(In corso di pubblicazione nel volume Lineamenti di diritto costituzionale della Regione Puglia, della collana Diritto Costituzionale Regionale diretta da P. Costanzo e A. Ruggeri)



1. Le origini del Consiglio delle autonomie locali
 
2. La disposizione costituzionale e l’attuazione nella Regione Puglia
 
2.1 L’obbligatoria istituzione del CAL
2.2 La riserva di statuto
2.3 La scarna disciplina statutaria
 
3. La disciplina legislativa della composizione e delle funzioni

3.1 La composizione
3.2 Le funzioni
3.3 Le funzioni non assegnate
 
4. L’autonomia
 
5. Conclusioni
 
Bibliografia
 
  
1. Le origini del Consiglio delle autonomie locali. Il rapporto tra Regione ed enti locali ha sempre costituito un nodo irrisolto, o quantomeno incerto, nel nostro ordinamento (D’Atena 1988, 325). La questione è stata ampiamente discussa in Assemblea Costituente ove sono state proposte interessanti soluzioni istituzionali ispirate al modello collaborativo (come il progetto dell’on. Zuccarini che prevedeva, tra le altre cose, un Alto Consiglio Regionale, organo di rappresentanza degli enti locali presso la Regione). Purtroppo il testo costituzionale licenziato nel 1947 non ha accolto molte di quelle soluzioni ed il rapporto della Regione con gli enti locali è rimasto non ben definito. Il problema è riemerso nei dibattiti sulle riforme costituzionali e ha iniziato a trovare nuove soluzioni, per lo meno in via legislativa, a partire dagli anni ‘80. A livello regionale la Puglia è risultata pioniera nell’individuare una sede di raccordo tra Regione ed enti locali con l’istituzione del Comitato d’intesa tra regione, province, comuni e comunità montante della Puglia (l.r. 24 maggio 1985, n. 43). Dopo l’intervento di altre Regioni, l’opportunità di diffondere tali soluzioni è emersa a livello statale ed è stata sancita dalla legge 8 giugno 1990, n. 142, ispirata alla Carta europea delle autonomie locali del 1989. La c.d. legge Gava, infatti, promuoveva il diffondersi di sedi di raccordo tra Regione ed enti locali al fine di creare un “sistema delle autonomie locali” in cui la Regione si sarebbe dovuta limitare a coordinare e programmare le iniziative (Vandelli 2011). Successivamente alla legge Gava, negli anni ’90, sono emerse alcune novità che hanno prodotto una duplice pressione, sia interna sia esterna all’ordinamento, verso una maggiore collaborazione tra Regione ed enti locali: da un lato la nuova legge elettorale aveva determinato il sorgere di un inedito protagonismo locale (D’Atena 2010, 67) che necessitava di un riconoscimento istituzionale; dall’altro i principi europei di sussidiarietà e di leale collaborazione si imponevano all’ordinamento interno. Sotto tale spinta, l’opportunità del raccordo si trasformava in obbligo con la riforma c.d. Bassanini  (l. 15 marzo 1997, n. 59 e d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112). L’attuazione dell’obbligo ha portato, poi, alla diffusione del sistema delle Conferenze; anche la Regione Puglia si è adeguata, sostituendo al Comitato la Conferenza permanente Regione-Autonomie locali (l.r. 30 novembre 2000, n. 22, artt. 6, 7 e 8).
Il sistema delle Conferenze, però, si prestava ad alcune critiche in quanto non garantiva una rappresentanza degli enti locali né effettiva né efficace. La composizione mista (Regione-enti locali) della Conferenza, infatti, limitava sia la rappresentatività sia l’incisività degli interventi dell’organo, relativi, per lo più, alla sola funzione esecutiva (Cosulich 2001).
In questo contesto è sorta, dunque, l’esigenza di una sede di raccordo più consona al coinvolgimento effettivo delle autonomie locali in tutti i processi decisionali della Regione.
Una soluzione è stata proposta da un gruppo di studiosi coordinati da Luigi Mariucci (Mariucci 1996) con la previsione di un Consiglio delle autonomie locali (CAL), vera e propria camera regionale di rappresentanza territoriale degli enti locali. Il CAL veniva dotato, infatti, di un potere di codecisione con il Consiglio in riferimento allo statuto, al bilancio e alle leggi regionali in materia di funzioni degli enti locali. In base a questa proposta, il Consiglio avrebbe potuto superare l’opposizione del CAL, riapprovando la legge a maggioranza qualificata dei due terzi oppure sottoponendo la legge a referendum. Le prerogative del CAL erano, peraltro, rinforzate dalla possibilità, in caso di legge non approvata o priva della richiesta approvazione, di sottoporre la legge regionale al giudizio della Corte costituzionale per violazione dei principi di sussidiarietà e di autonomia locale. Nel novembre 1996 la proposta è stata presentata dal Consiglio Regionale dell’Emilia Romagna alla Camera, con una formulazione attenuata (ad es. il Consiglio avrebbe potuto superare l’opposizione del CAL con la sola maggioranza assoluta), e successivamente è stata assegnata alla Commissione bicamerale per le riforme costituzionali presieduta dall’on. D’Alema. Nonostante il fatto che i testi licenziati dalla Commissione non risentissero affatto della proposta, si era ormai affermata la necessità di una previsione a livello costituzionale del raccordo tra Regione ed enti locali.
La previsione del CAL, infatti, è riemersa nei lavori parlamentari che avrebbero portato all’approvazione della legge costituzionale 8 ottobre 2001, n. 3. In particolare, nella bozza Amato del 1999 il riferimento al CAL è comparso nuovamente, sebbene non si facesse più alcun cenno a poteri di codecisione, ma esclusivamente a funzioni consultive. Le associazioni degli enti locali si sono opposte nettamente ad un emendamento che sostituiva il nuovo organo con una costituzionalizzazione del sistema delle Conferenze articolato anche a livello locale e la previsione del CAL, sebbene con una formulazione ancor più scarna, è, dunque, approdata al testo definitivo della legge costituzionale 8 ottobre 2001, n. 3 e, quindi, all’ultimo comma del riformato art. 123 Cost.
 
 
2. La disposizione costituzionale e l’attuazione nella Regione Puglia. L’art. 123 u.c. Cost., infatti, dispone che “In ogni Regione, lo Statuto disciplina il Consiglio delle autonomie locali quale organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali”. Come si vede, la scarna disposizione costituzionale lascia all’autonomia regionale un’ampia discrezionalità in ordine alla disciplina del CAL riguardo sia alla composizione sia alle funzioni; è pur sempre possibile individuare, però, alcuni limiti che si impongono ad ogni Regione.
 
2.1 La necessaria istituzione del CAL. In primo luogo il CAL viene individuato quale organo necessario (D’Atena 2010, 293), che si impone all’autonomia regionale più che esserne espressione (come chiarito dalla Corte Costituzionale in un obiter dictum della sent. n. 370 del 2006 su cui si veda Ambrosi 2007). Le Regioni sarebbero, dunque, tenute ad istituire il nuovo organo salvo poi considerare in concreto la sanzionabilità di un tale obbligo. Invero uno statuto regionale che non prevedesse il CAL potrebbe essere oggetto di impugnazione da parte dello Stato invocando la violazione dell’art. 123 u.c. Cost, ma gli strumenti utilizzabili dalla Corte Costituzionale per eliminare tale lacuna sarebbero limitati.
Ad oggi sono soltanto due le Regioni non ancora dotate del nuovo statuto (Molise e Basilicata) mentre tutte le altre hanno previsto espressamente il CAL a livello statutario.  Infatti, la Regione Puglia, all’art. 45 dello statuto del 2004, ha istituito il CAL tra gli “organi a rilevanza statutaria”, sebbene l’organo abbia una indubbia rilevanza costituzionale.
 
2.2 La riserva di statuto. Il favor per l’autonomia locale che caratterizza l’obbligatoria istituzione del CAL si estende anche alla riserva di statuto che l’art. 123 u.c. Cost.  pone in tale materia. La riserva, infatti, opera ad un duplice livello: da un lato nei confronti dello Stato, attribuendo la materia del CAL alla competenza statutaria della Regione; dall’altro anche a vantaggio degli enti locali e delle minoranze politiche, sottraendo alle mutevoli maggioranze consiliari la disciplina del loro organo di rappresentanza, almeno nei suoi aspetti fondamentali. E’ ormai chiaro, infatti, che pur nel silenzio del dettato costituzionale la riserva di statuto di cui all’u.c. dell’art. 123 Cost. non possa che interpretarsi in senso relativo (Bin 2004, 605; D’Atena 2010, 295), a meno di non considerare opportuna la trasformazione degli statuti in veri e propri codici (Rescigno 2003, 234).
La Regione Puglia, tuttavia, ha inteso la riserva relativa di statuto in modo eccessivamente lato, rinviando molti punti essenziali della disciplina del CAL alla legge. L’art. 45 dello Statuto pugliese, infatti, al comma 3 dispone che la legge regionale “disciplina  le funzioni, i criteri di nomina e composizione, le modalità di elezione e gli strumenti di funzionamento dell’organo”. Molti aspetti del CAL sono, dunque, rimessi alla legge in contrasto con la riserva di statuto prevista in Costituzione e con la ratio ad essa sottostante e cioè che almeno le “scelte caratterizzanti” siano compiute dalla fonte statutaria (D’Atena 2010, 110).
 
2.3 La scarna disciplina statutaria. Al di là, infatti, dell’ampio rinvio alla legge, lo Statuto pugliese si è, peraltro, limitato a disciplinare direttamente pochi aspetti del nuovo organo.
La previsione di più ampio respiro è quella relativa alla composizione. Infatti l’art. 45 al comma 2 impone che i membri del CAL siano rappresentanti dei “Consigli comunali, provinciali, della Città metropolitana e delle Comunità montane” e al comma 3 prevede che la disciplina legislativa relativa alla composizione debba garantire “l’equilibrata  rappresentanza  territoriale  e  il pluralismo rappresentativo”.
La prima disposizione rileva sotto un duplice aspetto: da un lato, vi è la scelta per una composizione monista dell’organo e cioè la presenza esclusiva di rappresentanti degli enti locali e non anche della Regione; dall’altro, vi è la previsione di una rappresentanza di secondo livello e cioè la previsione di membri che siano già dotati di un mandato elettivo locale.
Il primo aspetto relativo alla composizione monista dell’organo non fa che ribadire quanto già stabilito dalla Costituzione. La disposizione costituzionale, infatti, sia alla luce di una interpretazione teleologica (sulla base del ruolo del CAL quale organo di rappresentanza degli enti locali presso la Regione) sia alla luce di un’interpretazione letterale (l’utilizzo del termine “Consiglio” anziché “Conferenza”, D’Atena 2010, 293) sembra ritenere la composizione monista quale unica ammissibile. Peraltro tale interpretazione è ormai ampiamente condivisa da tutte le discipline regionali.
Più innovativa, invece, risulta la previsione di una rappresentanza di secondo livello che, sebbene diffusa nelle altre Regioni, non sembra possa desumersi in modo univoco dalla disposizione costituzionale.
Sul punto, poi, la Regione Puglia si distingue dalla maggior parte delle Regioni per due elementi degni di nota. Da un lato, infatti, la disposizione statutaria sembra dare maggior peso alla componente assembleare degli enti locali: il richiamo ai “consigli”, infatti, potrebbe suggerire che i membri del CAL non debbano essere espressione degli esecutivi locali. Dall’altro la lettera della disposizione sembra imporre che i membri del CAL siano solo elettivi e non anche di diritto: l’utilizzo del termine “rappresentanti” degli organi assembleari, infatti, sembra suggerire una elezione degli stessi piuttosto che un’individuazione preventiva ex lege. Tale interpretazione, come si vedrà, è, peraltro, quella accolta dalla legge regionale pugliese.
Per quanto riguarda, invece, i principi posti dallo Statuto in merito alla composizione dell’organo, è il caso di notare che gli stessi rischiano di collidere tra loro. Una equilibrata rappresentanza territoriale, infatti, non sempre garantisce un adeguato pluralismo rappresentativo, qualora inteso in senso politico. Spetta, dunque, alla legge regionale trovare un giusto bilanciamento.
Un ultimo aspetto interessante della pur scarna disciplina statutaria è rinvenibile nell’art. 45, comma 3 laddove dispone un necessario coinvolgimento delle associazioni degli enti locali nel procedimento di approvazione della legge sul CAL. Al di là della considerazione che in tal modo la legge risulta rinforzata, il ruolo delle associazioni degli enti locali in merito al nuovo organo è un aspetto fondamentale per la definizione dei rapporti tra Regione ed enti locali e l’efficacia concreta del CAL dipende in buona parte dalla modalità di coinvolgimento delle stesse.
Come si vede, dunque, lo Statuto pugliese si è limitato a disporre ben pochi aspetti della disciplina del CAL e in materia di funzioni ha operato un ampio rinvio alla legge non solo in aperto contrasto con la riserva di statuto, ma anche in adesione ad un’interpretazione restrittiva del ruolo del CAL. Infatti oltre alla “funzione consultiva” direttamente prevista in Costituzione, lo statuto, in base alle competenze previste nell’art. 123 Cost., avrebbe potuto attribuire altre funzioni al CAL (come, ad esempio, l’iniziativa legislativa) in coerenza con quanto previsto da altre Regioni.
 
 
3. La disciplina legislativa della composizione e delle funzioni. La Regione Puglia, una volta adottato il nuovo Statuto, non ha tardato ad approvare la legge che disciplina il CAL in quanto dopo solo due anni ha provveduto ad integrare (o meglio, ad attuare) le disposizioni statutarie con la l.r. 26 ottobre 2006, n. 29, la quale – come si vedrà più avanti – risulta, a sua volta, ispirata ad una interpretazione restrittiva del ruolo del CAL, che rischia di limitare l’efficacia di un organo necessario, ma scomodo.
 
3.1 La composizione. In relazione alla composizione, la legge regionale, aderendo ad una possibile interpretazione del dettato statutario, ha ritenuto di non prevedere alcun membro di diritto all’interno del CAL. Nelle altre discipline regionali è diffusa la previsione di membri di diritto nei soggetti collocati ai vertici degli esecutivi degli enti locali maggiori (Province e Comuni capoluoghi) e non è raro che siano membri di diritto anche i Presidenti degli organi assembleari di tali enti. I membri del CAL Puglia, invece, vengono tutti eletti e l’elezione avviene esclusivamente tra i componenti degli organi assembleari degli enti locali. Le Province ed i Comuni capoluoghi possono scegliere un rappresentante, per un totale di 12 membri, in seno ai propri Consigli, con completa autonomia nella definizione delle modalità elettive (art. 2, comma 2). La maggioranza dei membri, i restanti 44, vengono eletti da e fra i Consiglieri comunali (art. 2 comma 3), in collegi provinciali, con un sistema proporzionale a liste contrapposte, con la possibilità di indicare una sola preferenza (art. 3, commi 1 e 5). La lista più “suffragata” (per esprimersi con la legge) ottiene un premio di maggioranza del 60% dei seggi (art. 3, comma 3). Le Comunità montane eleggono il proprio rappresentante in una seduta congiunta dei Consigli (art. 2, comma 4); l’elettorato attivo e quello passivo coincidono e l’individuazione delle modalità elettive viene rimessa all’assemblea.
Dall’analisi dell’esposta disciplina, emergono alcuni punti rilevanti in merito all’attuazione dei principi fissati dallo statuto in materia di composizione del nuovo organo. A tal proposito, la scelta di un sistema elettorale proporzionale con liste contrapposte sembra chiaramente finalizzata a garantire un pluralismo rappresentativo politico in seno al CAL. Meno evidente risulta essere la ratio alla base del premio di maggioranza. La consueta finalità dell’istituto è infatti volta ad assicurare una stabile maggioranza interna ad un organo collegiale elettivo al fine di garantirne l’operatività. Tale finalità, oltre che collidere con il pluralismo, risulta, comunque, eccessiva con riferimento ad un organo consultivo, soprattutto se si considera che è previsto un tacito parere favorevole in caso di scadenza del termine (peraltro di soli 15 giorni in via ordinaria, art. 7, comma 2).
La scelta, invece, dell’elezione dei rappresentanti dei maggiori enti locali in seno ai consigli degli stessi sembra ispirata al principio di equilibrata rappresentanza territoriale intesa nel senso di equilibrata rappresentanza della popolazione distribuita sul territorio. Sebbene non siano previsti membri di diritto, tale previsione sembra condividerne la medesima ratio. L’elezione in seno ai Consigli, infatti, è verosimilmente ispirata ad un principio maggioritario (salvo rare eccezioni di fair play politico) ed il rappresentante eletto risulterà espressione della maggioranza, non discostandosi molto dalla nomina ex lege del medesimo soggetto che istituzionalmente ricopre tale ruolo. Il vantaggio del sistema pugliese è una maggiore flessibilità e una maggiore autonomia garantita al sistema politico locale.
Manca nella disciplina pugliese del CAL una se pur minima considerazione delle autonomie funzionali o della società civile che, in attuazione della sussidiarietà orizzontale (sulla quale si vedano Violini 2004 e Tondi della Mura in corso di pubblicazione), risultano invece coinvolte in altre Regioni se non come membri aventi diritto di voto (come nel caso del CAL Lombardia) almeno come soggetti aventi diritto a partecipare alle sedute dell’organo.
 
3.2 Le funzioni. Nella disciplina delle funzioni, come si è già accennato, è rinvenibile un’interpretazione restrittiva del ruolo del CAL, in quanto limitata alla semplice lettera del dettato costituzionale: “organo di consultazione”. Come si è visto, infatti, la disposizione non esclude che possano essere attribuite al CAL ulteriori funzioni, oltre a quella consultiva, nell’esercizio delle altre competenze statutarie e legislative della Regione. La disciplina pugliese, però, si limita a prevedere esclusivamente una limitata funzione consultiva.
A tal proposito, la legge chiarisce che il CAL, in una serie di materie, esprime parere obbligatorio e aggiunge l’inutile precisazione che il parere previsto non è vincolante (art. 5, comma 1). L’obbligatorietà del parere è una costante nelle discipline delle altre Regioni. Invero, un’interpretazione estensiva della “funzione consultiva” potrebbe contemplare anche i pareri vincolanti. E’ stato obiettato, però, che in tal modo la funzione consultiva si trasformerebbe in funzione di codecisione ed, in definitiva, nell’esercizio della funzione (legislativa, regolamentare, esecutiva) cui aderirebbe (Groppi 2001, 1074). Tale interpretazione estensiva, se ritenuta comunque ammissibile, susciterebbe, dunque, alcune perplessità almeno in relazione alla funzione legislativa. Infatti, l’art. 121 Cost. sembra attribuire in modo esclusivo tale funzione al Consiglio. Le stesse considerazioni non varrebbero, però, per la funzione regolamentare, tantomeno per quella esecutiva, anche se nessuna disciplina regionale ha voluto ampliare in modo tanto significativo i poteri del CAL.
La previsione di un parere obbligatorio, comunque, aggrava il procedimento relativo alle funzioni enumerate nella legge e la mancanza del parere potrebbe essere fatto valere nelle opportune sedi di tutela degli enti locali quale vizio formale del relativo atto approvato.
Il parere obbligatorio nella disciplina pugliese è previsto per la maggior parte delle funzioni esercitate dagli organi regionali sebbene limitatamente agli interessi degli enti locali.
La definizione di cosa sia di interesse per gli enti locali risulta, però, alquanto incerta e l’iniziativa del parere è riservata al Consiglio (art. 7, comma 1); gli eventuali conflitti interpretativi che dovessero sorgere sulla questione potrebbero trovare una soluzione a favore degli enti locali solo in una successiva, ed eventuale, fase di attivazione degli strumenti di tutela giurisdizionale degli interessi locali, sia essa dinanzi alla Corte Costituzionale o dinanzi agli organi di Giustizia Amministrativa.
Il CAL è coinvolto obbligatoriamente nel procedimento di revisione statutaria (art. 5, comma 1, lett. a) che trova, però, la sua disciplina ben definita direttamente in Costituzione. Il dubbio che una legge possa modificare tale procedimento, aggravandolo, potrebbe essere superato dall’efficacia dell’u.c dell’art. 123 Cost. che, qualificando il CAL quale organo di consultazione, ne autorizzerebbe l’intervento anche in procedimenti direttamente previsti a livello costituzionale (come ad esempio le modifiche territoriali previste dall’art. 133 Cost. per le quali la legge pugliese prevede ugualmente il parere obbligatorio del CAL all’art. 5, comma 1, lett. f).
In relazione alla funzione legislativa, il parere è richiesto in merito alle proposte di legge che “riguardano le funzioni e le competenze degli enti locali, nonché il decentramento di funzioni o attività amministrative regionali” (art. 5, comma 1, lett. b). Tale previsione si colloca nell’alveo, ormai consolidato, del connubio tra principio di sussidiarietà e leale collaborazione che la Corte Costituzionale ha ricavato dall’art. 118 Cost. nella nota sentenza n. 303 del 2003. Il CAL costituisce la sede ideale del necessario coinvolgimento del livello di governo più vicino ai cittadini in caso di attrazione o di spostamento di una funzione amministrativa da parte della Regione (Caretti 2003, 99). In tal modo si procederebbe sulla falsariga di quella procedimentalizzazione del principio di sussidiarietà, ormai affermata nell’ordinamento comunitario, che valorizza il valore sintomatico del coinvolgimento dei livelli di governo inferiori agevolando un eventuale controllo giurisdizionale del rispetto del principio di sussidiarietà e dei suoi presupposti di attivazione (D’Atena 2000).
Il CAL Puglia esprime parere obbligatorio anche in merito alla funzione regolamentare esercitata dalla Giunta (art. 5, comma 1, lett. e) nonché in merito a piani e atti di programmazione (art. 5, comma 1, lett. c) e al bilancio e atti collegati (art. 5, comma 1, lett. d). In tali casi l’organo con cui il CAL interagisce è sempre e solo il Consiglio, chiamato in causa per ulteriori pareri obbligatori o, nel caso del bilancio, per l’esercizio della funzione legislativa formale. La legge chiarisce, infatti, che il Presidente del Consiglio richiede al CAL il parere, contestualmente all’assegnazione degli atti alle commissioni competenti (art. 7, comma 1).
Il CAL è chiamato, infine, ad assolvere ad una funzione di monitoraggio sullo stato delle autonomie, anche avvalendosi di istituti di ricerca (art. 9, comma 1), e si riunisce annualmente in seduta congiunta con il Consiglio per discuterne gli esiti (art. 4, comma 6).
 
3.3 Le funzioni non assegnate. L’interpretazione restrittiva del ruolo del CAL, che ha ispirato la disciplina pugliese, comporta la mancata assegnazione all’organo di alcune funzioni previste generalmente dalle altre Regioni.
Non è prevista alcuna garanzia di maggiore efficacia dei pareri resi dal CAL come, ad esempio, un aggravio procedurale in caso di non adeguamento al parere da parte degli organi regionali. Sebbene diffuso in molte discipline regionali, che prevedono la necessità di una maggioranza assoluta in seno al Consiglio per discostarsi dal parere, la Puglia non ha ritenuto di rendere incisivo l’intervento del nuovo organo.
Non sono previste funzioni che, pure, in altre Regioni rendono il CAL un organo di rappresentanza effettiva ed efficace degli enti locali.
Non è prevista una generale funzione di concertazione ed anche il rapporto con la Giunta non è ben definito. Ciò non esclude, comunque, un possibile coinvolgimento ad hoc.
Non è prevista alcuna funzione propositiva, né tantomeno viene attribuita al CAL l’iniziativa legislativa come in molte altre discipline regionali. Il CAL, inoltre, non ha alcuna competenza a nominare esponenti degli enti locali negli organi a rilevanza statutaria o nella sezione regionale di controllo della Corte dei Conti, non può segnalare lesioni alle autonomie locali derivanti da atti regionali o statali, né sollecitare la promozione di ricorsi alla Corte Costituzionale o alla Corte di Giustizia europea. La mancata previsione di tali funzioni non impedisce che l’organo si attivi spontaneamente, ma gli effetti di tali atti di iniziativa sarebbero limitati ed eventuali.
 
 
4. L’autonomia. Anche il regolamento interno, quale strumento che maggiormente potrebbe potenziare in via autonoma il CAL, risulta di tono minore nella disciplina pugliese. Sebbene, infatti, la legge ne preveda l’approvazione a maggioranza assoluta e rinvii ampiamente ad esso per quanto riguarda l’organizzazione ed il funzionamento dell’organo (art. 4, comma 4), il regolamento riceve un controllo stretto da parte del Consiglio regionale, che esprime parere, questa volta sì, vincolante (art. 4, comma 5). Il parere si dovrebbe limitare al raccordo funzionale tra il CAL ed il Consiglio, ma i margini restano non ben definiti. Anche la struttura di supporto resta interna al Consiglio, è individuata dall’Ufficio di Presidenza e sembra che da esso dipenda (art. 8, comma 1). Sebbene sia previsto un capitolo di bilancio dedicato agli organi a rilevanza statutaria (art. 11, comma 1) non è ben definita un’autonomia contabile dell’organo.
 
 
5. Conclusioni. Alla luce della disciplina analizzata non stupisce che l’organo non si sia ancora costituito dopo ben sette anni. Al di là di possibili spiegazioni socio-politologiche sembra evidente che un organo che non trovi una garanzia adeguata nello statuto, che presenti una composizione politicamente incerta e che svolga solo una funzione consultiva limitata non possa competere poi molto con la Conferenza, operativa sino all’effettiva attivazione del nuovo organo. A tale quadro occorre aggiungere che l’attuale Conferenza contempla, tra i propri componenti, anche esponenti delle associazioni degli enti locali, non considerate nella disciplina del CAL. Tali associazioni sono dotate di una solida legittimazione, che permette loro di rappresentare con forza gli interessi degli enti locali nei processi decisionali regionali. Il mancato coinvolgimento effettivo delle associazioni degli enti locali nella disciplina del CAL non può che costituire un ulteriore elemento da considerare nel valutare l’inerzia della Puglia. Se a ciò si aggiunge che vi è sempre una naturale reticenza istituzionale ad autolimitare le proprie competenze, emerge chiaramente che la speranza dell’attivazione a breve del nuovo organo sembra assai remota, mentre in altre Regioni (come ad esempio in Liguria) si è già giunti alla riforma della riforma dell’organo alla luce dell’ormai crescente prassi (la prima legge regionale di disciplina del CAL Liguria, l.r. 26 maggio 2006, n. 13, modificata da ben tre leggi (l.r. 3 aprile 2007, n. 14, l.r. 6 giugno 2008, n. 14 e l.r. 15 giugno 2010, n. 7) è stata sostituita dalla nuova legge di riforma integrale del CAL, l.r. 1 febbraio 2011, n. 1).
 
 
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