Lo studio costituisce il capitolo XIII del Quarto Rapporto annuale sullo stato del regionalismo in Italia, Milano, Giuffrè, 2007.
 
 
 SOMMARIO:
 
 
 
 
1.      Introduzione
 
Una delle cause principali delle riserve che molti nutrono riguardo alla devoluzione è il timore che essa potrebbe mettere in pericolo il Servizio sanitario nazionale, istituzione che rappresenta l’espressione concreta dell’interesse nazionale nella sanità. Il dibattito sulle possibili conseguenze della devoluzione è caratterizzato – almeno per quanto concerne il settore sanitario - da un’assenza di rigore analitico e tende a limitarsi ad una serie di affermazioni non documentate sui probabili scenari che potrebbero verificarsi dopo la devoluzione.
Ovviamente è difficile arrivare a conclusioni scientificamente fondate riguardo al possibile impatto della devoluzione sul SSN. In primo luogo, l’impatto della devoluzione sulla sanità sarà il prodotto di un processo a medio o lungo termine e, in secondo luogo, non è affatto chiaro che forma assumeranno le singole istituzioni “federali” e come queste ultime interagiranno fra loro. Tuttavia, sulla base delle esperienze di federazioni mature, si possono formulare alcune ipotesi “ragionevoli” circa i possibili esiti della devoluzione in Italia in campo sanitario. Si può, cioè, tentare di spiegare le differenze osservate nella performance dei sistemi sanitari in tali federazioni, considerando il comportamento di una serie di variabili, alcune delle quali esprimono le dimensioni-chiave dei diversi modelli di federalismo operanti nei singoli paesi, mentre altre descrivono i contesti in cui questi federalismi funzionano.
Tale approccio dovrebbe consentire di individuare le condizioni necessarie perchè in Italia i principi fondamentali del SSN siano rispettati in un sistema di governo decentrato. Va peraltro detto che una prima analisi suggerisce un qualche pessimismo circa la possibilità che tali condizioni si realizzino.
 
2.      La performance delle federazioni mature in materia di finanziamento della sanità
 
Uno studio, appena pubblicato dall’ISSiRFA, utilizza questo approccio nell’analisi della performance dei sistemi sanitari di quattro federazioni mature: Australia, Canada, Germania e Stati Uniti (1). La performance si valuta in termini di capacità di un sistema sanitario di soddisfare, in tutto il territorio nazionale, quattro criteri, ciascuno dei quali rappresenta una specifica dimensione dell’interesse nazionale nella sanità: universalismo della copertura; globalità della protezione garantita (l’entitlement); accessibilità finanziaria all’assistenza; trasferibilità geografica del diritto all’assistenza.
Tre delle federazioni considerate, Australia, Canada e Germania, sembrano aver tutelato abbastanza bene l’interesse nazionale nella sanità, anche se si differenziano fra loro riguardo al grado di rispetto dei singoli criteri. Ad esempio, nel caso del criterio della globalità dell’assistenza garantita, l’Australia e la Germania assicurano agli assistiti una gamma estremamente ampia di prestazioni, mentre nel Canada categorie di assistenza importanti, quali l’assistenza farmaceutica e quella dell’assistenza domiciliare, sono state escluse dall’entitlement federale. Il Canada è riuscito, invece, ad ottenere un elevato grado di rispetto per il principio dell’accessibilità finanziaria, vietando qualsiasi forma di compartecipazione da parte degli assistiti, mentre in Germania e Australia gli assistiti si trovano a dover affrontare delle compartecipazioni consistenti, anche se esistono le esenzioni per i malati cronici e le persone a basso reddito. Tutti e tre i paesi garantiscono il pieno rispetto dei criteri dell’universalismo di copertura e della trasferibilità geografica del diritto all’assistenza.
Il caso americano è molto più complesso, non esistendo un sistema nazionale di assicurazione sanitaria unico, ma piuttosto un collage di otto grandi programmi di finanziamento ed alcuni programmi minori. Ciascun programma ha una sua popolazione target diversa (ad esempio i dipendenti privati e pubblici, gli anziani, le persone a basso reddito, i giovani a basso reddito, i militari di carriera, i veterani militari non di carriera), è gestito da una agenzia diversa e opera secondo regole diverse. Si registra una variabilità molto elevata fra i singoli programmi per quanto concerne il grado di rispetto per i quattro criteri di performance. Di fatto, negli Stati Uniti la protezione che gode un cittadino dipende in misura importante dal programma di finanziamento a cui si è iscritto e dallo Stato in cui risiede.
Come si spiegano queste differenze fra la performance del sistema di finanziamento sanitario degli Stati Uniti, da una parte, e quella delle altre tre federazioni, dall’altra? Perché in tre delle quattro federazioni, considerate nello studio ISSiRFA, è stato trovato un accettabile equilibrio fra il decentramento di governo e la ricerca di una certa uniformità di trattamento della popolazione assistita, mentre nella quarta federazione, gli Stati Uniti, tale equilibrio è vistosamente assente? Sono utili per l’analisi del caso italiano le risposte a tale quesito?
 
3.      Modelli di federalismo e loro contesti
 
Nel valutare le implicazioni del federalismo per le politiche sanitarie, occorre tenere esplicitamente conto dell’ambiente in cui opera questo tipo di sistema di governo. E ciò perché gli effetti, che le istituzioni federali a prima vista sembrerebbero generare da sole, possono in realtà essere il risultato delle interazioni fra le istituzioni e variabili-chiave che caratterizzano il contesto nel quale esse stesse funzionano. In altre parole, ciò che potrebbe apparire unicamente come un effetto del federalismo deve forse essere attribuito, invece, almeno in parte, al suo ambiente. Inoltre, modelli diversi di federalismi possono produrre diversi risultati in termini del loro impatto sul disegno e sull’attuazione delle politiche sanitarie. Ne consegue che gli effetti generati da uno specifico tipo di federalismo possono essere individuati e quantificati soltanto se tali effetti vengono confrontati con gli effetti prodotti da altri tipi di federalismo. In altre parole, che un determinato modello di federalismo possegga elementi di unicità o meno, può essere verificato soltanto tramite l’analisi comparata.
Lo studio ISSiRFA ha utilizzato quattro variabili per definire sinteticamente l’ambiente in cui operano le istituzioni federali, cioè “fattori di contesto”. A ciascuna variabile è sottesa un’ipotesi circa il suo possibile rilievo per la performance del sistema sanitario. Le quattro variabili e le relative ipotesi sono le seguenti:
1)      diritto alla sanità: se il diritto alla sanità è contemplato dalla costituzione, ciò rappresenta un fattore positivo per la promozione dell’interesse nazionale nella sanità.
2)      solidarietà sociale: più è forte il sentimento di solidarietà sociale della popolazione, migliori sono le prospettive per standard sanitari nazionali generosi.
3)      popolarità del sistema di finanziamento della sanità: più un dato sistema di finanziamento è popolare presso i cittadini, più i governanti si guarderanno dall’intervenire su di esso.
4)      grandezza e complessità del sistema di finanziamento della sanità: più grande e complesso è il sistema di finanziamento, più difficile può risultare formulare politiche appropriate e fattibili e prevedere con una certa sicurezza gli effetti – desiderati e non – che tali politiche possono comportare.
Cinque sono le variabili utilizzate per sintetizzare il carattere del federalismo operante in un dato paese, cioè “fattori federali”:
1)      allocazione intergovernativa delle competenze in materia di sanità: il fatto che un governo federale sia legittimato dalla costituzione e/o dalla normativa ordinaria vigente ad intervenire nel settore sanitario dovrebbe, ceteris paribus, facilitare la promozione degli standard nazionali.
2)      potere centrale di spesa: quanto più un governo nazionale ha la capacità e la volontà di utilizzare il suo potere di spesa (cioè destinare ai governi inferiori delle risorse, a condizione che esse vengono spese secondo modalità stabilite a priori dal centro), tanto più sarà possibile promuovere l’interesse nazionale nella sanità.
3)      fiducia intergovernativa: se esiste fiduciareciproca tra il governo centrale e quelli inferiori, forse questi ultimi saranno più propensi a riconoscere la legittimità dell’autorità centrale a fissare gli standard nazionali e il governo centrale sarà più propenso a concedere ai governi subcentrali una maggiore libertà nelle modalità di attuazione di tali standard.
4)      cooperazione intergovernativa: la promozione dell’interesse nazionale nella sanità tende ad essere facilitata tanto più è grande la cooperazione intergovernativa, ovvero più il governo centrale è pronto a negoziare le politiche con i governi subcentrali, anziché tentare di imporle, più sono pronti i governi subcentrali a collaborare con il governo centrale (anziché adottare una strategia di resistenza sistematica ai tentativi di questo ultimo di promuovere standard nazionali).
5)      complessità della geometria del sistema di governo federale: più complessa è la geometria del sistema federale, ovvero più intricato è il funzionamento e l’interazione delle istituzioni federali, più ardua tenderà ad essere la ricerca della massimizzazione dell’interesse nazionale.
 
 
4.      Differenze fra le federazioni
 
Le federazioni esaminate nello studio ISSiRFA si contraddistinguono fortemente riguardo ai comportamenti delle variabili di contesto e federali. L’Australia sembra trovarsi nella posizione migliore, visto che tutti i fattori considerati operano a favore degli standard nazionali qui considerati, nella maggiore parte dei casi in maniera decisa. Nel caso della Germania, il potere di spesa del governo federale e dei länder è molto debole, dato il carattere mutualistico del sistema sanitario, ma questa carenza è più che compensata dal carattere particolarmente positivo degli altri fattori. Anche in questo caso, i fattori di contesto e federali tendono ad interagire a beneficio degli standard sanitari nazionali. La situazione del Canada invece è più complessa. Tre dei cinque fattori federali – allocazione intergovernativa di responsabilità per la sanità, fiducia intergovernativa e cooperazione intergovernativa - hanno una forte ripercussione negativa sugli standard sanitari nazionali. L’unico fattore federale ad operare in maniera positiva è il potere federale di spesa. Anche l’impatto di questo fattore, però, è stato limitato per molti anni dai tagli, unilateralmente decisi, ai trasferimenti centrali per le spese sanitarie delle province, apportati per contenere il deficit federale di bilancio. Sembra, però, che in Canada gli standard nazionali siano stati tutelati in particolare da due fattori di contesto: l’elevata popolarità del sistema sanitario ed il forte sentimento di solidarietà sociale. In Canada, la relativa debolezza dello standard della globalità sembra dovuta, almeno in parte, a limiti auto-imposti al potere della spesa, vale a dire che il governo federale avrebbe potuto fare pressioni per ampliare questo standard, ma solo se fosse stato pronto ad aumentare il suo contributo finanziario alle province. In realtà, migliorati i conti pubblici, il Canada ha di recente iniziato ad agire in questa direzione, utilizzando gli avanzi del bilancio federale per contribuire a finanziare nuovi entitlements a livello provinciale per l’assistenza farmaceutica e domiciliare.
La situazione degli Stati Uniti è ancora più complessa. Per quanto riguarda le variabili di contesto, il sentimento di solidarietà certamente non manca in America, ma la sua intensità tende a differenziarsi a seconda della categoria della popolazione in questione – molto forte per il personale militare di carriera e per gli anziani, abbastanza forte per giovani e le loro madri a basso reddito, molte debole per gli adulti a basso reddito senza figli a carico e per gli immigrati illegali, ma anche per quelli legali. Lo spirito di solidarietà sociale, peraltro, è più forte in alcuni stati, poco avvertito in altri.
Riflettendo sul carattere peculiare della variabile di contesto “sentimento di solidarietà sociale” in America, va ricordato che la sua Costituzione non prevede alcun diritto individuale all’assistenza sanitaria. Il diritto legale dei singoli cittadini alla sanità varia a seconda del programma di finanziamento a cui sono iscritti ed è particolarmente forte per i militari di carriera, gli anziani e i permanentemente disabili, ma molto debole nel caso delle persone a basso reddito. Infine, la complessità dei meccanismi usati negli Stati Uniti per finanziare l’assistenza sanitaria, che è molto maggiore rispetto alle altre federazioni, rende estremamente difficile il compito di riformare il sistema stesso.
Nel caso delle variabili federali, il governo federale americano gode di una notevole libertà di azione nel settore sanitario, dal momento che la Costituzione e la giurisprudenza costituzionale sono assai imprecise sulla distribuzione di competenze fra il governo federale e gli stati. Anche il potere federale di spesa è definito in senso molto largo e ha una solida base costituzionale. La fiducia intergovernativa e la cooperazione intergovernativa hanno giocato un ruolo relativamente modesto nella promozione degli standard sanitari nazionali. Infine, la geometria delle istituzioni federali negli Stati Uniti è caratterizzata da una notevole complessità, rendendo estremamente difficili i tentativi di migliorare la performance del sistema di finanziamento sanitario.
Sembra di poter concludere che il potere federale di spesa è stato il principale fattore negli Stati Uniti ad operare a favore degli standard nazionali. In realtà, questa federazione è l’unica fra quelle considerate in cui il governo centrale abbia fatto tanto affidamento sul suo potere di spesa. Ciò che inoltre differenzia gli Stati Uniti dalle altre federazioni è il ruolo relativamente limitato delle variabili di contesto di solidarietà sociale e di popolarità dei meccanismi utilizzati per finanziare la sanità.
 
5.      Il caso italiano
 
Si è tentato in modo sperimentale di applicare all’Italia la metodologia utilizzata per analizzare il significato del federalismo per gli standard sanitari nazionali nelle quattro federazioni mature. I risultati sono illustrati nello studio ISSiRFA e sintetizzati qui nella tabella 1. L’esame dell’Italia ha considerato un altro fattore federale che forse è pertinente soltanto a questo paese, cioè la capacità delle singole regioni di disegnare ed attuare delle politiche, qui chiamata la “capacità amministrativa”. Dei dieci fattori analizzati, cinque avrebbero una influenza negativa, a volte forte, sui tentativi di promuovere standard nazionali. Gli altri cinque, invece, potrebbero influire positivamente. Di questi, tre sono legati al contesto in cui operano le istituzioni federali - diritto all’assistenza sanitaria, solidarietà sociale e popolarità del SSN – e due sono compresi fra le variabili scelte per sintetizzare il carattere del federalismo operante nei singoli paesi - potere centrale della spesa e cooperazione intergovernativa. Ancora più significativo è il fatto che soltanto uno di questi fattori – la solidarietà sociale – potrebbe avere un impatto positivo forte.
Le prospettive, quindi, non sono rosee, soprattutto nel medio termine. Il problema non è che le regioni siano per definizione ostili agli standard nazionali, ma che, nel tempo, i fattori negativi individuati nel corso di questa analisi potrebbero agire a sfavore degli standard, mentre i fattori positivi potrebbero essere troppo deboli per controbilanciare queste tendenze negative. In assenza di una forte azione da parte del governo centrale, quindi, possiamo ipotizzare che le regioni potrebbero: limitare i servizi disponibili, eliminandoli dai pacchetti di prestazioni messi a disposizione dei cittadini (il cosiddetto delisting), o ignorare la necessità di introdurre determinati (costosi) nuovi servizi; applicare compartecipazioni di entità non-marginali, a carico degli assistiti, per i servizi più costosi di diagnostica, di riabilitazione, quelli in strutture residenziali e quelli palliativi; intraprendere azioni più o meno celate per limitare la mobilità geografica dei pazienti (regioni con flussi netti verso l’esterno) e per restringere l’accesso ai pazienti di altre regioni (regioni con flussi netti verso l’interno); delegare, infine, la responsabilità dell’amministrazione dei servizi ad organizzazioni con o senza scopo di lucro.
 
6.      Interventi correttivi e compensativi
 
Se non verranno intraprese iniziative atte a compensare per i fattori negativi e/o a rafforzare quelli positivi, si potrebbe arrivare quindi, tra il medio ed il lungo termine, ad una situazione di forte eterogeneità tra le diverse regioni. La metodologia elaborata nello studio ISSiRFA può aiutare a capire dove bisognerebbe intervenire per poter meglio promuovere l’interesse nazionale nel SSN, fornendo uno strumento per domare la devoluzione. Si noti che tale intervento è necessario non solo per via della riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, ma anche per governare il processo incrementale di decentramento che ha avuto luogo nel settore sanitario nel corso degli anni.
Alcuni esempi possono essere utili a questo riguardo. La sfida sarebbe di trovare un modo per legare in maniera esplicita il trasferimento alle regioni dei finanziamenti centrali di entità non-marginale al rispetto, da parte delle regioni stesse, delle condizioni che si accompagnano ai trasferimenti, condizioni che mirano a promuovere specifici standard nazionali ben definiti. Naturalmente, questi finanziamenti condizionati dovrebbero essere aggiuntivi rispetto al finanziamento ordinario del SSN, al quale le regioni dovrebbero contribuire in modo consistente con risorse proprie, in modo da essere comunque interessate al contenimento dei costi e al miglioramento dell’efficacia. Paradossalmente, il potere centrale di spesa potrebbe rivelarsi efficace, quindi, solo nel momento in cui lo Stato dovesse cessare di essere la principale fonte diretta di finanziamento per la sanità.
Per quanto concerne, invece, la distribuzione intergovernativa delle competenze nella sanità, sarebbe estremamente utile riuscire a definire con maggior chiarezza ciò che si intende in termini operativi con la competenza “tutela della salute”, da una parte, e con “organizzazione ed amministrazione dell’assistenza sanitaria”, dall’altra. Si potrebbe inoltre intervenire per ridurre la “sfiducia intergovernativa” – un obiettivo certamente a lungo termine – attraverso una serie di azioni per rafforzare ed ampliare la “cooperazione intergovernativa”. Bisognerebbe inoltre affrontare il problema della bassa capacità di alcune regioni di disegnare ed attuare delle politiche, che rappresenta forse la minaccia principale alla promozione dell’interesse nazionale.
La “popolarità del SSN” e la “solidarietà sociale” dovrebbero avere entrambi un’influenza positiva. Tuttavia, un tentativo mirato a rafforzare ulteriormente i loro effetti potrebbe anche contribuire a compensare l’influenza di alcuni dei fattori negativi sui quali sembra difficile intervenire. Ad esempio, si potrebbe pensare di ridare vita al programma – avviato nel 1998 con il Ministro della sanità Rosy Bindi e abbandonato poi dal suo successore – che mirava a rafforzare l’immagine del SSN presso i mezzi di informazione ed il pubblico. Questo programma si inseriva nel quadro di una strategia più ampia, che proponeva un “Patto di solidarietà per la salute”, per il quale si dovevano stipulare dei patti tra i principali stakeholders del SSN – il Ministero della sanità, altri ministeri, le regioni, i governi locali, i cittadini, i medici ed il personale del SSN, i sindacati e l’industria. Il Patto è stato presentato in forma di decreto (2), espressione tipica della mentalità legalistica della pubblica amministrazione italiana, ed aveva come scopo concreto il raggiungimento degli “obiettivi di salute” contenuti nel Piano sanitario nazionale 1998-2000. Il Patto era di certo un esercizio retorico, ma l’idea sembrerebbe tuttora promettente come strumento per rafforzare la solidarietà sociale nei confronti del SSN. Un patto di questo genere si distinguerebbe in modo importante dal Patto per la salute stipulato il 28 settembre 2006 fra il Governo e le regioni e province autonome (3). Anche quest’ultimo Patto, tuttavia, è da considerare di fondamentale importanza per la promozione dell’interesse nazionale nella sanità, data l’enfasi posta sull’attuazione e sulla manutenzione dei LEA. Contiene molti elementi utili per un rinnovato Patto di solidarietà per la salute anche l’intervento del Ministro della salute alla sua audizione alla Commissione Affari sociali della Camera dei deputati il 27 giugno 2006 (4).
Una condizione sine qua non per poter domare la devoluzione è che vi sia una definizione operativa dell’interesse nazionale nella sanità. Una definizione basata solamente sui LEA appare troppo limitata e, comunque, non vi sono motivi validi per i quali la multidimensionalità dell’interesse nazionale non dovrebbe essere resa esplicita ed ufficiale, in qualche modo in linea con la definizione più volte citata nello studio ISSiRFA.
Gli standard utilizzati in quello studio non sono però scolpiti nella pietra. La decisione adottata di restringere l’analisi a questi standard nasce dall’intento di considerare su una base comune le federazioni analizzate. Lo studio riconosce che i quattro standard utilizzati forniscono una definizione incompleta, ma rivela l’inesistenza di altri standard che si prestino ad un confronto valido sul piano internazionale. Nel caso, però, in cui l’analisi si concentri su un solo paese, non vi è motivo per cui l’insieme degli standard non possa essere ampliato. Così, per uno studio approfondito sull’Italia, si potrebbero prendere in considerazione altri standard, quali: la capacità di risposta dei servizi sanitari regionali in termini di bisogni sanitari espressi e soddisfatti; la tempestività delle risposte; la qualità, clinica e non clinica, delle prestazioni; il rispetto per la dignità del paziente; i diritti di informazione; la libertà di scelta del paziente. A prescindere dagli standard adottati, sarebbe indispensabile che questi fossero definiti attraverso una stretta collaborazione tra lo Stato e le regioni.
Per poter promuovere l’interesse nazionale nella sanità in un paese con un sistema di governo devoluto, è importante che i diversi attori agiscano e si comportino in “maniera federale”. Il Ministero della salute in Italia deve riconoscere che il proprio ruolo è quello di promotore dell’interesse nazionale e che uno dei suoi compiti principali, quindi, è quello di monitorare il comportamento delle regioni e valutarne l’impatto sull’interesse nazionale. L’obiettivo dello Stato non sarà quello di garantire l’uniformità delle politiche sanitarie regionali, ma di assicurare che le regioni non si discostino “eccessivamente” (dove questo avverbio deve essere ancora definito operativamente) dagli standard nazionali. Anche le regioni devono comportarsi in maniera federale, ad esempio adempiendo all’obbligo di divulgare le informazioni necessarie allo Stato per svolgere il suo ruolo di controllore e accettando le regole che vincolano i fondi centrali al rispetto degli standard e di altre condizioni che vi si accompagnano.
Un esito positivo della devoluzione in Italia, almeno per quanto riguarda l’interesse nazionale nella sanità, potrebbe tuttavia dipendere anche dal modo in cui verrà risolto l’annoso problema delle differenze tra le regioni in termini di capacità amministrativa. La ridistribuzione delle risorse dalle regioni più ricche a quelle più povere è avvenuta sulla base del tacito accordo che queste ultime avrebbero utilizzato tali risorse in maniera efficace ed efficiente per promuovere l’interesse nazionale. La crescente impazienza delle regioni donatrici nei confronti dell’incapacità e/o della presunta riluttanza delle regioni beneficiarie a rispettare questo patto, potrebbe danneggiare seriamente, o addirittura estinguere, il sentimento di benevolenza dei donatori. Sarebbe certo un’amara ironia se la volontà delle collettività nazionali e regionali di partecipare ad un “federalismo solidaristico” si infrangesse sullo scoglio del dualismo amministrativo.

 

NOTE
 
(2)           Decreto del Presidente della Repubblica 23 luglio 1998.
(3)           Protocollo di intesa tra il governo, le regioni e le province autonome sul Patto per la salute su proposta del Ministero della salute e del Ministero dell’economia, condiviso dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome, 28 settembre 2006. L'intesa è stata formalizzata in sede di Conferenza Stato-Regioni il 5.10.2006.
(4)           Un new deal della salute: linee del programma di Governo per la promozione ed equità della salute dei cittadini [www.ministerosalute.it – Home page: “Programmi e attività” (8 gennaio 2007)].

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