla Regione Marche, ma essa era stata dichiarata incostituzionale dalla sent. n. 304/2002 della Corte costituzionale. Lo statuto calabrese era stato approvato il 31 luglio 2003 dal Consiglio regionale in seconda lettura ed era all’esame della Corte costituzionale, mentre solo le Regioni Puglia (11 settembre 2003, ma la deliberazione era stata revocata e sostituita da un nuovo testo il 21 ottobre 2003) e Abruzzo (24 settembre 2003) avevano approvato il loro statuto in prima lettura.
(2) Su tale sent. si v. il n. 2/3 del 2004 della rivista Le istituzioni del federalismo.
(3) Oltre allo statuto pugliese, sono oggi in vigore gli statuti delle Regioni Calabria (legge reg. 19.10.2004, n. 25) e Lazio (legge statutaria 11.11.2004, n. 1). Prossima è la promulgazione dello statuto della Regione Toscana, dopo la sent. n. 372/2004, nonché dello statuto della Regione Piemonte (approvato in seconda lettura il 19.11.2004 e non impugnato dal Governo). Sono stati approvati in seconda lettura anche gli statuti delle Regioni Liguria (il 28.9.2004), Abruzzo (entrambi tali statuti sono stati impugnati dal Governo davanti alla Corte costituzionale, ma la Regione Abruzzo ha modificato il suo statuto a seguito di tale impugnazione, approvando un nuovo testo in prima lettura il 9.11.2004) e Marche (il 4.12.2004). Lo statuto della Regione Emilia-Romagna dovrà essere modificato dopo la sent. n. 379/2004, mentre per la Regione Umbria il Consiglio regionale ha deliberato di non procedere ad una nuova approvazione e ha chiesto al Presidente di promulgare lo statuto dopo il decorso dei tre mesi per il referendum, omettendo i primi tre commi dell’art. 66, dichiarati incostituzionali dalla Corte nella sent. n. 378/2004. Lo statuto della Regione Campania è stato approvato in prima lettura il 18.9.2004. Le Regioni Veneto, Molise e Basilicata hanno approvato una bozza di statuto in Commissione (ma nel caso del Molise la VII legislatura si è conclusa anticipatamente nel 2001 e la VIII legislatura, attualmente in corso, si concluderà solo nel novembre 2006). La Regione Lombardia non ha approvato nemmeno un testo in Commissione. Per una rassegna critica degli statuti aggiornata al 31 agosto 2004, v. R. BIN, La nuova autonomia statutaria, Relazione al Convegno ISSiRFA del 30.6.2004, in www.issirfa.it.
I riferimenti a statuti regionali diversi da quello pugliese, nelle note che seguono, riguardano l’ultima deliberazione adottata da ciascuna Regione e sono limitati agli statuti che hanno ottenuto almeno una approvazione consiliare.
(4) Il tema delle riforme istituzionali ha attraversato tutta la XIV legislatura. Dopo che la riforma del sistema regionale, sulla base dello slogan della devolution, era stata parte del programma con cui la Casa delle Libertà aveva vinto le elezioni del 13 maggio 2001, già nell’estate del 2001 venne fatto informalmente circolare uno schema di disegno di legge di modifica del solo art. 117 Cost. (e di poche altre disposizioni), ancora collocato nella prospettiva del titolo V originario, che, di lì a poco, a seguito del referendum costituzionale del 7 ottobre 2001, sarebbe stato modificato dalla legge cost. n. 3/2001.
In continuità con l’impostazione di tale schema, il 26 febbraio 2002 il governo presentò al Senato un disegno di legge costituzionale (Atto Senato n. 1187), volto ad introdurre nel (nuovo) art. 117 la competenza legislativa esclusiva delle Regioni nelle materie dell’«assistenza e organizzazione sanitaria»; dell’«organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di formazione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche»; nonché della «definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della Regione» e della «polizia locale». Dopo l’approvazione di tale disegno di legge da parte del Senato il 5 dicembre 2002, la Camera modificò il testo, approvandolo in una nuova versione il 14 aprile 2003, ma, dopo il ritorno del disegno di legge al Senato, e la sua assegnazione alla Commissione affari costituzionali, esso fu di fatto abbandonato.
Nella primavera del 2003, il governo annunciò la presentazione di un nuovo disegno di legge costituzionale, finalizzato a modificare più incisivamente il titolo V: in esso, il contenuto del disegno di legge n. 1187 era trasfuso in un progetto più ampio, che ritoccava il riparto di competenze fra Stato e Regioni contenuto nell’art. 117, mantenendo per il resto immutato l’impianto del testo costituzionale riformato nel 2001 (c.d. disegno di legge Bossi-La Loggia). A partire da questo momento iniziarono a manifestarsi due tendenze che avrebbero continuato a caratterizzare le fasi successive del dibattito: da un lato, l’esigenza di riequilibrare la devolution, bilanciandola con una revisione del catalogo di competenze e con la previsione di meccanismi posti a garanzia dell’interesse nazionale; dall’altro la domanda delle forze della coalizione di centro-sinistra diverse dalla Lega Nord di ottenere l’inserimento nel disegno di legge di riforma di temi che fossero espressione delle rispettive culture di partito, con la conseguente tendenza all’ampliamento del raggio d’azione del progetto riformatore. Ma anche il disegno di legge Bossi-La Loggia si arenò ben presto: trasmesso alla Conferenza Stato-Regioni, esso non giunse mai all’esame delle Camere.
E’ su questo sfondo che si collocano i lavori dei rappresentanti designati dai partiti della maggioranza, riuniti in una baita dolomitica a Lorenzago nell’agosto 2003. Da tali riunioni venne partorita una bozza (c.d. “bozza di Lorenzago”), che fu presa come base dal Governo, il quale il 19 settembre 2003 presentò al Senato il disegno di legge n. 2544, che da quel momento sarebbe diventato la base del dibattito sulle riforme. La “bozza di Lorenzago” rappresenta un salto di qualità per quanto attiene alla portata del progetto di revisione: se sino a quel momento esso aveva riguardato una parte certo rilevante del testo costituzionale, ma in fondo limitata al sistema delle autonomie, il testo che giungeva all’esame del Senato alla ripresa dell’attività politica, dopo la pausa estiva 2003, includeva numerosi altri oggetti. Composto di sei capi, ognuno dei quali volto a modificare ciascuno dei sei titoli di cui è composta la II parte della Costituzione, il disegno di legge n. 2544 concerneva il bicameralismo, la forma di governo, il sistema delle autonomie, le istituzioni di garanzia e la stessa procedura di revisione costituzionale, evidenziando uno spettro di interventi comparabile con i disegni globali di revisione degli anni novanta, elaborati dalla Commissione De Mita-Jotti, dal Comitato Speroni e dalla Commissione D’Alema.
Il disegno di legge n. 2544 è stato approvato dal Senato il 25 marzo 2004, con modificazioni rilevanti rispetto al disegno di legge governativo. Il 15 ottobre 2004 esso è stato a sua volta approvato dalla Camera (A.C. n. 4862), con ulteriori modificazioni (esso modifica le regole sul riparto delle competenze fra Stato e Regioni, prevede una procedura per la garanzia dell’interesse nazionale e introduce nuove norme sulla forma di governo regionale, volte a flessibilizzarla, che produrrebbero un ampliamento della competenza statutaria) e si trova attualmente all’esame della Commissione affari costituzionali del Senato.
(5) Si v. l’art. 122, 5° co., Cost. Per i problemi della forma di governo regionale rinvio al mio Nuovi statuti e forma di governo delle Regioni: verso le Costituzioni regionali?, Il Mulino, Bologna, 2002.
(6) Per questo rilievo v. G. DE RITA, Intervento, in AREL-Informazioni, 2003, n. 1, p. 91-92.
(7) Di cui sono un esempio istruttivo, anche se non certo l’unico, le leggi finanziarie approvate dal 2001 al 2004 (leggi n. 448/2001, 289/2002, 350/2003).
(8) Le forme assunte dall’antiregionalismo sono diverse, ma convergenti nei risultati: talora l’interpretazione letterale di alcune disposizioni (ad es. in materia di statuti regionali ordinari, ove pure alcune decisioni forzano in maniera restrittiva la lettera dell’art. 122 Cost.: si v. anzitutto la sent. n. 2/2004); talaltra una creatività sganciata dalla sistematica del titolo V (è il celebre caso della sent. n. 303/2003, in cui non a torto si sono intravisti i «bagliori del potere costituente», secondo la felice immagine proposta da A. MORRONE, La Corte costituzionale riscrive il titolo V, in Quad. cost., 2003, IV, p. 818); a volte il conservatorismo, che ha preservato schemi formatisi in una tipologia di riparto di competenze completamente diversa (è il caso dei vari profili della competenza concorrente); sempre il rifiuto di utilizzare concetti tratti dall’esperienza federale, pure nella sua variante europea, non certo distante dal regionalismo italiano. L’unico limite all’antiregionalismo è una sorta di “indietro non si torna”: la Corte riconosce in genere che spetta alle Regioni quanto già competeva loro prima della legge cost. n. 3/2001 (casi lampanti sono la sentenza n. 407/2002, in materia di ambiente, la sent. n. 13/2004 in materia di istruzione e da ultimo le sent. n. 372, 378 e 379 del 2004, in materia statutaria, per quanto attiene alle disposizioni di principio).
(9) Per i primi commenti si v. A. LOIODICE, Prime riflessioni sul nuovo statuto della Regione Puglia, in www.federalismi.it, anno II, n. 4, 19.2.2004; D. CODUTI, Appunti sul nuovo Statuto della Regione Puglia, in Le istituzioni del federalismo, 2004, n. 2/3, p. 481 ss.; A. TORRE, M. CALAMO SPECCHIA, Lo statuto della Regione Puglia: “non è tutto oro quel che luccica”, in www.federalismi.it, anno II, n. 6, 18.4.2004.
(10) La decisione del Governo di non impugnare lo statuto pugliese è avvenuta dopo alcuni scambi di vedute informali fra l’esecutivo nazionale e quello regionale, che si sono poi verificati anche in altre Regioni, e che rappresentano la riedizione in chiave governativa delle “trattative informali” presso la Commissione affari costituzionali del Senato, le quali accompagnarono l’approvazione parlamentare degli statuti del 1971.
(11) Va segnalato che la Regione Puglia non ha mai adottato una disciplina legislativa – ancorché provvisoria – sul referendum statutario, a differenza di quanto hanno ritenuto necessario fare altre Regioni (fra le leggi regionali da ultimo adottate: legge reg. Abruzzo 23.1.2004, n. 5; legge reg. 3.8.2004, n. 8; legge reg. Umbria 28.7.2004, n. 16). L’impossibilità giuridica di far luogo nella Regione Puglia ad una fase del procedimento di formazione dello statuto espressamente prevista dalla Costituzione (anche se subordinatamente alla presentazione di una richiesta da parte di soggetti legittimati) solleva dubbi sul rispetto delle norme sul procedimento. Sicché – come nei casi degli Statuti delle Regioni Lazio ed Umbria – si può dubitare che il nuovo Statuto sia validamente entrato in vigore.
(12) Si tratta della legge reg. Puglia 12.5.2004, n. 7, recante “Statuto della Regione Puglia”. Come la Calabria e, prima di essa, l’Emilia-Romagna, ma a differenza della Regione Lazio, la Puglia ha inserito lo statuto nella numerazione delle altre leggi regionali e non in una apposita numerazione relativa alle “leggi statutarie”. Sull’iter dello statuto fino all’approvazione in seconda lettura v. ulteriori informazioni in D. CODUTI, Appunti, cit., p. 482 ss., in particolare nt. 4 e nt 57.
(13) Si v. gli statuti del Piemonte, della Liguria (che lo denomina – chissà perché – “premessa”), dell’Emilia-Romagna e delle Marche.
(14) La pace è evocata anche dall’art. 1, 2° co., St. Puglia.
(15) Si può forse criticare il riferimento ai soli principi ricavabili dai documenti citati, che potrebbe sollevare il sospetto che solo i principi e non anche le norme contenute in tali documenti siano vincolanti per la Regione. Più precisi, da questo punto di vista, sono l’art. 5 St. Abruzzo e il Preambolo dello statuto marchigiano.
(16) Fra i nuovi statuti, l’art. 2, 1° co., St. Abruzzo menziona sia la resistenza, sia la liberazione; l’art. 1, 1° co., St. Campania menziona solo la resistenza, così come i preamboli degli statuti ligure, emiliano-romagnolo e marchigiano e l’art. 1 St.Toscana.
(17) Si v. il discorso di Parma del 26 aprile 1995, in Quaderni costituzionali, 1995, p. 258. Sull’ultimo Dossetti, sia consentito rinviare a M. OLIVETTI, L’ultimo Dossetti, dieci anni dopo, in Annali della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Foggia, Giuffrè, Milano, 2005.
(18) Menzionano le radici cristiane, con accenti diversi, l’art. 2, 4° co., St. Abruzzo, l’art. 3, 2° co., St. Campania e il Preambolo dello St. Piemonte (che cita la “cultura cristiana” accanto a quella “laica e liberale”). L’art. 5 St. Lazio menziona il cattolicesimo a proposito del ruolo di Roma capitale (art. 5, 1° co.) e prevede espressamente che la Regione “collabora con la Chiesa cattolica, nel rispetto delle previsioni del quadro concordatario nonché con le confessioni religiose con le quali lo Stato stipula intese, al fine di tutelare la dignità della persona e perseguire il bene della comunità, in conformità ai principi della Costituzione” (art. 6, 10° co.; v. anche l’art. 10, 5° co.). Il preambolo dello statuto ligure menziona “un cristianesimo di profonda istanza solidale”. Il preambolo dello statuto marchigiano menziona la “tradizione laica e la matrice religiosa che hanno segnato la storia delle Marche”, mentre quello emiliano-romagnolo evoca il “proprio patrimonio culturale, umanistico, ideale e religioso” e i “principi di pluralismo e laicità delle istituzioni”. Senza entrare nel merito della questione dell’opportunità o meno di menzionare le radici cristiane nei preamboli o nell’articolato degli statuti (questione opinabile, come, del resto, la menzione di ogni altro tipo di “radice”, incluse la liberazione e la resistenza), si può solo dire che l’evocazione di un “patrimonio religioso” in Italia equivale ad indicare l’eredità del cristianesimo e che dunque il rifiuto di menzionare quest’ultimo è espressione di quel laicismo relativista e nichilista che soffia come un vento gelido nell’attuale fase culturale italiana ed europea, con echi piuttosto forti nella dottrina costituzionalistica (ci si astiene dal fornire esempi, per ragioni di spazio).
(19) Una aspirazione analoga si può leggere nell’art. 3, 2° co., St. Campania, laddove si afferma che “la Regione riconosce l’apporto derivante dalle diverse storie, dalle diverse culture e dalle radici religiose cristiane delle comunità campane e considera l’incontro tra le diverse civiltà, religioni e culture del Mediterraneo quale fondamentale strumento di formazione e crescita di una comunità pluralista e interetnica”. L’”eredità culturale di luogo di incontro di civiltà nel Mediterraneo” è citata poi dall’art. 9, 1° co. del medesimo St. Campania.
(20) Su questi ultimi v. qualche cenno in C. LO JACONO, Storia del mondo islamico (VII-XVI secolo) – Il Vicino Oriente, Einaudi, Torino, 2003, p. 182.
(21) E’ invece da apprezzare che sia stato eliminato il riferimento all’”imprenditività” delle popolazioni pugliesi, che appariva equivoco se affiancato alla “laboriosità”.
(22) Al riguardo cfr. R. BIFULCO, La responsabilità giuridica verso le generazioni future tra autonomia dalla morale e diritto naturale laico, in A. D’ALOIA (a cura di), Diritti e Costituzione. Profili evolutivi e dimensioni inedite, Giuffrè, Milano, 2003, p. 169 ss.
(23) Art. 4 St. Puglia. Del resto già l’art. 16 dello statuto del 1971 aveva ad oggetto il fenomeno dell’emigrazione.
(24) Art. 5 St. Puglia.
(25) Art. 6 St. Puglia.
(26) Art. 10 St. Puglia.
(27) Art. 11 St. Puglia.
(28) Art. 12 St. Puglia.
(29) Un giudizio negativo è espresso anche da A. TORRE, M. CALAMO SPECCHIA, Lo statuto, cit., p. 4, che parlano di “fluviale inutilità delle norme programmatiche che hanno inondato la parte prima del documento”.
(30) Si v. gli art. 1-20 dello statuto pugliese del 1971 (approvato con legge statale 22.5.1971, n. 349).
(31) L’art. 7, 1° co., St. Puglia, che menziona le cinque province di Bari, Brindisi, Foggia, Lecce e Taranto per individuare il territorio regionale è peraltro stato tacitamente modificato a seguito dell’entrata in vigore della recente legge (n. 184/2004) che ha istituito la Provincia di Barletta, Andria e Trani.
(32) Art. 7 St. Puglia.
(33) Art. 8 St. Puglia.
(34) Art. 9, 1° e 2° co., St. Puglia. Mancano invece norme volte a rendere operativi tali rapporti, come, ad es., la legge comunitaria regionale prevista dall’art. 11, 3° co., St. Lazio.
(35) Art. 9, 2° co., St. Puglia. Al riguardo, lo statuto si astiene dal dettare disposizioni circa la distribuzione del potere estero fra gli organi regionali di governo (si v. invece l’art. 27, 2° co., lett. o dello St. Campania, l’art. 3, 2° co., St. Abruzzo e l’art. 23, 2° co., lett. n St. Lazio e, soprattutto, art. 13 St. Emilia-Romagna).
(36) Art. 9, 3° co., St. Puglia. Al riguardo l’art. 22, 2° co., lett j, dello stesso statuto pugliese prevede poi che le intese con altre Regioni sono ratificate con legge dal Consiglio regionale (analogamente art. 12, 3° co., St. Lazio).
(37) Così la sent. n. 372/2004, al punto 2 del considerato in diritto. Affermazioni quasi letteralmente coincidenti si possono leggere nelle sent. n. 378 e n. 379 della medesima Corte. Si v. al riguardo i rilievi di A. RUGGERI, Gli statuti regionali alla Consulta e la vittoria di Pirro (nota a Corte cost. n. 372, 378 e 379 del 2004), in Forum di Quaderni costituzionali, www.forumcostituzionale.it, 9.12.2004.
(38) Rispetto a questa soluzione può aver pesato il “pudore” sinora manifestato dalla Corte rispetto ad un eventuale arretramento dai livelli competenziali acquisiti dalle Regioni prima delle riforme del 1999-2001 (di cui si ragionava già supra nella nt. 8).
(39) Per le diverse opinioni espresse in dottrina si v., fra gli altri, V. ONIDA, I contenuti programmatici degli statuti regionali, in Relazioni sociali, 1970, n. 9-10, 643 ss.; F. SORRENTINO, Lo statuto regionale nel sistema delle fonti, in Giur. cost., 1971, 424 ss.; F. PIZZETTI, Osservazioni sulle norme di principio degli statuti delle Regioni ordinarie, in Giur. cost., 1971, 2866 ss.; F. BASSANINI, L’autonomia statutaria delle Regioni al vaglio della Corte costituzionale: una battaglia di retroguardia?, in Giur. cost., 1972, 857 ss.; U. DE SIERVO, Gli statuti delle Regioni, Giuffrè, Milano, 1974; A. D’ATENA, Statuti regionali. II) Statuti regionali ordinari, in Enc. Giur. Treccani, Roma, vol. XXX, Roma, 1993; U. DE SIERVO, Statuti regionali, in Enc. Dir., vol. XLIII, Giuffrè, Milano, 1990, p. 1008 ss.
(40) Per tale complesso ruolo, che è diverso oggi dall’epoca degli albori del costituzionalismo e del federalismo moderno, si v. il nostro Nuovi Statuti, cit., p. 3 ss. e bibl. ivi cit., oltre all’ampio materiale reperibile sul sito www.federalismi.it. La capacità di differenziazione di cui le Costituzioni degli Stati membri si insinua in tutti gli spazi loro non preclusi dalla Costituzione e dalle norme sul riparto di competenza, ma non mette in discussione la supremazia della Costituzione federale.
(41) Si v. la sent. n. 372/2004, punto 4 del considerato in diritto. Per una interpretazione estensiva dei principi di organizzazione e di funzionamento si v. A. SPADARO, Il limite dell’”armonia con la Costituzione” e i rapporti fra lo statuto e le altre fonti del diritto, in Le Regioni, 2001, n. 3, p. 453 ss.
(42) Art. 14 St. Puglia.
(43) Sul referendum statutario, la trattazione più compiuta rimane quella di G. TARLI BARBIERI, Il referendum previsto nel procedimento di formazione dello Statuto regionale, in M. CARLI (a cura di), Il ruolo delle Assemblee elettive, vol. I, Giappichelli, Torino, 2001, p. 125 ss.
(44) Una limitazione analoga si può leggere nell’art. 12, 4° co., St. Campania e nell’art. 18, 4° co., St. Emilia-Romagna.
(45) Sul referendum statutario, la trattazione più compiuta rimane quella di G. TARLI BARBIERI, Il referendum previsto nel procedimento di formazione dello Statuto regionale, in M. CARLI (a cura di), Il ruolo delle Assemblee elettive, vol. I, Giappichelli, Torino, 2001, p. 125 ss.
(46) Quest’ultimo era l’unico tipo di referendum previsto dallo statuto del 1971: se ne v. l’art. 72.
(47) Un referendum propositivo di iniziativa popolare è invece previsto dall’art. 62 St.Lazio.
(48) Per una forma di referendum consultivo su iniziativa di minoranze consiliari o di una frazione del corpo elettorale si v. l’art. 12 St. Calabria e art. 21 St. Emilia-Romagna.
(49) Essendo di norma tale maggioranza collegata al Presidente della Giunta, questa regola può aprire la via ad un uso maggioritario-plebiscitario del referendum regionale (si ricordi la vicenda dei referendum consultivi del 2000-2001, su cui v. A. SPADARO, I referendum consultivi: perché illegittimi, in Quad. cost., 2001, n. 1, p. 129 ss.; L. PEGORARO, Il referendum consultivo del Veneto: illegittimo o inopportuno?, in Quad. cost., 2001, n. 1, p. 126 ss.; A. PERTICI, Brevi osservazioni in merito ai referendum consultivi regionali sulla “devolution”, in Foro it., 2001, n. 1, col. 307 ss.; M. OLIVETTI, L’ordinanza della Corte costituzionale sul referendum consultivo lombardo (nota a Corte cost., ord. n. 102 del 2001), in Giurisprudenza italiana, 2001, n. 12, p. 2215 ss.). Utile avrebbe potuto essere a questo fine prevedere una maggioranza qualificata per l’indizione dei referendum consultivi (così ad es. l’art. 44 St. Marche e l’art. 76, 2° co., St. Emilia-Romagna, che richiedono la maggioranza dei due terzi).
(50) Si cfr. la sent. n. 508/2000.
(51) Per la distinzione fra referendum consultivi facoltativi e obbligatori si v. V. ATRIPALDI, Referendum regionale, in Enc. Giur. Treccani, vol. XXVI, Roma, 1991, p. 5.
(52) Su questa materia si v. la l. reg. Puglia n. 26/1986, la quale contiene una determinazione piuttosto precisa delle norme da seguire circa le popolazioni da consultare (art. 1 e 2). Per questo tipo di referendum consultivo la legge regionale non richiede la maggioranza assoluta del Consiglio regionale prevista dall’art. 19, 1° co., del nuovo Statuto per il referendum consultivo “facoltativo”.
(53) Cfr. le sent. n. 196/2003, n. 2/2004 e n. 379/2004.
(54) Art. 41, 1° co. Si v. però la sent. n. 2/2004 della Corte cost., che ha dichiarato incostituzionale una disposizione analoga contenuta nello statuto calabrese.
(55) In quest’ultimo senso v. anche l’art. 8, 3° co., St. Liguria.
(56) A tale organo l’art. 17, 1° co., St. Puglia attribuisce anche il compito di verificare “la sussistenza del quorum previsto per la richiesta” di referendum statutario e di giudicare sulla sua “ammissibilità” (non è invece prevista una verifica simile per il referendum consultivo). Peraltro non è chiaro in che cosa possa consistere il giudizio di ammissibilità del referendum statutario, per il quale non sono previste cause di inammissibilità, e che è configurato come fase obbligatoria, anche se su richiesta, del procedimento di formazione e di revisione dello statuto regionale.
(57) Si v. l’art. 7 della legge reg. 20.12.1973, recante “norme sul referendum abrogativo e consultivo”.
(58) Del suggerimento vi è traccia già nella prima giurisprudenza costituzionale sul referendum abrogativo (si v. la sent. n. 16/1978).
(59) Per una soluzione intermedia v. l’art. 13 St. Liguria, il quale, elencati al 1° comma gli organi della Regione (Consiglio, Presidente della Giunta, Giunta), precisa al 2° comma che il Consiglio delle Autonomie locali è organo di consultazione e di confronto tra la Regione e gli enti locali liguri.
(60) Oltretutto riesce difficile comprendere perché lo statuto abbia scelto di menzionare taluni organi regionali non necessari anziché altri, pure dotati di un certo rilievo, quali la Consulta regionale dell’immigrazione extracomunitaria di cui agli art. 11 e 12 della legge reg. n. 29/1990, la Consulta regionale femminile di cui alla legge reg. n. 70/1980 o la Commissione regionale per le pari opportunità fra uomo e donna in materia di lavoro di cui alla legge reg. n. 16/1990 (questi ultimi due organi, fra l’altro, sono indirettamente evocati dall’art. 6, 1° co., del nuovo statuto, ove si ragiona di “consultazione degli organismi di parità e pari opportunità istituiti con legge regionale”).
(61) Cfr. infra par. 12.
(62) Il numero dei membri del Consiglio regionale pugliese, in base alla legge n. 108/1968, era di 50; dopo il superamento da parte della Regione della soglia dei 4 milioni di abitanti il numero era salito a 60; a seguito della legge n. 43/1995, che ha reso variabile il numero dei consiglieri regionali, essi nella VII legislatura sono 62.
(63) Cfr. le sent. n. 196/2003, n. 2/2004 e n. 379/2004.
(64) Art. 41, 1° co. Si v. però la sent. n. 2/2004 della Corte cost., che ha dichiarato incostituzionale una disposizione analoga contenuta nello statuto calabrese.
(65) Art. 24, 2° co., St. Puglia.
(66) Nelle more della correzione delle bozze di questo articolo, è stata pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Puglia la legge reg. n. 28.1.2005, n. 2, recante “Norme per l’elezione del Consiglio regionale e del Presidente della Giunta regionale”.
(67) L’art. 5 della legge n. 165/2004 ha confermato la durata quinquennale dei Consigli regionali. Su tale legge rinvio a M. OLIVETTI, Commento alla legge n. 165 del 2004, in Giornale di diritto amministrativo, 2005, n. 1, p. 2 ss.
(68) Art. 33 St. Puglia (tale convocazione deve essere disposta da parte del consigliere più anziano di età – non prima di quindici e non più di venti giorni dalla proclamazione dei risultati elettorali – o, in subordine, da parte di 10 consiglieri). Per le convocazioni successive si v. art. 34.
(69) Art. 24, 5° co., St. Puglia.
(70) Altri statuti, invece, si spingono a prevedere il numero minimo di consiglieri per la costituzione di un gruppo (art. 41 St. Campania; art. 16 St. Toscana), o a fissare la regola che “i consiglieri che non facciano parte dei gruppi” normalmente costituiti confluiscano in un gruppo misto (art. 28 St. Liguria).
(71) Per qualche idea originale o semplicemente per qualche precisazione v. invece lo statuto abruzzese, il quale prevede una Commissione consiliare di vigilanza sull’attuazione del programma e dei piani regionali (art. 24) e un Comitato per la legislazione (art. 26), lo statuto piemontese (art. 34 ss.) e lo st. marchigiano (il cui art. 22, 3° co., stabilisce che “la commissione competente in materia finanziaria esprime pareri sulle proposte di legge e di altri atti consiliari che comportano spesa”, mentre l’art. 23 prevede norme sul segreto d’ufficio).
(72) D. CODUTI, Appunti, cit., p. 498, nt. 40.
(73) Si v. il già cit. art. 41, 1° co.
(74) Art. 25 St. Puglia.
(75) Art. 26 St. Puglia.
(76) Art. 27 e 28 St. Puglia.
(77) Art. 22, 1° co., St. Puglia.
(78) Art. 42, 1° co., St. Puglia.
(79) Art. 21, 6° co., del testo della Commissione del marzo 2003.
(80) Fra i nuovi statuti regionali, una disciplina articolata del procedimento legislativo è ora prevista nel titolo VI (art. 56 e ss.) del nuovo statuto della Regione Campania, nel titolo VI del nuovo St. Marche, nel titolo I del capo IV del nuovo St. ligure (art. 45 ss.) e nell’art. 51 ss. St. Emilia-Romagna.
(81) Art. 39, 1° co., St. Puglia.
(82) A. TORRE, M. CALAMO SPECCHIA, Lo Statuto, cit., p. 4, ritengono si tratti di una lacuna.
(83) Lo statuto del 1971 prevedeva invece l’iniziativa della Giunta all’art. 54, 1° co.
(84) A questa conclusione induce anche la comparazione con gli altri statuti (ad es. art. 37, 1° co., St. Lazio; art. 56 St. Campania; art. 30, 1° co., St. Abruzzo; art. 45, 1° co., St. Liguria; art. 23, 1° co., St. Emilia-Romagna), che menzionano espressamente l’iniziativa della Giunta. Sembra invece di opinione diversa A. LOIODICE, Prime riflessioni, cit., p. 4, laddove afferma che “l’iniziativa legislativa, poi, viene distribuita tra i diritti e i poteri dei consiglieri e le attribuzioni della Giunta”.
(85) Art. 41, 1° co., St. Puglia.
(86) Va ricordato che, invece, non necessariamente sono membri del Consiglio gli altri membri della Giunta.
(87) Oggi ribadita da A. TORRE, M. CALAMO SPECCHIA, Lo statuto, cit., p. 5, secondo i quali “deve ritenersi non estensibile analogicamente al procedimento legislativo regionale il procedimento abbreviato previsto a livello regionale dall’art. 72, comma 3 Cost.”.
(88) Cfr. il nostro Nuovi statuti, cit., p. 404-405.
(89) E’ superfluo sottolineare che questa differenza di forma nasconde rilevanti questioni sostanziali, relative alle garanzie per le minoranze e per il corpo elettorale regionale offerte dal procedimento di formazione dello statuto, ma non da quello relativo al Regolamento consiliare.
(90) Si v. ad es. l’art. 22, 1° co., St. Abruzzo, che prevede in generale che la composizione delle commissioni del Consiglio sia proporzionale a quella del Consiglio per gruppi consiliari (analogamente l’art. 32, 2° co., St. Lazio e l’art. 22, 4° co., St. Liguria). L’art. 32 dello stesso statuto disciplina poi il procedimento in Commissione redigente (così l’art. 33 St. Lazio; ma v. anche l’art. 47 St. Liguria).
(91) Garanzie analoghe a quelle di cui all’art. 72 sono ora previste dall’art. 44 St. Campania.
Riserve implicite sono peraltro ravvisabili in tutti i casi in cui lo statuto preveda maggioranze superiori alla maggioranza semplice per l’approvazione della legge, come nel caso della legge elettorale.
(92) Oggi provvede analogamente l’art. 33 St. Marche.
(93) Su questa possibilità v. ancora il mio Nuovi statuti, cit., p. 339 ss.
(94) Si v. ad es. l’art. 39 St. Abruzzo, l’art. 44 St. Emilia-Romagna e l’art. 34 St. Marche.
(95) Art. 35 St. Puglia.
(96) Art. 39 St. Puglia. Singolarmente, anche la mozione è configurata come uno strumento attivabile dal singolo consigliere.
(97) Art. 39, 3° co., St. Puglia.
(98) Art. 31 St. Puglia.
(99) Art. 21, 6° co., del testo della Commissione del marzo 2003.
(100) D. CODUTI, Appunti, cit., p. 497, ritiene che la rinuncia alla sfiducia individuale sia coerente con la forma di governo adottata nello st. pugliese.
L’art. 55 dello St. Campania prevede la possibilità per il Consiglio di approvare mozioni di “non gradimento” (4° co.) e di “censura” (5° co.) nei confronti degli assessori, ma non precisa le conseguenze giuridiche di tali atti. Le mozioni di censura ai singoli assessori sono previste anche dall’art. 43, 4° co., St. Liguria. L’art. 9 St. Marche prevede invece una vera e propria mozione di sfiducia verso i singoli assessori, dalla cui approvazione deriva l’obbligo per il Presidente di riferire al Consiglio sulle decisioni di sua competenza.
(101) Art. 41, 4° co., St. Puglia.
(102) Art. 41, 5° co., St. Puglia.
(103) Allo statuto è precluso disporre limiti alla rieleggibilità del Presidente della Giunta: si v. la sent. n. 2/2004 della Corte costituzionale.
(104) Così l’art. 41, 4° co., St. Puglia, che non prevede però alcun termine perentorio perché ciò accada; ancora più generico è l’art. 41, 6° co., per la revoca.
(105) I soli riferimenti sono contenuti nell’art. 26, 2° co., St. Puglia, che si limita a prevedere che il Presidente del Consiglio regionale “garantisce il rispetto delle norme del presente statuto e del regolamento interno del Consiglio, con particolare riferimento a quelle inerenti la tutela dei diritti delle opposizioni”, nell’art. 27, 1° co., che stabilisce che due dei cinque componenti l’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale “sono attribuiti alle opposizioni per l’intera durata della legislatura” e l’art. 31, 2° co., secondo cui “la Presidenza delle Commissioni è assegnata a un Consigliere di opposizione”. Per un esempio di uno statuto dell’opposizione meglio strutturato si v. l’art. 34 dello St. Campania.
(106) Una disciplina di un certo interesse di quest’ultimo meccanismo è ora prevista dall’art. 52 St. Campania.
(107) Ciò pare desumibile dall’at. 41, 5° co., St. Puglia, laddove stabilisce che dalla data della propria proclamazione il Presidente della Giunta esercita le funzioni della Giunta, dal che dovrebbe derivare che all’atto della propria proclamazione il Presidente entra immediatamente in funzione.
(108) Si v. di nuovo l’art. 41, 5° co., St. Puglia.
(109) Art. 24, 5° co., St. Puglia.
(110) Cfr. il già citato art. 33, 1° co., St. Puglia.
(111) Disposizioni analoghe sono contenute nell’art. 45, 5° co., St. Lazio e nell’art. 50, 2° co., St. Piemonte.
(112) Per una disposizione analoga si v. l’art. 46 St. Abruzzo, il quale precisa inoltre che «il programma contiene l’indicazione degli obiettivi strategici, degli strumenti e dei tempi di realizzazione» e l’art. 42, 1° co., St. Lazio.
(113) Una tale previsione si trova invece nell’art. 50, 4° co., del nuovo statuto piemontese.
(114) Un voto sul programma di governo è stato invece previsto dall’art. 32 del nuovo statuto toscano (sulla forma di governo in tale Regione si v. G. TARLI BARBIERI, La forma di governo nel nuovo statuto della Regione Toscana, in Diritto pubblico, 2004, n. 2, p. 691 ss.). La Corte costituzionale si è pronunciata sulla legittimità costituzionale di tale disposizione, impugnata dal Governo nella sent. n. 372/2004, osservando che: «la previsione dell’approvazione consiliare del programma di governo non appare affatto incoerente rispetto allo schema elettorale “normale” accolto dall’art. 122, quinto comma, della Costituzione, giacché la eventuale mancata approvazione consiliare può avere solo rilievo politico, ma non determina alcun effetto giuridicamente rilevante sulla permanenza in carica del Presidente, della giunta, ovvero sulla composizione di questa ultima. Non si può peraltro escludere che a questa situazione possano seguire, ai sensi dell’art. 33 dello statuto, la approvazione di una mozione di sfiducia o anche le dimissioni spontanee del presidente, ma in entrambe le ipotesi si verifica lo scioglimento anticipato del consiglio, nel pieno rispetto del vincolo costituzionale del simul stabunt simul cadent (cfr. sentenze n. 304/2002 e n. 2/2004), il quale, oltre ad essere un profilo caratterizzante questo assetto di governo, è indice della maggiore forza politica del Presidente, conseguente alla sua elezione a suffragio universale e diretto. Sotto questo profilo quindi la norma denunciata non introduce alcuna significativa variazione rispetto alla forma di governo “normale” prefigurata in Costituzione». Problematico in questa prospettiva è il sistema previsto dallo statuto ligure, il cui art. 16, 3° co., lett. a, prevede che il Consiglio approvi il programma della Giunta, mentre l’art. 39 precisa le conseguenze della mancata approvazione (a maggioranza assoluta), ovvero la decadenza del Presidente della Giunta e lo scioglimento del Consiglio.
(115) Un obbligo di comunicazione delle revoche o sostituzioni di assessori è invece previsto dall’art. 42, 2° co., St. Lazio, dall’art. 41, 4° co. St. Liguria (il quale ne prescrive anche la tempestività) e dall’art. 8 St. Marche, il quale prevede che il Presidente illustri al Consiglio le ragioni della sostituzione, “in ordine alle quali si svolge un dibattito”.
(116) Su cui v. invece art. 32 St. Campania.
(117) Art. 42, 2° co., lett. f, St. Puglia.
(118) Art. 41, 7° co., St. Puglia.
(119) Art. 41, 8° co., St. Puglia. Si v. una soluzione simile nell’art. 10 St. Marche, ove però la sostituzione del Presidente con il Vicepresidente ha luogo anche in caso di sfiducia, e l’art. 33 St. Emilia-Romagna.
(120) Art. 42, 2° co., lett. b), St. Puglia.
(121) Art. 41, 5° co., St. Puglia.
(122) Art. 43, 8° co., St. Puglia.
(123) Art. 43, St. Puglia.
(124) Art. 41, 8° co., St. Puglia.
(125) Così ora l’art. 43, 8° co., che conferma quanto già disposto dall’art. 49 dello statuto del 1971. Analogamente si v. l’art. 48 St. Abruzzo, che prevede però la possibilità che la Giunta decida diversamente.
(126) Una riserva di questo tipo è prevista dall’art. 45, 2° co., St. Abruzzo, che prevede che il numero degli assessori esterni al Consiglio non possa superare il 25 per cento dei membri della Giunta.
(127) Art. 42, 5° co., del progetto di statuto. Si segnala, peraltro, che la sent. n. 379/2004 ha di recente dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme dello statuto della Regione Emilia-Romagna che prevedevano una incompatibilità tra le posizioni di consigliere e di assessore regionale, con l’argomento che tale materia sarebbe riservata alla legge regionale, nei limiti delle disposizioni di principio previste dalla legge statale, ai sensi dell’art. 122, 1° co., e che ogni scelta sul punto sarebbe preclusa allo statuto.
(128) Si v. la sent. n. 379/2004.
(129) Art. 42, 4° co., lett. a), St. Puglia; v. inoltre il titolo VI dello statuto (su cui v. infra par. 10).
(130) La competenza generale della Giunta era già prevista dall’art. 41, lett. f), dello statuto del 1971.
(131) Fra le funzioni presidenziali vi è anche, singolarmente, quella di dirigere “le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione ai sensi dell’art. 118, terzo comma, della Costituzione, conformandosi alle istruzioni del Governo della Repubblica” (così l’art. 42, 2° co., lett. d, St. Puglia): ma la disposizione costituzionale cui si fa qui riferimento è stata modificata dalla legge cost. n. 3/2001.
(132) Cfr. ad es. O. UHLITZ, Das Staatsoberhaupt in den Ländern, in Die Öffentliche Verwaltung, 1953, p. 293 ss.
(133) Art. 42, 1° co., St. Puglia.
(134) Art. 42, 2° co., lett. c, St. Puglia.
(135) Art. 42, 2° co., lett. e, St. Puglia.
(136) Art. 42, 2° co., lett. b, St. Puglia.
(137) Art. 42, 2° co., lett. g, St. Puglia.
(138) Una formula simile è prevista dall’art. 50, 1° co., St. Liguria, il quale prevede che il parere sia reso dalla Commissione consiliare competente.
(139) Sono invece critici per la sottrazione di tale potestà al Consiglio A. TORRE, M. CALAMO SPECCHIA, Lo statuto, cit., p. 7 (fra i nuovi statuti, quello abruzzese attribuisce la potestà regolamentare al Consiglio e regola il relativo procedimento: v. art. 35-38 St. Abruzzo; l’art. 35 St. Marche attribuisce in generale la potestà regolamentare al Consiglio, ma ammette che singole leggi regionali possano demandare l’approvazione di regolamenti alla Giunta).
(140) Cfr. infra par. 8.
(141) L’art. 47, 3° co., St. Lazio prevede l’obbligo di richiedere al Comitato di garanzia statutaria un parere sull’adozione di regolamenti di delegificazione.
(142) Si v. ad es. l’art. 23, 2° co., lett. o St. Lazio, e l’art. 50, 2° co., St. Liguria, che riservano al Consiglio regionale l’approvazione di tali regolamenti.
(143) …che sembrerebbero pertanto da escludersi, dovendosi ritenere riservata alla legge tale facoltà.
(144) Art. 24, 1° co., St. Puglia.
(145) Art. 43, 2° co., St. Puglia.
(146) Art. 70, 2° co., St. Puglia.
(147) Per una ricostruzione critica di tale legislazione si v. G. DI COSIMO, Gli organi di raccordo fra Regioni ed enti locali, in Le Istituzioni del federalismo, 1998, n. 6, p. 1013 ss. Sul Consiglio delle autonomie locali dopo la riforma costituzionale del 2001 si v. A. GENTILINI, Sussidiarietà e Consiglio delle autonomie locali, in Diritto pubblico, 2003, n. 3, p. 907 ss., nonchè i saggi di R. BIN, G. GERVASIO e G. LUPI in Le istituzioni del federalismo, 2004, n. 4, p. 595 ss.
(148) Un precedente ancor più risalente può poi essere individuato nel Comitato d’Intesa fra Regione, Province, Comuni e Comunità Montane della Regione Puglia, istituito con legge reg. n. 43/1985.
(149) Non solo: stando al sito del Consiglio regionale pugliese, nessun progetto di legge in materia è attualmente all’esame del Consiglio.
(150) Non è solo lo statuto pugliese a rinviare alla legge le norme sui criteri di composizione e sulle modalità di costituzione: scelte analoghe sono state compiute dallo statuto toscano (art. 66, 2° co.).
(151) Per un criterio analogo, v. art. 23, 9° co., lett. b, St. Emilia-Romagna.
(152) Sulle Comunità montane nella Regione Puglia si v. le leggi reg. n. 12/1999 e, da ultimo, n. 20/2004.
(153) Per una opzione di quest’ultimo tipo, si v. l’art. 21, 2° co., St. Campania e l’art. 66, 2° co. St. Lazio.
(154) Art. 7, 1° co., della legge reg. n. 22/2000: “A far parte della Conferenza permanente Regione-Autonomie Locali sono chiamati:
a) il Presidente della Giunta regionale;
b) due Consiglieri regionali, in rappresentanza di maggioranza e opposizione;
c) i Presidenti delle Province;
d) i Sindaci delle città capoluogo di provincia;
e) due rappresentanti delle comunità montane indicati dalla Conferenza dei Presidenti di comunità montane;
f) il Presidente della delegazione regionale dell’UPI;
g) il Presidente della delegazione regionale dell’ANCI e otto sindaci, di cui quattro in rappresentanza dei comuni sino a 15 mila abitanti e quattro per i Comuni oltre 15 mila abitanti;
h) il Presidente della delegazione regionale dell’UNCEM.”
(155) Per una ben più chiara elencazione delle funzioni si v. l’art. 22 dello St. Campania.
(156) Art. 45, 1° co., St. Puglia. Per le funzioni attualmente attribuite alla Conferenza Regioni/autonomie locali si v. l’art. 7, 2°, 4° e 5° co. della legge reg. n. 22/2000. Lo statuto toscano (art. 66, 3° co.) individua invece gli atti regionali su cui il Consiglio è chiamato ad esprimere pareri. Così pure lo statuto ligure (art. 67).
(157) Cfr. invece l’art. 23, 7° co., St. Emilia-Romagna.
(158) Art. 45, 2° co., St. Puglia.
(159) Si v. l’art. 66, 8° co., St. Toscana, l’art. 21, 6° co., St. Campania e l’art. 67, 5° co., St. Lazio.
(160) Una potestà regolamentare interna è invece prevista dall’art. 7, 4° co., della legge reg. n. 22/2000, per la Conferenza Regioni-Autonomie Locali.
(161) Per un quadro delle scelte sinora compiute dagli statuti si v. L. PANZERI, Gli organi di garanzia nei primi progetti statutari, in Atti del Convegno “l’Europa tra federalismo e regionalismo”, Università dell’Insubria, 22-23 novembre 2002; S. PARISI, La tutela dello statuto regionale fra “garanzia” e “controllo”, in E. BETTINELLI, F. RIGANO (a cura di), La riforma del titolo V della Costituzione e la giurisprudenza costituzionale, Giappichelli, Torino, 2004, p. 523 ss.; M. BARBERO, Lo “stato dell’arte” dei procedimenti di revisione degli statuti regionali: gli organi di garanzia statutaria, in www.federalismi.it, n. 7/2004; T. GROPPI, La “Consulta” dell’Emilia-Romagna nel quadro dei nuovi organi regionali di garanzia statutaria, in www.federalismi.it, n. 24/2004.
(162) Per prima da T. GROPPI, Quale garante per lo statuto regionale? in Le Regioni, 2001, n. 5, p. 841 ss. e ID., Regioni ed enti locali. Organo regionale di garanzia statutaria, in T. GROPPI, E. ROSSI, R. TARCHI (a cura di), Idee e proposte per il nuovo statuto della Regione Toscana, Atti del seminario di Pisa del 14 giugno 2001, Giappichelli, Torino, 2002, p. 57 ss.; v. comunque anche M. MARTINAZZOLI, Quale garanzia per lo statuto regionale, in www.federalismi.it, 20.6.2002 e M. OLIVETTI, Nuovi statuti, cit., p. 441-446.
(163) Per una procedura garantista di elezione v. invece l’art. 78, 1° co., St. Abruzzo, che prevede l’elezione dei membri del “Collegio regionale per le garanzie statutarie” a maggioranza dei tre quarti dei consiglieri regionali (uno dei membri deve essere indicato dal Consiglio per le autonomie locali); la maggioranza dei tre quarti dei consiglieri regionali è richiesta anche dall’art. 75 St. Liguria per la “Consulta statutaria” e dall’art. 68, 1° co., St. Lazio, ma su proposta del Presidente della Giunta e del Presidente del Consiglio, entrambi (presumibilmente) esponenti della maggioranza consiliare.
(164) Per questo rilievo v. T. GROPPI, La “Consulta”, cit., 13.
(165) A. TORRE, M. CALAMO SPECCHIA, Lo statuto, cit., p. 7.
(166) Per una competenza analoga, ma decentemente definita, si v. l’art. 68, 6° co., lett. b, St. Lazio e l’art. 76, 1° co., lett. a, St. Liguria.
(167) Art. 47 lett. a, St. Puglia.
(167 bis) ...qualora fossero ritenuti ammissibili: v. però retro, nota 143.
(168) Cfr. però l’art. 76, 1° co., lett. b, St. Liguria, che rimette alla competenza della Consulta statutaria l’espressione di pareri “sulla conformità dei regolamenti di delegificazione alla legge regionale di autorizzazione”.
(169) Cfr. supra par. 5.
(170) Si v. ad es. l’art. 76, 1° co., lett. d, St. Liguria, l’art. 68, 6° co., lett. a St. Lazio, l’art. 69, 1° co., lett. b dello Statuto dell’Emilia-Romagna e l’art. 79 lett. b dello St. abruzzese.
(171) In questo senso sembrano deporre anche gli argomenti con cui la Corte costituzionale ha “salvato” dai rilievi del Governo l’organo di garanzia previsto dallo statuto della Regione Umbria (sent. n. 378/2004, su cui si v. le notazioni critiche di T. GROPPI, La “Consulta”, cit., p. 7).
(172) Una funzione di questo tipo è invece attribuita al Collegio regionale per le garanzie statutarie dall’art. 79 1° co., lett. a) dello St. Abruzzo e al Comitato di garanzia statutaria dall’art. 68, 6° co., lett. d) dello St. Lazio e alla Consulta statutaria dall’art. 76, 1° co., lett. c) St. Liguria.
(173) Art. 47, 1° comma, lett. b) e c) di tale progetto.
(174) L’inutilità del Consiglio statutario pugliese è poi rafforzata dalla genericità del parametro che dovrebbe custodire.
(175) Cfr. ad es. art. 68, 7° co., St. Lazio.
(176) Cfr. ad es. art. 76, 2°-4° co., St. Liguria.
(177) Art. 46 St. Puglia.
(178) Art. 47 St. Puglia.
(179) Per un organo espressione delle sole autonomie sociali, si v. la Conferenza permanente delle autonomie sociali di cui all’art. 61 dello St. Emilia-Romagna.
(180) Anche di questa legge non è stato possibile trovare traccia a quasi otto mesi dalla promulgazione dello statuto.
(181) Un organo con questa denominazione è invece previsto dall’art. 71 St. Lazio, dall’art. 40 St. Liguria, dall’art. 69 St. Liguria, dall’art. 59 St. Emilia-Romagna e dall’art. 23 St. Campania.
(182) Art. 50, 3° co., St. Puglia.
(182 bis) Così R. ZAZZA, La difesa civica in Puglia, in T.A.R., 2004, n. 2, p. 406
(182 ter) Qualche perplessità sulla ampiezza dei campi di intervento dell’Ufficio di Difesa Civica è espressa anche da R. ZAZZA, La difesa civica in Puglia, cit., p. 404, che appare peraltro ingiustificatamente entusiasta della soluzione adottata dallo statuto pugliese con l’istituzione dell’organo in commento.
(183) Una precisazione analoga si può leggere, ad es., nell’art. 56, 1° co., del nuovo Statuto toscano. L’art. 81 St. Abruzzo parla invece di “tutela amministrativa” dei cittadini.
(184) Art. 50, 2° co., lett. b, St. Puglia.
(185) Un organo simile (il Comitato regionale per le Comunicazioni) è ora previsto dall’art. 74 dello St. Liguria.
(186) Art. 1 della legge reg. n. 3/2000. Si consideri inoltre che “Il Comitato regionale per le comunicazioni, fermo restando il suo inserimento nell'organizzazione regionale, è organo funzionale dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni” (art. 2, 1° co., l. cit.). “Il Comitato regionale per le comunicazioni, quale organo regionale, svolge funzioni di consulenza, di supporto e di garanzia della Regione per le funzioni ad essa spettanti, secondo le leggi statali e regionali, nel campo della comunicazione.” (art. 2, 3° co., l. cit.).
(187) E’ il caso delle norme sull’autonomia finanziaria regionale (art. 57 St. Puglia), che ripete il 1° co. dell’art. 119 Cost. e dell’art. 62, 1° co. (la Regione ha un proprio demanio e patrimonio), che ripete l’ultimo comma dell’art. 119 Cost..
(188) Ciò accade per le modalità e i termini con cui la Giunta propone il Documento di programmazione economica e finanziaria al Consiglio (art. 55, 2° co., St. Puglia); per le modalità con cui sono approvati i documenti che compongono il sistema di bilancio della Regione (art. 58, 2° co.); per l’approvazione del bilancio annuale di previsione (art. 59, 4° co.); per l’approvazione dell’assestamento e della variazione del bilancio (art. 60); per l’approvazione del rendiconto (art. 61, 1° co.); per l’approvazione dell’amministrazione del demanio e patrimonio regionale (art. 62, 2° co.).
(189) Per il piano regionale di sviluppo ciò risulta dall’art. 22, 2° co. St. Puglia e dall’art. 42, 2° co.; per il documento di programmazione economica e finanziaria dall’art. 55, 2° co.; per il bilancio dall’art. 59, 4° co.
(190) Ne segue che si potrebbe persino dubitare che la Giunta regionale disponga, in questo caso, dell’iniziativa, atteso che lo statuto non le riconosce ordinariamente tale potestà, come si è visto supra.
(191) A. TORRE, M. CALAMO SPECCHIA, Lo statuto, cit., p. 5-6
(192) Art. 17, St. Puglia
(193) Art. 17, 2° co. e art. 47, 2° co., St. Puglia
(194) Art. 15, 3° co., St. Puglia
(195) A. LOIODICE, Prime riflessioni, cit., p. 4.
(196) Norme di integrazione dell’art. 123 Cost. erano invece previste dall’art. 73, 2°-3° co., dello statuto del 1971, che prevedevano l’inammissibilità di leggi di revisione statutaria nell’anno successivo all’ultima modifica e l’impossibilità di ripresentare leggi di revisione statutaria nell’anno immediatamente successivo alla reiezione di una proposta analoga. L’art. 73, 4° co., collegava l’abrogazione di uno statuto all’adozione di uno statuto nuovo. Per il resto l’art. in commento rinviava alle norme sul procedimento legislativo ordinario regionale: un rinvio simile è assente nel nuovo statuto per la mancanza di una disciplina statutaria del procedimento legislativo.
(197) Cfr. ad es. l’art. 22, 1° co., lett. a, del nuovo St. Campania, l’art. 37 e 67 St. Lazio e l’art. 67, 1° co., lett. a St. Liguria.
(198) Si v. l’importante precisazione contenuta nell’art. 77, 5° co., St. Liguria, secondo la quale “Il referendum deve svolgersi entro sei mesi dalla richiesta. Nel caso in cui il Governo abbia promosso la questione di legittimità costituzionale, il referendum ha luogo successivamente alla decisione del Giudice costituzionale”. Cfr. altresì l’art. 57 St. Marche e l’art. 22 St. Emilia-Romagna.
(199) Si v. un cenno nell’art. 77, 3° co., St. Abruzzo.
(200) Cfr. art. 78 St. Liguria.
(201) Questa importantissima fonte è disciplinata dall’art. 37 dello Statuto.
(202) Art. 37, 3° co., St. Puglia
(203) Art. 32, St. Puglia.
(204) Art. 27, 3° co., St. Puglia
(205) Art. 30 St. Puglia
(206) Art. 29 St. Puglia
(207) Art. 47, 1° co., lett. a, St. Puglia
(208) A. LOIODICE, Prime riflessioni, cit., p. 4, osserva, con eccessiva indulgenza, che “la brevità dello statuto e la inclusione dinamica (sic!) dei rinvii ad altre fonti costituiscono evidentemente una scelta politica intesa ad evitare l’appesantimento della fonte statutaria…”. L’autore ora citato conclude le sue Prime riflessioni asserendo che “complessivamente si determina un disegno normativo snello, equilibrato ed aperto alle innovazioni più efficaci nella vitalità della forma di Governo (per l’impatto delle procedure di programmazione e degli organi a rilevanza statutaria) e nella partecipazione” (p. 5).
(209) A. TORRE, M. CALAMO SPECCHIA, Lo statuto, cit., p. 8.
(210) Gli esempi di pessima tecnica legislativa sono sparsi per tutto lo statuto. Oltre a quelli già menzionati, se ne segnalano qui alcuni, davvero senza pretesa di completezza:
a) Tutti gli articoli dei primi due titoli sono privi di rubrica, a differenza delle restanti disposizioni dello statuto.
b) Nel titolo III (partecipazione), diviso in due parti, il capo I ha la stessa rubrica del titolo, mentre sarebbe stata più appropriata una denominazione come “generalità” o “principi generali”.
c) Nel titolo IV, diviso in due capi, gli art. 20 e 21, che aprono il titolo, non sono inclusi in nessun capo, mentre avrebbero dovuto essere inseriti in un autonomo capo intitolato anche qui ai “principi generali”.
d) L’art. 38, 4° comma, recita: “la legge regionale disciplina i casi di ineleggibilità, incompatibilità, dimissioni , decadenza e morte del consigliere regionale”: laddove il riferimento alla morte come oggetto di disciplina e di definizione dei “casi” appare un po’ comico, quasi un sussulto di onnipotenza del legislatore.
e) Si ricordi poi il rinvio contenuto nell’art. 42, 2° co., lett. d, al testo originario di una disposizione oggi modificata dalla legge cost. n. 3/2001, nonché tutti i casi di verbosità, ridondanza ed eccesso di retorica che si sono segnalati in questa breve rassegna.
SOMMARIO:
1. L’elaborazione dei nuovi statuti regionali dopo la legge cost. n. 1/1999.
2. La struttura del documento.
3. Le opzioni di fondo.
4. Le disposizioni di principio (e, in più in generale, lo stile del documento).
4.1. Le disposizioni di principio nello statuto pugliese.
4.2. La recente giurisprudenza della Corte costituzionale sulle disposizioni di principio.
4.3. I principi fondamentali di organizzazione e funzionamento: una categoria particolare di principi.
5. Partecipazione e referendum.
6. Gli organi regionali.
6.1. Il Consiglio regionale.
6.2. La forma di governo: elezione diretta con governo di legislatura.
6.3. La formazione della Giunta.
6.4. La cessazione della Giunta.
6.5. L’esecutivo regionale tra collegialità e direzione monocratica.
6.6. La pletorica composizione degli organi regionali.
7. Il Consiglio delle autonomie locali.
8. Il Consiglio statutario.
9. Gli altri organi regionali.
10. Bilancio e programmazione.
11. La revisione dello statuto.
12. Uno statuto “leggero” o uno statuto inutile?
NOTE
1. L’elaborazione dei nuovi statuti regionali dopo la legge cost. n. 1/1999.
A cinque anni dall’entrata in vigore della legge cost. n. 1/1999, la quale, modificando incisivamente gli art. 121, 122, 123 e 126 della Costituzione, ha reso necessaria la revisione degli statuti regionali ordinari adottati nel 1971, la stagione statutaria – entrata nel vivo con molto ritardo – non si è ancora conclusa. Certo, notevoli sono i progressi compiuti rispetto ad un anno fa (1), quando nessun nuovo statuto era ancora entrato in vigore e sull’unico ad aver concluso il proprio iter a livello regionale stava per calare la mannaia della Corte costituzionale con l’infelice sent. n. 2/2004 (2). Tuttavia rimane il fatto che – a pochi mesi dalla conclusione della VII legislatura delle Regioni ordinarie – gli statuti in vigore sono appena tre (3), e, fra le Regioni che mancano all’appello, vi sono tutte le principali Regioni dell’Italia settentrionale, motori, per un verso o per l’altro, del processo di regionalizzazione, oltre che battistrada dello sviluppo economico (e talora anche sociale) del Paese.
Le cause di questo ritardo sono senza dubbio molteplici: il perdurante quadro di incertezza in cui le Regioni hanno dovuto muoversi (quanto ad es. al contesto costituzionale di riferimento (4)), riflesso della mancanza di un consenso minimo tra gli attori politici ed istituzionali sugli equilibri di fondo del regionalismo italiano; la grande battaglia sull’interpretazione della forma di governo regionale (e, in particolare, sulla utilizzazione della potestà di deroga all’elezione del Presidente della Giunta a suffragio universale e diretto (5)), che ha visto in molte Regioni una contrapposizione netta fra Presidente della Giunta e Consiglio regionale; la difficoltà delle Regioni di definirsi in un contesto segnato dalla presenza di attori diversi, ciascuno con un suo ruolo tutt’altro che marginale (dagli enti locali alle autonomie funzionali ai soggetti della società civile organizzata (6)); il centralismo legislativo praticato dalla maggioranza parlamentare durante la XIV legislatura (7), avallato dal – tradizionale, ma oggi fortemente rinvigorito – antiregionalismo della Corte costituzionale (8).
Se tutto ciò è vero, e se questi eventi contribuiscono in misura considerevole a spiegare molte delle difficoltà della stagione statutaria, occorre peraltro riconoscere che la lentezza e i ritardi di questa sono il riflesso di due fenomeni che richiederebbero conferme da parte della ricerca sociale, ma che si presentano all’osservatore dei processi istituzionali con una certa evidenza: la qualità scadente delle classi politiche regionali e la legittimazione debole dell’ente territoriale Regione. Si tratta, certo, di due dati tutt’altro che nuovi, ma è forse sorprendente doverli sottolineare dopo una stagione – durata nel complesso oltre un decennio – segnata da un duplice processo: da un lato l’aumento delle competenze regionali; dall’altro la riforma dei sistemi di governo (dalla legge n. 43/1995 alla legge cost. n. 1/1999), nella direzione di una presidenzializzazione delle istituzioni regionali. Ora, mentre cure di segno analogo hanno contribuito a rivitalizzare i Comuni nell’arco degli ultimi tre lustri, ciò non si può dire sia avvenuto per le Regioni. E una lettura anche sommaria dei nuovi statuti che hanno concluso il loro iter formativo sembra confermare, con qualche rara eccezione, queste osservazioni.
2. La struttura del documento.
In questo scenario, il nuovo statuto pugliese è stato il primo ad entrare in vigore (9). La bozza di «Revisione dello statuto della Regione Puglia» – predisposta nel marzo 2003 dalla Commissione consiliare permanente per gli affari istituzionali del Consiglio regionale pugliese – è stata approvata in prima lettura dal Consiglio l’11 settembre 2003. Il 21 ottobre 2003 il Consiglio regionale ha revocato la prima deliberazione ed ha adottato una nuova prima deliberazione dello statuto regionale, apportando peraltro modificazioni nel complesso marginali. Infine, il 3, 4 e 5 febbraio 2004, il Consiglio regionale ha approvato lo statuto in seconda deliberazione. Decorsi i trenta giorni per l’impugnazione governativa (10) ed i tre mesi di vacatio per consentire la presentazione di una eventuale richiesta di referendum sospensivo (11), lo statuto è stato promulgato dal Presidente della Giunta regionale, Raffaele Fitto, il 12 maggio 2004 e pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Puglia n. 57 del 12 maggio 2004 (12).
Il nuovo statuto pugliese è composto di 62 articoli, ripartiti in sei titoli, dedicati rispettivamente a: principi (titolo I); compiti e finalità (titolo II); partecipazione (titolo III); organi della Regione (titolo IV); ordinamento amministrativo (titolo V); ordinamento in materia di programmazione, bilancio, finanze e contabilità (titolo VI). Esso si caratterizza pertanto come revisione totale dello statuto regionale: non si tratta, cioè, di un mero adattamento dello statuto pugliese del 1971 alle modifiche costituzionali introdotte nell’ordinamento repubblicano dalle leggi cost. n. 1/1999 e n. 3/2001, innovando le parti rese obsolete da tali riforme, ma di una riscrittura complessiva del testo statutario. Una scelta, quest’ultima, non obbligata dalla legge cost. n. 1/1999, ma omogenea a quelle operate dalle altre Regioni ordinarie italiane.
3. Le opzioni di fondo.
Le scelte caratterizzanti del nuovo statuto pugliese – che appaiono in parte comuni a quelle prevalenti anche in altre Regioni nell’attuale stagione statutaria – sono le seguenti:
a) la previsione di un’ampia rete di disposizioni di principio, cui sono dedicati i primi due titoli;
b) un certa tiepidezza verso i meccanismi partecipativi, al di là delle enfatiche dichiarazioni di favore nei confronti della partecipazione;
c) l’opzione, in materia di forma di governo, per l’elezione diretta del Presidente con governo di legislatura, ovvero per il modello indicato in via preferenziale (ma con possibilità di deroga) dagli art. 121, 122 e 126 Cost.;
d) la menzione (ma non la disciplina) nello statuto di una serie piuttosto varia di organi regionali non necessari (cfr. capo II del titolo III);
e) il rinvio a fonti ulteriori per la disciplina di vari istituti, appena abbozzati nello statuto.
4. Le disposizioni di principio (e, in più in generale, lo stile del documento).
4.1. Le disposizioni di principio nello statuto pugliese.
A differenza di altri statuti regionali elaborati negli ultimi mesi (13), il nuovo statuto pugliese non contiene un Preambolo e include gran parte delle disposizioni di principio nei primi due titoli, dedicati, appunto, ai “principi” (art. 1-7) e ai “compiti e finalità” (art. 8-12). Si tratta di una parte relativamente ampia: ben 11 articoli, composti di numerosi commi, a loro volta piuttosto lunghi e collocati quasi a casaccio.
A) L’art. 1, 1° co., individua come valore “fondante” della comunità politica regionale il rispetto della dignità, dei diritti e della libertà della persona umana. Su questa base, il 3° co. della medesima disposizione precisa che la Regione favorisce l’autogoverno e la sicurezza dei suoi cittadini e l’art. 3 elenca una serie di ulteriori valori (pace (14), solidarietà, accoglienza, sviluppo umano, tutela delle differenze). Come altri nuovi statuti, l’art. 1, 3° co., colloca l’azione regionale a tutela dei diritti nel quadro dei “principi della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e della Costituzione italiana” (15). L’intento di queste disposizioni sembra essere quello di collocare l’organizzazione dei poteri regionali e l’azione della Regione nel quadro del costituzionalismo multilevel dei diritti. La genericità delle formulazioni contenute nello statuto pugliese le rende tuttavia inidonee ad esprimere con originalità questa aspirazione.
B) Due questioni ideologiche hanno attraversato il dibattito nel Consiglio regionale pugliese, così come in altri Consigli: il riferimento alla Resistenza e quello alle radici cristiane.
Dopo un acceso dibattito in Consiglio regionale durante la prima deliberazione del testo finale dello statuto, è stato omesso il riferimento ai “valori della Resistenza” – già previsto dall’art. 1, 1° co., dello statuto del 1971 e riprodotto nella bozza di statuto approvata nel marzo 2003 dalla Commissione affari istituzionali – ed è stato sostituito con un riferimento ai “valori che hanno informato quanti si sono battuti per la liberazione e per la riconquista della democrazia nel nostro Paese”. Ora, la differenza fra la menzione della “liberazione” e quella della “resistenza” appare tutto sommato ridotta, anche se si può pensare che la lotta per la liberazione del Paese possa essere intesa come un processo più ampio della resistenza, se quest’ultima era intesa come riferita unicamente al ruolo svolto dalle organizzazioni partigiane (16). Sembra, in generale, che le forze politiche pugliesi abbiano perso un’occasione nel cercare su questi temi – il cui inserimento nello statuto non è, ovviamente, necessario – un consenso che facesse sintesi, muovendo, ad es., dalla lettura dossettiana della guerra come esperienza collettiva che costituisce la matrice della Costituzione e della rinascita democratica del Paese (17): una rilettura che avrebbe potuto essere un approccio utile per guardare con più serenità ad una fase che può essere ritenuta la più drammatica della recente storia italiana.
C) La menzione delle radici cristiane (18) è stata inserita – e quasi annegata – nel verboso 2° comma dell’art. 1, il quale afferma che “la Puglia, per la storia plurisecolare di culture, religiosità, cristianità e laboriosità delle popolazioni che la abitano e per il carattere aperto e solare del suo territorio proteso sul mare, è ponte dell’Europa verso le genti del Levante e del Mediterraneo negli scambi culturali, economici e nelle azioni di pace”. L’art. 1, 2° co., tenta di descrivere con una immagine sintetica l’identità della Regione, evidenziandone sia il radicamento in una storia ricca di tradizioni religiose, sia il ruolo di ponte e di luogo di incontro fra culture (19). La menzione delle radici cristiane ha trovato una formulazione curiosa, nella quale è ora presente – a differenza che nel testo della Commissione istituzionale – un doppio riferimento alle tradizioni di “religiosità” e di “cristianità” del popolo pugliese, come se fosse possibile, nella Regione Puglia, distinguere fra le due cose, almeno negli ultimi 1.700 anni: si potrebbe pensare che lo statuto abbia inteso evocare la presenza sul territorio regionale della storica comunità ebraica di Trani o quella degli emirati islamici di Taranto e Bari nel IX secolo dopo Cristo (20), ma tale ipotesi muoverebbe da una visione ottimistica degli orizzonti culturali dei redattori dello Statuto. Nel complesso, comunque, il comma in esame appare criticabile per gli eccessi di retorica che trasudano da ogni sua parola (21).
D) L’art. 1, 4° co., contiene invece una interessante definizione del principio di sussidiarietà: “La Regione esercita la propria funzione di governo attuando il principio di sussidiarietà, come responsabilità primaria delle istituzioni più vicine ai bisogni e come integrazione costante con le iniziative delle formazioni sociali e del volontariato dirette all’interesse generale e alla tutela pubblica dei diritti universali”. La sussidiarietà viene intesa da questa disposizione non come divieto di intervento pubblico, né come comodo outsorcing di compiti pubblici e neppure come mero meccanismo sostitutivo da parte del potere pubblico rispetto alle autonomie sociali in caso di fallimento di queste ultime. Alle autonomie sociali, lo statuto riconosce una responsabilità primaria, destinata tuttavia ad essere costantemente integrata dall’azione regionale quando è orientata nell’interesse generale e finalizzata alla tutela dei diritti “universali” (sic!).
E) Interessante è anche la menzione delle “generazioni future” (22) contenuta negli art. 2, 1° co., e 10, 2° co., con riferimento nel primo caso al territorio e alle tradizioni da tramandare e nel secondo caso all’azione responsabile della Regione: si tratta infatti di una assunzione di responsabilità che presenta particolare rilievo nella prospettiva di una educazione civica al rispetto dell’ambiente e del territorio. Ed è significativo che il rapporto con le generazioni future affiori non solo con riferimento al territorio o all’ambiente – come nell’art. 20a della Legge fondamentale di Bonn – ma anche alle “tradizioni regionali”, individuate come “risorsa da tramandare”.
F) Fra i valori cui la Regione dichiara di voler ispirare la sua azione vengono poi menzionati la tutela delle minoranze linguistiche, la valorizzazione del legame con i pugliesi emigrati (23); la tutela di anziani, minori e infanti, nonché della famiglia (con un impegno particolare al sostegno delle giovani coppie e dei nuclei familiari socialmente svantaggiati) (24); l’impegno alla promozione della parità (25); la promozione della qualità della vita dei cittadini, specie con riguardo a talune categorie di soggetti deboli e alla tutela ed alla salvaguardia delle risorse idriche e naturali (26); l’incentivazione dello sviluppo sostenibile dell’economia pugliese e la previsione di politiche attive del lavoro (27), la promozione della cultura, nelle sue varie dimensioni (arte, musica, sport, beni culturali e archeologici, spettacolo, studio, ricerca scientifica (28)).
G) Nel complesso, i primi due titoli dello statuto evidenziano una contraddizione che attiene alla tecnica normativa: da un lato lo statuto manifesta, con tali disposizioni, la propria “vocazione costituzionale”, accostandosi quindi alle Costituzioni degli Stati membri degli Stati federali, ed aspira ad indirizzare la normazione regionale subordinata (anzitutto di rango legislativo). Dall’altro lo “stile” normativo del documento lascia a desiderare: le disposizioni normative sono formulate genericamente, spesso solo evocando, anziché articolando, i valori cui fanno riferimento (29) ed al tempo stesso esse sono eccessivamente lunghe e verbose e difettano sia della eleganza stilistica, sia della forma concisa che si addicono al linguaggio costituzionale, specie se raffrontato con le parti corrispondenti dello statuto del 1971, che evidenziano ben altra avvedutezza tecnica (30). Ne risulta una capacità prescrittiva che sarebbe ridotta anche se tali formule fossero inserite nella Costituzione di uno Stato sovrano, e non in uno statuto regionale.
Anche l’ordine seguito in questa parte dello statuto appare poco perspicuo: da un lato, non è chiara la distinzione fra “principi” e “compiti e finalità”, atteso che sembra trattarsi di disposizioni aventi struttura analoga; dall’altro, l’elencazione dei valori cui dovrebbe ispirarsi l’azione regionale (contenuta negli art. 4-6 e 10-12) è interrotta da disposizioni relative alla estensione territoriale della Regione (31), al capoluogo, al gonfalone ed allo stemma, alle sedi degli organi regionali (32), nonché da quelle – anch’esse molto generiche – relative ai rapporti della Regione con altri enti territoriali (autonomie locali (33); Unione europea (34); altri Stati ed enti territoriali interni ad essi (35); altre Regioni (36) ).
4.2. La recente giurisprudenza della Corte costituzionale sulle disposizioni di principio.
Di tale configurazione delle disposizioni di principio, comunque, non sembra vi sia da dolersi oltre misura, almeno se esse vengono lette alla luce della più recente giurisprudenza della Corte costituzionale, secondo la quale a disposizioni di questo tipo «anche se materialmente inserite in un atto-fonte, non può essere riconosciuta alcuna efficacia giuridica, collocandosi esse precipuamente sul piano dei convincimenti espressivi delle diverse sensibilità politiche presenti nella comunità regionale al momento dell’approvazione dello statuto». Infatti, sempre secondo la Corte, «tali proclamazioni di obiettivi e di impegni non possono certo essere assimilate alle c.d. norme programmatiche della Costituzione, alle quali, per il loro valore di principio, sono stati generalmente riconosciuti non solo un valore programmatico nei confronti della futura disciplina legislativa, ma soprattutto una funzione di integrazione e di interpretazione delle norme vigenti. Qui però non siamo in presenza di Carte costituzionali, ma solo di fonti regionali “a competenza riservata e specializzata”, cioè di statuti di autonomia, i quali, anche se costituzionalmente garantiti, debbono comunque “essere in armonia con i precetti ed i principi tutti ricavabili dalla Costituzione”» (37).
Le argomentazioni della Corte sembrano rendere del tutto inutile ogni ragionamento sulle disposizioni in questione, almeno dal punto di vista del giurista. Esse, invece, andrebbero consegnate alla politique politicienne, o, tutt’alpiù, segnalate all’attenzione del linguista o degli studiosi dei fenomeni sociali e culturali. Tuttavia, la tesi che possano esistere disposizioni contenute in un atto normativo e che, ciononostante, sono prive, in radice, quasi ontologicamente, di qualsiasi efficacia giuridica, al punto da non meritare uno scrutinio di costituzionalità che ne esamini la compatibilità con le norme costituzionali sul riparto di competenza, oltre che con le disposizioni costituzionali di principio, appare piuttosto peregrina e non meriterebbe nemmeno di essere commentata, se non fosse contenuta in una sentenza di un organo – malgrado tutto – così autorevole come la Corte costituzionale. Infatti, non dovrebbe sussistere una terza possibilità rispetto all’alternativa: o le disposizioni di principio non sono idonee ad esprimere alcun contenuto giuridico, in quanto esse non dovrebbero essere incluse in un certo tipo di atto normativo (perché esso violerebbe in tal modo norme superiori o regole sulla competenza) e allora la conseguenza dovrebbe essere, necessariamente, quella di una loro dichiarazione di illegittimità costituzionale (38). Oppure l’atto normativo in questione – nel caso in esame lo statuto della Regione ordinaria – è abilitato a prevedere disposizioni di questo tipo, ma allora esse avranno pure una qualche efficacia. Del resto la dottrina che aveva difeso, negli anni settanta, le disposizioni di principio già allora incluse negli statuti ordinari, era giunta, nella sostanza, ad affermare che ad esse sarebbe spettata una efficacia che potremmo definire “interstiziale”. Si sarebbe cioè trattato di disposizioni destinate ad operare, per così dire, “nelle pieghe” dell’ordinamento, in un’intricata rete di limiti di gerarchia (in particolare le norme costituzionali di principio) e di competenza (relativa sia alle materie su cui le Regioni sono abilitate a legiferare, sia al modo di disciplina che nelle diverse materie è loro consentito) (39). Del resto, non diversa da questa è l’efficacia delle analoghe disposizioni contenute nelle Costituzioni degli Stati membri degli Stati federali, che la Corte costituzionale tende a distinguere con tanto rigore dagli statuti regionali italiani, ignorando evidentemente il ruolo oggi svolto da tali atti normativi negli Stati federali, almeno in Europa (40).
4.3. I principi fondamentali di organizzazione e funzionamento: una categoria particolare di disposizioni di principio.
Nelle sue decisioni sulle disposizioni di principio, tuttavia, la Corte ha riservato un trattamento particolare ad alcune di esse: i principi fondamentali di organizzazione e di funzionamento della Regione menzionati espressamente dall’art. 123 Cost., che la sent. n. 372/2004 ha non solo “salvato” dall’incostituzionalità, ma anche riconosciuto produttive di effetti giuridici, e, in particolare, di vincoli a carico delle leggi regionali. Di tali principi la Corte ha però dato un’interpretazione restrittiva quanto agli ambiti materiali cui essi possono riferirsi, che coincidono con la materia dell’amministrazione regionale (41).
Lo statuto pugliese è piuttosto avaro di disposizioni di questo tipo, che sono contenute nel titolo V (“ordinamento amministrativo”), composto appena di tre articoli, uno dei quali, fra l’altro, dedicato alla pubblicazione degli atti normativi regionali (art. 53). Ad esse pare inoltre riconducibile la disciplina del diritto all’informazione (42).
L’elencazione dei principi guida dell’azione amministrativa, tuttavia, si rivela poco originale e, laddove questa originalità fa capolino, probabilmente paradossale.
I principi individuati dall’art. 51 del nuovo statuto pugliese costituiscono, infatti, mera ripetizione di principi costituzionali (buon andamento e imparzialità della p.a.) o, al meglio, una esplicitazione di principi già consolidati nella legislazione statale e di solito ricondotti dalla dottrina ai principi costituzionali (trasparenza, pubblicità, semplificazione normativa e procedimentale; partecipazione al procedimento; efficacia, efficienza, tempestività ed economicità). Alla legge regionale è devoluta ogni scelta per fissare i criteri e le modalità per la verifica e il rispetto di tali principi, senza che nello statuto si possa ravvisare un tentativo di spingersi oltre la loro evocazione e di articolarne la portata prescrittiva, in maniera al tempo stesso originale e dotata di senso (43).
Un elemento di originalità si può invece vedere nell’art. 52, che esprime una buona intenzione sommamente encomiabile, ma la cui portata prescrittiva appare dubbia. Secondo tale disposizione, “la Regione assicura, attraverso apposite intese con i comuni, che il cittadino possa rivolgersi al Comune per il disbrigo di ogni e qualunque adempimento amministrativo che lo riguardi, indipendentemente dalle amministrazioni pubbliche competenti”. Ora, la buona intenzione consiste certo in una “amministrazione più vicina al cittadino”, anzitutto dal punto di vista geografico: e ciò è senza dubbio encomiabile, alla luce del principio di sussidiarietà. Occorre però sottolineare che la disposizione può dispiegare la sua efficacia per le sole funzioni amministrative regionali, non certo per quelle statali o di livello sopranazionale, mentre non è chiara la sua portata prescrittiva rispetto a funzioni amministrative di enti infraregionali diversi dal Comune, quali le Province e le Comunità montane: ed è in questo aspetto – proprio nel sottolineare che essa si riferisce ad “ogni e qualunque adempimento amministrativo” – che la disposizione appare demagogica.
5. Partecipazione e referendum.
Il titolo III dello statuto pugliese, che disciplina la partecipazione, evidenzia un netto scarto fra il capo I (dedicato alla “partecipazione” in generale) ed il capo II, in cui la partecipazione stessa viene tradotta in strumenti a disposizione della cittadinanza attiva.
Nell’art. 13, infatti, si “riconosce nella partecipazione attiva e consapevole dei cittadini l’elemento qualificante della vita pubblica democratica” e nell’art. 14 si dà ampio rilievo al diritto all’informazione. Ma negli art. 15 e seguenti la traduzione operativa degli istituti di partecipazione non sembra ispirata ad un reale favor nei confronti di essa.
Singolarmente, infatti, l’art. 15, 3° co. stabilisce che non è ammessa l’iniziativa legislativa popolare per la revisione dello statuto (44): il che è piuttosto singolare, se si considera che ogni decisione in materia sarebbe comunque riservata al Consiglio regionale e che, d’altro canto, l’art. 123 Cost. prevede la possibilità dell’intervento popolare in sede di referendum sospensivo-confermativo sullo statuto medesimo, aprendo così la via ad una forma importante di partecipazione popolare nella redazione della Carta fondamentale della Regione (che non vi è ragione di ritenere debba essere l’unica) (45).
Inoltre la tipologia dei referendum viene limitata a quelli abrogativo (46) e consultivo (oltre ovviamente a quello statutario), mentre lo statuto si guarda bene dall’introdurre forme di referendum propositivo (47), anche nella variante debole del referendum propositivo “consultivo” (quest’ultimo è infatti ammesso solo nella forma del referendum su iniziativa delle autorità regionali (48)). Le forme di referendum previste dallo statuto pugliese sono pertanto:
a) il referendum statutario, disciplinato direttamente dall’art. 123 Cost., e caratterizzato, com’è noto, dall’iniziativa popolare o delle minoranze del Consiglio regionale e dagli effetti sospensivi prodotti dalla richiesta di referendum e impeditivi della promulgazione della legge di riforma statutaria nel caso di sua approvazione;
b) il referendum abrogativo, che ha ad oggetto leggi (salvo le materie espressamente sottratte), regolamenti e provvedimenti amministrativi generali della Regione; anche in questo caso l’iniziativa è popolare, cui si affianca l’iniziativa di enti locali infraregionali (3 Consigli provinciali o 30 Consigli regionali);
c) il referendum consultivo (c.d. “facoltativo”), invece, può avere ad oggetto proposte di legge, proposte di regolamenti e proposte di atti di programmazione generale e settoriale; l’iniziativa è riservata al Consiglio regionale, che può indire il referendum consultivo a maggioranza assoluta (49); gli effetti non sono vincolanti, anche se non sono equiparabili a quelli di un sondaggio di opinione (50);
d) una variante del referendum consultivo (c.d. “obbligatorio” (51)) è poi quella prevista dall’art. 19, 2° co., per la modificazione dei confini degli enti territoriali, ma da un lato la disposizione statutaria è meramente ripetitiva dell’art. 133, 2° co., Cost., e dall’altro ogni ulteriore scelta è rimessa alla legge regionale (52).
Un altro elemento da cui traspare lo scarso favore per l’istituto del referendum è la previsione del quorum di partecipazione del cinquanta per cento degli aventi diritto al voto per la validità del referendum abrogativo (53). Si tratta, certo, di una regola in vigore anche nell’ordinamento statale (art. 75 Cost.), ma non è meno noto che proprio tale regola si sta rivelando oltremodo efficace per annullare il ruolo di contropotere dell’istituto referendario. L’indubbia esigenza di attribuire rilevanza al voto referendario solo in presenza di un livello minimo di partecipazione avrebbe potuto essere soddisfatta con regole diverse, ad es. subordinando la validità del referendum alla partecipazione al voto di un numero di elettori pari ad almeno la metà più uno dei votanti nelle ultime elezioni regionali (54): in tal modo si sarebbe potuto tenere conto del calo generalizzato della partecipazione al voto, che rischia, nel caso del referendum, di rendere praticamente inutilizzabile l’istituto. Che il mancato raggiungimento del quorum sia l’ipotesi più probabile nel referendum abrogativo regionale è singolarmente riconosciuto dallo stesso art. 18, 7° co., il quale prevede l’impossibilità per tre anni di ripresentare una richiesta di referendum per cui non sia stato raggiunto il quorum prescritto dalla legge (e non per il caso, previsto invece dall’art. 38 della legge n. 352/1970 per il referendum abrogativo di leggi statali, di vittoria dei “no” (55)).
L’art. 18, 5° co., attribuisce il potere di giudicare sull’ammissibilità del quesito referendario al Consiglio statutario regionale (56). La scelta è in sé sicuramente condivisibile, ed è certo preferibile alla disciplina previgente, che attribuiva tale giudizio all’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale, che doveva decidere all’unanimità, e, ove tale requisito non fosse stato raggiunto, al Consiglio stesso (57). E’ tuttavia discutibile che lo statuto rinunci del tutto a stabilire quando questa verifica debba avvenire: se dopo il completamento della raccolta delle firme – come a livello statale – o in un momento precedente (ad es. dopo il deposito del quesito, come da taluni suggerito per esigenze di economia procedimentale (58)).
6. Gli organi regionali.
Lo statuto pugliese disciplina gli organi della Regione nell’ampio titolo IV (art. 20-50), che costituisce il cuore della disciplina statutaria e che, dopo due disposizioni introduttive, in cui si elencano gli “organi” e gli “organi a rilevanza statutaria”, si articola in due “capi”, dedicati rispettivamente a ciascuna di tali due categorie di organi regionali. La distinzione ora citata solleva peraltro qualche dubbio, poiché, se l’art. 121, 1° co., Cost. è rimasto inalterato anche dopo le leggi cost. n. 1/1999 e n. 3/2001 (e continua pertanto a stabilire che “sono organi della Regione il Consiglio, la Giunta e il suo Presidente”), la seconda delle due leggi cost. da ultimo citate ha inserito un quarto organo necessario, il Consiglio delle autonomie locali: quest’ultimo, pertanto, avrebbe forse dovuto essere inserito fra gli “organi” regionali e non fra gli organi a rilevanza statutaria (59). La stessa distinzione fra le due tipologie, peraltro, pur evocando quella fra organi costituzionali ed organi a rilevanza costituzionale, appare piuttosto sfuggente (60). Essa può certo basarsi su una distinzione fra organi cui sono attribuiti poteri autoritativi ed organi privi di tali poteri, ma non può fondarsi sul quantum di disciplina statutaria degli organi regionali rispetto a quelli di rilievo statutario, atteso che – come si vedrà meglio oltre – anche i primi sono disciplinati dallo statuto in maniera molto essenziale, con rinvio di scelte tutt’altro che marginali a fonti ulteriori.
6.1. Il Consiglio regionale.
Buona parte del titolo III dello statuto pugliese è dedicata al Consiglio regionale. Le disposizioni statutarie sono divise in due sezioni: una relativa al Consiglio come organo collegiale (art. 22-37) e l’altra ai consiglieri regionali (art. 38-40), anche se alcune delle scelte di maggior rilievo sono rinviate al Regolamento interno del Consiglio (61).
a) Composizione e struttura. Il Consiglio regionale è composto di 70 membri, otto in più del numero attuale (62), eletti secondo modalità stabilite dalla legge elettorale regionale, nel limite dei principi fondamentali stabiliti dalla legge statale. Coerentemente con la (peraltro discutibile) giurisprudenza costituzionale in materia (63) lo statuto pugliese non contiene principi in materia elettorale – ad eccezione di quello della contestualità fra elezione del Consiglio e del Presidente della Giunta (64) – né sulle cause di ineleggibilità e di incompatibilità, e si limita a stabilire una norma procedimentale che prescrive l’approvazione della legge elettorale regionale a maggioranza assoluta (65). Lo statuto non ha previsto un termine per l’approvazione di tale legge (evocata anche dall’art. 41 circa l’elezione del Presidente), che, comunque, non è stata ancora adottata nel momento in cui si licenziano queste note (66).
Lo statuto non si pronuncia sulla durata della legislatura consiliare – la cui determinazione è riservata alla legge statale dall’art. 122, 1° co. (67) – e si limita a disciplinare la prima convocazione del Consiglio (68) ed a prevedere l’applicazione ad esso della prorogatio “fino alla data di proclamazione degli eletti” (69), dando così attuazione alla sent. n. 196/2003, che aveva ritenuto riservate allo statuto – e precluse alla legge regionale ordinaria – scelte di questo tipo.
Lo statuto menziona solo genericamente le articolazioni interne del Consiglio, ad eccezione dell’Ufficio di Presidenza, che trova negli art. 27 e 28 una disciplina sufficientemente compiuta. Vengono menzionati, ma non regolati, i gruppi (70), le commissioni permanenti e le commissioni di inchiesta, ma su composizione, tipologie e funzioni di tali organi regna sovrano il silenzio (71).
b) Funzionamento. Il funzionamento del Consiglio regionale come plenum viene disciplinato nell’art. 35, il quale stabilisce la regola della pubblicità delle sedute e prevede che l’Ufficio di Presidenza individui “le modalità e gli strumenti più idonei a favorirne la più ampia informazione”, con l’aggiunta che le sedute in cui sono discusse le interrogazioni a risposta immediata “devono essere dotate di strumenti di comunicazione esterna” (peraltro non meglio precisati). I quorum strutturale e funzionale per il Consiglio riproducono quelli fissati dall’art. 64 Cost. per le Camere, con la sola eccezione delle deliberazioni concernenti materie “tributarie e di bilancio”, per le quali è previsto “il voto favorevole della maggioranza dei consiglieri in carica”.
La regola generale di votazione è lo scrutinio palese, con le eccezioni previste dallo statuto e dal regolamento interno e, necessariamente, dei voti concernenti le persone.
L’art. 36 prevede poi che l’Ufficio di Presidenza deliberi il calendario dei lavori, previo parere di tre tipi di soggetti: a) Presidente della Giunta; b) Presidenti delle Commissioni consiliari; c) Presidenti dei Gruppi consiliari. Si tratta di una tecnica di gestione del calendario consiliare affidata alla maggioranza consiliare più che alla Presidenza della Giunta o alla Giunta stessa: in generale, infatti, lo statuto non prevede poteri di direzione giuntale del lavoro consiliare (72), ma fa passare tale potere attraverso l’influenza che il leader dell’Esecutivo regionale dovrebbe essere in grado di esercitare in quanto capo della maggioranza eletta “contestualmente” (73) a lui.
Quattro articolazioni interne del Consiglio trovano sommaria disciplina nello statuto: il Presidente, l’Ufficio di Presidenza, i Gruppi consiliari, le Commissioni consiliari permanenti, di indagine e di inchiesta (74). Solo il Presidente (75) e l’Ufficio di Presidenza (76), peraltro, trovano nello statuto una disciplina sufficientemente definita, malgrado siano rinviate al Regolamento interno del Consiglio le norme sulle loro modalità di elezione. Le norme sui gruppi e sulle Commissioni sono invece vere e proprie norme in bianco, che rinviano quasi ogni determinazione al regolamento interno del Consiglio.
c) Funzioni. Le funzioni che lo statuto riconosce al Consiglio regionale sono la rappresentanza della Regione, la funzione legislativa, il controllo e l’indirizzo politico della Giunta e l’autonomia regolamentare interna.
c1) La funzione di rappresentanza non è oggetto di una disciplina autonoma, ma si può ragionevolmente ritenere che l’esercizio di essa passi attraverso l’esercizio delle altre due funzioni or ora menzionate. La rappresentanza di cui è investito il Consiglio regionale è quella della “comunità pugliese” (77), mentre il Presidente della Giunta “rappresenta la Regione” (78) e il Presidente del Consiglio regionale “rappresenta il Consiglio regionale” (79): ma fra i primi due tipi di rappresentanza non è agevole distinguere, atteso che la rappresentanza della Regione che l’art. 42, 1° co., attribuisce al Presidente della Giunta, riproducendo letteralmente l’art. 121, 4° co., Cost., sembrerebbe riferirsi sia alla Regione-apparato, sia alla Regione-comunità. Piuttosto, la distinzione dovrebbe basarsi sul modo della rappresentanza, che nel caso del Consiglio dovrebbe includere l’elemento della pluralità della comunità regionale, in tutta la ricchezza delle sue articolazioni, sia pure attraverso la mediazione della rappresentanza politica, mentre nel caso del Presidente della Giunta dovrebbe evidenziare la dimensione dell’unità della comunità regionale.
c2) La disciplina della funzione legislativa è quasi inesistente nello statuto: non solo per quanto riguarda le regole sul riparto di competenze – che sono ovviamente fissate ab externo (dalla Costituzione statale) – o per le disposizioni statutarie di principio – che sono a maglia molto larga e paiono in gran parte strutturalmente inidonee ad indirizzare la legislazione regionale (tralasciando ora l’interpretazione di esse data dalla Corte costituzionale, di cui si è discusso sopra) – ma, soprattutto, dal punto di vista procedimentale: al riguardo lo statuto non contiene scelte degne di rilievo, e la disciplina dell’iter legis è interamente devoluta al regolamento interno del Consiglio.
A differenza dello statuto del 1971, che conteneva un titolo II, articolatamente dedicato alla disciplina del “procedimento di formazione delle leggi e dei regolamenti” (art. 53-62), il nuovo statuto tace sulle varie fasi del procedimento legislativo regionale (80): l’iniziativa, la fase istruttoria e l’approvazione, e contiene brevi cenni sulla promulgazione e la pubblicazione.
Quest’ultimo vuoto di disciplina si colloca ai limiti della legittimità costituzionale, se si considera che la disciplina dell’iniziativa legislativa è configurata dall’art. 123 Cost. come un contenuto necessario dello statuto (il che vale soprattutto se si aderisce alla concezione dello statuto come fonte specializzata, competente unicamente sulle materie indicate dall’art. 123 Cost., ora accolta dalla Corte cost. nelle già citate sent. n. 372, 378 e 379 del 2004). Lo statuto pugliese accenna appena al problema nell’art. 39, laddove si lascia sfuggire che “il consigliere regionale esercita il diritto di iniziativa legislativa” (81), e nell’art. 15, laddove regola l’iniziativa legislativa popolare e degli enti territoriali. Singolarmente, invece, nessuna norma è stabilita riguardo all’iniziativa della Giunta e/o del Presidente della Giunta, che sono previste solo per leggi settoriali (bilancio, ecc.). Non è chiaro se questo sia il frutto di una disattenzione (82) o di una scelta consapevole, ma sembra comunque doversi concludere che, in punto di diritto, la Giunta regionale pugliese, dopo l’entrata in vigore del nuovo statuto (83), non è più facoltizzata alla presentazione di disegni di legge al Consiglio (84), salvi i casi in cui lo statuto non preveda espressamente – magari in forma riservata – tale potere. Il problema è comunque in parte ridimensionato dalla norma secondo cui il Presidente della Giunta fa automaticamente parte del Consiglio regionale (85) (ed ha quindi l’iniziativa legislativa in quanto consigliere (86)).
Sulla fase istruttoria, poi, lo statuto oscilla fra il dire troppo e troppo poco. L’art. 32 stabilisce infatti che le Commissioni consiliari permanenti esercitano, fra l’altro, le funzioni “referente, consultiva, legislativa”, evocando così la possibilità che la legge sia approvata in Commissione o redatta in tale sede con sola riserva di approvazione finale da parte del Consiglio. Singolarmente, però, lo statuto pugliese, dopo questo soprassalto di ardimento, rinvia al Regolamento interno del Consiglio ogni determinazione sulle “modalità” in cui ciò possa avvenire. Ora, com’è noto, la questione della legittimità di disposizioni statutarie che prevedano le commissioni consiliari deliberanti è stata discussa da una dottrina non recente, con prevalenza dell’opinione negativa (87). Si può certo ritenere che la competenza statutaria in materia di forma di governo legittimi oggi lo statuto ad intervenire più incisivamente sul procedimento legislativo, fra l’altro prevedendo le commissioni deliberanti (ed è questa la tesi che abbiamo sostenuto in altra sede (88)). Ma, in tal caso, la scelta dovrebbe essere compiuta dallo statuto – fonte abilitata a disciplinare la forma di governo regionale, nella quale non sarebbe arbitrario ritenere inclusa la disciplina delle fonti regionali del diritto – e non devoluta integralmente al regolamento interno (89), oltretutto senza prevedere regole sulla composizione delle commissioni (90) né idonee garanzie per le minoranze (del tipo, ad es., di quelle previste dall’art. 72 Cost.) e forme di riserva al plenum consiliare per determinate materie (91).
Mentre l’art. 58 dello statuto del 1971 prevedeva con precisione la formula di promulgazione (92), l’art. 41 del nuovo statuto si limita ad evocare, più che a regolare, la promulgazione della legge regionale, nel contesto dell’elencazione delle funzioni del Presidente della Giunta. L’art. 41 non attribuisce a quest’ultimo alcun potere di veto sospensivo (93), coerentemente, in fondo, con una forma di governo che pare ispirarsi alla valorizzazione del continuum Consiglio-Presidente, più che ad una separazione netta fra i due poteri (che pure affiora nella mancata attribuzione alla Giunta dell’iniziativa legislativa).
La pubblicazione e l’entrata in vigore della legge regionale sono infine disciplinate dallo statuto in una distinta e anomala sedes materiae: l’art. 53 – collocato singolarmente nel titolo V, relativo all’ordinamento amministrativo – prevede infatti la pubblicazione delle leggi regionali sul Bollettino Ufficiale della Regione entro 10 giorni dalla promulgazione e la loro entrata in vigore il quindicesimo giorno successivo, salvo i casi di urgenza.
Mancano, infine, norme sulla qualità della legislazione regionale (94).
c3) Più circostanziata è la disciplina della funzione di controllo e indirizzo politico della Giunta. Al riguardo, infatti, lo statuto menziona le tradizionali forme di controllo politico, attivabili dal Consiglio o dai singoli consiglieri: il question time (95), l’interrogazione, l’interpellanza, la mozione (96), l’accesso ai documenti amministrativi (97), la commissione di inchiesta o di indagine (98) e la sfiducia, pur senza tratti di particolare originalità. Ne risulta una immagine del potere di controllo consiliare nel complesso diffusa nell’Assemblea piuttosto che qualificata in capo a talune componenti di essa.
Il testo approvato nel marzo 2003 dalla Commissione consiliare per gli affari istituzionali conteneva invece una interessante novità, ovvero la mozione di sfiducia contro il singolo assessore, la cui approvazione avrebbe fatto sorgere “l’obbligo per il Presidente di revocarlo” (99). Ma questo meccanismo di controllo consiliare sugli assessori è stato abbandonato nel testo approvato definitivamente dal Consiglio (100).
Alla disciplina del bilancio e della programmazione, e dei poteri in materia della Giunta e del Consiglio, lo statuto dedica un apposito titolo, che verrà esaminato infra nel par. 10.
c4) Un ruolo cruciale spetta infine alla autonomia regolamentare interna del Consiglio regionale, la quale ha un raggio di azione molto ampio, come si è già visto.
6.2. La forma di governo: elezione diretta con governo di legislatura.
L’esame delle disposizioni relative alla Giunta regionale e al suo Presidente richiede un cenno preliminare sulle scelte operate dallo statuto circa la forma di governo in senso stretto, materia sulla quale lo statuto doveva – in base alla legge cost. n. 1/1999 – decidere su una alternativa di fondo: confermare la scelta compiuta in via preferenziale a livello costituzionale in favore dell’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e del governo di legislatura (art. 121, 5° co. e 126, 2° co., Cost.) o sostituirla con un diverso modello di elezione del Presidente ed un diverso sistema di governo.
La scelta dello statuto pugliese su questo punto è “chiara e distinta”. L’art. 41, 1° co., recita infatti: “il Presidente della Giunta regionale è eletto a suffragio universale e diretto… contestualmente alla elezione del Consiglio ed è componente dello stesso”, mentre il 3° ed il 4° co. dell’art. 22 riproducono letteralmente il 2° ed il 3° co. dell’art. 126, che contengono le norme relative alla mozione di sfiducia che il Consiglio regionale può approvare nei confronti del Presidente della Giunta e la disciplina dello scioglimento automatico del Consiglio regionale che segue all’approvazione della mozione di sfiducia e ad altri eventi riguardanti la persona del Presidente (dimissioni volontarie, impedimento permanente, morte) oltre che alle dimissioni presentate dalla maggioranza dei consiglieri. Viene confermato (né poteva essere diversamente, dato il testo dell’art. 121, 5° co., Cost.) anche il potere del Presidente di nominare (101) e di revocare (102) gli altri membri della Giunta regionale. Vengono pertanto riprodotte le coordinate di base – del resto già costituzionalmente prefigurate – del governo di legislatura con elezione diretta del vertice del potere esecutivo (in questo caso del Presidente della Giunta regionale).
Il modello di elezione diretta prescelto nello statuto pugliese è coerente sia al suo interno, sia con le norme costituzionali sul sistema di governo regionale. In questo quadro, peraltro, la bozza di statuto rinuncia del tutto a introdurre elementi di riequilibrio della supremazia presidenziale (103), quali forme di distinzione fra l’elezione del Presidente e quella del Consiglio (si è visto, anzi, che lo statuto stabilisce che il Presidente sia eletto contestualmente al Consiglio) o modalità di procedimentalizzazione del potere di nomina e revoca degli assessori: la nomina produce effetto indipendentemente dalla comunicazione al Consiglio, che pure deve aver luogo “nella seduta successiva alla nomina” (104). Debole è anche lo statuto costituzionale dell’opposizione (105), mentre non vi è traccia di una disciplina dei poteri presidenziali di nomina.
Nella versione definitiva dello statuto è venuto meno il potere del Presidente della Giunta di porre formalmente la questione di fiducia sui progetti di legge di iniziativa della Giunta, sentita la Giunta stessa, che era stato invece previsto nel progetto di statuto elaborato dalla Commissione consiliare per gli affari istituzionali (106).
6.3. La formazione della Giunta.
Per quanto attiene alla formazione ed alla cessazione della Giunta, lo statuto contiene alcune disposizioni dotate di un certo grado di originalità, ma appare per taluni aspetti (relativi alla formazione della Giunta) non del tutto chiaro.
Per quanto attiene alla formazione della Giunta, la sequenza procedimentale sembrerebbe essere la seguente:
a) proclamazione dei risultati delle elezioni regionali (del Consiglio e del Presidente della Giunta);
b) immediata assunzione delle funzioni da parte del Presidente della Giunta, il quale assume non solo le funzioni presidenziali, ma anche quelle di tutta la Giunta, che esercita sino alla data della nomina degli altri componenti della Giunta medesima;
c) prestazione del giuramento da parte del nuovo Presidente della Giunta nella prima riunione del nuovo Consiglio, dopo la convalida dei consiglieri eletti;
d) nomina degli altri membri della Giunta regionale (incluso un Vicepresidente) da parte del Presidente della Giunta, entro dieci giorni dalla proclamazione del Presidente.
e) comunicazione dell’avvenuta nomina degli altri membri della Giunta al Consiglio regionale da parte del Presidente della Giunta (nella seduta consiliare successiva alla nomina), che è altresì tenuto a comunicare il programma di governo.
Si deve sottolineare che, dando per scontato che la “proclamazione” cui accenna l’art. 41, 4° co., sia la stessa per il Consiglio e per il Presidente della Giunta (i quali sono eletti contestualmente), l’effettiva assunzione delle funzioni avverrebbe prima per il Presidente (all’atto stesso della propria proclamazione (107)) e per gli altri membri della Giunta (che dovranno essere nominati entro dieci giorni dalla proclamazione del Presidente (108)) che per il Consiglio. Quest’ultimo, infatti, deve ritenersi validamente esistente a partire dalla propria proclamazione, anche considerato che in tale data cessano dalla carica di consiglieri i membri del Consiglio precedente (109), ma la prima seduta del nuovo Consiglio deve essere convocata – come si è visto – non prima di 15 e non dopo 20 giorni dalla proclamazione (110), e solo a partire dalla prima riunione il nuovo Consiglio potrà effettivamente esercitare le sue funzioni. Solo nella prima seduta consiliare – dopo le operazioni di convalida – il Presidente può prestare giuramento davanti al Consiglio, con la conseguenza che il giuramento avverrebbe non prima, ma dopo l’assunzione delle funzioni (a differenza di quanto accade nell’ordinamento statale per il Presidente della Repubblica e per il Presidente del Consiglio dei Ministri).
Quali che siano, comunque, le aporie di questo procedimento, vanno segnalate tre novità.
La prima consiste nella prestazione del giuramento da parte del Presidente della Giunta, che si segnala da un lato per la particolarità di essere previsto solo per il Presidente, e non anche per gli altri membri della Giunta, e dall’altro per la precisazione che esso dovrebbe avere ad oggetto non solo la Costituzione, ma anche lo statuto.
La seconda consiste nell’assunzione da parte del Presidente anche delle funzioni degli altri membri della Giunta, fino alla nomina di questi ultimi (111). Si può qui vedere l’ultima frontiera della torsione presidenzialista dell’esecutivo regionale, che può arrivare ad identificarsi col solo Presidente, sia pure transitoriamente, con buona pace dell’art. 121 Cost. che continua a identificare l’Esecutivo regionale nel collegio giuntale. Al tempo stesso si ha qui una parziale deroga alla regola della prorogatio della Giunta.
La terza novità è rappresentata dall’obbligo per il Presidente di dare al Consiglio comunicazione non solo della nomina degli altri membri della Giunta, ma anche del programma (112). Lo statuto pugliese non si è però spinto a prevedere espressamente che abbia luogo un dibattito (113), anche se quest’ultimo non è affatto precluso, né ha richiesto un voto consiliare sul programma (114).
Lo statuto pugliese non obbliga però il Presidente della Giunta regionale a presentarsi al Consiglio anche per comunicare variazioni del programma o della composizione della Giunta nel corso della legislatura (115), né prevede un dibattito annuale sullo “stato della Regione” (116), ma si limita a stabilire che il Presidente “riferisce annualmente al Consiglio regionale sullo stato di attuazione del piano di sviluppo regionale, dei piani e dei programmi attuativi e sulla situazione gestionale complessiva della Regione” (117).
6.4. La cessazione della Giunta.
Per quanto riguarda la cessazione della Giunta, essa consegue ad ogni caso di cessazione dalla carica del Presidente della Giunta (scadenza, sfiducia, dimissioni contestuali della maggioranza dei consiglieri, dimissioni volontarie, impedimento permanente, morte del Presidente), oltre che di scioglimento del Consiglio regionale.
In ogni caso di cessazione della Giunta, questa rimane in carica per il disbrigo degli affari correnti sino alla proclamazione del nuovo Presidente della Giunta.
Gli ultimi due commi dell’art. 41 differenziano invece la prorogatio del Presidente della Giunta, a seconda che la causa di cessazione del medesimo (e, con lui, della Giunta, oltre che del Consiglio) sia la sfiducia del Consiglio alla Giunta o le dimissioni contestuali della maggioranza dei consiglieri (nei quali casi il Presidente della Giunta rimane in carica assieme agli altri membri della Giunta sino alle nuove elezioni (118)) oppure le dimissioni volontarie, la rimozione, l’impedimento permanente o la morte del Presidente, nei quali casi il Vice Presidente subentra al Presidente e ne esercita le funzioni – alla guida della Giunta uscente – fino alle nuove elezioni per l’ordinaria amministrazione (119). Quest’ultima soluzione appare compatibile con la clausola aut simul stabunt aut simul cadent di cui all’art. 126 Cost. e con la sent. n. 304/2002, in quanto la sostituzione del Presidente della Giunta ha effetto solo sino alle nuove elezioni. Si tratta, comunque, di una conseguenza che tende a ridimensionare l’efficacia di scioglimento del Consiglio che si riconnette alle dimissioni del Presidente della Giunta.
6.5. L’esecutivo regionale tra collegialità e direzione monocratica.
Il cuore dei problemi posti dal potere esecutivo regionale è rappresentato dai rapporti fra la Giunta ed il suo Presidente. Quest’ultimo è collocato dallo statuto – che su gran parte delle questioni non fa che eseguire disposizioni costituzionali – in una strana posizione di supremazia, che combina chiari elementi gerarchici con l’appartenenza all’organo collegiale. La supremazia gerarchica del Presidente è ben visibile nel potere di nomina e revoca degli altri membri della Giunta (120) e nella assunzione provvisoria delle funzioni giuntali nel periodo che intercorre fra la proclamazione della elezione del Presidente e la nomina degli assessori (121). D’altro canto, però, le principali funzioni dell’esecutivo regionale sono attribuite all’organo collegiale e non al suo Presidente, il quale, nelle deliberazioni collegiali della Giunta è equiparato agli altri componenti, con la sola eccezione per cui il suo voto determina l’esito della votazione in caso di parità (122).
a) Composizione. La Giunta è composta da un numero variabile di assessori, con un massimo di quattordici, incluso un Vicepresidente (123). Il Vicepresidente ha essenzialmente funzioni di supplenza, oltre che di sostituzione in talune fattispecie specifiche (124). La Giunta opera come organo collegiale, ma il Kollegialprinzip è temperato da una sorta di Kanzlerprinzip, che consente al Presidente di impartire direttive all’organo collegiale, di dirigerne la politica e di coordinarne l’attività, oltre che di delegare ai singoli assessori settori organici di materie e compiti circoscritti di missione, anche temporalmente delimitati. E’ quindi corretto l’art. 43, 3° co., II parte, laddove afferma che la Giunta “partecipa alla determinazione e all’attuazione dell’indirizzo politico-amministrativo della Regione”.
La Giunta delibera in sedute non pubbliche e può adottare un regolamento interno (125).
Nulla è detto circa i requisiti per la nomina ad assessore: non si prevede né la limitazione ai consiglieri (come ai sensi dell’art. 121 Cost., testo originario), né alcuna forma di incompatibilità fra le posizioni di consigliere e di assessore, né alcuna riserva ai consiglieri di un numero minimo di posti all’interno della Giunta (126). Il testo della Commissione istituzionale aveva invece optato per l’incompatibilità “svedese”, stabilendo che la carica di componente della Giunta regionale non è compatibile con quella di consigliere regionale, con la conseguenza che il consigliere nominato membro della Giunta sarebbe stato sospeso dalle funzioni di consigliere per tutto il periodo di appartenenza alla Giunta, salva la facoltà di riacquistare lo status di consigliere in caso di perdita, durante la legislatura, della posizione di membro della Giunta (127). Accantonata questa soluzione, pare opportuno che non sia stata prevista l’incompatibilità secca fra consigliere ed assessore, che avrebbe sbilanciato il rapporto fra Presidente, assessori e consiglieri in modo analogo a quanto accade a livello comunale. Tale opzione, comunque, non rientra nel campo di intervento aperto allo statuto, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale (128).
b) Funzioni. E’ alla Giunta, e non al suo Presidente, che spettano le attribuzioni tipiche del potere esecutivo. Le funzioni della Giunta possono essere così raggruppate:
1) compiti di preparazione e di proposta rispetto alle delibere del Consiglio regionale in taluni settori (bilancio, rendiconto, programmazione finanziaria (129));
2) la direzione dell’amministrazione regionale, sulla base delle direttive presidenziali, nonché la gestione del bilancio e del patrimonio regionale;
3) la rappresentanza processuale della Regione;
4) la sovrintendenza sulla gestione dei beni pubblici regionali e la vigilanza sugli enti pubblici regionali;
5) la potestà regolamentare;
6) la competenza amministrativa generale e residuale (130).
Le funzioni presidenziali (131) sono invece raggruppabili in:
1) funzioni di “capo di Stato” a livello regionale (le Staatsoberhaupliche Funktionen di cui parla la dottrina germanica (132)): la rappresentanza della Regione (133); la promulgazione delle leggi e l’emanazione dei regolamenti (134); l’indizione dei referendum (135);
2) funzioni di direzione della Giunta: la nomina e revoca degli assessori nonché l’attribuzione delle funzioni agli assessori medesimi (136);
3) funzioni di direzione amministrativa: l’adozione di provvedimenti di organizzazione degli uffici regionali; l’adozione delle ordinanze di necessità ed urgenza, salvo ratifica della Giunta (137);
4) rappresentanza dell’organo Giunta nei rapporti con il Consiglio regionale e dell’ente Regione nei rapporti con lo Stato.
c) La potestà regolamentare regionale. Di un certo interesse è la disciplina della potestà regolamentare regionale. L’art. 44 prevede che in via generale la potestà regolamentare sia esercitata dalla Giunta regionale, ma con una partecipazione del Consiglio affidata alla formula del “parere preventivo obbligatorio, non vincolante” (138): una soluzione che appare idonea ad equilibrare la riserva alla Giunta la potestà regolamentare con un coinvolgimento formale e preventivo del Consiglio nel processo decisionale (139). Al tempo stesso l’art. 44, 3° co., precisa che tale procedura è derogabile nei casi di necessità ed urgenza. L’art. 44, 5° co., autorizza la Giunta ad “avvalersi del parere del Consiglio di Stato nell’esercizio dell’attività regolamentare”: non si tratta dunque di un obbligo, ma di una facoltà; e d’altro canto si possono nutrire dubbi sulla sufficienza di questa disposizione a obbligare il Consiglio di Stato (che è organo statale e non regionale) a predisporre i pareri eventualmente richiesti dalla Giunta regionale pugliese. Avendo lo statuto istituito un – sia pur claudicante – Consiglio statutario (140), non si capisce perché questa funzione tecnico-consultiva non sia stata attribuita a tale organo (141).
L’art. 44 individua quattro tipologie di regolamenti: esecutivi, di attuazione, integrativi e di delegificazione. Questi ultimi possono essere adottati solo sulla base di una espressa delega del Consiglio regionale, da cui sembrerebbe doversi desumere l’inammissibilità di simili regolamenti in assenza di tale delega (e ciò appare condivisibile). L’enumerazione deve ritenersi tassativa, con la conseguenza che non sembrano ammissibili regolamenti indipendenti, né riserve di regolamento.
Lo statuto non contiene previsioni relative ai regolamenti delegati in materie di competenza esclusiva statale (142), né su eventuali regolamenti di recezione della normativa comunitaria (143). Non sono espressamente previste potestà regolamentari del Presidente della Giunta, anche se i summenzionati “provvedimenti di organizzazione degli uffici regionali” che egli è competente ad adottare potrebbero essere considerati forme anomale di regolamenti (presidenziali) organizzativi.
6.6. La pletorica composizione degli organi regionali.
In materia di organizzazione regionale, va segnalata la tendenza alla dilatazione numerica degli organi politici, che costituisce uno dei tratti comuni ai progetti di statuto attualmente discussi dai Consigli delle Regioni ordinarie.
Si è visto che il numero dei membri del Consiglio regionale pugliese viene aumentato da 62 a 70 membri (144); il numero dei membri della Giunta regionale è variabile, ma può arrivare a comprendere un quinto dei membri del Consiglio, vale a dire 14 componenti, più il Presidente (145); il Consiglio delle autonomie locali “è composto da un numero di membri non superiore a quello del Consiglio regionale” (quindi nuovamente 70 membri (146)). A ciò vanno aggiunti i 5 componenti del Consiglio statutario regionale e la complessa rete delle autorità di garanzia.
E’ difficile non cogliere una tendenza della classe politica regionale a moltiplicare gli spazi disponibili di potere (apparente o reale, questo poco importa), pur in un sistema che ha un centro ben preciso, rappresentato, come si è visto, dalla figura del Presidente della Giunta: la logica perseguita sembra essere un festoso compromesso fra il divide et impera e il panem et circenses.
7. Il Consiglio delle autonomie locali.
Com’è noto, l’art. 7 della legge cost. n. 3/2001 ha inserito nell’art. 123 Cost. un 4° co., che ha imposto agli statuti regionali di disciplinare il Consiglio delle autonomie locali “quale organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali”, costituzionalizzando un organo che – sia pure con caratteristiche talora molto diverse – varie leggi regionali avevano previsto nel corso degli anni novanta (147), e, fra esse, la legge reg. pugliese n. 22/2000 (art. 6-8), la quale aveva istituito una “Conferenza permanente Regioni/Autonomie locali” (148).
L’art. 45 dello statuto pugliese adempie sommariamente al mandato costituzionale ora citato, delineando una scheletrica disciplina del quarto organo regionale necessario, che viene incluso fra gli “organi a rilevanza statutaria”. La vera e propria disciplina del Consiglio delle autonomie è stata però demandata dall’art. 45, 3° co., ad una specifica legge regionale, da adottarsi “sentite le associazioni di rappresentanza” degli enti locali, e per la cui approvazione è stato previsto un termine breve, di sessanta giorni dalla entrata in vigore dello statuto: termine che non è stato rispettato, atteso che, a quasi un anno dalla approvazione del nuovo statuto, nessuna legge con questo contenuto è stata adottata (149).
a) Composizione. Circa la composizione del Consiglio delle autonomie locali, l’art. 45, 2° co., non ha operato scelte compiute, ma ha fissato due criteri di massima (150). Per il numero dei componenti è stato previsto un limite massimo, determinandolo non con una cifra assoluta, ma con riferimento al numero dei componenti il Consiglio regionale (settanta membri) (151). I componenti del Consiglio delle autonomie locali sono “in rappresentanza dei Consigli comunali, provinciali, della Città metropolitana e delle Comunità montane”: l’art. 45 non ripartisce però i membri del Consiglio fra le varie categorie, né prevede le modalità di elezione (scelte tutte rimesse alla legge regionale), ma integra in tre modi il disposto costituzionale.
Vengono anzitutto individuati gli enti locali rappresentati nel Consiglio delle autonomie: non solo province e comuni, ma anche la (per ora non ancora esistente) Città metropolitana di Bari e, soprattutto, le Comunità montane (152).
Inoltre, l’art. 45, 2° comma, precisa che sono i Consigli di tali organi – e non le Giunte, né i vertici di queste ultime (153) – ad essere rappresentati nel Consiglio delle autonomie locali.
Infine, il 3° co. dell’art. 45 prevede che la legge chiamata a disciplinare l’organo in esame garantisca l’”equilibrata rappresentanza territoriale” e “il pluralismo rappresentativo”.
Con questa tecnica di disciplina della composizione del Consiglio delle autonomie si è fatto “destatutizzata” una serie di scelte rilevanti per la conformazione dell’organo, rimettendolo del tutto nelle mani della maggioranza parlamentare del momento, al punto che ci si potrebbe chiedere se la “riserva di statuto” prevista dall’art. 123, 4° co., sia stata soddisfatta dalle norme in commento.
Dai criteri indicati risulta comunque che l’attuale composizione della Conferenza permanente Regione-Enti locali di cui alla legge reg. n. 22/2000, caratterizzata dalla compresenza di autorità regionali, sia pure senza diritto di voto, e di rappresentanti delle associazioni degli enti locali (154) non soddisfa i nuovi requisiti statutari.
b) Funzioni. Anche riguardo alle funzioni, l’art. 45, pur non disciplinando direttamente l’organo in questione, specifica – anche se con una formulazione molto confusa – la previsione dell’art. 123 Cost., che si limita a delineare il Consiglio delle autonomie come “organo di consultazione” fra Regione ed enti locali. Il 1° co. Dell’art. 45 dello statuto pugliese precisa che il Consiglio è organo di rappresentanza e di partecipazione delle autonomie locali, finalizzato a favorirne l’intervento nei processi decisionali regionali, con funzione di “raccordo” e di “consultazione” (155). Scarsi sono gli elementi per comprendere se il Consiglio delle autonomie locali sia più vicino ad una Conferenza regionale delle autonomie locali – collocata “presso la Giunta” – o ad una sorta di Camera delle autonomie, collocata “presso il Consiglio regionale”. L’art. 45 dello statuto precisa in effetti che il Consiglio delle autonomie “è istituito … con sede presso il Consiglio regionale”, ma non si pronuncia sul tipo di funzioni regionali cui sia chiamato a partecipare, né, tantomeno, si spinge ad individuarne la fase, limitandosi a prevedere, in generale, che esso è finalizzato a favorire l’intervento delle autonomie locali “nei processi decisionali della Regione” (156).
Nessun cenno vi è nello statuto alla funzione assegnata ai Consigli delle autonomie locali dall’art. 32 della legge n. 87/1953, come modificato dall’art. 9, 3° co., della legge n. 131/2003, secondo il quale «la questione di legittimità costituzionale, previa deliberazione della Giunta regionale, anche su proposta del Consiglio delle autonomie locali, è promossa dal Presidente della Giunta mediante ricorso diretto alla Corte costituzionale e notificato al Presidente del Consiglio dei ministri entro il termine di sessanta giorni dalla pubblicazione della legge o dell’atto impugnati» (157).
c) Funzionamento. Alla legge regionale è rimessa anche la determinazione delle norme sul funzionamento interno del Consiglio delle autonomie (158), dei quorum di validità delle sedute e delle deliberazioni alle regole sull’elezione del Presidente e sulla convocazione e la periodicità delle sedute. A differenza di altri statuti (159), lo statuto pugliese non ha rinviato tali materie al regolamento interno del Consiglio delle autonomie (160).
8. Il Consiglio statutario.
Come buona parte degli statuti già approvati o tuttora in corso di elaborazione (161), anche lo statuto pugliese ha accolto la proposta – avanzata in dottrina (162) – di istituire un organo di garanzia della rigidità dello statuto. A tale organo, disciplinato dagli art. 47, 48 e 49, è stata attribuita la denominazione di “Consiglio statutario regionale”.
a) Composizione ed elezione. L’art. 48 dello statuto stabilisce che il Consiglio statutario regionale è composto di cinque membri, eletti con voto limitato dal Consiglio regionale. L’art. 48 fissa anche i requisiti di eleggibilità, stabilendo che tre dei membri del Consiglio statutario debbano essere eletti fra gli ex consiglieri regionali che abbiano esercitato la funzione per almeno dieci anni e due fra gli esperti di diritto. L’art. 48, 2° co., stabilisce inoltre che il Consiglio statutario elegge il suo Presidente (deve supporsi: al proprio interno) e che le funzioni di segretario sono esercitate dal componente più giovane. Lo statuto tace sia sulla durata del mandato del Consiglio, rimettendo ogni determinazione sul punto ad una legge regionale di attuazione (competente a disciplinare il funzionamento, l’organizzazione, il trattamento economico e le cause di incompatibilità dei membri del Consiglio), di cui l’art. 49 prevede la necessaria approvazione entro 6 mesi dall’entrata in vigore dello Statuto (e di cui, al momento, non vi è traccia).
Si tratta, nel complesso, di scelte in parte deboli, in parte criticabili.
La debolezza della scelta compiuta dallo statuto riguarda sia la procedura di elezione – che appare idonea ad assicurare alle minoranze due componenti su cinque del Consiglio, ma non ad imporre alla maggioranza ed alla minoranza di scegliere i componenti consensualmente, come sarebbe accaduto se fosse stata stabilita una maggioranza qualificata per l’elezione (163) – sia il rinvio alla legge regionale della determinazione della durata, oltre che di ogni profilo relativo al funzionamento.
Decisamente criticabili appaiono invece le scelte compiute dallo statuto pugliese riguardo ai requisiti per la nomina dei membri del Consiglio statutario, come ben si vede se si confronta la disciplina dell’art. 48 con il testo predisposto dalla Commissione consiliare che aveva redatto il testo base dello statuto, e che aveva previsto che dei cinque membri del Consiglio, due soltanto fossero gli ex consiglieri, affiancati da tre professori di diritto delle università pugliesi, nominati dai Rettori di tali Università. Per quanto riguarda la riserva di tre posti su cinque ad ex consiglieri regionali, la scelta conferma la tendenza di alcuni disegni di legge recenti a individuare posizioni di presunto potere per politici non rieletti (si pensi al Senato configurato nel testo originario del disegno di legge costituzionale A.S. n. 2544 della presente legislatura), e, soprattutto, solleva dubbi sulla effettiva capacità di membri con siffatta provenienza di acquisire autonomia dai Consigli regionali (164) ed evidenzia uno “sbilanciamento della componente politica a detrimento di quella tecnica” (165). Anche l’utilizzazione della generica dizione di “esperti in discipline giuridiche” (categoria all’interno della quale andranno eletti due membri del Consiglio statutario), non appare idonea a rafforzare la legittimazione dell’organo, dato che si tratta di una qualificazione estremamente generica, specie in una Regione in cui molto numerosi sono gli esercenti vari tipi di professioni legali.
b) Le funzioni. Non meno debole e indeterminato si rivela il quadro per quanto attiene alle funzioni del Consiglio statutario, pure genericamente riconducibili alla garanzia della rigidità dello statuto.
La competenza più importante parrebbe essere quella di verificare la “incompatibilità statutaria delle proposte di legge” (166), ma tale verifica è configurata come una specie di giudizio di secondo grado, rispetto ad una prima valutazione compiuta “dalla competente commissione consiliare”, oltretutto nei casi previsti dal regolamento interno del Consiglio regionale (167). Lo statuto tace del tutto sia sulla fase del procedimento di formazione della legge in cui potranno avvenire tali valutazioni, sia sui soggetti legittimati ad adire il Consiglio statutario e sugli effetti delle “pronunce” del Consiglio medesimo; e non è nemmeno chiaro se la competenza a regolare questi profili spetti al regolamento interno del Consiglio regionale o alla legge regionale indicata dall’art. 49 dello statuto. Alla stregua dello statuto è pertanto impossibile dire se il Consiglio sia effettivamente configurato come un organo di garanzia della superiorità dello statuto sulla legge regionale, specie se si considera la genericità delle disposizioni di principio contenute nei primi due titoli dello statuto medesimo.
Al Consiglio statutario non è invece attribuita la competenza a giudicare della compatibilità con lo statuto dei regolamenti, il che forse si spiega con il fatto che essi, nel “sistema delle fonti” pugliese, sono configurati sempre come fonte subordinata alla legge, per cui non sembrerebbero potersi dare casi di diretta subordinazione di regolamenti allo statuto. Non è chiaro, però, se tale ipotesi potrebbe verificarsi nel caso di taluni regolamenti, quali i regolamenti delegati dal Governo, quelli di esecuzione diretta di norme comunitarie (167bis) e quelli (presidenziali) di organizzazione degli uffici amministrativi (168).
Minori sembrano essere i problemi posti dalla seconda competenza del Consiglio statutario, ovvero la verifica dell’ammissibilità dei referendum (abrogativo e statutario), della sussistenza del quorum per la richiesta di referendum statutario e dell’ammissibilità dell’iniziativa legislativa della frazione del corpo elettorale e degli enti locali individuati dallo statuto. L’esigenza di attribuire funzioni simili ad un organo sottratto al circuito decisionale politico era infatti ben nota anche prima della legge cost. n. 1/1999 (quando la competenza in questione era attribuita, nella Regione Puglia come in altre Regioni, all’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale (169)) e ciò spiega la scelta dello statuto pugliese, così come quella di altri statuti (170).
Estremamente fumosa è invece la terza competenza riconosciuta dallo statuto al Consiglio statutario, che consiste nella verifica della “valutazione delle capacità dei soggetti non pubblici che la Regione individua per il conferimento dei compiti di per sé pubblici”. A prescindere, ora, da quali siano le capacità da verificare e di quali soggetti e compiti si tratti (anche se non è difficile intravedere qui un sia pur confuso richiamo del principio di sussidiarietà orizzontale, enunciato dall’art. 1, 4° co., dello statuto), non si comprende cosa abbia a che fare una competenza di questo tipo con un organo di garanzia della superiorità dello statuto e, in prospettiva comparatistica, con quelle che gli statuti attualmente in corso di approvazione tendono ad attribuire agli organi simili al Consiglio statutario pugliese. Si consideri, infine, che lo statuto ha cura di precisare la natura delle pronunce rese dal Consiglio in questo caso: si tratta – secondo l’art. 47 lett. c – di un “parere non vincolante”, dunque di una valutazione che dovrebbe poter essere superata dall’organo competente alla decisione (anche qui non è dato sapere quale sia). Ma ciò rischia di riaprire un’altra spinosa questione: quella della natura delle pronunce del Consiglio nell’esercizio delle altre sue competenze, che pure dovrebbero essere sempre “pareri non vincolanti” (171), anche se la specificazione della loro natura non vincolante solo per la terza competenza del Consiglio statutario sembrerebbe aprire la via a conclusioni diverse.
Va infine registrata la scomparsa, dall’elenco delle competenze dello statuto, di quelle a dirimere “con funzione arbitrale, i conflitti di attribuzione tra Organi della Regione” (172) e a formulare “risoluzione conciliativa nei conflitti tra Regione, autonomie locali e funzionali, aventi ad oggetto l’applicazione delle norme statutarie”, originariamente previste dal progetto della Commissione istituzionale (173). La scelta del Consiglio regionale è in effetti poco comprensibile, specie per la prima di tali due competenze, che molti statuti in corso di elaborazione hanno attribuito ad organi simili al Consiglio statutario pugliese. In tal modo ne sono state assottigliate le funzioni sino a renderlo una potenziale istituzione fantasma: e la scelta di prevederlo comunque, in questa forma quasi del tutto inutile (174), è poco razionale, se si considera che nessuna disposizione costituzionale obbligava lo statuto pugliese a prevedere una istituzione di questo tipo.
Lo statuto pugliese tace anche sui soggetti legittimati ad adire il Consiglio statutario (175) e sulle modalità di adozione dei pareri (176): e anche questa opzione è rimessa in parte al Regolamento interno del Consiglio, in parte alla legge regionale di attuazione.
9. Gli altri organi regionali.
Il quadro degli organi regionali è completato dalla Conferenza regionale permanente per la programmazione economica, territoriale e sociale (177), inclusa fra gli organi a rilevanza statutaria, e dalle autorità di garanzia (178): l’Ufficio della difesa civica; il Consiglio generale dei pugliesi nel mondo e il Comitato per l’informazione e la comunicazione. Si tratta di organi già previsti nella legislazione regionale pugliese, sia pure con formule organizzative talora diverse da quelle delineate nello statuto.
a) La Conferenza regionale per la programmazione economica, territoriale e sociale è un organo consultivo della Regione, composto da “delegati” delle autonomie funzionali, delle formazioni sociali e del terzo settore: dunque il punto di emersione istituzionale della sussidiarietà orizzontale (179), allo stesso modo in cui il Consiglio delle autonomie locali lo è della sussidiarietà verticale.
Peraltro, se la composizione e i criteri di nomina della Conferenza regionale sono rinviati – come nel caso del Consiglio delle autonomie – ad una legge regionale da approvarsi entro sessanta giorni dall’entrata in vigore dello statuto (180) (con il solo criterio della “effettiva rappresentatività” delle diverse componenti), le funzioni consultive della Conferenza sono regolate dallo statuto in maniera un po’ meno confusa di quanto accade per il Consiglio. L’art. 46, 2° co., individua infatti con relativa precisione gli atti su cui la Conferenza – che tiene due sessioni annuali – è chiamata a “formulare proposte e indirizzi” e ad “esprimere pareri”: a) i documenti generali di programmazione della Regione; b) la legge finanziaria regionale; c) i bilanci consuntivi della Regione e degli enti, aziende e agenzie ad essa collegati (in quest’ultimo caso mediante un monitoraggio sull’efficienza delle azione programmate).
Tale organo si affiancherà al Consiglio regionale dell’Economia e del Lavoro, istituito nella Regione Puglia dalla legge reg. n. 10/1995 per assicurare “la partecipazione al processo di programmazione …delle forze economiche e sociali” e che a tal fine è abilitato ad esprimere pareri su una nutrita serie di atti regionali in materia economica e di compiere studi sulle medesime tematiche. Singolarmente, l’art. 46 del nuovo statuto non menziona il CREL (181), e, d’altro canto, configura la Conferenza territoriale come un organo destinato in parte a sovrapporsi con esso, ma non a sostituirlo, atteso che i soggetti cui i due organi sono destinati a dare rappresentanza sono diversi fra loro (le tradizionali “categorie produttive” per il CREL; i soggetti più tipici della sussidiarietà sociale per la Conferenza), anche se essi confluiscono entrambi nel Consiglio nazionale dell’Economia e del Lavoro a livello nazionale.
b) L’Ufficio di Difesa Civica è un “organo ausiliario e indipendente composto di cinque componenti eletti dal Consiglio regionale” (182) che costituisce la versione pugliese del difensore civico regionale. Quest’ultimo organo non era stato previsto dallo statuto pugliese del 1971, a differenza di altri statuti adottati in quel frangente; esso aveva trovato una sua disciplina nella Regione con la legge reg. n. 38/1981. Diversamente dai difensori civici previsti in altre Regioni (e nella stessa Puglia, ai sensi della legge or ora citata), l’Ufficio per la Difesa Civica ha natura collegiale, con la finalità di consentire il concorso di “conoscenze, esigenze ed esperienze varie” che un organo monocratico non garantirebbe (182 bis).
L’art. 50, 2° co., lett. a) dello Statuto individua – con una certa generosità, che finisce peraltro per tradursi in genericità e confusione (182 ter) – le finalità di tutela dei diritti e degli interessi cui l’Ufficio è preposto:
- diritti e interessi di persone ed enti nei confronti di soggetti svolgenti una funzione pubblica;
- diritti e principi fondamentali previsti dagli art. da 3 a 6 dello statuto;
- infanzia, adolescenti e minori;
- diritti e libertà fondamentali degli immigrati;
- diritti e interessi dei consumatori e degli utenti.
L’art. 50, 4° co., dello statuto prevede che l’Ufficio interviene su domanda o di propria iniziativa per indurre gli organi e le strutture che abbiano posto in essere abusi o irregolarità a provi rimedio e a rimuoverne le cause. La medesima disposizione precisa che l’Ufficio di difesa civica opera mediante “criteri e procedure non giurisdizionali”, secondo la logica dell’istituto del difensore civico (183).
c) Il Consiglio generale dei pugliesi nel mondo è un organo cui lo statuto attribuisce il compito di intervenire “nella tutela dei diritti dei cittadini pugliesi (sic!) stabilitisi all’estero” (184). Nulla di più è detto circa la composizione e le funzioni di tale Consiglio, che l’art. 50, 6° co., rinvia alla legge regionale. Peraltro esiste già nella Regione Puglia un organo denominato proprio in questo modo, istituito dall’art. 7 della legge reg. n. 23/2000, con una composizione molto articolata, strutturata sulla base di designazioni provenienti dalle associazioni e delle federazione dei cittadini italiani di origine pugliese residenti all’estero. Tale organo, secondo la legge reg. ora citata, ha funzioni di proposizione, consulenza e indirizzo nella realizzazione dei piani regionali di intervento a tutela dei pugliesi residenti all’estero.
d) Il Comitato per l’informazione e la comunicazione (Co.re.com.), il quale “interviene a tutela della conoscenza e trasparenza dell’azione legislativa e amministrativa” (185), è previsto dall’art. 50, 2° co., lett. c), dello statuto, che rinvia però alla legge regionale la determinazione della sua composizione e delle sue funzioni. Anche in questo caso, la legislazione regionale prestatutaria aveva già previsto un organo avente una denominazione simile, il Comitato regionale per le Comunicazioni, istituito in attuazione della legge statale n. 249/1997, e avente funzioni di “assicurare a livello territoriale regionale le necessarie funzioni di governo, di garanzia e di controllo in tema di comunicazioni” (186). Malgrado la quasi identità della denominazione dell’organo previsto dallo statuto con quello delineato dalla legge reg. ora citata, non sembra esservi totale coincidenza fra le funzioni dei due organi, con la conseguenza che si potrebbe dubitare sulla configurazione della legge reg. n. 3/2000 come legge di attuazione anticipata del nuovo statuto.
10. Bilancio e programmazione
Lo statuto pugliese contiene un titolo VI, composto di ben nove articoli, dedicato all’”ordinamento in materia di programmazione, bilancio, finanze e contabilità”, che prevede una definizione molto essenziale degli strumenti regionali in questo complesso ambito materiale. Si tratta, peraltro, di un titolo composto in buona parte di disposizioni superflue o inutili: le prime, che ripetono disposizioni costituzionali senza aggiungervi alcun contenuto innovativo (187); le seconde, che si limitano a menzionare un determinato istituto, ma ne rinviano la disciplina alla legge regionale (188).
Traspaiono comunque da questo titolo dello statuto due importanti principi organizzativi.
In primo luogo è accolto il metodo della programmazione, ovvero un sistema “a scatole” che prevede un primo livello di programmazione affidato al piano regionale di sviluppo (il quale, però, non viene definito dallo statuto), un secondo al documento annuale di programmazione economica e finanziaria (che è “atto di indirizzo programmatico, economico e finanziario dell’attività di governo della Regione”), un terzo al bilancio annuale di previsione ed alla legge finanziaria (quest’ultima è finalizzata alla “regolazione annuale degli stanziamenti previsti dalla legislazione regionale vigente, al fine di adeguare gli effetti finanziari agli obiettivi, nel rispetto della programmazione economico-finanziaria regionale”).
In secondo luogo, la distribuzione dei poteri fra gli organi regionali prevede, per tutti questi documenti la riserva di predisposizione (e quindi di iniziativa) in capo alla Giunta regionale e la necessaria approvazione da parte del Consiglio (189), oltre alla possibilità che la Conferenza regionale per la programmazione economica, territoriale e sociale formuli pareri. Non viene precisato che la forma di approvazione è quella della legge, con eccezione della legge finanziaria annuale (per la quale, fra l’altro, non è precisata la riserva di iniziativa alla Giunta (190)): ne segue che tali provvedimenti potrebbero rivestire anche la forma di una deliberazione consiliare non legislativa. E’ dubbio però che tale forma sia sufficiente per il bilancio regionale annuale.
11. La revisione dello statuto.
Lo statuto tace quasi del tutto sulle procedure per la propria revisione (191), limitandosi a confermare quanto previsto dall’art. 123 Cost. (192), ad attribuire al Consiglio statutario la competenza a verificare la sussistenza del quorum per la richiesta e a dichiararne l’ammissibilità (193) e ad escludere – come si è visto – l’iniziativa popolare sulla revisione dello statuto (194).
Non è al riguardo condivisibile il rilievo secondo cui “altra disciplina non occorreva” (195) e una disciplina così scarna appare criticabile. Si è infatti persa l’occasione per integrare le norme costituzionali sulla revisione dello statuto (196), il che avrebbe potuto avvenire quantomeno nelle seguenti direzioni:
a) attribuendo formale rilievo alla partecipazione alla revisione dello statuto ad organi diversi dal Consiglio regionale (depositario della decisione sul punto, assieme al corpo elettorale della Regione), quali il Consiglio delle autonomie locali (197), la Conferenza per la programmazione e il Consiglio statutario, che tutti avrebbero potuto esprimere (in forma consultiva) punti di vista utili in un processo di revisione della lex fundamentalis della Regione;
b) regolando più articolatamente, sia pure per principia, il referendum statutario (198);
c) disciplinando la pubblicazione nel Bollettino Ufficiale dello statuto dopo la seconda deliberazione consiliare (199);
d) disciplinando l’entrata in vigore del nuovo statuto e prevedendo l’abrogazione delle disposizioni legislative regionali previgenti con esso incompatibili (200);
e) prevedendo una verifica periodica da parte di una Commissione consiliare sulla idoneità delle norme statutarie, al fine di agevolare una costante “manutenzione” dello statuto.
12. Uno statuto “leggero” o uno statuto inutile?
Si è visto che lo statuto pugliese è caratterizzato da un ricorso abbondante alla tecnica del rinvio ad altre fonti per l’adozione di scelte tutt’altro che marginali per delineare l’assetto complessivo della forma di governo regionale. Al regolamento interno del Consiglio regionale (201) è rinviata ogni determinazione per quanto concerne il procedimento legislativo (202) (inclusa la stessa possibilità di prevedere commissioni in sede deliberante (203), l’elezione del Presidente e dell’Ufficio di presidenza del Consiglio regionale (204), il numero delle Commissioni permanenti (205), la disciplina dei gruppi consiliari (206) e il giudizio sulla incompatibilità statutaria delle leggi da parte della Commissione affari istituzionali del Consiglio regionale (207).
Lo statuto fa poi rinvio a varie leggi regionali, prevedendo, il più delle volte, che esse siano adottate entro termini brevi dall’entrata in vigore dello statuto medesimo: così l’art. 49 prevede che entro 6 mesi dall’entrata in vigore dello statuto sia approvata la legge istitutiva del Consiglio statutario, l’art. 45, 3° co., e l’art. 46, 4° co., prevedono addirittura termini di 60 giorni dall’entrata in vigore dello statuto per l’approvazione delle leggi relative, rispettivamente, alla legge sul Consiglio delle autonomie locali e sulla Conferenza regionale permanente per la programmazione economica, territoriale e sociale e, infine, l’art. 37, 4° comma, precisa che entro un anno dall’entrata in vigore dello statuto dovrà essere approvato il nuovo regolamento del Consiglio regionale. Termini, questi, dei quali nessuno è stato rispettato.
In altri casi, infine, lo statuto opera rinvii più generici alla legge regionale, di cui pullulano, in particolare, i titoli V e VI.
Siffatta ampia serie di rinvii a fonti ulteriori conferma che lo statuto pugliese si presenta non tanto come uno statuto breve e aperto alle evoluzioni della società e del sistema politico della Regione (208), ma piuttosto come un atto debole, scarsamente innovativo (in cui gli spunti di innovazione, laddove esistono, sono appena abbozzati), “completamente disorganico” (209), con evidenti eccessi di retorica e di verbosità nei principi, cui non corrisponde però nessuna – neppur abbozzata – traduzione operativa.
Si tratta decisamente di una occasione mancata: il primo fra i nuovi statuti ad entrare in vigore dopo la legge cost. n. 1/1999 ben sintetizza – pur esasperandone i difetti – i limiti della stagione statutaria tuttora in corso e si rivela tutto sommato inutile, considerato che esso ha adempiuto solo formalmente all’obbligazione costituzionale di approvare un “nuovo statuto” ai sensi dell’art. 5 della legge cost. appena citata, adeguato alle sfide lanciate alle Regioni dalla legge cost. n. 3/2001. Ad operare una siffatta revisione formale, che consolidasse in un unico testo normativo, coordinandola, la disciplina che, dopo la riforma del 1999, era distribuita fra lo statuto e la nuova legislazione costituzionale, sarebbe stata più che sufficiente una revisione parziale e puntuale dello statuto del 1971, rispetto al quale, oltretutto, la nuova lex fundamentalis pugliese rappresenta un netto regresso dal punto di vista della tecnica normativa (210).
NOTE
(1) Nel momento in cui ebbe luogo il seminario nel quale questa comunicazione venne presentata oralmente (20.12.2003), solo la Regione Emilia-Romagna aveva approvato una legge di modifica del proprio statuto, ai sensi dell’art. 123, nuovo testo, che era regolarmente entrata in vigore (l. r. n. 4/2001). Una delibera legislativa statutaria era stata approvata nel 2001 anche dalla Regione Marche, ma essa era stata dichiarata incostituzionale dalla sent. n. 304/2002 della Corte costituzionale. Lo statuto calabrese era stato approvato il 31 luglio 2003 dal Consiglio regionale in seconda lettura ed era all’esame della Corte costituzionale, mentre solo le Regioni Puglia (11 settembre 2003, ma la deliberazione era stata revocata e sostituita da un nuovo testo il 21 ottobre 2003) e Abruzzo (24 settembre 2003) avevano approvato il loro statuto in prima lettura.
(2) Su tale sent. si v. il n. 2/3 del 2004 della rivista Le istituzioni del federalismo.
(3) Oltre allo statuto pugliese, sono oggi in vigore gli statuti delle Regioni Calabria (legge reg. 19.10.2004, n. 25) e Lazio (legge statutaria 11.11.2004, n. 1). Prossima è la promulgazione dello statuto della Regione Toscana, dopo la sent. n. 372/2004, nonché dello statuto della Regione Piemonte (approvato in seconda lettura il 19.11.2004 e non impugnato dal Governo). Sono stati approvati in seconda lettura anche gli statuti delle Regioni Liguria (il 28.9.2004), Abruzzo (entrambi tali statuti sono stati impugnati dal Governo davanti alla Corte costituzionale, ma la Regione Abruzzo ha modificato il suo statuto a seguito di tale impugnazione, approvando un nuovo testo in prima lettura il 9.11.2004) e Marche (il 4.12.2004). Lo statuto della Regione Emilia-Romagna dovrà essere modificato dopo la sent. n. 379/2004, mentre per la Regione Umbria il Consiglio regionale ha deliberato di non procedere ad una nuova approvazione e ha chiesto al Presidente di promulgare lo statuto dopo il decorso dei tre mesi per il referendum, omettendo i primi tre commi dell’art. 66, dichiarati incostituzionali dalla Corte nella sent. n. 378/2004. Lo statuto della Regione Campania è stato approvato in prima lettura il 18.9.2004. Le Regioni Veneto, Molise e Basilicata hanno approvato una bozza di statuto in Commissione (ma nel caso del Molise la VII legislatura si è conclusa anticipatamente nel 2001 e la VIII legislatura, attualmente in corso, si concluderà solo nel novembre 2006). La Regione Lombardia non ha approvato nemmeno un testo in Commissione. Per una rassegna critica degli statuti aggiornata al 31 agosto 2004, v. R. BIN, La nuova autonomia statutaria, Relazione al Convegno ISSiRFA del 30.6.2004, in www.issirfa.it.
I riferimenti a statuti regionali diversi da quello pugliese, nelle note che seguono, riguardano l’ultima deliberazione adottata da ciascuna Regione e sono limitati agli statuti che hanno ottenuto almeno una approvazione consiliare.
(4) Il tema delle riforme istituzionali ha attraversato tutta la XIV legislatura. Dopo che la riforma del sistema regionale, sulla base dello slogan della devolution, era stata parte del programma con cui la Casa delle Libertà aveva vinto le elezioni del 13 maggio 2001, già nell’estate del 2001 venne fatto informalmente circolare uno schema di disegno di legge di modifica del solo art. 117 Cost. (e di poche altre disposizioni), ancora collocato nella prospettiva del titolo V originario, che, di lì a poco, a seguito del referendum costituzionale del 7 ottobre 2001, sarebbe stato modificato dalla legge cost. n. 3/2001.
In continuità con l’impostazione di tale schema, il 26 febbraio 2002 il governo presentò al Senato un disegno di legge costituzionale (Atto Senato n. 1187), volto ad introdurre nel (nuovo) art. 117 la competenza legislativa esclusiva delle Regioni nelle materie dell’«assistenza e organizzazione sanitaria»; dell’«organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di formazione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche»; nonché della «definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della Regione» e della «polizia locale». Dopo l’approvazione di tale disegno di legge da parte del Senato il 5 dicembre 2002, la Camera modificò il testo, approvandolo in una nuova versione il 14 aprile 2003, ma, dopo il ritorno del disegno di legge al Senato, e la sua assegnazione alla Commissione affari costituzionali, esso fu di fatto abbandonato.
Nella primavera del 2003, il governo annunciò la presentazione di un nuovo disegno di legge costituzionale, finalizzato a modificare più incisivamente il titolo V: in esso, il contenuto del disegno di legge n. 1187 era trasfuso in un progetto più ampio, che ritoccava il riparto di competenze fra Stato e Regioni contenuto nell’art. 117, mantenendo per il resto immutato l’impianto del testo costituzionale riformato nel 2001 (c.d. disegno di legge Bossi-La Loggia). A partire da questo momento iniziarono a manifestarsi due tendenze che avrebbero continuato a caratterizzare le fasi successive del dibattito: da un lato, l’esigenza di riequilibrare la devolution, bilanciandola con una revisione del catalogo di competenze e con la previsione di meccanismi posti a garanzia dell’interesse nazionale; dall’altro la domanda delle forze della coalizione di centro-sinistra diverse dalla Lega Nord di ottenere l’inserimento nel disegno di legge di riforma di temi che fossero espressione delle rispettive culture di partito, con la conseguente tendenza all’ampliamento del raggio d’azione del progetto riformatore. Ma anche il disegno di legge Bossi-La Loggia si arenò ben presto: trasmesso alla Conferenza Stato-Regioni, esso non giunse mai all’esame delle Camere.
E’ su questo sfondo che si collocano i lavori dei rappresentanti designati dai partiti della maggioranza, riuniti in una baita dolomitica a Lorenzago nell’agosto 2003. Da tali riunioni venne partorita una bozza (c.d. “bozza di Lorenzago”), che fu presa come base dal Governo, il quale il 19 settembre 2003 presentò al Senato il disegno di legge n. 2544, che da quel momento sarebbe diventato la base del dibattito sulle riforme. La “bozza di Lorenzago” rappresenta un salto di qualità per quanto attiene alla portata del progetto di revisione: se sino a quel momento esso aveva riguardato una parte certo rilevante del testo costituzionale, ma in fondo limitata al sistema delle autonomie, il testo che giungeva all’esame del Senato alla ripresa dell’attività politica, dopo la pausa estiva 2003, includeva numerosi altri oggetti. Composto di sei capi, ognuno dei quali volto a modificare ciascuno dei sei titoli di cui è composta la II parte della Costituzione, il disegno di legge n. 2544 concerneva il bicameralismo, la forma di governo, il sistema delle autonomie, le istituzioni di garanzia e la stessa procedura di revisione costituzionale, evidenziando uno spettro di interventi comparabile con i disegni globali di revisione degli anni novanta, elaborati dalla Commissione De Mita-Jotti, dal Comitato Speroni e dalla Commissione D’Alema.
Il disegno di legge n. 2544 è stato approvato dal Senato il 25 marzo 2004, con modificazioni rilevanti rispetto al disegno di legge governativo. Il 15 ottobre 2004 esso è stato a sua volta approvato dalla Camera (A.C. n. 4862), con ulteriori modificazioni (esso modifica le regole sul riparto delle competenze fra Stato e Regioni, prevede una procedura per la garanzia dell’interesse nazionale e introduce nuove norme sulla forma di governo regionale, volte a flessibilizzarla, che produrrebbero un ampliamento della competenza statutaria) e si trova attualmente all’esame della Commissione affari costituzionali del Senato.
(5) Si v. l’art. 122, 5° co., Cost. Per i problemi della forma di governo regionale rinvio al mio Nuovi statuti e forma di governo delle Regioni: verso le Costituzioni regionali?, Il Mulino, Bologna, 2002.
(6) Per questo rilievo v. G. DE RITA, Intervento, in AREL-Informazioni, 2003, n. 1, p. 91-92.
(7) Di cui sono un esempio istruttivo, anche se non certo l’unico, le leggi finanziarie approvate dal 2001 al 2004 (leggi n. 448/2001, 289/2002, 350/2003).
(8) Le forme assunte dall’antiregionalismo sono diverse, ma convergenti nei risultati: talora l’interpretazione letterale di alcune disposizioni (ad es. in materia di statuti regionali ordinari, ove pure alcune decisioni forzano in maniera restrittiva la lettera dell’art. 122 Cost.: si v. anzitutto la sent. n. 2/2004); talaltra una creatività sganciata dalla sistematica del titolo V (è il celebre caso della sent. n. 303/2003, in cui non a torto si sono intravisti i «bagliori del potere costituente», secondo la felice immagine proposta da A. MORRONE, La Corte costituzionale riscrive il titolo V, in Quad. cost., 2003, IV, p. 818); a volte il conservatorismo, che ha preservato schemi formatisi in una tipologia di riparto di competenze completamente diversa (è il caso dei vari profili della competenza concorrente); sempre il rifiuto di utilizzare concetti tratti dall’esperienza federale, pure nella sua variante europea, non certo distante dal regionalismo italiano. L’unico limite all’antiregionalismo è una sorta di “indietro non si torna”: la Corte riconosce in genere che spetta alle Regioni quanto già competeva loro prima della legge cost. n. 3/2001 (casi lampanti sono la sentenza n. 407/2002, in materia di ambiente, la sent. n. 13/2004 in materia di istruzione e da ultimo le sent. n. 372, 378 e 379 del 2004, in materia statutaria, per quanto attiene alle disposizioni di principio).
(9) Per i primi commenti si v. A. LOIODICE, Prime riflessioni sul nuovo statuto della Regione Puglia, in www.federalismi.it, anno II, n. 4, 19.2.2004; D. CODUTI, Appunti sul nuovo Statuto della Regione Puglia, in Le istituzioni del federalismo, 2004, n. 2/3, p. 481 ss.; A. TORRE, M. CALAMO SPECCHIA, Lo statuto della Regione Puglia: “non è tutto oro quel che luccica”, in www.federalismi.it, anno II, n. 6, 18.4.2004.
(10) La decisione del Governo di non impugnare lo statuto pugliese è avvenuta dopo alcuni scambi di vedute informali fra l’esecutivo nazionale e quello regionale, che si sono poi verificati anche in altre Regioni, e che rappresentano la riedizione in chiave governativa delle “trattative informali” presso la Commissione affari costituzionali del Senato, le quali accompagnarono l’approvazione parlamentare degli statuti del 1971.
(11) Va segnalato che la Regione Puglia non ha mai adottato una disciplina legislativa – ancorché provvisoria – sul referendum statutario, a differenza di quanto hanno ritenuto necessario fare altre Regioni (fra le leggi regionali da ultimo adottate: legge reg. Abruzzo 23.1.2004, n. 5; legge reg. 3.8.2004, n. 8; legge reg. Umbria 28.7.2004, n. 16). L’impossibilità giuridica di far luogo nella Regione Puglia ad una fase del procedimento di formazione dello statuto espressamente prevista dalla Costituzione (anche se subordinatamente alla presentazione di una richiesta da parte di soggetti legittimati) solleva dubbi sul rispetto delle norme sul procedimento. Sicché – come nei casi degli Statuti delle Regioni Lazio ed Umbria – si può dubitare che il nuovo Statuto sia validamente entrato in vigore.
(12) Si tratta della legge reg. Puglia 12.5.2004, n. 7, recante “Statuto della Regione Puglia”. Come la Calabria e, prima di essa, l’Emilia-Romagna, ma a differenza della Regione Lazio, la Puglia ha inserito lo statuto nella numerazione delle altre leggi regionali e non in una apposita numerazione relativa alle “leggi statutarie”. Sull’iter dello statuto fino all’approvazione in seconda lettura v. ulteriori informazioni in D. CODUTI, Appunti, cit., p. 482 ss., in particolare nt. 4 e nt 57.
(13) Si v. gli statuti del Piemonte, della Liguria (che lo denomina – chissà perché – “premessa”), dell’Emilia-Romagna e delle Marche.
(14) La pace è evocata anche dall’art. 1, 2° co., St. Puglia.
(15) Si può forse criticare il riferimento ai soli principi ricavabili dai documenti citati, che potrebbe sollevare il sospetto che solo i principi e non anche le norme contenute in tali documenti siano vincolanti per la Regione. Più precisi, da questo punto di vista, sono l’art. 5 St. Abruzzo e il Preambolo dello statuto marchigiano.
(16) Fra i nuovi statuti, l’art. 2, 1° co., St. Abruzzo menziona sia la resistenza, sia la liberazione; l’art. 1, 1° co., St. Campania menziona solo la resistenza, così come i preamboli degli statuti ligure, emiliano-romagnolo e marchigiano e l’art. 1 St.Toscana.
(17) Si v. il discorso di Parma del 26 aprile 1995, in Quaderni costituzionali, 1995, p. 258. Sull’ultimo Dossetti, sia consentito rinviare a M. OLIVETTI, L’ultimo Dossetti, dieci anni dopo, in Annali della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Foggia, Giuffrè, Milano, 2005.
(18) Menzionano le radici cristiane, con accenti diversi, l’art. 2, 4° co., St. Abruzzo, l’art. 3, 2° co., St. Campania e il Preambolo dello St. Piemonte (che cita la “cultura cristiana” accanto a quella “laica e liberale”). L’art. 5 St. Lazio menziona il cattolicesimo a proposito del ruolo di Roma capitale (art. 5, 1° co.) e prevede espressamente che la Regione “collabora con la Chiesa cattolica, nel rispetto delle previsioni del quadro concordatario nonché con le confessioni religiose con le quali lo Stato stipula intese, al fine di tutelare la dignità della persona e perseguire il bene della comunità, in conformità ai principi della Costituzione” (art. 6, 10° co.; v. anche l’art. 10, 5° co.). Il preambolo dello statuto ligure menziona “un cristianesimo di profonda istanza solidale”. Il preambolo dello statuto marchigiano menziona la “tradizione laica e la matrice religiosa che hanno segnato la storia delle Marche”, mentre quello emiliano-romagnolo evoca il “proprio patrimonio culturale, umanistico, ideale e religioso” e i “principi di pluralismo e laicità delle istituzioni”. Senza entrare nel merito della questione dell’opportunità o meno di menzionare le radici cristiane nei preamboli o nell’articolato degli statuti (questione opinabile, come, del resto, la menzione di ogni altro tipo di “radice”, incluse la liberazione e la resistenza), si può solo dire che l’evocazione di un “patrimonio religioso” in Italia equivale ad indicare l’eredità del cristianesimo e che dunque il rifiuto di menzionare quest’ultimo è espressione di quel laicismo relativista e nichilista che soffia come un vento gelido nell’attuale fase culturale italiana ed europea, con echi piuttosto forti nella dottrina costituzionalistica (ci si astiene dal fornire esempi, per ragioni di spazio).
(19) Una aspirazione analoga si può leggere nell’art. 3, 2° co., St. Campania, laddove si afferma che “la Regione riconosce l’apporto derivante dalle diverse storie, dalle diverse culture e dalle radici religiose cristiane delle comunità campane e considera l’incontro tra le diverse civiltà, religioni e culture del Mediterraneo quale fondamentale strumento di formazione e crescita di una comunità pluralista e interetnica”. L’”eredità culturale di luogo di incontro di civiltà nel Mediterraneo” è citata poi dall’art. 9, 1° co. del medesimo St. Campania.
(20) Su questi ultimi v. qualche cenno in C. LO JACONO, Storia del mondo islamico (VII-XVI secolo) – Il Vicino Oriente, Einaudi, Torino, 2003, p. 182.
(21) E’ invece da apprezzare che sia stato eliminato il riferimento all’”imprenditività” delle popolazioni pugliesi, che appariva equivoco se affiancato alla “laboriosità”.
(22) Al riguardo cfr. R. BIFULCO, La responsabilità giuridica verso le generazioni future tra autonomia dalla morale e diritto naturale laico, in A. D’ALOIA (a cura di), Diritti e Costituzione. Profili evolutivi e dimensioni inedite, Giuffrè, Milano, 2003, p. 169 ss.
(23) Art. 4 St. Puglia. Del resto già l’art. 16 dello statuto del 1971 aveva ad oggetto il fenomeno dell’emigrazione.
(24) Art. 5 St. Puglia.
(25) Art. 6 St. Puglia.
(26) Art. 10 St. Puglia.
(27) Art. 11 St. Puglia.
(28) Art. 12 St. Puglia.
(29) Un giudizio negativo è espresso anche da A. TORRE, M. CALAMO SPECCHIA, Lo statuto, cit., p. 4, che parlano di “fluviale inutilità delle norme programmatiche che hanno inondato la parte prima del documento”.
(30) Si v. gli art. 1-20 dello statuto pugliese del 1971 (approvato con legge statale 22.5.1971, n. 349).
(31) L’art. 7, 1° co., St. Puglia, che menziona le cinque province di Bari, Brindisi, Foggia, Lecce e Taranto per individuare il territorio regionale è peraltro stato tacitamente modificato a seguito dell’entrata in vigore della recente legge (n. 184/2004) che ha istituito la Provincia di Barletta, Andria e Trani.
(32) Art. 7 St. Puglia.
(33) Art. 8 St. Puglia.
(34) Art. 9, 1° e 2° co., St. Puglia. Mancano invece norme volte a rendere operativi tali rapporti, come, ad es., la legge comunitaria regionale prevista dall’art. 11, 3° co., St. Lazio.
(35) Art. 9, 2° co., St. Puglia. Al riguardo, lo statuto si astiene dal dettare disposizioni circa la distribuzione del potere estero fra gli organi regionali di governo (si v. invece l’art. 27, 2° co., lett. o dello St. Campania, l’art. 3, 2° co., St. Abruzzo e l’art. 23, 2° co., lett. n St. Lazio e, soprattutto, art. 13 St. Emilia-Romagna).
(36) Art. 9, 3° co., St. Puglia. Al riguardo l’art. 22, 2° co., lett j, dello stesso statuto pugliese prevede poi che le intese con altre Regioni sono ratificate con legge dal Consiglio regionale (analogamente art. 12, 3° co., St. Lazio).
(37) Così la sent. n. 372/2004, al punto 2 del considerato in diritto. Affermazioni quasi letteralmente coincidenti si possono leggere nelle sent. n. 378 e n. 379 della medesima Corte. Si v. al riguardo i rilievi di A. RUGGERI, Gli statuti regionali alla Consulta e la vittoria di Pirro (nota a Corte cost. n. 372, 378 e 379 del 2004), in Forum di Quaderni costituzionali, www.forumcostituzionale.it, 9.12.2004.
(38) Rispetto a questa soluzione può aver pesato il “pudore” sinora manifestato dalla Corte rispetto ad un eventuale arretramento dai livelli competenziali acquisiti dalle Regioni prima delle riforme del 1999-2001 (di cui si ragionava già supra nella nt. 8).
(39) Per le diverse opinioni espresse in dottrina si v., fra gli altri, V. ONIDA, I contenuti programmatici degli statuti regionali, in Relazioni sociali, 1970, n. 9-10, 643 ss.; F. SORRENTINO, Lo statuto regionale nel sistema delle fonti, in Giur. cost., 1971, 424 ss.; F. PIZZETTI, Osservazioni sulle norme di principio degli statuti delle Regioni ordinarie, in Giur. cost., 1971, 2866 ss.; F. BASSANINI, L’autonomia statutaria delle Regioni al vaglio della Corte costituzionale: una battaglia di retroguardia?, in Giur. cost., 1972, 857 ss.; U. DE SIERVO, Gli statuti delle Regioni, Giuffrè, Milano, 1974; A. D’ATENA, Statuti regionali. II) Statuti regionali ordinari, in Enc. Giur. Treccani, Roma, vol. XXX, Roma, 1993; U. DE SIERVO, Statuti regionali, in Enc. Dir., vol. XLIII, Giuffrè, Milano, 1990, p. 1008 ss.
(40) Per tale complesso ruolo, che è diverso oggi dall’epoca degli albori del costituzionalismo e del federalismo moderno, si v. il nostro Nuovi Statuti, cit., p. 3 ss. e bibl. ivi cit., oltre all’ampio materiale reperibile sul sito www.federalismi.it. La capacità di differenziazione di cui le Costituzioni degli Stati membri si insinua in tutti gli spazi loro non preclusi dalla Costituzione e dalle norme sul riparto di competenza, ma non mette in discussione la supremazia della Costituzione federale.
(41) Si v. la sent. n. 372/2004, punto 4 del considerato in diritto. Per una interpretazione estensiva dei principi di organizzazione e di funzionamento si v. A. SPADARO, Il limite dell’”armonia con la Costituzione” e i rapporti fra lo statuto e le altre fonti del diritto, in Le Regioni, 2001, n. 3, p. 453 ss.
(42) Art. 14 St. Puglia.
(43) Sul referendum statutario, la trattazione più compiuta rimane quella di G. TARLI BARBIERI, Il referendum previsto nel procedimento di formazione dello Statuto regionale, in M. CARLI (a cura di), Il ruolo delle Assemblee elettive, vol. I, Giappichelli, Torino, 2001, p. 125 ss.
(44) Una limitazione analoga si può leggere nell’art. 12, 4° co., St. Campania e nell’art. 18, 4° co., St. Emilia-Romagna.
(45) Sul referendum statutario, la trattazione più compiuta rimane quella di G. TARLI BARBIERI, Il referendum previsto nel procedimento di formazione dello Statuto regionale, in M. CARLI (a cura di), Il ruolo delle Assemblee elettive, vol. I, Giappichelli, Torino, 2001, p. 125 ss.
(46) Quest’ultimo era l’unico tipo di referendum previsto dallo statuto del 1971: se ne v. l’art. 72.
(47) Un referendum propositivo di iniziativa popolare è invece previsto dall’art. 62 St.Lazio.
(48) Per una forma di referendum consultivo su iniziativa di minoranze consiliari o di una frazione del corpo elettorale si v. l’art. 12 St. Calabria e art. 21 St. Emilia-Romagna.
(49) Essendo di norma tale maggioranza collegata al Presidente della Giunta, questa regola può aprire la via ad un uso maggioritario-plebiscitario del referendum regionale (si ricordi la vicenda dei referendum consultivi del 2000-2001, su cui v. A. SPADARO, I referendum consultivi: perché illegittimi, in Quad. cost., 2001, n. 1, p. 129 ss.; L. PEGORARO, Il referendum consultivo del Veneto: illegittimo o inopportuno?, in Quad. cost., 2001, n. 1, p. 126 ss.; A. PERTICI, Brevi osservazioni in merito ai referendum consultivi regionali sulla “devolution”, in Foro it., 2001, n. 1, col. 307 ss.; M. OLIVETTI, L’ordinanza della Corte costituzionale sul referendum consultivo lombardo (nota a Corte cost., ord. n. 102 del 2001), in Giurisprudenza italiana, 2001, n. 12, p. 2215 ss.). Utile avrebbe potuto essere a questo fine prevedere una maggioranza qualificata per l’indizione dei referendum consultivi (così ad es. l’art. 44 St. Marche e l’art. 76, 2° co., St. Emilia-Romagna, che richiedono la maggioranza dei due terzi).
(50) Si cfr. la sent. n. 508/2000.
(51) Per la distinzione fra referendum consultivi facoltativi e obbligatori si v. V. ATRIPALDI, Referendum regionale, in Enc. Giur. Treccani, vol. XXVI, Roma, 1991, p. 5.
(52) Su questa materia si v. la l. reg. Puglia n. 26/1986, la quale contiene una determinazione piuttosto precisa delle norme da seguire circa le popolazioni da consultare (art. 1 e 2). Per questo tipo di referendum consultivo la legge regionale non richiede la maggioranza assoluta del Consiglio regionale prevista dall’art. 19, 1° co., del nuovo Statuto per il referendum consultivo “facoltativo”.
(53) Cfr. le sent. n. 196/2003, n. 2/2004 e n. 379/2004.
(54) Art. 41, 1° co. Si v. però la sent. n. 2/2004 della Corte cost., che ha dichiarato incostituzionale una disposizione analoga contenuta nello statuto calabrese.
(55) In quest’ultimo senso v. anche l’art. 8, 3° co., St. Liguria.
(56) A tale organo l’art. 17, 1° co., St. Puglia attribuisce anche il compito di verificare “la sussistenza del quorum previsto per la richiesta” di referendum statutario e di giudicare sulla sua “ammissibilità” (non è invece prevista una verifica simile per il referendum consultivo). Peraltro non è chiaro in che cosa possa consistere il giudizio di ammissibilità del referendum statutario, per il quale non sono previste cause di inammissibilità, e che è configurato come fase obbligatoria, anche se su richiesta, del procedimento di formazione e di revisione dello statuto regionale.
(57) Si v. l’art. 7 della legge reg. 20.12.1973, recante “norme sul referendum abrogativo e consultivo”.
(58) Del suggerimento vi è traccia già nella prima giurisprudenza costituzionale sul referendum abrogativo (si v. la sent. n. 16/1978).
(59) Per una soluzione intermedia v. l’art. 13 St. Liguria, il quale, elencati al 1° comma gli organi della Regione (Consiglio, Presidente della Giunta, Giunta), precisa al 2° comma che il Consiglio delle Autonomie locali è organo di consultazione e di confronto tra la Regione e gli enti locali liguri.
(60) Oltretutto riesce difficile comprendere perché lo statuto abbia scelto di menzionare taluni organi regionali non necessari anziché altri, pure dotati di un certo rilievo, quali la Consulta regionale dell’immigrazione extracomunitaria di cui agli art. 11 e 12 della legge reg. n. 29/1990, la Consulta regionale femminile di cui alla legge reg. n. 70/1980 o la Commissione regionale per le pari opportunità fra uomo e donna in materia di lavoro di cui alla legge reg. n. 16/1990 (questi ultimi due organi, fra l’altro, sono indirettamente evocati dall’art. 6, 1° co., del nuovo statuto, ove si ragiona di “consultazione degli organismi di parità e pari opportunità istituiti con legge regionale”).
(61) Cfr. infra par. 12.
(62) Il numero dei membri del Consiglio regionale pugliese, in base alla legge n. 108/1968, era di 50; dopo il superamento da parte della Regione della soglia dei 4 milioni di abitanti il numero era salito a 60; a seguito della legge n. 43/1995, che ha reso variabile il numero dei consiglieri regionali, essi nella VII legislatura sono 62.
(63) Cfr. le sent. n. 196/2003, n. 2/2004 e n. 379/2004.
(64) Art. 41, 1° co. Si v. però la sent. n. 2/2004 della Corte cost., che ha dichiarato incostituzionale una disposizione analoga contenuta nello statuto calabrese.
(65) Art. 24, 2° co., St. Puglia.
(66) Nelle more della correzione delle bozze di questo articolo, è stata pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Puglia la legge reg. n. 28.1.2005, n. 2, recante “Norme per l’elezione del Consiglio regionale e del Presidente della Giunta regionale”.
(67) L’art. 5 della legge n. 165/2004 ha confermato la durata quinquennale dei Consigli regionali. Su tale legge rinvio a M. OLIVETTI, Commento alla legge n. 165 del 2004, in Giornale di diritto amministrativo, 2005, n. 1, p. 2 ss.
(68) Art. 33 St. Puglia (tale convocazione deve essere disposta da parte del consigliere più anziano di età – non prima di quindici e non più di venti giorni dalla proclamazione dei risultati elettorali – o, in subordine, da parte di 10 consiglieri). Per le convocazioni successive si v. art. 34.
(69) Art. 24, 5° co., St. Puglia.
(70) Altri statuti, invece, si spingono a prevedere il numero minimo di consiglieri per la costituzione di un gruppo (art. 41 St. Campania; art. 16 St. Toscana), o a fissare la regola che “i consiglieri che non facciano parte dei gruppi” normalmente costituiti confluiscano in un gruppo misto (art. 28 St. Liguria).
(71) Per qualche idea originale o semplicemente per qualche precisazione v. invece lo statuto abruzzese, il quale prevede una Commissione consiliare di vigilanza sull’attuazione del programma e dei piani regionali (art. 24) e un Comitato per la legislazione (art. 26), lo statuto piemontese (art. 34 ss.) e lo st. marchigiano (il cui art. 22, 3° co., stabilisce che “la commissione competente in materia finanziaria esprime pareri sulle proposte di legge e di altri atti consiliari che comportano spesa”, mentre l’art. 23 prevede norme sul segreto d’ufficio).
(72) D. CODUTI, Appunti, cit., p. 498, nt. 40.
(73) Si v. il già cit. art. 41, 1° co.
(74) Art. 25 St. Puglia.
(75) Art. 26 St. Puglia.
(76) Art. 27 e 28 St. Puglia.
(77) Art. 22, 1° co., St. Puglia.
(78) Art. 42, 1° co., St. Puglia.
(79) Art. 21, 6° co., del testo della Commissione del marzo 2003.
(80) Fra i nuovi statuti regionali, una disciplina articolata del procedimento legislativo è ora prevista nel titolo VI (art. 56 e ss.) del nuovo statuto della Regione Campania, nel titolo VI del nuovo St. Marche, nel titolo I del capo IV del nuovo St. ligure (art. 45 ss.) e nell’art. 51 ss. St. Emilia-Romagna.
(81) Art. 39, 1° co., St. Puglia.
(82) A. TORRE, M. CALAMO SPECCHIA, Lo Statuto, cit., p. 4, ritengono si tratti di una lacuna.
(83) Lo statuto del 1971 prevedeva invece l’iniziativa della Giunta all’art. 54, 1° co.
(84) A questa conclusione induce anche la comparazione con gli altri statuti (ad es. art. 37, 1° co., St. Lazio; art. 56 St. Campania; art. 30, 1° co., St. Abruzzo; art. 45, 1° co., St. Liguria; art. 23, 1° co., St. Emilia-Romagna), che menzionano espressamente l’iniziativa della Giunta. Sembra invece di opinione diversa A. LOIODICE, Prime riflessioni, cit., p. 4, laddove afferma che “l’iniziativa legislativa, poi, viene distribuita tra i diritti e i poteri dei consiglieri e le attribuzioni della Giunta”.
(85) Art. 41, 1° co., St. Puglia.
(86) Va ricordato che, invece, non necessariamente sono membri del Consiglio gli altri membri della Giunta.
(87) Oggi ribadita da A. TORRE, M. CALAMO SPECCHIA, Lo statuto, cit., p. 5, secondo i quali “deve ritenersi non estensibile analogicamente al procedimento legislativo regionale il procedimento abbreviato previsto a livello regionale dall’art. 72, comma 3 Cost.”.
(88) Cfr. il nostro Nuovi statuti, cit., p. 404-405.
(89) E’ superfluo sottolineare che questa differenza di forma nasconde rilevanti questioni sostanziali, relative alle garanzie per le minoranze e per il corpo elettorale regionale offerte dal procedimento di formazione dello statuto, ma non da quello relativo al Regolamento consiliare.
(90) Si v. ad es. l’art. 22, 1° co., St. Abruzzo, che prevede in generale che la composizione delle commissioni del Consiglio sia proporzionale a quella del Consiglio per gruppi consiliari (analogamente l’art. 32, 2° co., St. Lazio e l’art. 22, 4° co., St. Liguria). L’art. 32 dello stesso statuto disciplina poi il procedimento in Commissione redigente (così l’art. 33 St. Lazio; ma v. anche l’art. 47 St. Liguria).
(91) Garanzie analoghe a quelle di cui all’art. 72 sono ora previste dall’art. 44 St. Campania.
Riserve implicite sono peraltro ravvisabili in tutti i casi in cui lo statuto preveda maggioranze superiori alla maggioranza semplice per l’approvazione della legge, come nel caso della legge elettorale.
(92) Oggi provvede analogamente l’art. 33 St. Marche.
(93) Su questa possibilità v. ancora il mio Nuovi statuti, cit., p. 339 ss.
(94) Si v. ad es. l’art. 39 St. Abruzzo, l’art. 44 St. Emilia-Romagna e l’art. 34 St. Marche.
(95) Art. 35 St. Puglia.
(96) Art. 39 St. Puglia. Singolarmente, anche la mozione è configurata come uno strumento attivabile dal singolo consigliere.
(97) Art. 39, 3° co., St. Puglia.
(98) Art. 31 St. Puglia.
(99) Art. 21, 6° co., del testo della Commissione del marzo 2003.
(100) D. CODUTI, Appunti, cit., p. 497, ritiene che la rinuncia alla sfiducia individuale sia coerente con la forma di governo adottata nello st. pugliese.
L’art. 55 dello St. Campania prevede la possibilità per il Consiglio di approvare mozioni di “non gradimento” (4° co.) e di “censura” (5° co.) nei confronti degli assessori, ma non precisa le conseguenze giuridiche di tali atti. Le mozioni di censura ai singoli assessori sono previste anche dall’art. 43, 4° co., St. Liguria. L’art. 9 St. Marche prevede invece una vera e propria mozione di sfiducia verso i singoli assessori, dalla cui approvazione deriva l’obbligo per il Presidente di riferire al Consiglio sulle decisioni di sua competenza.
(101) Art. 41, 4° co., St. Puglia.
(102) Art. 41, 5° co., St. Puglia.
(103) Allo statuto è precluso disporre limiti alla rieleggibilità del Presidente della Giunta: si v. la sent. n. 2/2004 della Corte costituzionale.
(104) Così l’art. 41, 4° co., St. Puglia, che non prevede però alcun termine perentorio perché ciò accada; ancora più generico è l’art. 41, 6° co., per la revoca.
(105) I soli riferimenti sono contenuti nell’art. 26, 2° co., St. Puglia, che si limita a prevedere che il Presidente del Consiglio regionale “garantisce il rispetto delle norme del presente statuto e del regolamento interno del Consiglio, con particolare riferimento a quelle inerenti la tutela dei diritti delle opposizioni”, nell’art. 27, 1° co., che stabilisce che due dei cinque componenti l’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale “sono attribuiti alle opposizioni per l’intera durata della legislatura” e l’art. 31, 2° co., secondo cui “la Presidenza delle Commissioni è assegnata a un Consigliere di opposizione”. Per un esempio di uno statuto dell’opposizione meglio strutturato si v. l’art. 34 dello St. Campania.
(106) Una disciplina di un certo interesse di quest’ultimo meccanismo è ora prevista dall’art. 52 St. Campania.
(107) Ciò pare desumibile dall’at. 41, 5° co., St. Puglia, laddove stabilisce che dalla data della propria proclamazione il Presidente della Giunta esercita le funzioni della Giunta, dal che dovrebbe derivare che all’atto della propria proclamazione il Presidente entra immediatamente in funzione.
(108) Si v. di nuovo l’art. 41, 5° co., St. Puglia.
(109) Art. 24, 5° co., St. Puglia.
(110) Cfr. il già citato art. 33, 1° co., St. Puglia.
(111) Disposizioni analoghe sono contenute nell’art. 45, 5° co., St. Lazio e nell’art. 50, 2° co., St. Piemonte.
(112) Per una disposizione analoga si v. l’art. 46 St. Abruzzo, il quale precisa inoltre che «il programma contiene l’indicazione degli obiettivi strategici, degli strumenti e dei tempi di realizzazione» e l’art. 42, 1° co., St. Lazio.
(113) Una tale previsione si trova invece nell’art. 50, 4° co., del nuovo statuto piemontese.
(114) Un voto sul programma di governo è stato invece previsto dall’art. 32 del nuovo statuto toscano (sulla forma di governo in tale Regione si v. G. TARLI BARBIERI, La forma di governo nel nuovo statuto della Regione Toscana, in Diritto pubblico, 2004, n. 2, p. 691 ss.). La Corte costituzionale si è pronunciata sulla legittimità costituzionale di tale disposizione, impugnata dal Governo nella sent. n. 372/2004, osservando che: «la previsione dell’approvazione consiliare del programma di governo non appare affatto incoerente rispetto allo schema elettorale “normale” accolto dall’art. 122, quinto comma, della Costituzione, giacché la eventuale mancata approvazione consiliare può avere solo rilievo politico, ma non determina alcun effetto giuridicamente rilevante sulla permanenza in carica del Presidente, della giunta, ovvero sulla composizione di questa ultima. Non si può peraltro escludere che a questa situazione possano seguire, ai sensi dell’art. 33 dello statuto, la approvazione di una mozione di sfiducia o anche le dimissioni spontanee del presidente, ma in entrambe le ipotesi si verifica lo scioglimento anticipato del consiglio, nel pieno rispetto del vincolo costituzionale del simul stabunt simul cadent (cfr. sentenze n. 304/2002 e n. 2/2004), il quale, oltre ad essere un profilo caratterizzante questo assetto di governo, è indice della maggiore forza politica del Presidente, conseguente alla sua elezione a suffragio universale e diretto. Sotto questo profilo quindi la norma denunciata non introduce alcuna significativa variazione rispetto alla forma di governo “normale” prefigurata in Costituzione». Problematico in questa prospettiva è il sistema previsto dallo statuto ligure, il cui art. 16, 3° co., lett. a, prevede che il Consiglio approvi il programma della Giunta, mentre l’art. 39 precisa le conseguenze della mancata approvazione (a maggioranza assoluta), ovvero la decadenza del Presidente della Giunta e lo scioglimento del Consiglio.
(115) Un obbligo di comunicazione delle revoche o sostituzioni di assessori è invece previsto dall’art. 42, 2° co., St. Lazio, dall’art. 41, 4° co. St. Liguria (il quale ne prescrive anche la tempestività) e dall’art. 8 St. Marche, il quale prevede che il Presidente illustri al Consiglio le ragioni della sostituzione, “in ordine alle quali si svolge un dibattito”.
(116) Su cui v. invece art. 32 St. Campania.
(117) Art. 42, 2° co., lett. f, St. Puglia.
(118) Art. 41, 7° co., St. Puglia.
(119) Art. 41, 8° co., St. Puglia. Si v. una soluzione simile nell’art. 10 St. Marche, ove però la sostituzione del Presidente con il Vicepresidente ha luogo anche in caso di sfiducia, e l’art. 33 St. Emilia-Romagna.
(120) Art. 42, 2° co., lett. b), St. Puglia.
(121) Art. 41, 5° co., St. Puglia.
(122) Art. 43, 8° co., St. Puglia.
(123) Art. 43, St. Puglia.
(124) Art. 41, 8° co., St. Puglia.
(125) Così ora l’art. 43, 8° co., che conferma quanto già disposto dall’art. 49 dello statuto del 1971. Analogamente si v. l’art. 48 St. Abruzzo, che prevede però la possibilità che la Giunta decida diversamente.
(126) Una riserva di questo tipo è prevista dall’art. 45, 2° co., St. Abruzzo, che prevede che il numero degli assessori esterni al Consiglio non possa superare il 25 per cento dei membri della Giunta.
(127) Art. 42, 5° co., del progetto di statuto. Si segnala, peraltro, che la sent. n. 379/2004 ha di recente dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme dello statuto della Regione Emilia-Romagna che prevedevano una incompatibilità tra le posizioni di consigliere e di assessore regionale, con l’argomento che tale materia sarebbe riservata alla legge regionale, nei limiti delle disposizioni di principio previste dalla legge statale, ai sensi dell’art. 122, 1° co., e che ogni scelta sul punto sarebbe preclusa allo statuto.
(128) Si v. la sent. n. 379/2004.
(129) Art. 42, 4° co., lett. a), St. Puglia; v. inoltre il titolo VI dello statuto (su cui v. infra par. 10).
(130) La competenza generale della Giunta era già prevista dall’art. 41, lett. f), dello statuto del 1971.
(131) Fra le funzioni presidenziali vi è anche, singolarmente, quella di dirigere “le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione ai sensi dell’art. 118, terzo comma, della Costituzione, conformandosi alle istruzioni del Governo della Repubblica” (così l’art. 42, 2° co., lett. d, St. Puglia): ma la disposizione costituzionale cui si fa qui riferimento è stata modificata dalla legge cost. n. 3/2001.
(132) Cfr. ad es. O. UHLITZ, Das Staatsoberhaupt in den Ländern, in Die Öffentliche Verwaltung, 1953, p. 293 ss.
(133) Art. 42, 1° co., St. Puglia.
(134) Art. 42, 2° co., lett. c, St. Puglia.
(135) Art. 42, 2° co., lett. e, St. Puglia.
(136) Art. 42, 2° co., lett. b, St. Puglia.
(137) Art. 42, 2° co., lett. g, St. Puglia.
(138) Una formula simile è prevista dall’art. 50, 1° co., St. Liguria, il quale prevede che il parere sia reso dalla Commissione consiliare competente.
(139) Sono invece critici per la sottrazione di tale potestà al Consiglio A. TORRE, M. CALAMO SPECCHIA, Lo statuto, cit., p. 7 (fra i nuovi statuti, quello abruzzese attribuisce la potestà regolamentare al Consiglio e regola il relativo procedimento: v. art. 35-38 St. Abruzzo; l’art. 35 St. Marche attribuisce in generale la potestà regolamentare al Consiglio, ma ammette che singole leggi regionali possano demandare l’approvazione di regolamenti alla Giunta).
(140) Cfr. infra par. 8.
(141) L’art. 47, 3° co., St. Lazio prevede l’obbligo di richiedere al Comitato di garanzia statutaria un parere sull’adozione di regolamenti di delegificazione.
(142) Si v. ad es. l’art. 23, 2° co., lett. o St. Lazio, e l’art. 50, 2° co., St. Liguria, che riservano al Consiglio regionale l’approvazione di tali regolamenti.
(143) …che sembrerebbero pertanto da escludersi, dovendosi ritenere riservata alla legge tale facoltà.
(144) Art. 24, 1° co., St. Puglia.
(145) Art. 43, 2° co., St. Puglia.
(146) Art. 70, 2° co., St. Puglia.
(147) Per una ricostruzione critica di tale legislazione si v. G. DI COSIMO, Gli organi di raccordo fra Regioni ed enti locali, in Le Istituzioni del federalismo, 1998, n. 6, p. 1013 ss. Sul Consiglio delle autonomie locali dopo la riforma costituzionale del 2001 si v. A. GENTILINI, Sussidiarietà e Consiglio delle autonomie locali, in Diritto pubblico, 2003, n. 3, p. 907 ss., nonchè i saggi di R. BIN, G. GERVASIO e G. LUPI in Le istituzioni del federalismo, 2004, n. 4, p. 595 ss.
(148) Un precedente ancor più risalente può poi essere individuato nel Comitato d’Intesa fra Regione, Province, Comuni e Comunità Montane della Regione Puglia, istituito con legge reg. n. 43/1985.
(149) Non solo: stando al sito del Consiglio regionale pugliese, nessun progetto di legge in materia è attualmente all’esame del Consiglio.
(150) Non è solo lo statuto pugliese a rinviare alla legge le norme sui criteri di composizione e sulle modalità di costituzione: scelte analoghe sono state compiute dallo statuto toscano (art. 66, 2° co.).
(151) Per un criterio analogo, v. art. 23, 9° co., lett. b, St. Emilia-Romagna.
(152) Sulle Comunità montane nella Regione Puglia si v. le leggi reg. n. 12/1999 e, da ultimo, n. 20/2004.
(153) Per una opzione di quest’ultimo tipo, si v. l’art. 21, 2° co., St. Campania e l’art. 66, 2° co. St. Lazio.
(154) Art. 7, 1° co., della legge reg. n. 22/2000: “A far parte della Conferenza permanente Regione-Autonomie Locali sono chiamati:
a) il Presidente della Giunta regionale;
b) due Consiglieri regionali, in rappresentanza di maggioranza e opposizione;
c) i Presidenti delle Province;
d) i Sindaci delle città capoluogo di provincia;
e) due rappresentanti delle comunità montane indicati dalla Conferenza dei Presidenti di comunità montane;
f) il Presidente della delegazione regionale dell’UPI;
g) il Presidente della delegazione regionale dell’ANCI e otto sindaci, di cui quattro in rappresentanza dei comuni sino a 15 mila abitanti e quattro per i Comuni oltre 15 mila abitanti;
h) il Presidente della delegazione regionale dell’UNCEM.”
(155) Per una ben più chiara elencazione delle funzioni si v. l’art. 22 dello St. Campania.
(156) Art. 45, 1° co., St. Puglia. Per le funzioni attualmente attribuite alla Conferenza Regioni/autonomie locali si v. l’art. 7, 2°, 4° e 5° co. della legge reg. n. 22/2000. Lo statuto toscano (art. 66, 3° co.) individua invece gli atti regionali su cui il Consiglio è chiamato ad esprimere pareri. Così pure lo statuto ligure (art. 67).
(157) Cfr. invece l’art. 23, 7° co., St. Emilia-Romagna.
(158) Art. 45, 2° co., St. Puglia.
(159) Si v. l’art. 66, 8° co., St. Toscana, l’art. 21, 6° co., St. Campania e l’art. 67, 5° co., St. Lazio.
(160) Una potestà regolamentare interna è invece prevista dall’art. 7, 4° co., della legge reg. n. 22/2000, per la Conferenza Regioni-Autonomie Locali.
(161) Per un quadro delle scelte sinora compiute dagli statuti si v. L. PANZERI, Gli organi di garanzia nei primi progetti statutari, in Atti del Convegno “l’Europa tra federalismo e regionalismo”, Università dell’Insubria, 22-23 novembre 2002; S. PARISI, La tutela dello statuto regionale fra “garanzia” e “controllo”, in E. BETTINELLI, F. RIGANO (a cura di), La riforma del titolo V della Costituzione e la giurisprudenza costituzionale, Giappichelli, Torino, 2004, p. 523 ss.; M. BARBERO, Lo “stato dell’arte” dei procedimenti di revisione degli statuti regionali: gli organi di garanzia statutaria, in www.federalismi.it, n. 7/2004; T. GROPPI, La “Consulta” dell’Emilia-Romagna nel quadro dei nuovi organi regionali di garanzia statutaria, in www.federalismi.it, n. 24/2004.
(162) Per prima da T. GROPPI, Quale garante per lo statuto regionale? in Le Regioni, 2001, n. 5, p. 841 ss. e ID., Regioni ed enti locali. Organo regionale di garanzia statutaria, in T. GROPPI, E. ROSSI, R. TARCHI (a cura di), Idee e proposte per il nuovo statuto della Regione Toscana, Atti del seminario di Pisa del 14 giugno 2001, Giappichelli, Torino, 2002, p. 57 ss.; v. comunque anche M. MARTINAZZOLI, Quale garanzia per lo statuto regionale, in www.federalismi.it, 20.6.2002 e M. OLIVETTI, Nuovi statuti, cit., p. 441-446.
(163) Per una procedura garantista di elezione v. invece l’art. 78, 1° co., St. Abruzzo, che prevede l’elezione dei membri del “Collegio regionale per le garanzie statutarie” a maggioranza dei tre quarti dei consiglieri regionali (uno dei membri deve essere indicato dal Consiglio per le autonomie locali); la maggioranza dei tre quarti dei consiglieri regionali è richiesta anche dall’art. 75 St. Liguria per la “Consulta statutaria” e dall’art. 68, 1° co., St. Lazio, ma su proposta del Presidente della Giunta e del Presidente del Consiglio, entrambi (presumibilmente) esponenti della maggioranza consiliare.
(164) Per questo rilievo v. T. GROPPI, La “Consulta”, cit., 13.
(165) A. TORRE, M. CALAMO SPECCHIA, Lo statuto, cit., p. 7.
(166) Per una competenza analoga, ma decentemente definita, si v. l’art. 68, 6° co., lett. b, St. Lazio e l’art. 76, 1° co., lett. a, St. Liguria.
(167) Art. 47 lett. a, St. Puglia.
(167 bis) ...qualora fossero ritenuti ammissibili: v. però retro, nota 143.
(168) Cfr. però l’art. 76, 1° co., lett. b, St. Liguria, che rimette alla competenza della Consulta statutaria l’espressione di pareri “sulla conformità dei regolamenti di delegificazione alla legge regionale di autorizzazione”.
(169) Cfr. supra par. 5.
(170) Si v. ad es. l’art. 76, 1° co., lett. d, St. Liguria, l’art. 68, 6° co., lett. a St. Lazio, l’art. 69, 1° co., lett. b dello Statuto dell’Emilia-Romagna e l’art. 79 lett. b dello St. abruzzese.
(171) In questo senso sembrano deporre anche gli argomenti con cui la Corte costituzionale ha “salvato” dai rilievi del Governo l’organo di garanzia previsto dallo statuto della Regione Umbria (sent. n. 378/2004, su cui si v. le notazioni critiche di T. GROPPI, La “Consulta”, cit., p. 7).
(172) Una funzione di questo tipo è invece attribuita al Collegio regionale per le garanzie statutarie dall’art. 79 1° co., lett. a) dello St. Abruzzo e al Comitato di garanzia statutaria dall’art. 68, 6° co., lett. d) dello St. Lazio e alla Consulta statutaria dall’art. 76, 1° co., lett. c) St. Liguria.
(173) Art. 47, 1° comma, lett. b) e c) di tale progetto.
(174) L’inutilità del Consiglio statutario pugliese è poi rafforzata dalla genericità del parametro che dovrebbe custodire.
(175) Cfr. ad es. art. 68, 7° co., St. Lazio.
(176) Cfr. ad es. art. 76, 2°-4° co., St. Liguria.
(177) Art. 46 St. Puglia.
(178) Art. 47 St. Puglia.
(179) Per un organo espressione delle sole autonomie sociali, si v. la Conferenza permanente delle autonomie sociali di cui all’art. 61 dello St. Emilia-Romagna.
(180) Anche di questa legge non è stato possibile trovare traccia a quasi otto mesi dalla promulgazione dello statuto.
(181) Un organo con questa denominazione è invece previsto dall’art. 71 St. Lazio, dall’art. 40 St. Liguria, dall’art. 69 St. Liguria, dall’art. 59 St. Emilia-Romagna e dall’art. 23 St. Campania.
(182) Art. 50, 3° co., St. Puglia.
(182 bis) Così R. ZAZZA, La difesa civica in Puglia, in T.A.R., 2004, n. 2, p. 406
(182 ter) Qualche perplessità sulla ampiezza dei campi di intervento dell’Ufficio di Difesa Civica è espressa anche da R. ZAZZA, La difesa civica in Puglia, cit., p. 404, che appare peraltro ingiustificatamente entusiasta della soluzione adottata dallo statuto pugliese con l’istituzione dell’organo in commento.
(183) Una precisazione analoga si può leggere, ad es., nell’art. 56, 1° co., del nuovo Statuto toscano. L’art. 81 St. Abruzzo parla invece di “tutela amministrativa” dei cittadini.
(184) Art. 50, 2° co., lett. b, St. Puglia.
(185) Un organo simile (il Comitato regionale per le Comunicazioni) è ora previsto dall’art. 74 dello St. Liguria.
(186) Art. 1 della legge reg. n. 3/2000. Si consideri inoltre che “Il Comitato regionale per le comunicazioni, fermo restando il suo inserimento nell'organizzazione regionale, è organo funzionale dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni” (art. 2, 1° co., l. cit.). “Il Comitato regionale per le comunicazioni, quale organo regionale, svolge funzioni di consulenza, di supporto e di garanzia della Regione per le funzioni ad essa spettanti, secondo le leggi statali e regionali, nel campo della comunicazione.” (art. 2, 3° co., l. cit.).
(187) E’ il caso delle norme sull’autonomia finanziaria regionale (art. 57 St. Puglia), che ripete il 1° co. dell’art. 119 Cost. e dell’art. 62, 1° co. (la Regione ha un proprio demanio e patrimonio), che ripete l’ultimo comma dell’art. 119 Cost..
(188) Ciò accade per le modalità e i termini con cui la Giunta propone il Documento di programmazione economica e finanziaria al Consiglio (art. 55, 2° co., St. Puglia); per le modalità con cui sono approvati i documenti che compongono il sistema di bilancio della Regione (art. 58, 2° co.); per l’approvazione del bilancio annuale di previsione (art. 59, 4° co.); per l’approvazione dell’assestamento e della variazione del bilancio (art. 60); per l’approvazione del rendiconto (art. 61, 1° co.); per l’approvazione dell’amministrazione del demanio e patrimonio regionale (art. 62, 2° co.).
(189) Per il piano regionale di sviluppo ciò risulta dall’art. 22, 2° co. St. Puglia e dall’art. 42, 2° co.; per il documento di programmazione economica e finanziaria dall’art. 55, 2° co.; per il bilancio dall’art. 59, 4° co.
(190) Ne segue che si potrebbe persino dubitare che la Giunta regionale disponga, in questo caso, dell’iniziativa, atteso che lo statuto non le riconosce ordinariamente tale potestà, come si è visto supra.
(191) A. TORRE, M. CALAMO SPECCHIA, Lo statuto, cit., p. 5-6
(192) Art. 17, St. Puglia
(193) Art. 17, 2° co. e art. 47, 2° co., St. Puglia
(194) Art. 15, 3° co., St. Puglia
(195) A. LOIODICE, Prime riflessioni, cit., p. 4.
(196) Norme di integrazione dell’art. 123 Cost. erano invece previste dall’art. 73, 2°-3° co., dello statuto del 1971, che prevedevano l’inammissibilità di leggi di revisione statutaria nell’anno successivo all’ultima modifica e l’impossibilità di ripresentare leggi di revisione statutaria nell’anno immediatamente successivo alla reiezione di una proposta analoga. L’art. 73, 4° co., collegava l’abrogazione di uno statuto all’adozione di uno statuto nuovo. Per il resto l’art. in commento rinviava alle norme sul procedimento legislativo ordinario regionale: un rinvio simile è assente nel nuovo statuto per la mancanza di una disciplina statutaria del procedimento legislativo.
(197) Cfr. ad es. l’art. 22, 1° co., lett. a, del nuovo St. Campania, l’art. 37 e 67 St. Lazio e l’art. 67, 1° co., lett. a St. Liguria.
(198) Si v. l’importante precisazione contenuta nell’art. 77, 5° co., St. Liguria, secondo la quale “Il referendum deve svolgersi entro sei mesi dalla richiesta. Nel caso in cui il Governo abbia promosso la questione di legittimità costituzionale, il referendum ha luogo successivamente alla decisione del Giudice costituzionale”. Cfr. altresì l’art. 57 St. Marche e l’art. 22 St. Emilia-Romagna.
(199) Si v. un cenno nell’art. 77, 3° co., St. Abruzzo.
(200) Cfr. art. 78 St. Liguria.
(201) Questa importantissima fonte è disciplinata dall’art. 37 dello Statuto.
(202) Art. 37, 3° co., St. Puglia
(203) Art. 32, St. Puglia.
(204) Art. 27, 3° co., St. Puglia
(205) Art. 30 St. Puglia
(206) Art. 29 St. Puglia
(207) Art. 47, 1° co., lett. a, St. Puglia
(208) A. LOIODICE, Prime riflessioni, cit., p. 4, osserva, con eccessiva indulgenza, che “la brevità dello statuto e la inclusione dinamica (sic!) dei rinvii ad altre fonti costituiscono evidentemente una scelta politica intesa ad evitare l’appesantimento della fonte statutaria…”. L’autore ora citato conclude le sue Prime riflessioni asserendo che “complessivamente si determina un disegno normativo snello, equilibrato ed aperto alle innovazioni più efficaci nella vitalità della forma di Governo (per l’impatto delle procedure di programmazione e degli organi a rilevanza statutaria) e nella partecipazione” (p. 5).
(209) A. TORRE, M. CALAMO SPECCHIA, Lo statuto, cit., p. 8.
(210) Gli esempi di pessima tecnica legislativa sono sparsi per tutto lo statuto. Oltre a quelli già menzionati, se ne segnalano qui alcuni, davvero senza pretesa di completezza:
a) Tutti gli articoli dei primi due titoli sono privi di rubrica, a differenza delle restanti disposizioni dello statuto.
b) Nel titolo III (partecipazione), diviso in due parti, il capo I ha la stessa rubrica del titolo, mentre sarebbe stata più appropriata una denominazione come “generalità” o “principi generali”.
c) Nel titolo IV, diviso in due capi, gli art. 20 e 21, che aprono il titolo, non sono inclusi in nessun capo, mentre avrebbero dovuto essere inseriti in un autonomo capo intitolato anche qui ai “principi generali”.
d) L’art. 38, 4° comma, recita: “la legge regionale disciplina i casi di ineleggibilità, incompatibilità, dimissioni , decadenza e morte del consigliere regionale”: laddove il riferimento alla morte come oggetto di disciplina e di definizione dei “casi” appare un po’ comico, quasi un sussulto di onnipotenza del legislatore.
e) Si ricordi poi il rinvio contenuto nell’art. 42, 2° co., lett. d, al testo originario di una disposizione oggi modificata dalla legge cost. n. 3/2001, nonché tutti i casi di verbosità, ridondanza ed eccesso di retorica che si sono segnalati in questa breve rassegna.