Il coordinamento della finanza pubblica: dall’attuazione del Titolo V alla deroga al riparto costituzionale delle competenze?
 
Guido Rivosecchi  *
 
(Relazione presentata al Convegno “Il regionalismo italiano tra giurisprudenza costituzionale e involuzioni legislative dopo la revisione del Titolo V”, tenutosi a Roma il 13 giugno 2013)
 
 
1. Premessa: il coordinamento della finanza pubblica nel processo di attuazione del Titolo V

2. La delicata funzione di supplenza assunta dalla Corte costituzionale di fronte all’inattuazione del Titolo V

3. Segue: il coordinamento della finanza pubblica come clausola trasversale finalizzata a preservare le istanze unitarie

4. Il (decisivo) contributo della giurisprudenza costituzionale

5. Segue: gli esiti del contenzioso davanti alla Corte costituzionale e l’ulteriore espansione dei principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica

6. L’attuazione della legge costituzionale n. 1 del 2012 e gli effetti sul coordinamento della finanza pubblica

7. Considerazioni conclusive: supremacy clause e deroga al riparto costituzionale delle competenze?

 
 
1. Premessa: il coordinamento della finanza pubblica nel processo di attuazione del Titolo V
 
Nell’introdurre il tema che mi è stato assegnato, vorrei anzitutto esprimere un sentito ringraziamento nei confronti del Proff.ri Gian Candido De Martin e Stelio Mangiameli – che si sono prodigati nell’organizzazione dell’odierna giornata di studi, nella quale sono emersi profili fondamentali dell’assetto del regionalismo italiano – per avermi dato la possibilità di intervenire in questo autorevole consesso e di essere coinvolto nell’ambito delle attività di ricerca del prestigioso Istituto in cui siamo ospitati.
Come è emerso anche dagli interventi dei relatori che mi hanno preceduto – alludo, in particolare, all’introduzione del Prof. D’Atena e alle relazioni dei Proff.ri Bin e Mangiameli – la ridefinizione dell’assetto dei rapporti tra Stato e autonomie territoriali delineato dal Titolo V è anzitutto passata per il contributo fornito dalla giurisprudenza costituzionale. Mediante l’adozione di strumenti e tecniche decisionali che hanno consentito di garantire il funzionamento del sistema, la Corte ha infatti progressivamente determinato il superamento dell’allocazione formale delle competenze legislative, riconoscendo, tra i titoli esclusivi dello Stato, materie finalistiche e materie trasversali. Viene in tal modo segnato il ritorno alla prevalenza dell’interesse sottostante al riparto di competenze – di volta in volta qualificato come statale o regionale – con la duplice conseguenza di aprire al concorso di più fonti e di postulare principi di leale collaborazione tra Stato e Regioni, specie in caso di intreccio di materie [1].
Tra queste clausole trasversali che – secondo quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale – hanno determinato la disarticolazione del riparto costituzionale di competenze originariamente ancorato agli elenchi di materie [2], va anzitutto annoverato il “coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”. Scopo del presente contributo è pertanto quello di chiarirne, in via preliminare, la nozione stessa e la portata, specie alla luce dei principali contributi della dottrina e dell’interpretazione fornitane dal Giudice delle leggi. Muovendo dall’analisi dei principali filoni della giurisprudenza della Corte costituzionale aventi come oggetto e come parametro norme di coordinamento della finanza pubblica, sarà quindi possibile risalire ai diversi fattori che hanno indotto alla progressiva espansione del contenzioso costituzionale e all’integrazione del parametro stesso, onde verificare – infine – se (e, eventualmente, in quale misura) si siano prodotte deroghe al riparto costituzionale delle competenze, specie di fronte all’acuirsi della crisi economico-finanziaria degli ultimi anni [3].
Secondo le ricostruzioni maggiormente pregnanti della funzione e degli istituti mediante i quali esso si esprime – a partire dalla “voce” di Vittorio Bachelet [4] – la funzione di coordinamento può ricorrere soltanto in presenza di una alterità e non disponibilità di attività e soggetti da coordinare da parte del soggetto coordinatore. Ne consegue che, alla base del coordinamento stesso, deve necessariamente esservi una posizione di autonomia del soggetto coordinato [5]. In mancanza di autonomia, ci troveremmo di fronte a soggetti non già coordinati, ma piuttosto ordinati.
Trasposte queste definizioni sul piano dei rapporti tra Stato e autonomie territoriali, intanto può esservi coordinamento finanziario in quanto vi sia autonomia finanziaria del soggetto da coordinare. In altre parole, il coordinamento non determina l’autonomia ma invece la presuppone, ne orienta l’esercizio e ne determina l’ambito materiale [6].
Da questi sommari elementi ricostruttivi – che, come vedremo, hanno influenzato anche le prime pronunce della Corte costituzionale sull'art. 119 Cost. – risulta pertanto evidente che il coordinamento non costituisce strumento di valorizzazione delle istanze di accentramento, ma si esprime piuttosto in istituti volti a preservare l’autonomia degli enti territoriali coordinati.
La riforma del Titolo V sembra confermare questa impressione.
Secondo l’originario art. 119 Cost., le leggi della Repubblica avevano infatti il compito di coordinare l’autonomia finanziaria delle Regioni con la finanza dello Stato, delle province e dei comuni; il legislatore statale fissava i principi che disciplinavano e delimitavano l’autonomia degli enti locali e ne determinavano le funzioni (originario art. 128 Cost.).
Nella Costituzione vigente, dopo la riforma del Titolo V e – in particolare – dell’art. 119 Cost., il coordinamento della finanza pubblica assume tutt’altro significato. Mentre, infatti, secondo il vecchio testo, mediante il coordinamento finanziario il legislatore statale aveva la possibilità di determinare la finanza decentrata (dagli elementi costitutivi, ai margini di azione, sino ai limiti a cui era sottoposta), secondo quello vigente il legislatore statale si limita a dettare il quadro unitario di riferimento dell’intera finanza pubblica nel rispetto delle garanzie costituzionali poste a tutela del decentramento istituzionale e delle corrispondenti forme e modalità di autonomia finanziaria di entrata e di spesa.
Vero è che l’autonomia finanziaria era già prevista dal vecchio titolo V, sia pure soltanto per le Regioni (e non per gli enti locali), affermando l’originaria versione dell’art. 119, primo e secondo comma, Cost. che “le regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti delle leggi della Repubblica, che la coordinano con la finanza dello Stato, delle province, dei comuni; alle regioni sono attribuiti tributi propri e quote di tributi erariali in relazione ai bisogni delle regioni per le spese necessarie ad adempiere le loro funzioni normali”. Tuttavia, le disposizioni in parola commisuravano tale autonomia alle funzioni “normali” (ordinarie), che erano determinate dalla legge dello Stato [7]. Tutto ciò finiva per innescare un circolo vizioso che faceva della finanza regionale una finanza di carattere quasi integralmente derivato, in sostanziale elusione del disposto costituzionale che già nella versione originaria prevedeva, sia pure soltanto per le Regioni, tributi propri e quote di tributi erariali.
In ogni caso, sia nel quadro costituzionale originario sia in quello vigente, il coordinamento della finanza pubblica svolge la funzione fondamentale di mantenere l’unitarietà del sistema rispetto alla tutela di interessi di rilievo nazionale [8].
In altre parole, tanto più alla luce dell’art. 119 Cost. vigente, alla piena valorizzazione dell’autonomia finanziaria e tributaria, insita nell’assetto policentrico della Repubblica delle autonomie e particolarmente valorizzata dal Titolo V, corrisponde l’affermazione di inderogabili istanze unitarie che vengono a permeare la Carta costituzionale sia sul piano istituzionale, sia su quello funzionale, facendo assurgere il canone del coordinamento ad architrave della costituzione finanziaria delineata dallo stesso Titolo V [9].
Ai “principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”, espressamente richiamati dall’art. 119, secondo comma, Cost., si aggiungono infatti il limite dell’“armonia con la Costituzione”; i principi di coesione e di solidarietà sociale di cui all’art. 119, quinto comma, Cost.; il principio della necessaria correlazione tra funzioni e risorse attribuite a ciascun ente territoriale, di cui all’art. 119, quarto comma, Cost.; il carattere integrativo e complementare – rispetto ai tributi propri e alle compartecipazioni al gettito di tributi erariali – del fondo perequativo, di cui all’art. 119, terzo comma, Cost., volto ad assicurare il finanziamento integrale delle funzioni attribuite ai diversi livelli di governo; il carattere sussidiario delle risorse aggiuntive e degli interventi speciali di cui all’art. 119, quinto comma, Cost., finalizzati a costituire ulteriore (anche se straordinaria) garanzia rispetto alla rimozione degli squilibri territoriali [10].
In altre parole, il coordinamento finanziario – come altri istituti della Carta costituzionale inerenti al rapporto tra Stato e autonomie – risponde alle imprescindibili esigenze di mantenere l’unitarietà del sistema di finanza pubblica rispetto alla tutela di interessi di rilievo nazionale e di quelli posti dal diritto dell’Unione europea. In esso, il quadro costituzionale individua quindi uno degli elementi portanti e una sorta di condizione preliminare ai fini: del rendimento della programmazione e gestione delle risorse disponibili; dell’erogazione delle prestazioni pubbliche in base al principio di eguaglianza su tutto il territorio nazionale; del rispetto dei vincoli sovranazionali – e segnatamente di quelli europei – alla politica di bilancio [11].
Tra le norme costituzionali possono quindi rinvenirsi una vasta e articolata gamma di regole e principi espressione, sotto diverso profilo, del coordinamento finanziario, finalizzati a contemperare istanze unitarie e principio autonomistico. Essi si innervano nel quadro costituzionale rispetto al quale – al fine di comprendere l’incidenza del coordinamento della finanza pubblica circa la tenuta del sistema (nonché l’eventuale deroga al riparto di competenze) – è opportuno, in questa sede, richiamare alcuni punti fermi, ribaditi sia dalla dottrina sia dalla giurisprudenza costituzionale.
E’ infatti appena il caso di ricordare che è pienamente affermata la garanzia costituzionale dell’autonomia e responsabilità finanziaria di tutti gli enti territoriali sia sul lato delle entrate sia su quello delle spese, senza rinvio alcuno alla legge della Repubblica (art. 119, primo comma, Cost., contrariamente – come si è visto – al previgente art. 119, primo comma, Cost.). Al riguardo, è stato opportunamente osservato che si tratta di una sfera direttamente delimitata dalla disposizione costituzionale in parola e che non può quindi essere in alcun modo negata [12]. Tale garanzia è contemperata dai principi cooperativi, solidaristici e di perequazione, a più riprese ribaditi dal Titolo V [13].
In secondo luogo, quale elemento pregnante del nuovo assetto delle relazioni intergovernative finanziarie [14], va richiamata la circostanza che l’art. 119 Cost. prevede la piena disponibilità di risorse autonome per tutte le autonomie territoriali (art. 119, secondo comma, Cost.), affermando, nel contempo, la facoltà di stabilire e applicare “tributi ed entrate propri” (art. 119, secondo comma, Cost.). Ne consegue che la legge regionale può entrare a pieno titolo nella legislazione impositiva, pur non essendo sufficientemente chiarito il rapporto con i principi costituzionali del sistema tributario e, in particolare, con l’art. 53 Cost. Sotto questo profilo, uno degli interrogativi che si erano posti all’indomani dell’entrata in vigore del Titolo V – poi risolto in senso affermativo-estensivo dalla Corte costituzionale – era proprio quello relativo alla circostanza e alla misura entro cui i principi posti a fini di coordinamento dalla legge statale fossero idonei a delimitare l’esercizio delle competenze di rilievo tributario attribuite agli enti territoriali.
In terzo luogo, l’art. 119, terzo comma, Cost. riserva alla legge dello Stato la disciplina di un fondo perequativo senza vincolo di destinazione per i “territori con minore capacità fiscale per abitante”. Dal complesso dei mezzi di finanziamento così istituiti per le autonomie territoriali consegue che ciascun ente è chiamato all’autosufficienza finanziaria mediante tre canali: tributi propri; compartecipazione al gettito di tributi erariali riscontrabili sul territorio secondo il criterio della territorialità dell’imposta – principio maggiormente innovativo, sotto il profilo del federalismo fiscale – e risorse derivanti dal fondo perequativo [15]. Le tre componenti devono coprire integralmente le spese che ciascun ente territoriale è chiamato a sostenere, secondo il fondamentale e innovativo principio del finanziamento integrale delle funzioni (art. 119, quarto comma, Cost.). Ne consegue che le risorse aggiuntive e gli interventi speciali previsti dall’art. 119, quinto comma, Cost. per tutti i livelli territoriali di governo, costituiscono risorse straordinarie finalizzate alla promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale e si configurano quali interventi di carattere ulteriore rispetto all’ordinario sistema di finanziamento delle funzioni [16].
In quarto luogo, le disposizioni costituzionali vigenti implicano la necessità di assicurare un proprio patrimonio e un proprio demanio agli enti territoriali “secondo principi generali stabiliti dalla legge dello Stato” e non più – come recitava il vecchio art. 119 Cost. – “secondo le modalità stabilite dalla legge della Repubblica”, connotando, in tal modo, in senso ancor più garantista l’autonomia degli enti territoriali [17].
In quinto luogo, l’art. 119, sesto comma, Cost. implica la facoltà di ricorrere all’indebitamento da parte degli enti territoriali solo per finanziare spese di investimento, con l’esplicita esclusione di qualsiasi forma di garanzia da parte dello Stato sui prestiti da essi contratti (art. 119, sesto comma, Cost.). Inoltre, per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 4, comma 1, lett. b), della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale), tale ricorso è possibile soltanto in caso di contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia comunque complessivamente rispettato l’equilibrio di bilancio.
Il Titolo V si connota infine per la previsione di poteri sostitutivi dello Stato in caso di inadempienza rispetto alle norme di procedura stabilite con legge statale (art. 117, quinto comma, Cost.), o in caso di mancato rispetto di trattati internazionali o della normativa comunitaria, o quando lo richiedano la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica della Repubblica (art. 120, secondo comma, Cost.).
Le disposizioni richiamate, che delineano il quadro di riferimento nel processo di attuazione dell’art. 119 Cost. e – alla luce della scelta del legislatore di muovere dalla finanza e dai tributi [18] – del complessivo Titolo V, forniscono, sotto diverso profilo e a vario titolo, solido ancoraggio costituzionale alla funzione di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.
Da un primo punto di vista, all’autonomia finanziaria predicata per tutti i livelli di governo dall’art. 119, primo comma, Cost., corrisponde una differenziata potestà normativa: potestà legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lett. e), Cost., sul “sistema tributario e contabile dello Stato” e sulla “perequazione delle risorse finanziarie”), potestà concorrente regionale (art. 117, terzo comma, Cost., sull’“armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”) [19] e potestà regolamentare degli enti locali, sia pure con tutti i limiti indicati dalla giurisprudenza costituzionale, la quale ha negato che la disciplina del sistema tributario degli enti locali spetti alla potestà legislativa residuale delle regioni (cfr., ad esempio, sent. n. 296 del 2003). Di conseguenza, viene posta un’esigenza indefettibile di coordinamento da parte del legislatore, in quanto, in ragione della riserva di legge ex art. 23 Cost. – che comporta la necessità di disciplinare a livello legislativo quanto meno le norme di “base” della prestazione [20] – l’effettivo spazio normativo a disposizione della potestà regolamentare degli enti locali sarà fissato dalla legislazione statale e da quella regionale nelle materie di rispettiva competenza.
Analogamente, gli altri principi e norme costituzionali richiamati finiscono per presupporre l’esercizio di funzioni di coordinamento finanziario che vanno ben al di là – come vedremo – dell’ambito materiale delineato dall’art. 117, terzo comma, Cost., richiamandosi ora alle esigenze di unità di sistema che l’attuazione dell’art. 119 Cost. comporta, ora ai poteri sostitutivi e al principio di leale cooperazione.
 
2. La delicata funzione di supplenza assunta dalla Corte costituzionale di fronte all’inattuazione del Titolo V
 
Di fronte a questa scissione tra potestà impositiva propria di ciascun livello di governo e differenziata potestà legislativa, la Corte costituzionale, esercitando in questo come in altri ambiti materiali del Titolo V una delicata funzione di supplenza [21] I, ha individuato, nella legge generale di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, la precondizione per poter procedere all’attuazione del disegno autonomistico (sent. n. 37 del 2004), sottolineando la necessità di estendere i principi di coordinamento all’intero sistema delle autonomie territoriali – anche, sia pure sotto taluni profili e nel rispetto degli Statuti e delle norme di attuazione, in espresso riferimento alle autonomie speciali – al fine di conseguire l’equilibrio unitario della finanza pubblica (ex plurimis, sentt. n. 267 del 2006; n. 179 del 2007; n. 60 del 2013).
In altre parole, nell’inerzia del legislatore, la giurisprudenza costituzionale ha preservato quelle imprescindibili istanze di unità e garantito quella fondamentale funzione di coordinamento, anche al prezzo di comprimere l’autonomia finanziaria e tributaria degli enti territoriali e di avvalorare, in talune circostanze, una concezione “statalista” del coordinamento finanziario, sia sul lato dei poteri tributari sia sul lato dei poteri di spesa (cfr., sotto diversi profili, sentt. n. 296 del 2003; n. 37 del 2004; n. 162 del 2007; n. 102 del 2008; n. 289 del 2008) [22].
A partire dalla sent. n. 37 del 2004, la Corte ha infatti affermato che l’attuazione dell’art. 119 Cost. – e, più in generale, del Titolo V [23] – richiede la necessaria premessa dell’intervento di coordinamento del legislatore statale, il quale, al fine di coordinare l’insieme della finanza pubblica, deve non solo fissare i principi cui i legislatori regionali sono tenuti ad attenersi, ma anche determinare le grandi linee dell’intero sistema tributario, definendo, nel contempo, gli spazi e i limiti entro i quali può esplicarsi la potestà impositiva, rispettivamente, di Stato, Regioni ed enti locali.
La giurisprudenza costituzionale ha quindi sostanzialmente distinto regole di coordinamento della finanza pubblica in senso statico e regole di coordinamento in senso dinamico. Sono riconducibili alla prima categoria quelle regole di coordinamento fissate dalla Costituzione nei rapporti tra Governo e Parlamento, sottratte all’indirizzo di maggioranza o – sul versante dei rapporti tra Stato ed enti territoriali – quelle funzionali ad edificare l’autonomia finanziaria e tributaria degli enti territoriali (se si vuole, il c.d. federalismo fiscale), mediante la determinazione degli ambiti materiali di entrata e di spesa delle autonomie (che la Corte aveva “congelato” rispetto al libero dispiegarsi della potestà concorrente nelle altre materie del titolo V, negando la sussistenza di una potestà legislativa regionale residuale sui tributi degli enti locali, presupponendo – appunto – la previa approvazione della legge generale di coordinamento, in quanto essi risultano “incorporati in un sistema di tributi governato dallo Stato”). Assumono invece i caratteri di regole di coordinamento in senso dinamico quelle mutevoli nel tempo, lasciate alle politiche di maggioranza nei rapporti tra Governo e Parlamento, da un lato, e tra Stato e autonomie, dall’altro. Queste ultime vengono quindi modificate di anno in anno per garantire l’apporto delle autonomie al rispetto degli obiettivi parametrici nel governo dei conti pubblici (si pensi, ad esempio, al patto di stabilità interno o al patto di convergenza istituito dall'art. 18 della legge n. 42 del 2009)[24].
In altre parole, risultano ascrivibili alla prima categoria (coordinamento dinamico) l’insieme delle disposizioni volte ad assicurare l’armonico orientamento di determinate istituzioni verso fini comuni, pur essendo quelle regole stesse finalizzate a mantenere l’autonomia dei soggetti interessati ([25]). Nella fattispecie del coordinamento della finanza pubblica, sembrano riconducibili a questa tipologia le disposizioni sul processo di convergenza delle finanze pubbliche, messo in moto dalle richiamate leggi n. 42 del 2009 e n. 196 del 2009, destinato a mutare nel corso del tempo – generalmente con una periodicità di tipo annuale, essendo definite nella legge finanziaria (ora nella legge di stabilità), anche se le più recenti esperienze di flessibilizzazione del patto di stabilità interno postulano un arco temporale più ampio, per consentire variazioni compensative sia a livello geografico sia intertemporale – al fine di garantire l’adeguamento del sistema finanziario e tributario agli obiettivi previsti in termini di governo dei conti pubblici [26]. Da queste ultime, si distinguono – come si accennava – le regole di coordinamento in senso statico, volte piuttosto ad indicare l’insieme delle disposizioni, generalmente collocate in fonti sovraordinate rispetto alle prime, orientate alla predeterminazione delle sfere materiali di rispettiva spettanza dei soggetti partecipi del coordinamento. Nella fattispecie della finanza e dei tributi, in questo secondo caso si tratta delle disposizioni volte all’individuazione delle tipologie di entrata e degli ambiti di spesa affidati agli enti territoriali – generalmente riconducibili a fonti di rango costituzionale e, ove previste dall’ordinamento, a c.d. leggi organiche – da cui consegue la necessità di dover distinguere le prime dalle seconde non in base al contenuto delle disposizioni, ma in base alle funzioni da esse materialmente svolte [27].
L’orientamento restrittivo della Corte costituzionale – anche sopra richiamato – si spiega, però, proprio alla luce della necessità di compensare il vuoto normativo determinato dalla mancanza della legge generale di coordinamento, sulla base del riconoscimento di inderogabili istanze unitarie valevoli per tutti gli enti territoriali, pur nella compiuta affermazione del principio autonomistico.
Da questo punto di vista, la giurisprudenza costituzionale, pur continuando a distinguere tra principi fondamentali della materia “coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”, da un lato, e principi generali dell’ordinamento, dall’altro, rendendo opponibili al legislatore speciale soltanto questi ultimi (v., ad esempio, sent. n. 102 del 2008), ha comunque riconosciuto, a partire dall’art. 119 Cost., delle istanze di coordinamento finanziario sostanzialmente inderogabili anche da parte delle autonomie speciali (tra le più significative, sentt. n. 179 del 2007; n. 60 del 2013) [28].
Questo approccio appare, tra l’altro, sostanzialmente in linea con il necessario processo di adeguamento dell’ordinamento ai vincoli europei al governo dei conti pubblici posti dal Patto di stabilità, espressamente costituzionalizzati nel Titolo V dall’art. 117, primo comma, Cost., e con le relative regole sul riparto di responsabilità finanziaria tra i diversi livelli di governo, faticosamente introdotte dal patto di stabilità interno e successivamente valorizzate, anche sul piano sanzionatorio, dai poteri sostitutivi e dalla c.d. “procedura di rivalsa”, che consente tra l’altro allo Stato di riaversi sulle autonomie territoriali responsabili di oneri finanziari determinati da inadempimenti degli obblighi comunitari.
Quanto al sistema tributario, la giurisprudenza costituzionale, muovendo dal presupposto che l’art. 117, secondo comma, lett. e), Cost. assuma come oggetto della competenza legislativa esclusiva statale tutta la materia del “sistema tributario dello Stato”, ha riconosciuto alle Regioni una potestà impositiva soltanto in via residuale e di risulta, vale a dire soltanto per istituire tributi regionali propri in senso stretto [29].
Basti pensare a quella giurisprudenza che non consente il dispiegarsi della potestà legislativa regionale concorrente in materia tributaria e di coordinamento finanziario senza una legge che indichi i principi fondamentali della materia (sent. n. 37 del 2004), in deroga rispetto ad un consolidato orientamento della Corte, anche sotto la vigenza del nuovo Titolo V (sent. n. 282 del 2002); o a quella giurisprudenza che tende a respingere le interpretazioni “regionaliste” orientate a riconoscere una potestà legislativa regionale residuale sul sistema tributario degli enti territoriali (sentt. n. 296, n. 297 e n. 311 del 2003) [30]; o, ancora, a quella giurisprudenza che tende ad avvalorare un’interpretazione eccessivamente centralistica del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, con forti limitazioni di spesa agli enti autonomi (v., tra le tante, sent. n. 289 del 2008) [31].
Analogamente, ancora sul lato delle entrate, la Corte costituzionale ha poi vietato ogni doppia imposizione regionale sul medesimo presupposto statale, negando, nel contempo, la legittimità di interventi autonomi delle Regioni sulle basi imponibili e sulle aliquote di tributi stabiliti da leggi statali [32].
 
3. Segue: Il coordinamento della finanza pubblica come clausola trasversale finalizzata a preservare le istanze unitarie
 
All’indomani dell’entrata in vigore del Titolo V, quanto all’individuazione dei principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, è parsa subito difficoltosa e problematica un’interpretazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost. nel senso della discontinuità rispetto al quadro costituzionale previgente. Si allude al tentativo di costruire un sistema fiscale effettivamente decentrato mediante la valorizzazione della potestà legislativa residuale delle Regioni, funzionale a garantire l’autonomia politica degli enti territoriali nelle materie di loro competenza [33].
La giurisprudenza costituzionale ha ben presto rigettato questa impostazione, prediligendo, invece, una piuttosto consolidata linea di continuità rispetto all’interpretazione del quadro costituzionale previgente [34]. E’ ben vero che la Corte, all’indomani dell’entrata in vigore del Titolo V, ha fornito qualche apertura nel senso che si è sopra prospettato, riconoscendo, ad esempio, che la risposta ai quesiti se le leggi regionali impugnate rispettino i limiti della competenza regionale, ovvero eccedano dai medesimi, “deve oggi muovere – nel quadro del nuovo sistema di riparto della potestà legislativa risultante dalla riforma del titolo V, parte II, della Costituzione, realizzata con la legge costituzionale n. 3 del 2001 – non tanto dalla ricerca di uno specifico titolo costituzionale di legittimazione dell’intervento regionale, quanto, al contrario, dalla indagine sull’esistenza di riserve, esclusive o parziali, di competenza statale” (sent. n. 282 del 2002, “Considerato in diritto”, n. 3).
Ben presto, però, il Giudice delle leggi – come si accennava nel paragrafo precedente [35] – ha mutato orientamento circa l’interpretazione del principio del rovesciamento dell’enumerazione delle competenze [36], ravvisando – profilo che maggiormente rileva nella prospettiva del presente contributo – nella legge di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario la condizione preliminare ai fini dell’attuazione dell’art. 119 Cost. e dell’intero Titolo V.
Come per la difficoltosa individuazione dei principi fondamentali nelle materie di potestà legislativa concorrente, espressione di rilevanti istanze unitarie insuscettibili di frazionamento [37], a fortiori per il coordinamento della finanza pubblica la Corte costituzionale si è trovata di fronte a vincoli e limiti opponibili all’intera finanza pubblica in connessione ad istanze di carattere unitario. Ciò ha favorito quella interpretazione finalistica ed espansiva che ne ha fatto una vera e propria materia trasversale nelle competenze concorrenti [38]. In effetti, come vedremo, secondo la giurisprudenza costituzionale, l’azione di coordinamento della finanza pubblica del legislatore statale presuppone che sia ad esso ascrivibile non soltanto l’individuazione delle norme fondamentali che reggono la materia, ma altresì la determinazione dei poteri puntuali necessari perché la finalità di coordinamento possa essere concretamente realizzata (tra le tante, sent. n. 376 del 2003) [39].
Tuttavia, anche senza anticipare gli effetti della giurisprudenza costituzionale, già il diritto positivo sembra segnare presupposti espansivi per la funzione di coordinamento della finanza pubblica [40]. Si pensi alla riserva di legge posta dall’art. 119, secondo comma, Cost., la quale impone che il coordinamento finanziario sia legificato, non potendo quindi lo Stato esercitare tale funzione mediante atti amministrativi privi di esplicito fondamento legislativo o comunque non sufficientemente circoscritti nella loro discrezionalità dalla legge stessa. L'esercizio di forme di coordinamento finanziario da parte dello Stato trova quindi un duplice radicamento costituzionale: non soltanto nell’art. 117, terzo comma, Cost., ma anche nell’art. 119 Cost., ben potendo il legislatore statale – proprio in virtù della richiamata riserva di legge – procedere all’individuazione di principi che disciplinano il sistema finanziario della Repubblica [41].
Tutto ciò – come risulta dall’analisi della giurisprudenza costituzionale [42] – finisce per postulare spazi ulteriori per il legislatore statale, il quale acquista la possibilità di utilizzare le tecniche di interferenza e di parziale sovrapposizione rispetto ad ambiti materiali riconducibili alla potestà legislativa regionale secondo quella “concorrenza delle competenze”, largamente avallata dalla giurisprudenza della Corte, specie quando non si impone il carattere di prevalenza di una determinata materia (ex plurimis, dalla sent. n. 370 del 2003 alla sent. n. 278 del 2010). In questa prospettiva, il coordinamento finanziario può esplicarsi non soltanto attraverso la predisposizione di vincoli, ma anche di vere e proprie limitazioni frapposte allo svolgimento dell’autonomia finanziaria, allorché si tratti di determinare il bilancio degli enti territoriali sia nel suo complesso, sia nel rapporto tra entrate e spese, sia nelle singole voci che lo compongono [43].
Non va poi trascurato che – specie negli ultimi anni e in particolare di fronte ai rinnovati vincoli posti dal diritto dell’Unione europea, anche in reazione alla crisi economico-finanziaria [44] – mediante l’esercizio della funzione di coordinamento della finanza pubblica il legislatore statale assicura anche la coerente trasposizione, sul piano interno, dei vincoli europei al governo dei conti pubblici, rendendoli pienamente operanti per la finanza del sistema delle autonomie territoriali. Tale approccio è stato ampiamente corroborato dalla giurisprudenza costituzionale, sulla scorta degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., e successivamente ribadito dalla legge costituzionale n. 1 del 2012 mediante la revisione non soltanto dell’art. 81 Cost., ma anche dell’art. 119 Cost., e – soprattutto – per effetto del comma premesso all’art. 97 Cost., il quale prevede che tutte le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurino l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico [45].
Sotto il profilo da ultimo richiamato, è indubbio che il coordinamento finanziario svolga anche una funzione di intermediazione, trasposizione e di vera e propria concretizzazione dei vincoli e degli impegni assunti in sede internazionale dall’Italia [46]. Ne consegue che non può non individuarsi un fascio di interessi statuali, che sembrano innervare l’esercizio della suddetta funzione, confermando in tal modo l’impressione che non si tratti di una semplice competenza legislativa concorrente; ciò, tra l’altro, per due ragioni: se così fosse, la competenza amministrativa e regolamentare spetterebbe alle Regioni; in secondo luogo, la Corte costituzionale non avrebbe individuato – come invece si è visto sin dalle prime pronunce sull’art. 119 Cost. – un regime differenziato per i principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica rispetto a quelli delle materie di potestà concorrente [47].
In definitiva, il quadro che emerge dal diritto positivo sembrerebbe pertanto ascrivere al coordinamento della finanza pubblica un complesso di attività di carattere legislativo, regolamentare e amministrativo rivolte a rendere effettivi i fini del coordinamento finanziario stesso, seppure nel rispetto dei limiti della riserva di legge e del principio di legalità (artt. 23 e 53 Cost.).
Il ruolo dello Stato va quindi contemperato con quello delle autonomie nello svolgimento di tali attività, nel rispetto reciproco delle sfere di competenza alla luce dei canoni di leale cooperazione e del principio di sussidiarietà.
In questa prospettiva – come si accennava al paragrafo precedente [48] – possiamo quindi individuare alcune linee direttrici mediante le quali il legislatore statale esercita la funzione di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.
Una prima funzione – quella che, come abbiamo visto, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale, può definirsi coordinamento in senso statico – è finalizzata a porre i principi fondamentali di coordinamento, per i quali – sin dalle prime sentenze della Corte costituzionale sull’art. 119 Cost. – è previsto un regime differenziato dai principi fondamentali delle altre materie. In questo modo, il Giudice delle leggi ha fornito un contributo decisivo a definire e stabilizzare gli ambiti materiali di entrata e di spesa degli enti territoriali, in quanto tali meritevoli di essere disciplinati in Costituzione o nelle leggi ordinamentali di riforma (come la legge n. 42 del 2009), su cui edificare il c.d. federalismo fiscale. Tale funzione si esprime nella determinazione delle regole fondamentali del sistema di finanza pubblica nazionale, poste in parte in Costituzione, in parte nella legge di contabilità (legge n. 196 del 2009 e legge n. 39 del 2011) e nella legge n. 42 del 2009 sul c.d. federalismo fiscale (nonché nei relativi decreti legislativi attuativi), a cui si aggiunge il rispetto dei principi di leale cooperazione mediante il sistema delle Conferenze.
Una seconda direttrice inerente all’esercizio della funzione di coordinamento finanziario del legislatore statale – che la Corte costituzionale ha distinto in termini dinamici, poi “ripresi” anche nel diritto positivo, ad esempio con il c.d. “patto di convergenza” previsto dall’art. 18 della legge n. 42 del 2009 – si esprime invece nella determinazione di regole di coordinamento mutevoli nel tempo, che definiscono l’apporto quantitativo e qualitativo delle autonomie territoriali al mantenimento dei vincoli al governo dei conti pubblici: dal rispetto dei saldi di finanza pubblica determinati sulla base degli obiettivi parametrici concordati in sede europea, al patto di stabilità interno, al patto di convergenza. Da questo punto di vista, il coordinamento finanziario si traduce in specifici limiti cui sono assoggettate le autonomie territoriali, rispetto ai quali il sistema delle Conferenze – specie negli ultimi anni, sotto la spinta della crisi e della rinnovata configurazione dei vincoli europei al governo dei conti pubblici – è parso piuttosto marginale. Non è un caso che, come vedremo, nella giurisprudenza costituzionale il coordinamento della finanza pubblica assuma caratteri sempre più ampli e pervasivi, soprattutto sotto il profilo dell’integrazione del parametro nel giudizio di costituzionalità. La Corte rende infatti spesso opponibili alle Regioni vincoli e limiti posti da norme di coordinamento della finanza pubblica aventi carattere di dettaglio per il legislatore statale e, nel contempo, di principio per quello regionale, prescindendo, talvolta, anche dagli istituti cooperativi [49]. Ne consegue che, quantomeno sotto taluni profili, le Regioni risultano da un lato marginalizzate nella fase di elaborazione e predisposizione dei suddetti vincoli (per effetto dell’esautorazione del sistema delle Conferenze), e, dall’altro, non sempre adeguatamente tutelate nel controllo di costituzionalità (per effetto dell’estensione e integrazione del parametro di giudizio mediante le norme di coordinamento della finanza pubblica).
A queste linee direttrici del coordinamento finanziario, se ne aggiunge una terza, di matrice ancor più marcatamente centralista, che il legislatore statale ha sviluppato predisponendo meccanismi di reazione alle disfunzioni della finanza decentrata rispetto alle regole di sistema e ai vincoli posti a fini di coordinamento [50]. Basti pensare a quel complesso di procedimenti in cui la funzione di coordinamento della finanza pubblica si intreccia con la rinnovata disciplina di controlli sulla regolarità dei conti pubblici, la verifica del rispetto del patto di stabilità interno, l’obbligo di copertura e la sostenibilità della spesa e dell'indebitamento degli enti territoriali – da ultimo, con il decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213. Si pensi ancora ai procedimenti di rientro dal disavanzo sanitario delle Regioni, o ai meccanismi sanzionatori e premiali, previsti dal decreto legislativo 6 giugno 2011, n. 149 (Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42), peraltro dichiarati parzialmente incostituzionali con la sentenza n. 219 del 2013; o alle ulteriori misure spesso contenute in decreti-legge intervenuti in materia di governo dell’economia, volte a determinare parametri su cui misurare la virtuosità degli enti territoriali e quindi la loro facoltà di fruire di misure premiali in termini di benefici redistributivi o fiscali (che hanno superato indenni lo scrutinio di costituzionalità della Corte: cfr. sent. n. 8 del 2013). Si pensi, infine, alla vasta gamma dei poteri sostitutivi, più volte “legittimati” dalla stessa Corte costituzionale [51].
Si tratta spesso di provvedimenti espressione dell’esercizio di una funzione di coordinamento che non si caratterizza per chiarezza e sistematicità, in cui l’esercizio del coordinamento finanziario si intreccia con funzioni di controllo e con il ricorso ai poteri sostitutivi [52].
Alla luce del quadro così richiamato, possono quindi trarsi alcune prime sommarie considerazioni in ordine all’esercizio di questa complessa funzione mediante la quale lo Stato pone un’articolata tipologia di vincoli e limiti di coordinamento finanziario alle autonomie territoriali. Questi ultimi sono stati anzitutto determinati in via legislativa dallo Stato con uno scarso contributo delle autonomie territoriali. In secondo luogo, tali principi sono stati frazionati in una pluralità di normative di vario tipo: anzitutto, in riforme di tipo ordinamentale, vale a dire in leggi di sistema (come, ad esempio, la legge n. 42 del 2009, sul c.d. federalismo fiscale); in secondo luogo, in una pluralità di interventi di carattere settoriale, che hanno posto limiti qualitativi e quantitativi al governo dei conti pubblici anche per gli enti territoriali – sia pure sotto forma di percentuali e di “tetti” di spesa, che le Regioni sono tenute ad osservare – che vengono modificati nel corso del tempo e che quindi paiono privi di organicità e di stabilità. In definitiva, alla luce della diversificata tipologia degli interventi di coordinamento della finanza pubblica posti in essere dal legislatore statale sembrano proprio mancare quelle regole di coordinamento in senso statico – per riprendere la definizione presupposta anche dalla giurisprudenza costituzionale – su cui edificare il federalismo fiscale, prevalendo invece quelle regole di coordinamento in senso dinamico, funzionali a conseguire obiettivi “congiunturali” di coordinamento dei conti pubblici mutevoli nel tempo.
 
4.  Il (decisivo) contributo della giurisprudenza costituzionale
 
Il contributo della giurisprudenza costituzionale alla determinazione dei principi di coordinamento della finanza pubblica passa anzitutto – come si è visto – per l’affermazione di quelle inderogabili istanze unitarie, che giustificano – nella fase immediatamente successiva alla riforma del Titolo V – orientamenti restrittivi sull’autonomia finanziaria e tributaria degli enti territoriali, in ragione della necessità di compensare la mancanza della legge generale di coordinamento e di attuazione dell’art. 119 Cost.
Basti richiamare ancora quella giurisprudenza che non consente il dispiegarsi della potestà legislativa regionale concorrente in materia tributaria e di coordinamento finanziario senza una legge che indichi i principi fondamentali della materia (sent. n. 37 del 2004), apparentemente in deroga rispetto ad un consolidato orientamento della Corte stessa sotto la vigenza sia del vecchio sia del nuovo titolo V (sent. n. 282 del 2002). Una giurisprudenza, quest’ultima, che, in realtà, ben può essere chiarita in quanto la Corte afferma di non poter desumere principi fondamentali del sistema tributario dalla legislazione vigente, atteso che essi risultano “incorporati”, per così dire, “in un sistema di tributi sostanzialmente governati dallo Stato” (sent. n. 37 del 2004). In tal modo, viene posto un regime differenziato per i principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario rispetto a quelli delle materie di potestà concorrente, in quanto i primi sono riconducibili a più pregnanti istanze unitarie, al di là, cioè, della costituzionalmente necessaria determinazione di principi fondamentali nelle materie di potestà concorrente.
Si pensi ancora a quella giurisprudenza che tende a respingere le interpretazioni “regionaliste” orientate a riconoscere una potestà legislativa residuale sul sistema tributario degli enti territoriali (sentt. n. 296, n. 297 e n. 311 del 2003) [53], o a quella giurisprudenza che tende ad avvalorare un’interpretazione eccessivamente centralistica del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, con forti limitazioni di spesa agli enti autonomi, anche in riferimento all’impiego di risorse proprie (sent. n. 289 del 2008), giudicando conformi a Costituzione – proprio in quanto riconducibili ai principi di coordinamento della finanza pubblica – disposizioni dettate dal legislatore statale (prevalentemente in leggi finanziarie e, ora, in leggi di stabilità) incidenti in modo penetrante sull’autonomia finanziaria degli enti territoriali, spesso configurandole come riflesso del necessario coordinamento finanziario degli enti autonomi sotto la spinta dei vincoli europei (sentt. n. 4, n. 17 e n. 36 del 2004). Al riguardo, si pensi alle diverse declinazioni del patto di stabilità interno che si sono susseguite del 1998 – anno in cui è stato, per la prima volta, previsto l’istituto – ad oggi [54]: al di là delle diverse formulazioni, può comunque osservarsi che un conto è l’individuazione del limite massimo all’entità dei disavanzi, coerente con i vincoli imposti dal patto di stabilità europeo; un altro conto sono i limiti alla crescita di determinati comparti di spesa corrente rispetto al precedente esercizio finanziario, oltre ad altre misure a vario titolo ancor più restrittive [55], specie di recente introdotte mediante un largo ricorso alla decretazione d’urgenza. In quest'ultimo caso, l’invocazione dei vincoli europei rischia infatti di risolversi in un pretesto per coprire un improprio recupero della discrezionalità del legislatore statale, spesso funzionale a fronteggiare oneri finanziari che derivano da livelli di governo superiori, determinando, in tal modo, un illegittimo utilizzo del potere impositivo degli enti territoriali semplicemente per “fare cassa”, in contrasto con il principio autonomistico [56].
La Corte costituzionale, sin dalle prime sentenze rese all’indomani dell’entrata in vigore del Titolo V, ha costantemente ricondotto le disposizioni dettate dal legislatore statale – volte al contenimento della spesa corrente – alle finalità di coordinamento della finanza pubblica (sentt. n. 4 e 36 del 2004 e n. 417 del 2005), riconoscendo che “il legislatore statale può legittimamente imporre alle Regioni vincoli di bilancio – anche se questi ultimi vengono indirettamente ad incidere sull’autonomia regionale di spesa – per ragioni di coordinamento finanziario volte a salvaguardare, proprio attraverso il coordinamento della spesa corrente, l’equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva, in connessione con il perseguimento di obiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi comunitari” (sentt. n. 139 e n. 237 del 2009; n. 52 del 2010). Ciò in virtù dell’assunto in base al quale “non può dubitarsi che la finanza delle Regioni, delle Province autonome e degli enti locali sia parte della finanza pubblica allargata” (sentt. n. 425 del 2004 e n. 267 del 2006), ancor più rilevante alla luce della configurazione dei vincoli posti dal diritto dell’Unione europea (da ultimo, sent. n. 60 del 2013).
La giurisprudenza costituzionale ha però contestualmente precisato, sin dalle prime sentenze in materia, che il legislatore statale può stabilire solo un limite complessivo che lasci agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse tra i diversi ambiti e obiettivi di spesa (sentt. n. 36 del 2004 e n. 417 del 2005), mentre non può fissare limiti puntuali relativi a singole voci di spesa, vincolando Regioni e Province autonome all’adozione di misure analitiche e di dettaglio, perché verrebbe a comprimere illegittimamente la loro autonomia finanziaria, esorbitando dal compito di formulare i soli principi fondamentali della materia (sentt. n. 36 del 2004; n. 417 del 2005; n. 169 del 2007; n. 120 e n. 159 del 2008; n. 237 del 2009).
In particolare, tra il 2004 e il 2005, la Corte costituzionale ha ulteriormente delimitato l’ambito dei principi di coordinamento della finanza pubblica, affermando, anzitutto, che non sono riconducibili a tale categoria disposizioni che fissino vincoli puntuali relativi a singole voci di spesa dei bilanci delle regioni e degli enti locali, in quanto, in tal caso, esse finirebbero per ledere l’autonomia finanziaria di spesa delle autonomie territoriali garantita dall’art. 119 Cost. (ex plurimis, sent. n. 417 del 2005).
In secondo luogo, la giurisprudenza costituzionale ha precisato che il legislatore statale può legittimamente imporre agli enti autonomi vincoli alle politiche di bilancio, ancorché si traducano, inevitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti, ma solo, con “disciplina di principio”, “per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari” (sentt. n. 376 del 2003; n. 4, n. 36 e n. 390 del 2004).
In terzo luogo, il Giudice delle leggi ha affermato che perché detti vincoli possano considerarsi rispettosi dell'autonomia delle Regioni e degli enti locali debbono avere ad oggetto o l'entità del disavanzo di parte corrente oppure – ma solo “in via transitoria ed in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale” – la crescita della spesa corrente degli enti autonomi; in altri termini, la legge statale può stabilire solo un “limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa” (sentt. n. 36 del 2004 e n. 417 del 2005).
La Corte costituzionale ha infine concluso che la previsione da parte della legge statale di limiti all’entità di una singola voce di spesa non può essere considerata un principio fondamentale in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica, perché pone un precetto specifico e puntuale sull’entità della spesa e si risolve perciò “in una indebita invasione, da parte della legge statale, dell’area [...] riservata alle autonomie regionali e degli enti locali, alle quali la legge statale può prescrivere criteri [...] ed obiettivi (ad esempio, contenimento della spesa pubblica), ma non imporre nel dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi” (sentt. n. 390 del 2004 e n. 417 del 2005).
Muovendo da questi presupposti, la Corte ha successivamente precisato che possono qualificarsi come principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica anche norme statali che fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti locali alla seguente duplice condizione: qualora si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi anche nel senso di un transitorio contenimento complessivo, sebbene non generale, della spesa corrente; qualora non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi (sentt. n. 88 del 2006; n. 169 e n. 412 del 2007; n. 120 e n. 289 del 2008; n. 139, n. 237 e n. 297 del 2009; n. 326 del 2010 e n. 232 del 2011).
In riferimento alle pronunce da ultimo richiamate – in particolare a decorrere dal 2006 – l’impressione è che il Giudice delle leggi abbia quindi progressivamente portato a compiuta maturazione le potenzialità insiste nell’interpretazione espansiva dei principi di coordinamento della finanza pubblica, giudicando conformi a Costituzione dapprima soltanto limitazioni previste in via transitoria e temporanea all’entità complessiva delle spese correnti, e, successivamente vincoli sempre più articolati [57]. In un crescendo costante, la Corte costituzionale ha infatti affermato che sono consentite limitazioni all’ammontare complessivo delle spese di personale (set. n. 169 del 2007), qualificando poi, ad esempio, principi di coordinamento le disposizioni che prescrivono riduzioni dei componenti di consigli di amministrazione di enti dipendenti (sent. n. 139 del 2009), nonché ulteriori misure dettagliate di contenimento della spesa (v., ad esempio, sent. n. 297 del 2009) [58].
In effetti, i criteri elaborati dal Giudice delle leggi al fine di contenere l’estensione delle disposizioni di principio sul coordinamento della finanza pubblica non sono parsi di particolare efficacia: basti richiamare il tentativo di distinguere tra obiettivi di coordinamento della finanza pubblica, da un lato, e mezzi di coordinamento della finanza pubblica dall'altro. In talune pronunce, la Corte ha infatti rilevato soltanto nelle disposizioni di determinazione dei primi norme di principio (v., ad esempio, sent. n. 139 del 2009), quando, in realtà, la stessa distinzione proposta finisce per essere opinabile, in quanto “ciascuna misura si atteggia, al contempo, come obiettivo, delle misure più dettagliate che ne costituiscono i mezzi, e come mezzo, essa stessa, delle misure di minor dettaglio che ne costituiscono gli obiettivi” [59].
Né, agli stessi fini, è toccata miglior sorte allo scrutinio di costituzionalità delle disposizioni c.d. di autoqualificazione di principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica. Infatti, da un lato, a fronte dell’impressionante ricorso del legislatore a disposizioni autoqualificanti il proprio contenuto normativo come norme di principio, nel palese tentativo di ricondurre alla materia “coordinamento della finanza pubblica” articolate discipline normative dettate in corpose manovre finanziarie o in decreti-legge dai contenuti largamente eterogenei – come strumento privilegiato di indirizzo della spesa degli enti territoriali [60] –, la Corte ha comunque negato che la richiamata autoqualificazione normativa possa avere rilievo alcuno nell’individuazione degli stessi principi di coordinamento (ex plurimis, sentt. n. 159 del 2008; n. 139 del 2009; n. 52 del 2010). Dall’altro, però, a tale orientamento non è conseguita una limitazione dell’invasività della legislazione statale c.d. di principio, che si è invece spesso posta ai limiti del dettaglio. Sotto questo profilo, il Giudice delle leggi si è infatti preservato un ampio margine di intervento nell’individuazione dei principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, affermando costantemente che è ben possibile estrapolarli nella legislazione statale, a prescindere dall’autoqualificazione normativa dettata dal legislatore stesso. Al riguardo, appare di particolare rilievo, tra le tante, la sentenza n. 52 del 2010, nella quale la Corte afferma non rilevare l’autoqualificazione normativa, essendo i principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica individuati a prescindere da quanto previsto dal legislatore statale.
Tanto più nella fase successiva all’avvio del processo di attuazione dell’art. 119 Cost. e alla legge n. 42 del 2009, la Corte costituzionale ha quindi avvalorato una nozione ancora più ampia di coordinamento della finanza pubblica decentrata, ribadendo costantemente che esso è volto ad assicurare “l’equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva, in connessione con il perseguimento di obiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi comunitari” (sentt. n. 237 del 2009; n. 52 del 2010), vieppiù alla luce del parametro dell’unità economica della Repubblica (sentt. n. 78 del 2011; n. 28, n. 51, n. 79 e n. 104 del 2013) [61].
Nell’analisi di questa più recente giurisprudenza, muoverei da alcuni dati quantitativi.
Va anzitutto rilevato il costante incremento delle delibere governative di impugnazione di leggi regionali per la violazione di competenze statali in materia di coordinamento della finanza pubblica[62]. Dal 2001 al 2007 se ne contano soltanto 8. Dal 2008 al 2013 sono ormai oltre 50, tenendo comunque presente che la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. è spesso invocata assieme ad altri parametri. Al riguardo, va in particolare ricordato che, dal 2012, assume notevole rilievo quantitativo e qualitativo la violazione dell’art. 81, quarto comma, Cost., in relazione ad impugnative di leggi regionali per mancato rispetto dell’obbligo di copertura finanziaria.
Il provvedimento spartiacque che segna l’incremento di tale contenzioso costituzionale è indubbiamente rappresentato dal decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), il primo di una lunga serie di decreti-legge anticrisi che intervengono, a vario titolo, in materia di governo dell'economia e dei conti pubblici. Essi segnano, sotto la spinta della crisi economico-finanziaria e della rinnovata configurazione dei vincoli europei, quanto ai rapporti tra Governo e Parlamento, la costante anticipazione nei tempi e nei contenuti della manovra di bilancio [63] – nonché il rovesciamento, in via di prassi, delle regole del diritto parlamentare scritto [64] – e, quanto al sistema delle autonomie, l’attenuazione – se non in certi casi la neutralizzazione – dei meccanismi cooperativi, a partire dal sistema delle Conferenze [65].
Si tratta di provvedimenti significativi nel processo di ridefinizione dei principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, specie alla luce dell’interpretazione fornitane dalla Corte costituzionale. Tali decreti-legge, infatti, da un lato superano indenni lo scrutinio di costituzionalità, quando vengono impugnati dalle Regioni per violazione della competenza concorrente di coordinamento della finanza pubblica, e, dall’altro, segnano un consistente ampliamento delle norme interposte invocabili dallo Stato nei giudizi di costituzionalità aventi ad oggetto leggi regionali.
La richiamata tendenza all’abuso della decretazione d’urgenza di fronte alla crisi economico-finanziaria – successivamente culminata nei decreti-legge delle “manovre” estive del 2011 adottati dal quarto Governo Berlusconi e poi ulteriormente consolidatasi con i provvedimenti del Governo Monti [66] – mostra che il legislatore è il primo responsabile della deroga, in senso centralistico, dei principi originariamente enucleati dalla giurisprudenza costituzionale sulle modalità di esercizio del coordinamento della finanza pubblica. La Corte costituzionale, però, non tarda a giustificarlo.
Anzitutto, nel determinare i principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica – soprattutto nella fase più recente, a partire dal decreto-legge n. 78 del 2010 –, il Giudice delle leggi viene anzitutto a confermare il criterio originariamente elaborato in base al quale non rileva tanto l’ambito materiale a cui è riconducibile la norma statale, privilegiando piuttosto un criterio teleologico e ritenendo conseguentemente che una disposizione statale di principio in tema di coordinamento della finanza pubblica ben possa incidere sulla materia dell’organizzazione e del funzionamento della Regione o su altre materie di potestà legislativa regionale residuale (sentt. n. 2 del 2004; n. 274 del 2003; n. 188 del 2007; n. 159 del 2008; n. 237 del 2009).
Di qui, la costante integrazione del parametro, specie nella giurisprudenza costituzionale dell’ultimo triennio, in giudizi che vedono spesso lo Stato invocare la violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., in riferimento alle numerose norme interposte che, a vario titolo, impongono alle Regioni vincoli e limiti al governo dei conti pubblici.
Il decreto-legge n. 78 del 2010 segna infatti il momento cruciale di questa giurisprudenza, venendo a costituire l’oggetto prima e la fonte da cui sono tratte norme interposte poi nei giudizi di costituzionalità che ridefiniscono il coordinamento della finanza pubblica nell’ultimo triennio. E’ anzitutto oggetto di numerose impugnative regionali risolte con pronunce di infondatezza, con le quali la Corte afferma il legislatore statale può agire direttamente sulle proprie amministrazioni con norme puntuali di contenimento della spesa e, nel contempo, qualifica le stesse norme come principi di coordinamento della finanza pubblica opponibili al legislatore regionale a condizione che consentano libertà di allocazione delle risorse, sia pure entro “tetti” di spesa stabiliti in percentuale rispetto all’esercizio finanziario precedente dell’ente territoriale.
In questo primo filone della giurisprudenza della Corte, va anzitutto menzionata la sentenza n. 139 del 2012, di infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale di alcune disposizioni dell’art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010, che pongono, sotto diverso profilo, vincoli e limiti alla spesa delle Regioni. Rileva infatti la Corte che si tratta di una disciplina di principio, che impone vincoli e limiti complessivi al legislatore regionale sotto forma di “tetti” di spesa stabiliti appunto in percentuale rispetto alla spesa dell’anno precedente, che le amministrazioni regionali sono tenute ad osservare, ma entro i quali esse mantengono libertà di allocazione delle risorse. Analogamente, ad esempio, con la sentenza n. 173 del 2012, il Giudice delle leggi, nel rigettare le questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto l’art. 9, comma 28, dello stesso decreto-legge n. 78 del 2010, qualifica la norma impugnata come principio di coordinamento della finanza pubblica, atteso che essa fissa la percentuale di riduzione del 50 per cento della spesa complessiva rispetto a quella sostenuta nell’anno precedente (2009) per i contratti del personale a tempo determinato, ferma restando la facoltà dell’amministrazione regionale di riallocare le risorse entro il “tetto” previsto.
Nel contempo, lo stesso decreto-legge n. 78 del 2010 è fonte da cui si desumono norme interposte nei giudizi promossi dallo Stato aventi ad oggetto leggi regionali, che sono spesso definiti con dichiarazioni di incostituzionalità per il superamento dei richiamati limiti di spesa. Basti richiamare, al riguardo, la sentenza n. 182 del 2011, che dichiara l’incostituzionalità di disposizioni di legge regionale per superamento del limite di spesa fissato in percentuale rispetto all’anno precedente, in quanto l’art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010 non intende imporre alle Regioni l’osservanza puntuale ed incondizionata dei singoli precetti di cui si compone e può considerarsi espressione di un principio fondamentale della finanza pubblica in quanto stabilisce, rispetto a specifiche voci di spesa, limiti puntuali che si applicano integralmente allo Stato, mentre vincola le Regioni, le Province autonome e gli enti del Servizio sanitario nazionale solo come limite complessivo di spesa. Questa conclusione della Corte si fonda sulla possibilità di effettuare una duplice operazione logico-giuridica: in primo luogo, l’art. 6 citato consente un processo di induzione che, partendo da un apprezzamento non atomistico, ma globale, dei precetti in gioco, conduce all’isolamento di un principio comune; in secondo luogo, siffatto principio è idoneo al compito inverso di dedurre da esso, in modo consequenziale, ma adeguato a preservare la discrezionalità del legislatore regionale, una diversificata normativa di dettaglio.
Analogamente, rientrano, ad esempio, in questo secondo filone della giurisprudenza costituzionale le sentenze n. 161 del 2012 e n. 211 del 2012, con le quali la Corte dichiara l’incostituzionalità di disposizioni di legge regionale per violazione della norma interposta costituita dall’art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010. Quest’ultimo viene infatti a porre vincoli, sotto forma di percentuali prestabilite, a numerose voci di spesa dei bilanci delle amministrazioni statali, stabilendo altresì, al comma 20, che le singole disposizioni con cui tali tagli sono stati indicati nel corpo dello stesso art. 6 costituiscono principi di coordinamento della finanza pubblica per Regioni.
Guardando al contenzioso complessivo che si è sviluppato in materia davanti alla Corte costituzionale – circoscrivendo la presente analisi alle impugnative statali dell’ultimo triennio –, le delibere di impugnazione avverso leggi regionali aventi quale parametro l’art. 117, terzo comma, Cost. (coordinamento della finanza pubblica), possono fondamentalmente articolarsi in quattro distinti filoni. Il primo esprime l’intento dello Stato di limitare – a vario titolo e sotto diverso profilo – la spesa corrente delle Regioni, con particolare riferimento alla spesa per il personale e con riflessi anche sugli ambiti organizzativi. Un secondo gruppo di impugnative – peraltro in costante incremento – persegue l’obiettivo di attribuire carattere vincolante agli accordi sui piani di rientro dal disavanzo in materia sanitaria. In terzo luogo, i ricorsi dello Stato sono orientati ad assicurare il rispetto dell’obbligo di copertura delle leggi regionali: da questo punto di vista, l’invocazione delle richiamate norme interposte si riferisce all’art. 81, quarto comma, Cost., oltre che all’art. 117, terzo comma, Cost. Va infine segnalato un quarto gruppo di impugnative – che si è costantemente sviluppato dal 2012 – caratterizzato dalla volontà dello Stato di assicurare il rispetto della veridicità e dell’attendibilità delle leggi regionali di bilancio, nonché di assecondare il processo di armonizzazione dei bilanci degli enti territoriali posto in essere dalla legge n. 42 del 2009 sul c.d. federalismo fiscale e dai decreti legislativi intervenuti in materia: decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 91 (Disposizioni recanti attuazione dell'articolo 2 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, in materia di adeguamento ed armonizzazione dei sistemi contabili) e decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42). Questi ultimi, infatti, nella prospettiva richiamata, vengono talora invocati dal ricorrente come svolgimento dei principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica.
Sotto quest’ultimo profilo, è infatti appena il caso di ricordare che uno dei nodi ancora irrisolti nel processo di attuazione dell'art. 119 Cost. e del federalismo fiscale è costituito dall’istituzione di strumenti di misurazione e di informazione dei dati finanziari e tributari che siano effettivamente omogenei tra i diversi livelli territoriali di governo, in grado di garantire un adeguato grado di trasparenza in merito ai processi di prelievo e di trasferimento di risorse finanziarie [67]. Ciò mi pare una premessa indispensabile ai fini del conseguimento del pieno coordinamento della finanza pubblica, in grado di garantire un adeguato livello di trasparenza in merito ai processi di prelievo e di trasferimento di risorse finanziarie [68], che veda – soprattutto – forme di raccordo anche con il Parlamento e con i Consigli regionali, senza rimanere appannaggio esclusivo del Ministero dell’economia e degli organi di raccordo degli Esecutivi [69]. Quanto, poi, all’effettiva armonizzazione dei bilanci, nei lavori della Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale, istituita dall’art. 4 della legge n. 42 del 2009 e nei decreti legislativi sull’armonizzazione dei bilanci pubblici – sopra richiamati – è prevalsa la prospettiva dell’introduzione di schemi di bilancio unici per tutti i diversi enti territoriali, a mio parere di dubbia conformità al principio autonomistico. Quest’ultimo dovrebbe infatti indurre ad individuare nel bilancio dell’ente territoriale uno strumento non soltanto di rappresentazione delle grandezze contabili, ma anche di realizzazione delle politiche pubbliche, postulando conseguentemente un residuo margine di scelta dell’ente territoriale nello schema di redazione del bilancio stesso, pur dovendo comunque assicurare sistemi di raccordo tra i diversi livelli territoriali di governo in grado di garantire la coerenza con i vincoli posti dal diritto dell’Unione e con il sistema di contabilità europeo [70].
 
5. Segue: gli esiti del contenzioso davanti alla Corte costituzionale e l'ulteriore espansione dei principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica
 
Veniamo agli esiti di questo contenzioso, che si è sviluppato soprattutto nell’arco dell’ultimo triennio, alimentando articolati filoni della giurisprudenza costituzionale.
Un primo filone, relativo al coordinamento della finanza pubblica, riguarda la limitazione della spesa corrente delle Regioni. Nell’ambito dei sopra richiamati orientamenti circa l’individuazione di principi di coordinamento della finanza pubblica, la giurisprudenza costituzionale più recente ha così potuto rendere opponibili al legislatore regionale vincoli concreti e puntuali qualificati come principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica. Ciò è, ad esempio, accaduto – a conferma di come la questione del personale sia centrale nell'attuazione di ogni disegno autonomistico [71] – in materia di procedure di stabilizzazione di dipendenti pubblici, previste appunto sotto forma di vincoli da numerose disposizioni contenute in decreti-legge intervenuti in tema di governo dell'economia (“sviluppo economico”; “provvedimenti anticrisi”; “disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria”). Questi ultimi si susseguono dal 2010 ad oggi, esprimendo tanto corposi quanto disomogenei interventi sulle finanze pubbliche, sull'economia nazionale, sull'organizzazione fiscale e sui procedimenti amministrativi nei settori più disparati delle pubbliche amministrazioni. La Corte costituzionale ha rinvenuto in disposizioni contenute in questi decreti-legge norme interposte finalizzate al contenimento della spesa pubblica in uno specifico settore – quello appunto del personale – che costituiscono principi fondamentali di coordinamento, in quanto si limitano a porre obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica allargata, senza prevedere concreti strumenti e modalità per il perseguimento dei medesimi, facendo anche riferimento all’incidenza quantitativa e strategica ai fini del rispetto del patto di stabilità interno (sent. n. 69 del 2011).
In questo filone, si collocano le numerose pronunce della Corte che censurano disposizioni di leggi regionali – sempre in materia di personale – che prevedono la trasformazione di contratti a tempo parziale in rapporti di lavoro a tempo pieno (sent. n. 108 del 2011), o che introducono una disciplina difforme da quella statale in materia di incarichi dirigenziali, di contratti di lavoro subordinato a tempo determinato e di contratti di lavoro autonomo (sent. n. 155 del 2011), o ancora in materia di assunzione di personale dirigenziale (sent. n. 68 del 2011), o di stabilizzazione del personale precario (sent. n. 310 del 2010). In questi giudizi, non è invocato come parametro soltanto l’art. 117, secondo comma, lett. e), Cost. (ordinamento civile), ma soprattutto l'art. 117, terzo comma, Cost. (coordinamento della finanza pubblica), spesso con assorbimento delle censure relative al primo parametro invocato (su cui, invece, generalmente poggiano larga parte delle dichiarazioni di incostituzionalità in caso di invocazione alternativa di più parametri da parte del ricorrente: cfr., ad esempio, sentt. n. 447 del 2006 e n. 114 del 2011, anche per l'ammissibilità di impugnazioni alternative per violazioni di disposizioni del titolo V o di norme dello Statuto di autonomia regionale).
A questo risultato, la Corte perviene muovendo dalla duplice considerazione che quella per il personale costituisce un aggregato ampio e variegato di spesa pubblica, in grado di consentire agli enti significative scelte circa i modi con cui realizzare le riduzioni prescritte dalle norme interposte (decreto-legge n. 78 del 2010) e che le limitazioni previste all’ammontare di tali spese, anche in ragione del loro carattere transitorio, non contraddicono l’autonomia finanziaria degli enti territoriali (sentt. n. 169 del 2007; n. 68, n. 69 e n. 155 del 2011).
Inoltre, su questo orientamento del Giudice delle leggi ha indubbiamente influito anche la considerazione che devono ritenersi costituzionalmente illegittime – secondo quanto già affermato dalla Corte costituzionale in alcune pronunce risalenti alla fase antecedente al decreto-legge n. 78 del 2010 – disposizioni di leggi regionali di spesa che disattendano le limitazioni previste dalle norme sul patto di stabilità interno (sentt. n. 169 e n. 412 del 2007; n. 190 e n. 289 del 2008; nonché, mediante l'elevazione al rango di fonti interposte di alcune disposizioni del decreto-legge n. 78 del 2010 che fissano vincoli e limiti al governo dei conti pubblici, sentt. n. 68, n. 69 e n. 155 del 2011).
Sempre rimanendo all’ambito dell’organizzazione o in ambiti materiali di potestà legislativa residuale, la Corte costituzionale ha altresì qualificato come principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica interventi del legislatore statale aventi rilevanti conseguenze di ordine finanziario, censurando disposizioni di leggi regionali che, ad esempio, modificavano la composizione del collegio dei revisori di talune amministrazioni regionali. A tale risultato, il Giudice delle leggi perviene individuando nella disposizione statale che definisce tale composizione un principio di coordinamento della finanza pubblica, atteso che l’art. 16 della legge n. 196 del 2009 – qualificato come norma interposta – individua come necessaria, negli organi collegiali di revisione contabile delle amministrazioni pubbliche – la presenza di un rappresentante del Ministero dell’economia, in quanto funzionale alla tutela dell’unità economica della Repubblica (sent. n. 122 del 2011).
In definitiva, muovendo dalla nozione finalistica di coordinamento della finanza pubblica, la Corte costituzionale riconosce che tale funzione non si esaurisce in norme di principio, ma implica anche l’esercizio di poteri di ordine amministrativo, di regolazione tecnica, di rilevazione dei dati e di controllo, ascrivibili al c.d. coordinamento tecnico (sentt. n. 376 del 2003; n. 122 del 2011; n. 229 del 2011, quest'ultima sull’incostituzionalità di una disposizione legislativa regionale con la quale si modificavano i termini stabiliti dalla legge statale per la trasmissione dei dati relativi alla verifica dei saldi di finanza pubblica da parte degli enti territoriali). Al riguardo, va ricordato che il Giudice delle leggi aveva, in una prima fase, ricostruito in termini tendenzialmente restrittivi – in quanto, appunto, riferibili alla nozione di “coordinamento meramente tecnico” – la portata di tale specifica funzione di coordinamento (sent. n. 17 del 2004), affermando però, ben presto, che essa può comunque incidere sui materie di competenza legislativa residuale, pur riconoscendo la necessità di garantire il coinvolgimento degli enti territoriali mediante apposita intesa in sede di Conferenza unificata (sent. n. 31 del 2005). La forte valorizzazione dell’intesa che ha ispirato la giurisprudenza costituzionale anche in questo specifico ambito materiale, non ha comunque precluso alla Corte di giungere ad un'interpretazione fortemente estensiva di questa specifica funzione di coordinamento tecnico, che le ha ad esempio consentito di fare salva la disciplina relativa agli obblighi di informazione di dati informatici e telematici (e i relativi meccanismi sanzionatori) opponibili agli enti territoriali. Al riguardo, il Giudice delle leggi ha infatti affermato che il coordinamento tecnico-informativo non si traduce soltanto nella definizione di regole tecniche, ma ben può incidere sulla dimensione organizzativa, nel caso in cui la stessa sia ritenuta indispensabile per garantire l'omogeneità nell'elaborazione e trasmissione dei dati, anche al fine di garantire esigenze di razionalizzazione e di contenimento della spesa pubblica (sentt. n. 240 del 2007 e n. 133 del 2008) [72].
Il punto di approdo di questo (pur al suo interno articolato) filone giurisprudenziale è – al momento – segnato dalla sentenza n. 262 del 2012, con la quale vengono, tra l'altro, dichiarati costituzionalmente illegittimi gli artt. 9, comma 1, 10, comma 1, e 11, comma 1, della legge della Regione Puglia 4 gennaio 2011, n. 1 (Norme in tema di ottimizzazione e valutazione della produttività del lavoro pubblico e di contenimento dei costi degli apparati amministrativi nella Regione Puglia) per violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., e della norma interposta invocata (art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010). Infatti, le disposizioni di legge regionale oggetto del giudizio – e, in particolare, l'art. 9, comma 1, dell'impugnata legge regionale – pur riproducendo il contenuto dell’art. 6, comma 7, del decreto-legge n. 78 del 2010 quanto a percentuale di riduzione della spesa per incarichi di studio e consulenza, si differenzia da questa per il fatto che, nel suo secondo periodo, esclude dal computo della spesa da tagliare quella corrispondente agli incarichi gravanti su risorse del “bilancio vincolato” e agli “incarichi istituzionali di consigliere del Presidente della Regione Puglia”. In tal modo, la Corte conferma che la norma interposta non impone alle Regioni di adottare i puntuali tagli alle singole voci di spesa da essa considerate, ma richiede che esse, anche attraverso una diversa modulazione delle percentuali di riduzione, conseguano comunque, nel complesso, un risparmio pari a quello che deriverebbe dall’applicazione di quelle percentuali.
In tal modo, la Corte, con una sorta di inversione dell'onere della prova, afferma che spettava al legislatore regionale indicare le ulteriori misure di tagli compensativi delle minori riduzioni di spesa, derivanti dall'esclusione – dal novero delle spese da contrarre – di quelle gravanti sulle risorse del “bilancio vincolato”. Tuttavia, se tale riduzione della spesa in percentuale ai fini del rispetto del saldo complessivo come definito dalla norma interposta costituisce il parametro invocato nel giudizio (secondo quanto affermato dalla Corte stessa, sin dalla sentenza n. 139 del 2012, secondo i presupposti già delineati, tra l'altro, dalla sentenza n. 182 del 2011), dovrebbe essere onere del ricorrente dimostrare come la legge regionale contrasti con tale parametro. L'onere della prova viene invece fatto gravare sulla Regione resistente, che deve comunque dimostrare di aver rispettato il saldo complessivo.
In definitiva, la Corte sembra così consolidare il principio in base al quale, in caso di ricorso statale, è in ogni caso onere della Regione resistente quello di fornire la prova di aver conseguito risparmi di spesa in percentuale pari a quelli stabiliti dalla norma interposta. Ciò appare discutibile sotto due distinti profili. Anzitutto, sul piano processuale, tale ribaltamento appare in contrasto con le ordinarie regole di impugnazione nel giudizio in via principale che attribuiscono al ricorrente l'onere di dimostrare i parametri asseritamente violati [73]. In secondo luogo, sul piano della natura e dei caratteri della funzione di coordinamento, la tendenza richiamata sembra contraddire i termini del rapporto tra soggetto coordinatore e soggetto coordinato – anche sopra messi in rilievo [74] – che presuppongono l'autonomia del secondo rispetto al primo [75].
Un secondo filone della giurisprudenza costituzionale sul coordinamento della finanza pubblica riguarda il carattere vincolante degli accordi sui piani di rientro dal disavanzo in materia sanitaria.
Al riguardo, la Corte ha costantemente qualificato come principi di coordinamento della finanza pubblica norme statali che perseguono, a vario titolo, finalità di contenimento della spesa sanitaria (sentt. n. 193 del 2007; n. 94 del 2009; n. 40, n. 100 e n. 141 del 2010), sulla base di due motivazioni. Viene anzitutto richiamato il carattere prioritario che il rientro dai disavanzi sanitari assume ai fini del raggiungimento degli obiettivi finanziari e di contenimento della spesa (che quindi giustifica il collegamento con la competenza statale sulla fissazione dei principi fondamentali relativi al coordinamento della finanza pubblica). In secondo luogo, il Giudice delle leggi ha sottolineato, a più riprese, la natura vincolante del piano alla luce della esplicita condivisione da parte delle Regioni della necessità di contenere i disavanzi del settore sanitario.
Sulla base di questi due argomenti, la Corte costituzionale ha infatti affermato che “l’autonomia legislativa concorrente delle Regioni nel settore della tutela della salute ed in particolare nell’ambito della gestione del servizio sanitario può incontrare limiti alla luce degli obiettivi della finanza pubblica e del contenimento della spesa”, peraltro in un “quadro di esplicita condivisione da parte delle Regioni della assoluta necessità di contenere i disavanzi del settore sanitario” (sentt. n. 193 del 2007; n. 141 del 2010). Pertanto, il legislatore statale può “legittimamente imporre alle Regioni vincoli alla spesa corrente per assicurare l’equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva, in connessione con il perseguimento di obbiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi comunitari” (sentt. n. 163 del 2011 e n. 52 del 2010).
La giurisprudenza costituzionale ha così potuto qualificare, di volta in volta, disposizioni che rendono vincolanti gli accordi sottoscritti tra Stato e Regioni – finalizzati a realizzare il contenimento della spesa sanitaria e a ripianare i debiti anche mediante la previsione di speciali contributi finanziari dello Stato – come principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica (tra le tante, sentt. n. 100 e n. 141 del 2010; n. 123 e n. 163 del 2011). Al riguardo, la Corte ha precisato che “lo speciale contributo finanziario dello Stato (in deroga al precedente obbligo espressamente previsto dalla legislazione sul finanziamento del Servizio sanitario nazionale che siano le Regioni a coprire gli eventuali deficit del servizio sanitario regionale) ben può essere subordinato a particolari condizioni finalizzate a conseguire un migliore o più efficiente funzionamento del complessivo servizio sanitario” (sent. n. 98 del 2007), anche nel presupposto che l’adesione alle intese e agli accordi è “espressione di una libera scelta delle Regioni che ben potrebbero invece fronteggiare il deficit con i propri strumenti finanziari ed organizzativi” (sent. n. 98 del 2007).
Successivamente, la Corte costituzionale ha parzialmente mutato – in senso estensivo – l'interpretazione finalistica della potestà di coordinamento della finanza pubblica riconducibile al legislatore statale, consentendo che esso giustifichi “non solo [...] l'apposizione di principi fondamentali ai sensi dell’art. 117 Cost., ma anche la collocazione a livello centrale di poteri puntuali eventualmente necessari perché la finalità di coordinamento [...] possa essere concretamente realizzata” (sent. n. 121 del 2007). Viene in tal modo sostanzialmente affermato che l’entità degli oneri finanziari necessari per la gestione dei servizi sanitari richiede un ampliamento delle garanzie di tenuta dei saldi di bilancio connesse all’intervento statale rispetto a quanto si verifica in altri settori materiali (sentt. n. 98, n. 162 e n. 193 del 2007; n. 100 e n. 141 del 2010; n. 325 del 2011).
In materia di piani di rientro sanitari, quindi, il tradizionale quesito posto in dottrina circa la natura meramente finalistica o strumentale del coordinamento della finanza pubblica sembra essere chiaramente risolto dal Giudice delle leggi in senso favorevole all’intervento strumentale nel settore sanitario, che pare implicitamente legittimato dall'approccio quantitativo utilizzato per individuare le norme statali di principio del coordinamento della finanza pubblica (sent. n. 91 del 2012).
La giurisprudenza costituzionale, quindi, eleva al rango di norme di principio di coordinamento della finanza pubblica le disposizioni che rendono vincolanti per le Regioni gli accordi relativi ai piani di rientro, in quanto dirette al contenimento della spesa sanitaria. Non sono quindi più qualificate come principi di coordinamento soltanto disposizioni che si limitano a fissare gli obiettivi e il metodo (quello, appunto, negoziale) dell'azione di risanamento, senza prescriverne dettagliati e puntuali strumenti normativi, amministrativi e organizzativi, ma anche norme di principio, rispetto alle quali la normativa di dettaglio è dettata dall’accordo Stato-Regione. E' quindi lo stesso piano di rientro, in quanto a base consensuale, a divenire espressione di un principio fondamentale vincolante per il legislatore regionale (ex plurimis, sentt. 100 del 2010; n. 123 del 2011; 163 del 2011; n. 91 del 2012; n. 131 del 2012).
Ne consegue che l'annesso piano di rientro finisce per operare come una sorta di norma interposta nel giudizio di costituzionalità. Infatti, nelle Regioni affette da un disavanzo sanitario di particolare entità, il rispetto del piano stesso finisce per porsi come parametro di legittimità dell'intera legislazione regionale, riferito alla competenza statale in materia di coordinamento della finanza pubblica e legittimato dalla natura concertata del relativo contenuto che passa necessariamente per l'approvazione dell'accordo tra Stato e Regione [76].
In questo modo, però, il piano di rientro dal disavanzo sanitario viene ad integrare il parametro di giudizio come strumento di per sé assai articolato. Si tratta infatti di interventi spesso molto puntuali – indiscutibilmente di dettaglio – che in linea di massima sfuggono all'inquadramento che la Corte aveva originariamente individuato per i principi di coordinamento della finanza pubblica. Basti pensare alle numerose dichiarazioni di incostituzionalità di disposizioni legislative regionali che si discostano, anche su aspetti di dettaglio, da quanto previsto dal piano di rientro (ex plurimis, sentt. n. 78 del 2011; n. 28, n. 51, n. 79 e n. 104 del 2013), motivate dal ribadito carattere consensuale dell'accordo preliminare che conferisce carattere vincolante agli impegni assunti dalla Regione e che consentono quindi di qualificare come principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica le misure previste dall'annesso piano di rientro, in quanto dirette al contenimento della spesa pubblica sanitaria (v., in particolare, la sent. n. 100 del 2010, di incostituzionalità di alcune disposizioni di legge regionale della Campania attuative del piano di rientro dal disavanzo sanitario; nonché le sentt. n. 51, n. 79 e n. 104 del 2013).
L'impressione finale è che si tratti indubbiamente di una delle modalità maggiormente incisive attraverso la quale il legislatore statale – specie nell'ultimo triennio – esercita la funzione di coordinamento della finanza pubblica. Quest'ultima, in definitiva, pur integrando sul piano formale una competenza legislativa concorrente di Stato e Regione, ha finito – a conferma della tesi della ampia pervasività e trasversalità della materia stessa – da un lato per incidere sull'intero spettro della competenza legislativa regionale in altra materia concorrente (tutela della salute) [77], e, dall'altro, per assecondare logiche di ricentralizzazione nelle dinamiche di prelievo e di spesa, proprio a partire dalla fase di attuazione dell'art. 119 Cost. e del c.d. federalismo fiscale [78].
Al riguardo, occorre comunque rilevare che il richiamato orientamento della giurisprudenza costituzionale si incentra sui seguenti passaggi argomentativi. La Corte individua quale presupposto dei poteri sostitutivi e delle connesse funzioni del commissario ad acta, funzionali ad assolvere gli oneri di rientro previsti dai piani, la tutela dell'unità economica della Repubblica e dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti il diritto fondamentale alla salute (art. 32 Cost.), cosicché “le funzioni amministrative del commissario […] devono essere poste al riparo da ogni interferenza degli organi regionali, senza che possa essere evocato il rischio di fare di esso l'unico soggetto cui spetti di provvedere per il superamento della situazione di emergenza in ambito sanitario regionale” (sent. n. 78 del 2011, “Considerato in diritto”, n. 4.2).
In secondo luogo, l'orientamento del Giudice delle leggi è ulteriormente motivato in ragione della natura concertata del piano di rientro, cosicché sarebbe ravvisabile una sorta di formale auto-limitazione della Regione in disavanzo. Da questo punto di vista, la sentenza n. 91 del 2012, riprendendo alcuni passaggi della sentenza n. 98 del 2007, ribadisce ad esempio che “la scelta delle Regioni di aderire alle intese ed agli accordi […] non può neppure ritenersi coartata, dal momento che le Regioni potrebbero pur sempre scegliere di non addivenire alle intese in questione, facendo fronte al deficit con i propri strumenti finanziari ed organizzativi”.
La costante affermazione del carattere obbligatorio dell'intesa, che connota questi passaggi della giurisprudenza costituzionale, appare strumentale ad assicurare il principio di leale collaborazione consacrato nell'accordo tra Stato e Regione e, in quanto tale, funzionale ad attribuire forza vincolante alle disposizioni di coordinamento della finanza pubblica.
Sul punto, si potrebbe però osservare che la reiterata affermazione circa la natura consensuale del piano di rientro – che la giurisprudenza costituzionale fa discendere dalla sua sottoscrizione sotto forma di accordo – mal si concilia con le tendenze della legislazione vigente che, almeno per le Regioni con i più rilevanti disavanzi, attribuiscono oggi natura di fatto obbligatoria – e non semplicemente facoltativa, come si configurava in origine [79] – all’adesione al piano di rientro [80]. In effetti, una semplice ricognizione della disciplina vigente in materia, consente di riconoscere che, in caso di superamento degli standard dimensionali del disavanzo sanitario strutturale consentito, la Regione interessata “è tenuta” a presentare, entro il 10 giugno successivo, un piano di rientro di durata non superiore al triennio” (art. 2, comma 77, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010”). Al riguardo, appare infatti evidente che, anche alla luce della vasta gamma delle procedure sanzionatorie previste dalla legislazione vigente [81], la scelta della Regione appare quanto meno condizionata dall'esigenza di ripianare il disavanzo, anche a non voler considerare che tali procedure finiscono con l'impattare direttamente sui diritti fondamentali, a partire dai diritti degli utenti a continuare a fruire di prestazioni sanitarie [82].
Sotto diverso profilo, solleva, inoltre, qualche ulteriore perplessità la scelta del legislatore di coinvolgere nelle procedure di stipulazione dell'accordo soltanto il Presidente della Giunta regionale, escludendo in tal modo dal procedimento il Consiglio, nonostante quest'ultimo, quale organo di legislazione e di indirizzo della Regione, sia chiamato a dare attuazione al piano di rientro, secondo quanto previsto dallo stesso art. 2, comma 88, della richiamata legge n. 191 del 2009. Quest’ultimo prevede infatti che l’assemblea legislativa regionale proceda sia all’abrogazione delle disposizioni di legge regionale incompatibili con il piano stesso, sia alla predisposizione di interventi attuativi [83].
La Corte costituzionale, invece, specie nelle sentenze n. 52 del 2010, n. 163 del 2011, n. 91 del 2012 e n. 51 del 2013, ha costantemente ribadito la tesi della natura concertata del piano di rientro, legittimando in tal modo l'imposizione di ulteriori vincoli di coordinamento della finanza pubblica a carico dell'autonomia regionale.
Al riguardo, il Giudice delle leggi ha ad esempio osservato che i limiti imposti al legislatore regionale dall'attuazione del piano di rientro si collocano in un “quadro di esplicita condivisione da parte delle Regioni della assoluta necessità di contenere i disavanzi del settore sanitario” (sentt. n. 193 del 2007 e n. 91 del 2012), dovendosi intendere tali vincoli in termini di auto-limitazione delle Regioni stesse rispetto al conseguimento dei prioritari obiettivi di coordinamento della finanza pubblica e di risanamento. La controprova dell'asserita autodeterminazione regionale circa la sottoscrizione dell'accordo – sottolinea ancora la Corte costituzionale, come si è già visto – è ravvisabile nella circostanza che le Regioni ben potrebbero scegliere di “non addivenire alle intese in questione, facendo fronte al deficit con i propri strumenti finanziarie organizzativi” (sent. n. 98 del 2007). In realtà tale ipotesi, anche alla luce dello stato attuale delle finanze pubbliche degli enti territoriali, appare un'alternativa poco praticabile rispetto al contributo statale [84].
Per altro verso, però, in favore del suesposto orientamento della giurisprudenza costituzionale, si potrebbe richiamare lo stretto legame intercorrente tra tutela della salute, organizzazione del relativo servizio e corrispondente finanziamento, che rende assai difficile svincolare il rispetto dei saldi finanziari programmati dall'adozione di specifiche misure attuative, a loro volta funzionali alla garanzia dei livelli essenziali di assistenza (LEA) [85].
Infine, dal punto di vista più strettamente processuale, occorre ricordare che, molto spesso, assieme alla violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. (coordinamento della finanza pubblica), in questi giudizi sono invocati dal ricorrente anche altri parametri – segnatamente l’art. 117, secondo comma, lett. e), Cost. (ordinamento civile) – che diventano decisivi ai fini del controllo di costituzionalità, determinando molto spesso l’assorbimento delle questioni promosse in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost.
Sotto quest’ultimo profilo, nelle pronunce più recenti, talvolta la Corte costituzionale non propende per l’assorbimento del parametro “coordinamento della finanza pubblica”. Si pensi, ad esempio, alle recenti declaratorie di incostituzionalità di leggi regionali che consentivano al Commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo di procedere alla stabilizzazione di personale esterno all'amministrazione regionale assunto con un contratto di diritto privato a tempo determinato, dichiarate costituzionalmente illegittime per violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., con assorbimento della censura riferita all'ordinamento civile (sent. n. 77 del 2011).
Il punto di approdo di questo filone della giurisprudenza costituzionale consente alla Corte di affermare che “l’autonomia legislativa concorrente delle Regioni nel settore della tutela della salute ed in particolare nell’ambito della gestione del servizio sanitario può incontrare limiti alla luce degli obiettivi della finanza pubblica e del contenimento della spesa”, cosicché “il legislatore statale può legittimamente imporre alle Regioni vincoli alla spesa corrente per assicurare l’equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva, in connessione con il perseguimento di obbiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi comunitari” (sentt. n. 52 del 2010; n. 163 del 2011; n. 91 del 2012; n. 51 del 2013).
Un terzo filone della giurisprudenza costituzionale sul coordinamento della finanza pubblica si interseca con quello relativo al rispetto dell’obbligo di copertura delle leggi regionali. Le impugnative dello Stato avverso leggi regionali vedono – in questi giudizi – la confluenza, quanto ai parametri invocati, dell’art. 117, terzo comma, Cost. e dell'art. 81, quarto comma, Cost., spesso richiamati dallo Stato ricorrente in termini cumulativi o alternativi, in quanto finalizzati ad invocare comunque norme interposte che limitano i poteri di spesa delle Regioni.
La giurisprudenza costituzionale ha progressivamente ampliato – nell'ultimo triennio – la portata dell'obbligo di copertura delle leggi regionali di spesa, ribadendo il più risalente nel tempo orientamento secondo il quale la copertura “deve essere credibile, sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale, in equilibrato rapporto con la spesa che si intende effettuare in esercizi futuri” (tra le tante, sent. n. 213 del 2008). Nel contempo, la Corte ha chiarito che anche il legislatore regionale, sotto il profilo dell’attendibilità dei bilanci, “non può sottrarsi a quella fondamentale esigenza di chiarezza e solidità del bilancio cui l’art. 81 Cost. si ispira” (ex plurimis, sentt. n. 359 del 2007; nonché n. 141 del 2010) [86].
Le impugnazioni di leggi regionali per violazione dell'obbligo di copertura finanziaria sono passate – soltanto per limitare la presente analisi ai dati all'ultimo triennio – dalle 17 del 2010, alle 24 del 2011, alle 34 del 2012, alle – nel momento in cui si scrive – 21 del 2013. Al riguardo, colpisce il considerevole incremento delle impugnative e la costanza con cui il parametro ricorre, peraltro spesso declinato in maniera dettagliata e specifica mediante il ricorso a fonti interposte.
Nella giurisprudenza più recente la Corte, cogliendo anche gli orientamenti prevalenti in dottrina [87], secondo un processo peraltro in atto da tempo, è giunta alla sostanziale assimilazione della legge regionale di bilancio alle “altre” leggi, soprattutto sotto il profilo della progressiva estensione dell'obbligo della copertura finanziaria (sent. n. 70 del 2012). Su questo orientamento da un lato ha influito la riforma della legge di contabilità (legge n. 196 del 2009), nella parte estende e rafforza l’obbligo di copertura finanziaria (particolarmente evidente sotto il profilo della copertura sui tre saldi di bilancio; della c.d. “copertura allargata” di cui all’art. 19, relativa all'intero settore delle amministrazioni pubbliche, inclusi gli enti territoriali; nonché alle misure volte, a vario titolo, a privilegiare la stabilità dei conti pubblici); dall'altro, il Giudice delle leggi sembra quasi giocare d'anticipo rispetto alla recente revisione dell'art. 81 Cost. [88].
Sotto questo profilo, si può leggere la sentenza n. 70 del 2012 – in una fase antecedente rispetto alla conclusione dell'iter del disegno di legge costituzionale di revisione dell'art. 81 Cost. – con la quale la Corte è espressamente giunta, per la prima volta, sia pure sulla base di qualche significativa apertura precedente [89], ad una declaratoria di incostituzionalità di alcune disposizioni contenute in una legge regionale di bilancio per mancato rispetto dell'obbligo di copertura di cui all'art. 81, quarto comma, Cost., e per contrasto con i principi sul sistema contabile dello Stato e sul coordinamento della finanza pubblica, posti in essere dal legislatore ex art. 117, secondo comma, lett. e), e terzo comma, Cost.
Nella richiamata pronuncia, la Corte fornisce infatti un'interpretazione ulteriormente estensiva dell'obbligo costituzionale di copertura finanziaria delle leggi regionali, sia sotto il profilo della certezza dei mezzi a tal fine utilizzati, sia sotto il profilo temporale, al fine di garantire attendibilità alle previsioni di bilancio. La sentenza menzionata appare significativa anche sotto il profilo di quella sorta di fungibilità del parametro invocato di cui si è detto, essendo invocati dal ricorrente tanto l'art. 81, quarto comma, Cost., quanto l'art. 117, terzo comma, Cost., al fine di imporre comunque vincoli e limiti al potere di spesa delle Regioni, sotto forma di coordinamento della finanza pubblica.
La Corte costituzionale dichiara infatti l'incostituzionalità della legge regionale di bilancio nella parte in cui utilizza l'avanzo di amministrazione 2010 a fini di copertura nella legge di bilancio 2011, ritenendo il Giudice delle leggi “non conforme ai precetti dell'art. 81, quarto comma, Cost. realizzare il pareggio di bilancio in sede preventiva attraverso la contabilizzazione di un avanzo di amministrazione non accertato e verificato a seguito della procedura di approvazione del bilancio consuntivo dell'esercizio precedente” (sent. n. 70 del 2012, “Considerato in diritto”, n. 2.1). Al riguardo, la Corte rigetta la tesi della Regione resistente volta a sostenere l'attendibilità dell'avanzo di amministrazione, ancorché non accertato attraverso l'approvazione del rendiconto, ma comunque disponibile a fini di copertura alla luce della serie storica dei risultati di amministrazione, da cui risulterebbero prevalenti le attività sulle passività, distinguendo invece dalla regola “statica” – che implicherebbe la parificazione tra entrate e spese – la portata “dinamica” del principio di equilibrio di bilancio di cui all'art. 81, quarto comma, Cost., che non permette di superare in corso di esercizio gli stanziamenti consentiti dalla stessa legge di bilancio.
In questa pronuncia, colpisce l’argomentazione della Corte quando afferma che la soluzione legislativa adottata dalla Regione, anche quando, come nella fattispecie, non risultasse preclusa dall’ordinamento contabile regionale, sarebbe comunque in contrasto con l'art. 81, quarto comma, Cost. Al riguardo, non appare anzitutto del tutto conferente il riferimento all'art. 187, commi 2 e 3, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), che, sia pure richiamato in via analogica anche dalla difesa regionale per sostenere la distinzione tra l’iscrizione/applicazione dell’avanzo di amministrazione e la sua utilizzazione, non riguarda la contabilità regionale. E’ ben vero che tali disposizioni confermano – sul piano dei principi contabili – che l’avanzo di amministrazione risulta disponibile soltanto previo accertamento mediante approvazione del rendiconto dell’esercizio finanziario precedente, ma non sembra il riferimento alla disciplina prevista per gli enti locali pertinente all’oggetto della questione e all’iter logico che conduce al dispositivo della richiamata sentenza.
Al riguardo, sotto il profilo della valorizzazione del coordinamento della finanza pubblica, la Corte avrebbe invece potuto procedere all'integrazione del parametro – in riferimento non tanto all'art. 81, quarto comma, Cost., quanto all’art. 117, terzo comma, Cost. – richiamando direttamente le norme statali interposte, che consentono di ricavare limitazioni espresse ai saldi di bilancio regionali. Il riferimento è alle disposizioni annualmente dettate dal legislatore statale dapprima nelle leggi finanziarie e, negli ultimi anni, spesso anticipate in decreti-legge, nella parte in cui prevedono veri e propri vincoli di contenuto ai saldi regionali sotto forma del c.d. patto di stabilità interno delle regioni e delle province autonome, costantemente qualificato come norma di principio sul coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. Nel caso di specie, al momento dell'approvazione dell'impugnata legge regionale di bilancio, tali limitazioni sono rinvenibili nell'art. 77-ter, commi 4-6, della legge 6 agosto 2008 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), successivamente modificato, con l'inserimento di un comma 5-quater, dal decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2 (Interventi urgenti concernenti gli enti locali e le regioni), convertito dalla legge 26 marzo 2010, n. 42.
Il richiamo alle norme statali interposte avrebbe probabilmente fornito una più articolata e maggiormente conferente motivazione ai fini della garanzia del coordinamento della finanza pubblica e dell'estensione dell’obbligo di copertura al bilancio regionale su cui poggia la declaratoria di incostituzionalità delle norme impugnate. Il Giudice delle leggi ha invece ritenuto evidentemente sufficiente affermare la “forza espansiva” – per usare le parole della stessa Corte – dell’art. 81, quarto comma, Cost. Avendo l’impugnativa ad oggetto una legge regionale di bilancio, l’alternativo percorso logico-argomentativo che si è prospettato sarebbe stato probabilmente preferibile, avendo da tempo affermato la giurisprudenza costituzionale che il legislatore può legittimamente imporre agli enti autonomi vincoli alle politiche di bilancio per ragioni di coordinamento finanziario, purché non si traducano in limiti puntuali relativi a singole voci di spesa dei bilanci delle regioni (v. ancora sentt. n. 376 del 2003; n. 4 del 2004; n. 36 del 2004; n. 390 del 2004; n. 417 del 2005). Tale soluzione avrebbe tra l’altro scongiurato il rischio – in cui invece incorre la Corte – di interpretare – a Costituzione vigente – l’obbligo di copertura come una sorta di regola prescrittiva di determinate politiche finanziarie nel senso del pareggio di bilancio, piuttosto che come strumento di conformazione dei processi decisionali di Governo e Parlamento circa la consapevolezza delle loro conseguenze finanziarie.
L’utilizzo delle norme statali interposte ai fini dell'integrazione del parametro avrebbe presumibilmente minimizzato l’impatto della pronuncia sull’elevazione dell’art. 81, quarto comma, Cost., a vincolo prescrittivo sostanziale nel governo dei conti pubblici. Al riguardo, l’impressione è che la Corte costituzionale giochi invece d'anticipo rispetto alla legge costituzionale n. 1 del 2012, rinvenendo nell'art. 81, quarto comma, Cost. (ancora) vigente, un vero e proprio vincolo al c.d. pareggio, in questi termini qualificato a più riprese dalla pronuncia richiamata (sentenza n. 70 del 2012, “Considerato in diritto”, nn. 2.1 e 3.2), sia pure sulla base di qualche significativo precedente degli ultimi anni [90].
Così facendo, la Corte risolve molti problemi sull’attendibilità dei bilanci e interpreta già a Costituzione vigente l'obbligo di copertura come limite all'espansione della spesa, come vincolo, cioè, di contenuto piuttosto che come vincolo procedurale, segnando la definitiva prevalenza dell'interesse finanziario insito nell'interpretazione dell'art. 81 Cost. come limite espressamente contenutistico al governo dei conti pubblici rispetto alla dimensione procedimentale della decisione di spesa e alla valorizzazione dell'autonomia politica della Regione, in qualche modo “degradata” rispetto alle esigenze di coordinamento della finanza pubblica e al principio dell'equilibrio di bilancio.
Lo stesso approccio è successivamente adottato anche in riferimento a leggi regionali di spesa e a leggi finanziarie regionali, confermando così l'accezione espansiva del vincolo di copertura come limite alla spesa pubblica più che come strumento di tutela degli equilibri di bilancio (cfr. sentt. n. 115 e n. 192 del 2012).
Questa giurisprudenza trova un ulteriore e significativo sviluppo tra la fine del 2012 (sent. n. 309 del 2012) e l’inizio del 2013 (sent. n. 51 del 2013). Al riguardo, sono – ancora una volta – particolarmente significative alcune pronunce sui piani di rientro dai disavanzi sanitari. Basti pensare alle numerose dichiarazioni di incostituzionalità di leggi regionali per contrasto con i richiamati piani di rientro: in taluni casi, per mancato rispetto dei principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica individuati dalle norme interposte; in altri, per violazione diretta dell'art. 81, quarto comma, Cost. (ex plurimis, sentt. n. 163 del 2011; n. 131 e n. 260 del 2012).
Al riguardo, va in particolare richiamata la sentenza n. 51 del 2013, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di intere delibere legislative della Regione siciliana non tanto per mancato rispetto dei principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica individuati dalle norme interposte, quanto per violazione diretta dell’art. 81, quarto comma, Cost. Il Giudice delle leggi afferma infatti che le norme interposte “costituiscono, oltre che espressione di principi di coordinamento della finanza pubblica di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. (ex plurimis, sentt. n. 163 del 2011; n. 131 del 2012; n. 260 del 2012), anche diretta specificazione del principio di copertura della spesa contenuto nell’art. 81, quarto comma, Cost., in quanto disciplinano meccanismi vincolanti finalizzati a prevenire e a precludere ipotesi di spesa non assistite da adeguato finanziamento”. In particolare, la Corte afferma la necessaria “conciliazione contabile” tra le spese previste nei piani di rientro e la legge regionale di bilancio, onde scongiurare intenti elusivi rispetto a quanto previsto dal piano di rientro dal disavanzo sanitario, in quanto “la stretta relazione tra la nuova legge e il bilancio di previsione non può essere demandata in sede diversa e in un momento successivo a quello indefettibilmente previsto dall’art. 81, quarto comma, Cost.” (sent. n. 192 del 2012).
La giurisprudenza costituzionale ribadisce in tal modo che spetta alla legge di spesa, e non agli eventuali provvedimenti che vi diano attuazione (sentt. n. 141 del 2010; n. 9 del 1958), determinare la misura, e la copertura, dell’impegno finanziario richiesto perché essa possa produrre effetto, atteso che, in tal modo, viene altresì definito, in una sua componente essenziale, “il contenuto stesso della decisione politica assunta tramite l’adozione, con effetti immediatamente vincolanti, della disposizione” che sia fonte di spesa (sent. n. 214 del 2012). Ne consegue – in una pronuncia – la dichiarazione di incostituzionalità di un intero disegno di legge della Regione siciliana per violazione dell’art. 81, quarto comma, Cost. (sent. n. 51 del 2013), sulla scorta di precedenti affermazioni sul difetto di copertura come vizio che, investendo la componente finanziaria della legge di spesa, non può che estendersi al complesso delle disposizioni sostanziali generatrici della stessa (sent. n. 106 del 2011).
Applicando direttamente l'art. 81, quarto comma, Cost. e richiamando il decreto legislativo n. 118 del 2011 sull’armonizzazione dei bilanci degli enti territoriali, il Giudice delle leggi afferma, tra l'altro, non soltanto che il bilancio regionale deve essere coerente con il piano di rientro, ma che esso deve essere collocato nel bilancio per scongiurare intenti elusivi rispetto all'obbligo di copertura.
Sotto questo profilo, la più recente giurisprudenza costituzionale da ultimo menzionata sembra costituire ulteriore sviluppo della – già richiamata nel filone precedente – sentenza n. 91 del 2012. In quella pronuncia, infatti, la Corte aveva sanzionato la legge regionale di approvazione del piano di rientro, determinando – come sopra osservato – l'integrazione del parametro nel giudizio di costituzionalità mediante i contenuti del piano di rientro stesso. L'oggetto di quel giudizio segna anche il passaggio ad una prassi che vede le Regioni – sotto la spinta degli orientamenti assunti dallo stesso Giudice delle leggi – legificare i piani di rientro [91]. Con la sentenza n. 51 del 2013, la Corte sembra implicare un passaggio ulteriore, imponendo la collocazione del piano di rientro nella legge regionale di bilancio.
Infine, si è recentemente sviluppato un quarto filone della giurisprudenza costituzionale sul coordinamento della finanza pubblica, alimentato da ricorsi dello Stato volti ad assicurare il rispetto della veridicità e dell’attendibilità delle leggi regionali di bilancio, nonché del processo di armonizzazione dei bilanci degli enti territoriali, secondo quanto previsto dai due richiamati decreti legislativi intervenuti in materia (decreto legislativo n. 91 del 2011 e decreto legislativo n. 118 del 2011). Sotto questo profilo, queste pronunce – che in parte costituiscono il più recente sviluppo della giurisprudenza costituzionale sul c.d. coordinamento tecnico-informativo – riflettono l’orientamento della legge n. 42 del 2009, della legge n. 196 del 2009 e dei decreti legislativi attuativi delle richiamate riforme. Questi ultimi, tra l’altro, vedono infatti nell’introduzione di una tassonomia contabile comune tra i diversi livelli territoriali di governo e nel coordinamento della finanza pubblica la necessaria e preventiva costruzione di strumenti di misurazione e di informazione dei dati finanziari e tributari che siano effettivamente omogenei tra i diversi livelli territoriali, in grado di garantire un adeguato livello di trasparenza in merito ai processi di prelievo e di trasferimento di risorse finanziarie. Come si accennava [92], tale obiettivo avrebbe potuto essere però perseguito con adeguati meccanismi di raccordo tra i bilanci dei diversi enti territoriali, in grado di garantire un coerente riparto degli oneri finanziari, senza ricorrere necessariamente all’introduzione di schemi di bilancio unici, di dubbia conformità al principio autonomistico, che vede nel bilancio dell’ente territoriale uno strumento non soltanto di rappresentazione delle grandezze finanziarie, ma soprattutto di realizzazione delle politiche pubbliche.
Un filone della giurisprudenza costituzionale – quello richiamato – in parte forse destinato in futuro ad assottigliarsi, per effetto dell’art. 3 della legge costituzionale n. 1 del 2012, che attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato l’armonizzazione dei bilanci, facendo presumibilmente venir meno il parametro invocato nel richiamato contenzioso costituzionale. Per altro verso, tuttavia, la menzionata giurisprudenza costituzionale in materia pare suscettibile di ulteriore sviluppo a vantaggio dello Stato, avendo la Corte costantemente interpretato l’armonizzazione dei bilanci e il coordinamento della finanza pubblica alla stregua del loro strettissimo nesso funzionale (ex plurimis, sentt. n. 390 del 2004; n. 417 del 2005; n. 156 e n. 326 del 2010) [93]: non appare quindi irragionevole ipotizzare che la ricollocazione della materia “armonizzazione dei bilanci pubblici” tra le competenze esclusive dello Stato finisca per attrarre ulteriori profili del “coordinamento della finanza pubblica” in favore dello stesso legislatore statale [94].
 
6. L’attuazione della legge costituzionale n. 1 del 2012 e gli effetti sul coordinamento della finanza pubblica
 
Occorre infine chiedersi quali potranno essere gli effetti sui menzionati orientamenti della giurisprudenza costituzionale determinati dall’entrata in vigore della legge costituzionale n. 1 del 2012 e della legge rinforzata – o, secondo alcuni, “organica” [95] – di attuazione del principio del pareggio di bilancio, adottata ai sensi del nuovo art. 81, sesto comma, Cost. (legge 24 dicembre 2012, n. 243).
Muovendo dalle richiamate considerazioni circa l’obbligo di copertura e il rafforzamento del coordinamento finanziario, l’art. 1 della legge costituzionale n. 1 del 2012 ha anzitutto previsto che la copertura non debba essere più soltanto “indicata”, ma che il legislatore debba espressamente “provvedervi”, rafforzando in tal modo la necessità – più volte affermata dalla Corte costituzionale – che essa sia certa e attendibile, anche sotto il profilo pluriennale (in caso di oneri di carattere continuativo nel tempo). Analogamente, l’art. 81, terzo comma, Cost. – nella nuova formulazione – prevede che la stessa non debba essere assicurata soltanto rispetto alle “nuove o maggiori spese” (come disponeva l’art. 81, quarto comma, Cost., nel testo originario), bensì rispetto ai “nuovi o maggiori oneri”. Sotto questo profilo, la legge costituzionale adegua la portata letterale della disposizione a quello che si è manifestato come un orientamento da tempo consolidato della Corte costituzionale, che ha più volte affermato l’estensione del principio della copertura anche alle minori entrate.
Al riguardo, si è poi osservato che sarebbe invece stato utile costituzionalizzare la “concezione allargata dell'obbligo di copertura” [96], attualmente prevista soltanto dall'art. art. 19, comma 1, della legge n. 196 del 2009. Quest'ultimo implica l'obbligo per le leggi e i provvedimenti che “comportano oneri, anche sotto forma di minori entrate, a carico dei bilancio delle amministrazioni pubbliche”, di “contenere la previsione dell'onere stesso e l'indicazione della copertura finanziaria riferita ai relativi bilanci, annuali e pluriennali”. Da questo punto di vista, come si è visto al paragrafo precedente, si può tuttavia incidentalmente osservare che la più recente giurisprudenza costituzionale ha comunque attenuato i limiti della mancata costituzionalizzazione della c.d. copertura allargata. Infatti, la Corte motiva ormai sempre più spesso le dichiarazioni di incostituzionalità per difetto di copertura delle leggi regionali in riferimento alla violazione dell’art. 81, quarto comma, Cost., piuttosto che procedendo all'integrazione del parametro invocato – sia esso l'art. 117, terzo comma, Cost. (riguardo ai principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica) o l'art. 81, quarto comma, Cost. (riguardo alla copertura finanziaria delle leggi) – mediante le fonti interposte rappresentate dai principi di coordinamento della finanza pubblica posti in essere dal legislatore statale o da quelli affermati dalla legge di contabilità (v. le già citate sentt. n. 70 e n. 115 del 2012). La stessa mancata costituzionalizzazione della c.d. copertura allargata costituisce probabilmente ulteriore fattore che spinge la Corte costituzionale all’utilizzo in via diretta, quale parametro, dell’art. 81, quarto comma, Cost. [97].
Quanto al rafforzamento del vincolo di bilancio, si è già ricordato come la legge costituzionale n. 1 del 2012 – specie con l’art. 81, sesto comma, Cost. (nuova versione) e con il comma premesso all’art. 97 Cost. – abbia già esteso al complesso delle pubbliche amministrazioni pubbliche (e quindi anche alle autonomie territoriali) il principio dell'equilibrio di bilancio tra entrate e spese e il principio della sostenibilità del debito complessivo (quindi in riferimento alle grandezze contabili rilevanti per il diritto dell’Unione europea, a partire dall’indebitamento netto di tutte le pubbliche amministrazioni e del debito pubblico complessivo) [98].
Ciò non determina soltanto la rinnovata configurazione del vincolo di bilancio in senso restrittivo per le autonomie territoriali, sotto vario profilo già anticipato dalla giurisprudenza costituzionale dell'ultimo triennio, quanto, alla luce delle competenze riservate al legislatore statale ex art. 5 della legge costituzionale n. 1 del 2012, una vera e propria competenza speciale di tipo esclusivo difficilmente delimitabile. La richiamata disposizione costituzionale definisce infatti un titolo competenziale non sufficientemente determinato e potenzialmente in espansione, in quanto riferito a grandezze parametriche quali l’“equilibrio di bilancio” e la “sostenibilità del debito”, che ben difficilmente potranno essere delimitate in astratto [99].
In definitiva, può ragionevolmente riconoscersi che i principi della legge costituzionale configurano rinnovati titoli competenziali esclusivi del legislatore statale, potenzialmente in grado di erodere ulteriormente la potestà concorrente in materia, dettando alcune disposizioni di immediato impatto sul coordinamento della finanza pubblica delle autonomie territoriali. Anzitutto, l’art. 5, comma 1, lett. d) ed e), della legge costituzionale n. 1 del 2012 demanda alla legge rinforzata rispettivamente il compito di individuare le condizioni a cui è consentito il ricorso all’indebitamento (anche per le autonomie territoriali) e le regole sulla spesa orientate a salvaguardare gli equilibri di bilancio e la riduzione del debito pubblico, in coerenza con gli obiettivi di finanza pubblica posti dall'Unione europea.
Si tratta di disposizioni potenzialmente assai rilevanti nel senso della ridefinizione dei titoli competenziali esclusivi del legislatore statale in materia di coordinamento della finanza pubblica, che potranno tra l'altro fornire un ancoraggio più ampio e definito ai fini dell'integrazione del parametro nel giudizio di costituzionalità, in quanto immediato “precipitato normativo” del dettato costituzionale [100]. Essi hanno successivamente trovato puntuale attuazione negli artt. 9 e 10 della legge rinforzata n. 243 del 2012.
Il richiamato art. 9 individua anzitutto i criteri ai fini della determinazione dell'equilibrio di bilancio degli enti territoriali, prevedendo che esso sia conseguito quando, sia nella fase di previsione sia in quella di rendiconto, sia registrato: un saldo non negativo, in termini di competenza e di cassa, tra le entrate finali e le spese finali; un saldo non negativo, in termini di competenza e di cassa, tra le entrate correnti e le spese correnti, incluse le quote di capitale delle rate di ammortamento dei prestiti (comma 1, lett. a) e b)). Esso inoltre è volto a finalizzare eventuali saldi positivi all'estinzione del debito maturato dall'ente (comma 3); pone un'ulteriore riserva di legge al fine di definire le sanzioni da applicare agli enti territoriali in caso di mancato conseguimento dell'equilibrio gestionale sino al ripristino delle condizioni di equilibrio, da promuovere anche attraverso la previsione di specifici piani di rientro (comma 4).
L'art. 9, comma 5, della legge rinforzata n. 243 del 2012, consente infine al legislatore statale, per assicurare il rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea, sulla base di criteri analoghi a quelli previsti per le amministrazioni statali e tenendo conto di parametri di virtuosità, di prevedere ulteriori obblighi a carico degli enti territoriali in materia di concorso al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica del complesso delle amministrazioni.
Si tratta evidentemente di disposizioni che potranno ridefinire in senso espansivo i poteri del legislatore statale in materia di coordinamento della finanza pubblica, in particolare nella parte in cui poggiano sulla facoltà di prevedere ulteriori piani di rientro dal disavanzo per garantire il rispetto dei vincoli europei. Basti pensare che interventi del legislatore statale di questo tipo potrebbero produrre risultati – sul piano della ridefinizione in senso restrittivo delle competenze delle autonomie territoriali – analoghi a quelli che si sono recentemente manifestati in ordine all'applicazione dei piani di rientro dal disavanzo sanitario, specie alla luce degli orientamenti maturati dalla giurisprudenza costituzionale.
Analoghi effetti potrebbe produrre la legge di attuazione dell'art. 81 Cost., nella parte in cui, nel delineare i rinnovati titoli competenziali del legislatore statale in materia di coordinamento della finanza pubblica, non istituisce alcun meccanismo cooperativo – come intese o accordi – nel procedimento di predisposizione dei criteri ai fini della determinazione dell’equilibrio degli enti territoriali, a conferma della progressiva marginalizzazione del sistema delle Conferenze.
Il successivo art. 10 della legge n. 243 del 2012, invece, nel limitare il ricorso all’indebitamento da parte degli enti territoriali esclusivamente al finanziamento delle spese di investimento e contestualmente all'adozione di specifici piani di ammortamento, costituisce coerente attuazione delle modificazioni apportate all'art. 119 Cost. Quest'ultimo – come si è visto – consente infatti il ricorso all'indebitamento da parte degli enti territoriali soltanto con la contestuale definizione dei piani di ammortamento e a condizione che per gli enti locali di ciascuna regione sia rispettato l'equilibrio di bilancio.
Si tratta di disposizioni, che, nel quadro del nuovo art. 119, sesto comma, Cost., contribuiscono ad assicurare la trasparenza dell’ammontare dell’impegno finanziario assunto dagli enti territoriali su un determinato arco temporale [101], anche perché – è opportuno sottolineare – per la loro attuazione, è, in questo caso, invece prevista l'intesa in sede di Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, la quale si inscrive nel sistema delle Conferenze (art. 10, comma 5, della legge n. 243 del 2012). Esse, tuttavia, rischiano di comprimere l'autonomia degli enti locali che, in ipotesi “virtuosi” – pur rispettando, cioè, il principio di equilibrio di bilancio – potrebbero trovarsi nell'impossibilità di ricorrere all'indebitamento in conseguenza di una cattiva gestione finanziaria di altri enti locali della stessa Regione.
Da questo punto di vista, l'art. 4 della legge costituzionale n. 1 del 2012 (nonché, di riflesso, l'art. 10 della legge n. 243 del 2012) sembra costituire fattore di compressione degli enti territoriali, imponendo loro significative limitazioni di rango costituzionale, qualificando così l'autonomia regionale in termini sostanzialmente subordinati alle esigenze poste dai vincoli di bilancio e da quelle pervasive del coordinamento della finanza pubblica [102]. Le norme richiamate rischiano infatti di deresponsabilizzare l’ente locale, in quanto gli avanzi di bilancio in attivo degli enti locali “virtuosi” potranno essere utilizzate per compensare il disavanzo degli altri enti locali della stessa Regione.
Inoltre, anche l’art. 5, comma 1, lett. g), della legge costituzionale n. 1 del 2012, costituisce potenziale fonte di ulteriore espansione dei poteri di coordinamento finanziario, demandando, nelle fasi avverse del ciclo economico, in via esclusiva al legislatore statale, anche in deroga all'art. 119 Cost., la determinazione delle modalità attraverso cui assicurare il finanziamento, da parte degli altri livelli territoriali di governo, dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali.
Se a tutto ciò si aggiungono i già richiamati effetti della revisione dell’art. 117, terzo comma, Cost., nella parte in cui è scorporata la materia “armonizzazione dei bilanci” da quella del “coordinamento della finanza pubblica” ed essa è ricondotta nell'ambito dei titoli competenziali esclusivi (art. 117, secondo comma, Cost.), si avrà la misura della conseguente potenziale attrazione in favore dello Stato anche di ulteriori profili del “coordinamento della finanza pubblica”.
 
7. Considerazioni conclusive: supremacy clause e deroga al riparto costituzionale delle competenze?
 
Volendo trarre qualche considerazione conclusiva dall’analisi condotta, dal punto di vista delle autonomie territoriali risulta piuttosto evidente che il quadro complessivo delle tendenze del legislatore – costituzionale e ordinario – appare tutt’altro che rassicurante, posto il carattere invasivo delle competenze regionali in larga parte riconducibile all’esercizio della funzione di coordinamento della finanza pubblica.
La progressiva valorizzazione del carattere “finalistico” dell’azione di coordinamento ha infatti consentito al legislatore statale di andare ben al di là della determinazione dei principi di una – per quanto trasversale e peculiare – materia di potestà concorrente. Come si è visto, tale funzione è infatti postulata non soltanto dall’art. 117, terzo comma, Cost., ma anche da altre disposizioni costituzionali (artt. 119 e 120 Cost.), espressione di inderogabili istanze unitarie che vengono a permeare la Carta costituzionale sia sul piano istituzionale sia su quello funzionale. Ne consegue che la funzione di coordinamento della finanza pubblica e dei tributi esprime un complesso di attività di carattere legislativo, regolamentare e amministrativo rivolte a fornire compiuta attuazione e a rendere effettivi i fini cui è preordinata la funzione stessa, nel rispetto dei limiti della riserva di legge e del principio di legalità (artt. 23 e 53 Cost.) e contemperando le richiamate istanze unitarie con il principio autonomistico.
Ricostruita in termini funzionali, piuttosto che come materia di potestà concorrente, la giurisprudenza costituzionale ha chiarito, sin dalle sue prime pronunce, che è proprio il carattere “finalistico” dell’azione di coordinamento a postulare che “al livello centrale si possano collocare non solo la determinazione delle norme fondamentali che reggono la materia, ma altresì i poteri puntuali eventualmente necessari perché la finalità di coordinamento – che di per sé eccede inevitabilmente, in parte, le possibilità di intervento dei livelli territoriali sub-statali – possa essere concretamente realizzata”, ben potendo, quindi, il legislatore statale, a tali fini, dettare precetti puntuali e “di dettaglio” (tra le prime, sentt. n. 376 del 2003; n. 35 del 2005).
Le condizioni a cui la Corte ha poi sottoposto l’esercizio della funzione – finalizzate a garantire il rispetto delle sfere di autonomia costituzionalmente garantite, onde evitare che l’azione di coordinamento ridondi in attività di indebito condizionamento degli enti territoriali (ex plurimis, sentt. n. 169 del 2007; n. 182 del 2011) – non si sono però rivelate sempre idonee a contenere l’invasività della legislazione statale.
Su queste tendenze ha poi progressivamente influito il rafforzamento degli obiettivi di finanza pubblica, sotto la spinta della crisi economico-finanziaria e della conseguente ridefinizione dei vincoli europei al governo dei conti pubblici [103]. Un processo, quest’ultimo, tra l’altro in grado di ribaltare il rapporto tra norma di principio e di dettaglio in materia di coordinamento della finanza pubblica, consentendo al legislatore statale di dettare discipline puntuali opponibili alle autonomie territoriali al fine di conseguire gli obiettivi parametrici di governo dei conti pubblici e di dare attuazione agli obblighi imposti dal diritto dell’Unione europea: dapprima – come si è detto – nella giurisprudenza costituzionale, che ha visto la confluenza tra uno dei filoni relativi al coordinamento della finanza pubblica e quello relativo al rispetto dell’obbligo costituzionale di copertura finanziaria delle leggi regionali; e, successivamente, nell’azione del legislatore costituzionale e ordinario, che ha positivizzato l’interpretazione restrittiva del vincolo di bilancio, mediante le disposizioni volte a garantire il c.d. pareggio [104].
Anche nella progressiva e tendenziale espansione della materia trasversale “coordinamento della finanza pubblica” sembra quindi rivelarsi uno dei tanti paradossi del regionalismo italiano, che, muovendo dalla presunta inaffidabilità politica delle Regioni, ha legittimato l’estensione del “protettorato” statale su di esse, ma l’estensione del “protettorato” ha contribuito a mantenere modesta l’autonomia politica regionale [105]. Analogamente, proprio nel momento in cui il legislatore sembra portare a compiuta maturazione il processo di attuazione dell’art. 119 Cost. e del Titolo V, valorizzando l’autonomia finanziaria e tributaria degli enti territoriali con il c.d. federalismo fiscale, la sfiducia nella capacità delle Regioni di centrare gli obiettivi di finanza pubblica induce a riaccentrare i processi di spesa e di prelievo, al fine di garantire piena attuazione agli obblighi comunitari e a quelli imposti dalla negativa congiuntura economica internazionale.
L’azione combinata dei poteri sostitutivi di cui all’art. 120, secondo comma, Cost., più volte legittimati dalla giurisprudenza costituzionale, dei meccanismi sanzionatori e premiali previsti dalla legge n. 42 del 2009 e dal decreto legislativo n. 149 del 2011 e da vari interventi previsti, a vario titolo, nei numerosi decreti-legge anticrisi – che si sono susseguiti negli ultimi anni di fronte all'emergenza economica – e ora culminata nei controlli sanzionatori attribuiti alla Corte dei conti dal decreto-legge n. 174 del 2012 – in grado, tra l’altro, di sospendere misure di spesa non soltanto in caso di difetto di copertura, ma anche in caso di mancata sostenibilità finanziaria – ha infatti finito per ricalibrare ulteriormente la direttrice del coordinamento della finanza pubblica a tutto vantaggio del legislatore statale.
Ciò non significa che si sia determinata un’effettiva deroga al riparto costituzionale di competenze, né, tanto meno, che l’azione combinata di legislatore e Corte costituzionale abbia finito per introdurre una vera e propria supremacy clause fondata sull’interpretazione delle norme di coordinamento della finanza pubblica talmente estensiva e invasiva dell’autonomia regionale da segnare una sospensione delle garanzie costituzionali di autonomia. Al contrario, l’analisi della giurisprudenza costituzionale ha mostrato che il coordinamento della finanza pubblica piuttosto che atteggiarsi come materia – ancorché peculiare e trasversale – di potestà concorrente, sembra invece assimilabile a uno dei criteri o delle clausole di riallocazione delle competenze, come quello della continuità normativa, della continuità istituzionale o della leale collaborazione o – ancor più decisivo nella recente giurisprudenza costituzionale – della prevalenza [106]. Questi ultimi, di per sé, non determinano mai vere e proprie supremacy clause in favore del “centro”, analoghe a quelle degli ordinamenti federali, ma operano piuttosto come criteri di risoluzione delle controversie concernenti il riparto costituzionale di competenze. Anche quando, pur nelle diverse declinazioni, sono utilizzati come strumenti di compressione delle materie regionali, la Corte costituzionale ha individuato una serie di cautele con cui circondare i processi di riaccentramento, ancorandoli a requisiti di proporzionalità e ragionevolezza [107].
Sembra invece assumere un vero e proprio carattere derogatorio del riparto costituzionale delle competenze il ricorso ai poteri sostitutivi “straordinari” di cui all’art. 120, secondo comma, Cost., ampiamente legittimato dalla Corte costituzionale, che costituisce l’autentico strumento di ricentralizzazione nelle dinamiche delle relazioni intergovernative delineate dal Titolo V [108].
Tutto ciò finisce per rendere piuttosto superfluo il dibattito sulla ricerca di una supremacy clause o di una clausola di garanzia che consenta la deroga temporanea al riparto di competenze, peraltro espressamente rigettata dalla Corte costituzionale, ad esempio nelle sentt. n. 148 e n. 151 del 2012, laddove il Giudice delle leggi ha espressamente negato che possa essere invocato, anche di fronte alla crisi economica, il principio del salus rei publicae suprema lex esto al fine di sospendere le garanzie costituzionali di autonomia degli enti territoriali, dovendo invece lo Stato affrontare l’emergenza finanziaria predisponendo rimedi che siano consentiti dall’ordinamento costituzionale (sent. n. 151 del 2012). Al riguardo, la Corte ha infatti chiaramente affermato che gli effetti “emergenziali” della crisi economica non possono consentire deroghe al riparto costituzionale delle competenze delineato dal Titolo V della Parte seconda della Costituzione, essendo invece lo Stato tenuto, anche nel caso di situazioni eccezionali, “a rispettare tale riparto di competenze e a trovare rimedi che siano con esso compatibili (ad esempio, mediante l’esercizio, in via di sussidiarietà, di funzioni legislative di spettanza regionale, nei limiti ed alle condizioni più volte indicate da questa Corte)” (sent. n. 148 del 2012). Viene pertanto ribadita “l’inderogabilità dell’ordine costituzionale delle competenze legislative, anche nel caso in cui ricorrano le situazioni eccezionali” (sent. n. 148 del 2012).
Da questo punto di vista, i discutibili riflessi della crisi economico-finanziaria e della rinnovata configurazione del vincolo di bilancio tanto sul rapporto tra Governo e Parlamento quanto sul ruolo delle autonomie territoriali sembrano trovare una serie di limiti puntualmente individuati dalla giurisprudenza costituzionale.
Resta però l’interrogativo se gli argini edificati dalla Corte costituzionale possano effettivamente contenere le potenzialità invasive della legislazione statale. L’analisi condotta sulla giurisprudenza costituzionale – specie quella dell’ultimo triennio – mostra efficacemente come la crisi economico-finanziaria abbia contribuito non poco all’espansione dei principi di coordinamento della finanza pubblica, pur ribadendo, la Corte a più riprese, vieppiù nell’attuale momento congiunturale, la centralità degli strumenti di coinvolgimento delle Regioni e delle Province autonome al fine di garantire la piena attuazione del principio di leale collaborazione nell’osservanza del riparto costituzionale delle competenze (ex plurimis, sent. n. 62 del 2013).
L’impressione finale è che la giurisprudenza costituzionale presa in esame dimostri come le esigenze di ricentralizzazione conseguenti alla crisi economico-finanziaria abbiano progressivamente ricollocato l’interpretazione costituzionale lungo una duplice direttrice. Da un lato, si è infatti registrato lo spostamento del parametro del giudizio di costituzionalità dall’art. 117, quarto comma, Cost., all’art. 117, secondo comma, Cost., al fine di garantire il conseguente recupero di titoli competenziali esclusivi dello Stato. Dall’altro, si è manifestata la progressiva integrazione del parametro – sia esso costituito dall’art. 117, terzo comma, Cost. (in riferimento al coordinamento della finanza pubblica) o dall’art. 81, quarto comma, Cost. (in riferimento alla copertura finanziaria delle leggi regionali) – al fine di garantire il rispetto dei vincoli di bilancio.
E’ dubbio, in definitiva, che la crisi economico-finanziaria costituisca – nella giurisprudenza costituzionale – fattore eccezionale di deroga al riparto delle competenze, nel senso che la Corte non vi riconosce una fonte autonoma di legittimazione di una disciplina legislativa altrimenti incostituzionale, ma si atteggia piuttosto a fatto esterno all’ordinamento giuridico, che determina però, per la sua evidente rilevanza, la diversa riconduzione dell’esercizio di una determinata competenza legislativa ad una materia piuttosto che a un’altra [109]. In altre parole, le esigenze di coordinamento della finanza pubblica inducono la Corte ad ampliare titoli competenziali esclusivi del legislatore statale, riconducendo determinate materie a parametri comunque previsti dalle disposizioni costituzionali e pertanto titolati a legittimare una certa disciplina legislativa.
Due le conseguenze di più immediata evidenza rispetto al richiamato iter logico-argomentativo seguito dalla giurisprudenza costituzionale. Anzitutto, le esigenze di coordinamento della finanza pubblica conseguenti alla crisi economico-finanziaria non sembrano costituire, nelle richiamate pronunce della Corte, autonomo fondamento per salvare disposizioni legislative altrimenti incostituzionali [110]. In secondo luogo, il richiamato spostamento del parametro – atto, si badi bene, a ricondurre, di per sé, determinate materie a titoli competenziali esclusivi dello Stato – unito all’integrazione del parametro costituito dall’art. 117, terzo comma, Cost. mediante norme interposte, sembra introdurre – in via giurisprudenziale – nuovi fattori di dinamismo nel riparto costituzionale delle competenze e nuovi strumenti di superamento dell’originaria rigidità fondata sugli elenchi di materie.
Ciononostante, è proprio nel quadro delle esigenze di riaccentramento imposte dalla crisi economico-finanziaria che le suesposte tendenze potrebbero consolidarsi, trasformando, ancora una volta, le imprescindibili forme di controllo unitario della finanza pubblica – comuni agli ordinamenti federali [111] – in un improprio ruolo di supplenza della Corte costituzionale, specie a fronte dell’azione di Governo e Parlamento che tendono ad avvalorare la progressiva e costante attrazione di ulteriori profili del coordinamento della finanza pubblica nella sfera di competenze esclusive dello Stato, salvo poi ricercare una difficile e impropria copertura – in via successiva – nelle riforme costituzionali.
 
 

* Professore associato di Istituzioni di diritto pubblico, Università di Napoli “Parthenope”.
[1] Al riguardo, cfr., ad esempio, C. Salazar, Politicità e asimmetria nel giudizio in via principale: un binomio in evoluzione?, in Corte costituzionale, I ricorsi in via principale, Atti del Seminario svoltosi in Roma, Palazzo della Consulta, 19 novembre 2010, Milano, Giuffrè, 2011, 72.
[2] Al riguardo, sugli elementi di flessibilità nel riparto di competenze, cfr., tra i tanti, G. Falcon, Modello e transizione nel nuovo Titolo V della Parte seconda della Costituzione, in Le Regioni, 2001, 1252 ss.; F. Benelli, La “smaterializzazione” delle materie. Problemi teorici ed applicativi del nuovo Titolo V della Costituzione, Milano, Giuffrè, 2006, passim, spec. 122 ss.; V. Onida, Il giudice costituzionale e i conflitti fra legislatori locali e centrali, in Le Regioni, 2007, 20 ss.; G. Di Cosimo, Materie (riparto di competenza), in Dig. disc. pubbl., III Aggiornamento, I tomo, Torino, Utet, 2008; M. Belletti, Percorsi di ricentralizzazione del regionalismo italiano nella giurisprudenza costituzionale. Tra tutela di valori fondamentali, esigenze strategiche e di coordinamento della finanza pubblica, Roma, Aracne, 2012, 224 ss.; S. Calzolaio, Il cammino delle materie nello Stato regionale. La definizione delle competenze legislative nell'ordinamento costituzionale, Torino, Giappichelli, 2012, 186 ss. e 255 ss.
[3] Sugli effetti della crisi economico-finanziaria sul riparto costituzionale delle competenze, cfr. S. Mangiameli, Il regionalismo italiano tra processo di federalizzazione interno ed europeo ed effetti della crisi globale, in Id., Le Regioni italiane tra crisi globale e neocentralismo, Milano, Giuffrè, 2013, passim, spec. 18 ss.; Id., Il sistema territoriale e la crisi, in Id., Le Regioni italiane tra crisi globale e neocentralismo, cit., 41 s., secondo il quale “la situazione di crisi economico-finanziaria, infatti, ha agito anche sul riparto di competenze tra Stato e Regioni, realizzando un incremento del contenzioso costituzionale e diventando una sorta di parametro per la giurisprudenza della Corte, che, a seconda dei casi, le ha annesso o meno rilevanza”.
[4] Cfr. V. Bachelet, voce Coordinamento, in Enc. dir., X, Milano, Giuffrè, 1962, 631 ss., secondo il quale “di coordinamento deve parlarsi piuttosto nei confronti delle attività, che non dei singoli atti”. Per uno sviluppo di questa prospettiva, cfr. A. Brancasi, I due scrutini sul funzionamento dinamico del federalismo fiscale: autonomia finanziaria ed obbligo di copertura degli oneri posti a carico di altri enti del settore pubblico, in Giur. cost., 2006, 1425 s.; Id., Ambito e regole del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, in Il coordinamento dinamico della finanza pubblica, Atti del Convegno di Cagliari 15-16 ottobre 2010 (aggiornati con riferimenti alle principali novità successivamente intervenute), a cura di L. Cavallini Cadeddu, Napoli, Jovene, 2012, 3 ss., spec.5 s.; nonché, volendo, G. Rivosecchi, Il coordinamento dinamico della finanza pubblica tra patto di stabilità, patto di convergenza e determinazione dei fabbisogni standard degli enti territoriali, in Il coordinamento dinamico della finanza pubblica, cit., 48 ss.
[5] In questo senso, v. ancora V. Bachelet, voce Coordinamento, cit., 631 e 633.
[6] Al riguardo, diffusamente, secondo l'impostazione qui accolta e condivisa, cfr. A. Brancasi, Il coordinamento della finanza pubblica nel federalismo fiscale, in Diritto pubblico, 2011, 452 s.
[7] Al riguardo, ad esempio, S. Mangiameli, La nuova parabola del regionalismo italiano tra crisi istituzionale e necessità di riforme, in Id., Le Regioni italiane tra crisi globale e neocentralismo, cit., 94.
[8] Al riguardo, cfr. già A. Barbera, Regioni e interesse nazionale, Milano, Giuffrè, 1973; nonché, in specifico riferimento all’art. 119 Cost. vigente, A. Morrone, Il sistema finanziario e tributario della Repubblica. I principi costituzionali, Bologna, Libreria Bonomo Editrice, 2004; Id., Corte costituzionale e costituzione finanziaria, in Corte costituzionale e processo costituzionale nell'esperienza della Rivista “Giurisprudenza costituzionale” per il cinquantesimo anniversario, a cura di A. Pace, Milano, Giuffrè, 2006, 647 ss.
[9] In questo senso, ad esempio, G.M. Salerno, Alcune riflessioni sulla nuova costituzione finanziaria della Repubblica, in Federalismo fiscale, n. 1/2007, 119 ss.
[10] In questo senso, A. Brancasi e F. Merloni, Politiche statali, politiche regionali e autonomia politico-amministrativa e finanziaria degli enti territoriali, in Le regioni, 2009, 18 ss.; nonché, volendo, G. Rivosecchi, Il coordinamento dinamico della finanza pubblica tra patto di stabilità, patto di convergenza e determinazione dei fabbisogni standard degli enti territoriali, in Il coordinamento dinamico della finanza pubblica, Atti del Convegno di Cagliari 15-16 ottobre 2010 (aggiornati con riferimenti alle principali novità successivamente intervenute), a cura di L. Cavallini Cadeddu, Napoli, Jovene, 2012, 50.
[11] In questa chiave di lettura, tra gli altri, F. Sorrentino, Riflessioni preliminari sul coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, in Studi in onore di Franco Modugno, Napoli, Edizioni Scientifiche, 2011, 3425 ss.; G.M. Salerno, Dopo la norma costituzionale sul pareggio del bilancio: vincoli e limiti all'autonomia finanziaria delle Regioni, in Quad. cost., 2012, 564 ss.
[12] Così, G.M. Salerno, Dopo la norma costituzionale sul pareggio del bilancio, cit., 566.
[13] Cfr., per tutti, A. Brancasi, L’autonomia finanziaria degli enti territoriali: note esegetiche sul nuovo art. 119 Cost., in Le Regioni, 2003, 41 ss.
[14] Per riprendere l'espressione di R. Bifulco, Le relazioni intergovernative finanziarie negli Stati composti tra costituzione, politiche costituzionali e politiche di maggioranza, in Federalismi fiscali e Costituzioni, a cura di V. Atripaldi, R. Bifulco, Torino, Giappichelli, 2001, 1 ss.
[15] Sul punto, cfr. Astrid, L’attuazione del federalismo fiscale. Una proposta, a cura di F. Bassanini e G. Macciotta, Il Mulino, Bologna, 2003, 6 ss.
[16] Al riguardo, v. ancora A. Brancasi e F. Merloni, Politiche statali, politiche regionali, cit., 18 ss., spec. 20.
[17] Così, ad esempio, G.M. Salerno, Dopo la norma costituzionale sul pareggio del bilancio, cit., 567.
[18] Il riferimento è, ovviamente, al processo di attuazione dell’art. 119 Cost. e dell’intero Titolo V messo in moto dalla legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), mentre i precedenti tentativi sembravano indicare un diverso percorso, postulando la necessità di affrontare la questione della redistribuzione delle funzioni amministrative tra i diversi livelli di governo in via preventiva rispetto alla riallocazione delle risorse. Si pensi alla XIII legislatura allorquando, nel processo di attuazione del previgente Titolo V, si è partiti dal conferimento delle funzioni amministrative dallo Stato alle regioni e agli enti locali, messo in moto dalla legge 15 marzo 1997, n. 59, al quale – soltanto in una seconda fase – hanno fatto seguito la legge 13 maggio 1999, n. 133, e il decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56 (Disposizioni in materia di federalismo fiscale, a norma dell’articolo 10 della legge 13 maggio1999, n. 133). O, ancora, nella pur breve esperienza della XV legislatura, al tentativo di posporre il disegno di legge Padoa Schioppa sul federalismo fiscale al disegno di legge Amato-Lanzillotta, che interveniva, tra l’altro, sulla ridefinizione delle funzioni amministrative.
[19] Anche se, per effetto dell’art. 3 della legge costituzionale n. 1 del 2012 la materia “armonizzazione dei bilanci pubblici” è stata attribuita alla potestà legislativa esclusiva dello Stato. Sul punto, v. infra, paragrafo 6.
[20] Sul punto, cfr. A. Fedele, Art. 23, in Commentario alla Costituzione, a cura di G. Branca, Art. 22-23, Rapporti civili, Bologna-Roma, Zanichelli-Il Foro italiano, 1978, 29 ss.
[21] “Non richiesta e non gradita”, come ebbe a definirla l’allora Presidente della Corte costituzionale Gustavo Zagrebelsky nella Conferenza stampa annuale per il 2003. Al riguardo, cfr. U. De Siervo, Il regionalismo italiano fra i limiti della riforma del Titolo V e la sua mancata attuazione, in www.issirfa-spoglio.cnr.it; C. Salazar, Politicità e asimmetria nel giudizio in via principale, cit., 69 s. Secondo S. Mangiameli, La nuova parabola del regionalismo italiano tra crisi istituzionale e necessità di riforme, cit., 102, anche la crescita della conflittualità costituzionale tra lo Stato e le Regioni è la “conseguenza diretta dell'inversione dei ruoli tra il legislatore statale e la Corte costituzionale, in quanto il primo, resistendo all'applicazione delle nuove disposizioni costituzionali, ha di fatto demandato al giudice costituzionale il compito di attuare in forma giudiziale il nuovo Titolo V”.
[22] Sul punto, si vedano le osservazioni critiche di A. Brancasi, Continua l’inarrestabile cammino verso una concezione statalista del coordinamento finanziario, in Le Regioni, 2008, 1235 ss.
[23] In base allo stesso nesso tra attuazione dell'art. 119 Cost. e attuazione del Titolo V delineato dalla Corte costituzionale, la quale, nella sentenza n. 370 del 2003, ha ad esempio affermato che “appare evidente che la attuazione dell'art. 119 Cost. sia urgente al fine di concretizzare davvero quanto previsto nel nuovo Titolo V della Costituzione, poiché altrimenti si verrebbe a contraddire il diverso riparto di competenze configurato dalle nuove disposizioni; inoltre, la permanenza o addirittura la istituzione di forme di finanziamento delle Regioni e degli enti locali contraddittorie con l'art. 119 della Costituzione espone a rischi di cattiva funzionalità o addirittura di blocco di interi ambiti settoriali”.
[24] Per uno sviluppo di questa prospettiva, cfr. A. Brancasi, I due scrutini sul funzionamento dinamico del federalismo fiscale, cit., 1425 s.; Id., Ambito e regole del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, cit., 3 ss., spec.5 s.; nonché, volendo, G. Rivosecchi, Il coordinamento dinamico della finanza pubblica, cit., 48 ss.
[25] Cfr., ancora, V. Bachelet, voce Coordinamento, cit., 631 e 633.
[26] In questo senso, M. Barbero, La “territorializzazione” del patto di stabilità interno, in Il coordinamento dinamico della finanza pubblica, cit., 227 ss., spec. 246 ss.
[27] Sul punto, si vedano ancora le considerazioni di V. Bachelet, voce Coordinamento, cit., 632, secondo il quale “di coordinamento deve parlarsi piuttosto nei confronti delle attività, che non dei singoli atti”. Per una prima distinzione tra regole statiche e regole dinamiche del coordinamento della finanza delle autonomie territoriali, nell'accezione sopra richiamata, si veda ancora A. Brancasi, I due scrutini sul funzionamento dinamico del federalismo fiscale, cit., 1425.
[28] Al riguardo, cfr. G.C. De Martin e G. Rivosecchi, Coordinamento della finanza territoriale e autonomie speciali alla luce della legge n. 42 del 2009 (Commento all'art. 27), in Il federalismo fiscale, a cura di V. Nicotra, F. Pizzetti, S. Scozzese, Roma, Donzelli, 2009, 338 s.
[29] Al riguardo, cfr. F. Gallo, I principi del federalismo fiscale, in Diritto e pratica tributaria, n. 1/2012, 13; Id., I principi fondamentali di coordinamento del sistema tributario nel federalismo fiscale, in Federalismo fiscale: evoluzione e prospettive, Atti del convegno tenuto a Bari il 6 luglio 2012, a cura di A. Uricchio, Bari, Cacucci Editore, 2013, 33.
[30] Cfr. A. Brancasi, Per “congelare” la potestà impositiva delle Regioni la Corte costituzionale mette in pericolo la loro autonomia finanziaria, in Giur. cost., 2003, 2562 ss., spec. 2564.
[31] Sul punto, si vedano le osservazioni critiche di A. Brancasi, Continua l’inarrestabile cammino verso una concezione statalista del coordinamento finanziario, in Le Regioni, 2008, 1235 ss.
[32] Cfr. F. Gallo, I principi fondamentali di coordinamento del sistema tributario nel federalismo fiscale, cit., 34. Al riguardo, per un ulteriore approfondimento, sia consentito rinviare anche a G. Rivosecchi, Il federalismo fiscale tra giurisprudenza costituzionale e legge n. 42/2009, ovvero: del mancato coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, in Rivista di diritto tributario, vol. XX, n. 1/2010, 55.
[33] In questo senso, F. Gallo, I principi fondamentali di coordinamento del sistema tributario nel federalismo fiscale, cit., 37 ss.
[34] Al riguardo, tra i tanti, S. Mangiameli, La riforma del regionalismo italiano, Torino, Giappichelli, 2002, passim, spec. 116 ss.; A. D'Atena, Giustizia costituzionale e autonomie regionali in tema di applicazione del nuovo Titolo V, in Corte costituzionale e processo costituzionale, cit., 270 ss.; G. Di Cosimo, La legge regionale dopo la riforma della Costituzione italiana, in www.osservatoriosullefonti.it, n. 1/2009; F. Benelli, R. Bin, Prevalenza e “rimaterializzazione delle materie”: scacco matto alle Regioni, in Le Regioni, n. 6/2009, 1185 ss.; C. Salazar, Politicità e asimmetria nel giudizio in via principale, cit., 70.
[35] V. supra, paragrafo 2.
[36] Già a partire dalla nota sentenza n. 303 del 2003, nella quale la Corte costituzionale tra l'altro afferma che “limitare l'attività unificante dello Stato alle sole materie espressamente attribuitegli in potestà esclusiva o alla determinazione dei principi nelle materie di potestà concorrente, come postulano le ricorrenti, significherebbe bensì circondare le competenze legislative delle Regioni di garanzie ferree, ma vorrebbe anche dire svalutare oltremisura istanze unitarie che pure in assetti costituzionali fortemente pervasi da pluralismo istituzionale giustificano, a determinate condizioni, una deroga alla normale ripartizione di competenze (“Considerato in diritto”, n. 2.1); cui adde la sentenza n. 370 del 2003, in cui la Corte afferma, “in linea generale”, “l'impossibilità di ricondurre un determinato oggetto di disciplina normativa all'ambito di applicazione affidato alla legislazione residuale delle Regioni ai sensi del comma quarto del medesimo art. 117, per il solo fatto che tale oggetto non sia immediatamente riferibile ad una delle materie elencate nei commi secondo e terzo dell'art. 117 della Costituzione”; nonché, sul piano più strettamente processuale, la sentenza n. 274 del 2003, con la quale la Corte conferma – anche nell'assetto derivato dalla riforma del Titolo V – l'asimmetria tra Stato e Regioni circa i parametri invocabili nel giudizio di costituzionalità, atteso che, da un lato, il ricorso statale lamenta un eccesso di competenza regionale (invocabile in riferimento a qualsiasi parametro costituzionale), e, dall'altro, il ricorso regionale può lamentare soltanto una lesione della competenza regionale (invocabile soltanto in riferimento a parametri competenziali).
[37] Al riguardo, cfr., ad esempio, F. Benelli, La “smaterializzazione” delle materie, cit., 122 ss.; M. Belletti, Percorsi di ricentralizzazione del regionalismo italiano nella giurisprudenza costituzionale, cit., 213 ss.
[38] Cfr., ad esempio, S. Calzolaio, Il cammino delle materie nello Stato regionale, cit., 224 s., secondo il quale “una vera e propria materia trasversale nelle competenze concorrenti è la 'armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica'”. Per una rassegna della recente giurisprudenza costituzionale che valorizza il carattere “finalistico” del coordinamento della finanza pubblica, v. anche L. Ronchetti, La costruzione giurisprudenziale del regionalismo italiano, in Il regionalismo italiano tra tradizioni unitarie e processi di federalismo. Contributo allo studio della crisi della forma di Stato in Italia, a cura di S. Mangiameli, Milano, Giuffrè, 2012, 506 ss.
[39] Di vera e propria “maglia” del “coordinamento della finanza pubblica”, che riveste una “caotica legislazione istituzionale”, parla, ad esempio, S. Mangiameli, Il regionalismo italiano tra processo di federalizzazione interno ed europeo ed effetti della crisi globale, cit., 33. V. anche Id., La nuova parabola del regionalismo italiano tra crisi istituzionale e necessità di riforme, cit., 121, ove si rileva che il legislatore statale pone in essere una vera e propria “ristrutturazione istituzionale” in nome del “coordinamento della finanza pubblica”.
[40] Al riguardo, una recente analisi è in S. Mangiameli, La nuova parabola del regionalismo italiano tra crisi istituzionale e necessità di riforme, cit., 110 ss.
[41] Così, G.M. Salerno, Dopo la norma costituzionale sul pareggio del bilancio, cit., 565 ss., spec. 568 s.
[42] V. infra, paragrafi 4 e 5.
[43] Sulla distinzione tra vincoli e limiti di coordinamento finanziario, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale, cfr. G.M. Salerno, Dopo la norma costituzionale sul pareggio del bilancio, cit., 572 ss.
[44] Per un approfondimento, sia consentito rinviare a G. Rivosecchi, Il governo europeo dei conti pubblici tra crisi economico-finanziaria e riflessi sul sistema delle fonti, in www.osservatoriosullefonti.it, fasc. n. 1/2011; Id., Il governo dei conti pubblici tra articolo 81 della Costituzione, vincoli europei e crisi economico-finanziaria globale, in Costituzione, economia, globalizzazione. Liber amicorum in onore di Carlo Amirante, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2013, 941 ss.
[45] Al riguardo, cfr., ad esempio, N. Lupo, Il nuovo articolo 81 della Costituzione e la legge rinforzata, Relazione al Convegno “Dalla crisi economica al pareggio di bilancio: prospettive, percorsi e responsabilità”, Varenna 20-22 settembre 2012, Atti in corso di pubblicazione, 346 ss.; nonché, sia pure limitatamente alla rinnovata configurazione del vincolo di bilancio sull'intero sistema delle autonomie territoriali, G.M. Salerno, Equilibrio di bilancio, coordinamento finanziario e autonomie territoriali, in Il Filangieri – Quaderno 2011, Costituzione e pareggio di bilancio, a cura di V. Lippolis, N. Lupo, G.M. Salerno, G. Scaccia, Napoli, Jovene, 2011, 150 s. e 159.
[46] Sul punto, cfr. G.M. Salerno, Dopo la norma costituzionale sul pareggio del bilancio, cit., 569 s.
[47] In questo senso, v. ancora G.M. Salerno, Dopo la norma costituzionale sul pareggio del bilancio, cit., 570 ss.
[48] V. supra, paragrafo 2.
[49] Al riguardo, si vedano le considerazioni critiche di A. D’Atena, Le aperture dinamiche del riparto delle competenze, tra punti fermi e nodi non sciolti, in Le Regioni, 2008, 815 s. Sulla carenza di adeguati strumenti di raccordo in attuazione del principio cooperativo, specie in relazione alla legislazione finanziaria e tributaria posta in essere nella crisi economica, cfr. S. Mangiameli, Il sistema territoriale e la crisi, cit., 50 s.
[50] Sul punto, cfr. G.M. Salerno, Dopo la norma costituzionale sul pareggio del bilancio, cit., 571 s.
[51] Quanto a questo complesso di attività in cui si sostanzia il coordinamento finanziario, cfr. S. Mangiameli, Il federalismo alla prova: la differenziazione regionale, in Id., Le Regioni italiane tra crisi globale e neocentralismo, cit., 77, il quale sottolinea gli effetti della giurisprudenza costituzionale sul principio del coordinamento della finanza pubblica, distinto dai principi fondamentali della corrispondente materia della competenza concorrente.
[52] Riprendendo, sotto questo profilo, le osservazioni di G.M. Salerno, Dopo la norma costituzionale sul pareggio del bilancio, cit., 570 ss., spec. 572.
[53] In questo senso, invece, F. Gallo, I principi del federalismo fiscale, cit., 19.
[54] Per un approfondimento, sia consentito rinviare a G. Rivosecchi, Il coordinamento dinamico della finanza pubblica, cit., 53 ss.
[55] In questo senso, cfr., ad esempio, C. Pinelli, Patto di stabilità interno e finanza regionale, in Giur. cost., 2004, 515 s.
[56] Al riguardo, si vedano le osservazioni critiche di A. Brancasi, Il coordinamento della finanza pubblica nel federalismo fiscale, cit., 476 s., il quale conclude che “il senso del federalismo fiscale” è invece quello di “consentire alle singole comunità di autodeterminarsi e di scegliere la combinazione che più preferiscono di intervento pubblico e stato sociale, da un lato, e di pressione fiscale, dall'altro”.
[57] In questo senso, A. Brancasi, La controversia, e soltanto parziale, continuità nella giurisprudenza costituzionale sul coordinamento finanziario, in Giur. cost., 2007, 1648 ss., il quale tratteggia e preconizza l’ulteriore evoluzione espansiva della “materia” coordinamento della finanza pubblica.
[58] Al riguardo, cfr. A. Brancasi, Coordinamento finanziario e autoqualificazione di principi fondamentali, in Giur. cost., 2009, 4534 ss.
[59] Così, A. Brancasi, In tema di coordinamento della finanza pubblica la Corte ci ripensa, con l’esito di compromettere la coerenza argomentativa, in Giur. cost., 2009, 1511.
[60] Su tale incremento, si vedano i dati richiamati da S. Calzolaio, Il cammino delle materie, cit., 276 ss.
[61] In senso favorevole alla valorizzazione del parametro dell’unità economica della Repubblica, cfr. A. Morrone, Corte costituzionale e costituzione finanziaria, cit., 647 ss.; in senso contrario, S. Mangiameli, La riforma del regionalismo italiano, cit., 151 s., in quanto verrebbe in tal modo avvalorato, in via preventiva, un uso eccessivamente ampio e discrezionale dei poteri sostitutivi dello Stato, insuscettibile di alcuna verifica rispetto alle condizioni di fatto; nonché Id., Giustizia costituzionale e federalismo: riflessioni sull'esperienza italiana, in Id., Le regioni italiane tra crisi globale e neocentralismo, cit., 141, secondo il quale il parametro costituito dall'unità giuridica ed economica dell'ordinamento (art. 120 Cost.) consentirebbe alla Corte costituzionale di far valere una pretesa meta-costituzionale, in quanto lo Stato sarebbe l'unico soggetto avente il compito di assicurarne il pieno soddisfacimento, scambiando, in tal modo, “regole di disciplina della competenza con principi del regime politico dello Stato che non hanno nulla a che fare con le disposizioni costituzionali citate”. Sull'incidenza del parametro dell'unità economica nella più recente giurisprudenza costituzionale sulla conformazione del coordinamento della finanza pubblica, specie con riguardo ai vincoli più stringenti all'autonomia di spesa, cfr. M. Belletti, Percorsi di ricentralizzazione del regionalismo italiano nella giurisprudenza costituzionale, cit., 224 ss.
[62] Incremento rilevato, ad esempio, da S. Calzolaio, La delibera governativa di impugnazione delle leggi regionali nella prassi, in La prassi degli organi costituzionali, Bologna, BUP, 2008, 311 ss.; nonché Id., Il cammino delle materie, cit., 274 s.
[63] Per un approfondimento circa i deleteri effetti dell'abuso della decretazione d'urgenza nei provvedimenti di governo dell'economia di fronte alla crisi economico-finanziaria, sia consentito rinviare a G. Rivosecchi, Il parlamento di fronte alla crisi economico-finanziaria (18/9/2012), in www.rivistaaic.it, fasc. n. 3/2012.
[64] Al riguardo, per un approfondimento, cfr. C. Bergonzini, La piramide rovesciata: la gerarchia tra le fonti del diritto parlamentare, in Quad. cost., 2008, 741 ss.; nonché, volendo, G. Rivosecchi, A quarant'anni dal 1971: dai (presunti) riflessi della stagione consociativa al (presumibile) declino del Parlamento, in I regolamenti parlamentari a quarant'anni dal 1971, a cura di A. Manzella, Bologna, Il Mulino, 2012, 173 ss.
[65] Sulla carenza di adeguati strumenti di raccordo tra i diversi livelli territoriali di governo, specie di fronte alla crisi economico-finanziaria, cfr. S. Mangiameli, Governare dal centro: l'influenza della legislazione statale su quella regionale, in Id., Le Regioni italiane tra crisi globale e neocentralismo, cit., 72 ss.
[66] Per un approfondimento, sia consentito un rinvio a G. Rivosecchi, Il Parlamento, in Il diritto costituzionale alla prova della crisi economica. Atti del Convegno di Roma, 26-27 aprile 2012, a cura di F. Angelini, M. Benvenuti, Napoli, Jovene, 2012, 244 ss.
[67] In questa prospettiva, si veda la proposta Astrid, per il passaggio dalla contabilità dello Stato alla “contabilità della Repubblica”, in AA.VV., Per far funzionare il Parlamento, a cura di A. Manzella e F. Bassanini, Bologna, Il Mulino, 2007, 125 ss.
[68] In questa prospettiva, si veda la proposta Astrid, per il passaggio dalla contabilità dello Stato alla “contabilità della Repubblica”, in AA.VV., Per far funzionare il Parlamento, a cura di A. Manzella e F. Bassanini, Bologna, Il Mulino, 2007, 125 ss.
[69] Sul punto, sia consentito un rinvio a G. Rivosecchi, Consigli regionali e raccordi intergovernativi, in Il Filangieri – Quaderno 2009. Nuove regole per nuovi Consigli regionali, Napoli, Jovene, 2010, 293 s.
[70] Al riguardo, spunti, ad esempio, in A. Brancasi e F. Merloni, Politiche statali, politiche regionali, cit., 12 s.
[71] Al riguardo, cfr. G.C. De Martin, Per prendere sul serio la riforma del “federalismo amministrativo”: le questioni del personale, in Le istituzioni del federalismo, 1997, 440 ss.
[72] Sul coordinamento c.d. tecnico, definito anche “coordinamento informativo, statistico ed informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale”, cfr., ad esempio, S. Calzolaio, Il cammino delle materie nello Stato regionale, cit., 206 ss., il quale, ripercorrendo i passaggi salienti della giurisprudenza costituzionale, rileva la tendenziale espansione della portata della materia in base al suo carattere “trasversale” o “ad ombrello”, che tende, cioè, ad espandersi a tutela di interessi ritenuti infrazionabili e quindi riconducibili ad esigenze unitarie. Nel senso, invece, della limitazione dell’invasività della legislazione statale sul c.d. coordinamento tecnico-informativo, v. la recente sent. n. 219 del 2013 (“Considerato in diritto”, n. 16.5).
[73] Al riguardo, cfr., da ultimi e per tutti, G. Zagrebelsky, V. Marcenò, Giustizia costituzionale, Bologna, Il Mulino, 2012, 328 s.; A. Pertici, voce Giudizio in via d’azione, in Dig. disc. pubbl., Aggiornamento, V, Torino, Utet, 2012, 425 s.
[74] V. paragrafo 1.
[75] Al riguardo, si vedano le considerazioni di A. Brancasi, Il coordinamento della finanza pubblica nel federalismo fiscale, cit., 476, il quale, in riferimento al “precedente” costituito dalla sentenza n. 182 del 2011, afferma che “questa giurisprudenza presenta certamente il pregio di riconoscere un qualche rilievo al nesso che deve legare la disposizione di coordinamento alla finalità perseguita, ma è insufficiente risolvere la questione in termini di presunzione, quando invece sarebbe necessario richiedere, non soltanto che la misura di coordinamento sia utile, proporzionale ed indispensabile a conseguire i risultati voluti, ma anche che al soggetto coordinatore faccia carico dimostrare tutto ciò” (cors. ns.).
[76] Al riguardo, con approccio l’uno adesivo all'impostazione della richiamata giurisprudenza costituzionale e l'altra critico, si vedano G. D’Auria, Gli Accordi Stato-Regioni sui “piani di rientro” dai disavanzi sanitari. Quali vincoli per il legislatore regionale?, in Il Foro italiano, fasc. 10, 2010, 2644 ss.; E. Griglio, La legislazione regionale alla prova dei piani di rientro dai disavanzi sanitari: possibile la ratifica, non la conversione in legge, del piano (24/7/2012), in Rivista dell'Associazione Italiana dei Costituzionalisti, www.rivistaaic.it, fasc. n. 3/2012, 7 ss.
[77] Così, S. Calzolaio, Il cammino delle materie, cit., 226.
[78] In questo senso, le condivisibili osservazioni di M. Belletti, Percorsi di ricentralizzazione del regionalismo italiano nella giurisprudenza costituzionale, cit., 226. Al riguardo, sia consentito rinviare anche a G. Rivosecchi, L'autonomia finanziaria e tributaria degli enti territoriali tra (incompiuta) attuazione del Titolo V e (sedicente) federalismo fiscale, in Le autonomie in cammino. Scritti dedicati a Gian Candido De Martin, Padova, Cedam, 2012, 149 ss.
[79] Al riguardo, ricorda opportunamente anche E. Griglio, La legislazione regionale alla prova dei piani di rientro dai disavanzi sanitari, cit., 10, nota 52, che l’art. 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005), nel disciplinare l'istituto del c.d. piano di rientro per le Regioni interessate da disavanzi strutturali, si limitava a precisare che la sottoscrizione del relativo accordo costituiva “condizione necessaria per la riattribuzione alla regione interessata del maggiore finanziamento”, mentre l’art. 2, comma 79, della richiamata legge n. 191 del 2009 – che attualmente regola la materia – ha successivamente introdotto un meccanismo di “pre-commissariamento”, funzionale alla predisposizione stessa del piano e a garantire il carattere obbligatorio del piano per le Regioni in disavanzo strutturale.
[80] In questo senso, ad esempio, E. Griglio, La legislazione regionale alla prova dei piani di rientro dai disavanzi sanitari, cit., 10.
[81] Sui caratteri e sullo stato di attuazione dei piani di rientro, cfr. E. Caruso–N. Dirindin, Sanità: un decennio di contraddizioni e prove tecniche di stabilità, in La finanza pubblica italiana. Rapporto 2010, a cura di M.C. Guerra, A. Zanardi, Bologna, Il Mulino, 2010, 223 ss.
[82] Cfr. M. Belletti, Prove (poco gradite) di regionalismo cooperativo, in Le Regioni, 2008, 983 ss.
[83] Lo sottolinea E. Griglio, La legislazione regionale alla prova dei piani di rientro dai disavanzi sanitari, cit., 11.
[84] In questo senso, v. anche E. Innocenti, Il finanziamento della spesa sanitaria nella recente giurisprudenza costituzionale: tra tutela della salute, coordinamento della finanza pubblica e (in)attuazione dell'art. 119 Cost., in Le Regioni, 2008, 583.
[85] Riprendendo le considerazioni di E. Griglio, La legislazione regionale alla prova dei piani di rientro dai disavanzi sanitari, cit., 16 s., la quale valuta comunque criticamente il richiamato orientamento della giurisprudenza costituzionale in punto di qualificazione in termini di norme di coordinamento della finanza pubblica di disposizioni “che, in via di fatto, finiscono per privare il legislatore regionale non solo di quell'autodeterminazione che è propria dell'attività politica, ma anche della discrezionalità amministrativa rispetto alla ponderazione degli interessi in gioco”.
[86] In riferimento a questa giurisprudenza costituzionale, cfr., ad esempio, M. Belletti, Percorsi di ricentralizzazione del regionalismo italiano nella giurisprudenza costituzionale, cit., 232, il quale rileva che, a fini di contenimento della spesa, “laddove non arrivano i vincoli penetranti di tale interpretazione estensiva del 'coordinamento della finanza pubblica', sia il Governo che la Corte costituzionale 'rispolverano', in funzione limitativa dell'autonomia di spesa regionale, il limite di cui al quarto comma dell'art. 81 Cost.”.
[87] Al riguardo, si vedano V. Onida, Le leggi di spesa nella Costituzione, Milano, Giuffrè, 1969, 561 ss., spec. 597 s.; S. Bartole, Art. 81, in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, art. 76-82, La formazione delle leggi, tomo II, Bologna-Roma, Zanichelli, Il Foro Italiano, 1979, 241 ss.; A. Brancasi, Legge finanziaria e legge di bilancio, Milano, Giuffrè, 1985, 207 ss. e 523 ss.; G. Caianiello, Potenzialità della legge di bilancio, in A. Barettoni Arleri, Dizionario di contabilità pubblica, Milano, Giuffrè, 1989, 603 ss.
[88] Per un approfondimento di questa chiave di lettura, sia consentito un rinvio a G. Rivosecchi, Il difetto di copertura di una legge regionale di bilancio: la Corte accelera sul c.d. pareggio, in Giur. cost., 2012, 2335 ss.
[89] Il riferimento è, in particolare, alla sent. n. 213 del 2008, con la quale la Corte ha dichiarato l'incostituzionalità di alcune disposizioni della legge della Regione Sardegna 28 dicembre 2006, n. 21 (Autorizzazione all'esercizio provvisorio del bilancio della Regione per l'anno 2007 e disposizioni per la chiusura dell'esercizio 2006), in riferimento ad una questione sollevata dalla Sezione regionale della Corte dei conti in sede di giudizio di parificazione del bilancio.
[90] Cfr., in particolare, la già richiamata sentenza n. 213 del 2008, ove si afferma che l'obbligo di copertura mira ad assicurare “il tendenziale pareggio di bilancio e la stabilità della finanza pubblica”.
[91] Cosicché potrebbe effettivamente sorgere il dubbio circa la recente introduzione, in via di prassi, di una categoria di leggi regionali “rinforzate” per effetto dell'imposta coerenza con i principi fondamentali fissati dal legislatore statale: in questo senso l'acuta provocazione di S. Calzolaio, Il cammino delle materie nello Stato regionale, cit., 225, nota 185.
[92] V. supra, paragrafo 4.
[93] Ricorda opportunamente M. Cecchetti, Legge costituzionale n. 1 del 2012 e Titolo V della Parte II della Costituzione: profili di contro-riforma dell'autonomia regionale e locale (19 dicembre 2012), in www.federliasmi.it, n. 24/2012, 5, che la giurisprudenza costituzionale ha spesso trattato “armonizzazione dei bilanci pubblici” e “coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario” come una vera e propria “endiadi”, “di talché non è affatto remota la possibilità che lo spostamento della 'armonizzazione dei bilanci pubblici' tra le competenze legislative esclusive dello Stato finisca per attrarre con sé anche rilevanti profili del 'coordinamento della finanza pubblica', eludendo con ciò il limite dei 'principi fondamentali' cui sarebbe soggetta la legislazione dello Stato in tale materia, a tutt'oggi compresa tra le materie di potestà concorrente di cui al terzo comma dell'art. 117 Cost.”.
[94] Al riguardo, v. anche G.M. Salerno, Equilibrio di bilancio, cit., 161 ss.
[95] Secondo N. Lupo, Il nuovo articolo 81 della Costituzione e la legge “rinforzata”, cit., la legge approvata ai sensi dell'art. 81, sesto comma, Cost. (nella nuova formulazione) presenta tutte le caratteristiche postulate dalla dottrina per poter essere ascritta alla categoria delle “leggi organiche”. Adottano, ad esempio, la stessa definizione di legge organica M. Cecchetti, Riforme costituzionali senza direzione e riformatori senza bussola: la forma di Stato e il sistema delle autonomie territoriali alla deriva (11 luglio 2012), in www.federalismi.it, n. 14/2012, 4; M. Belletti, Percorsi di ricentralizzazione del regionalismo italiano nella giurisprudenza costituzionale, cit., 287, nota 122.
[96] In questo senso, cfr. A. Brancasi, Il principio del pareggio di bilancio in Costituzione, in www.osservatoriosullefonti.it, fasc. n. 2/2012, 7.
[97] Al riguardo, cfr. N. Lupo e G. Rivosecchi, Quando l’equilibrio di bilancio prevale sulle politiche sanitarie regionali, in Le regioni, 2012, 1072 s.
[98] Sottolinea, ad esempio, questo profilo della riforma N. Lupo, Il nuovo articolo 81 della Costituzione e la legge “rinforzata”, cit.
[99] In questo senso, cfr. G.M. Salerno, Equilibrio di bilancio, cit., 169 s.; M. Cecchetti, Legge costituzionale n. 1 del 2012, cit., 5, il quale, in particolare, a questo proposito sottolinea che “la competenza speciale ed esclusiva in questione ha una portata oggettiva di difficilissima delimitazione in astratto, dal momento che è riferita a due clausole generali a contenuto particolarmente vago e indeterminato quali l'equilibrio di bilancio tra entrate e spese e la sostenibilità del debito”.
[100] Al riguardo, si vedano le osservazioni di G.M. Salerno, Dopo la norma costituzionale sul pareggio del bilancio, cit., 583, il quale sottolinea che la legge rinforzata sul bilancio “non soltanto sarà fonte di norme interposte – al pari delle norme legislative statali che esprimono i principi fondamentali di coordinamento finanziario –, ma, proprio sulla base della competenza ad essa espressamente riservata dalla legge costituzionale in questione, non sarà derogabile dalla legge ordinaria, e quindi rappresenterà l'immediato 'precipitato normativo' del dettato costituzionale in materia di equilibrio di bilancio nei confronti di tutte le istituzioni pubbliche nazionali, sia statali che regionali e locali”.
[101] Al riguardo, cfr. G.M. Salerno, Equilibrio di bilancio, cit., 165 ss.
[102] In questo senso, cfr., ad esempio, M. Belletti, Percorsi di ricentralizzazione del regionalismo italiano nella giurisprudenza costituzionale, cit., 288, il quale sottolinea che, pur ponendo l'art. 119, sesto comma, Cost. un'importante condizione affinché per il complesso degli enti territoriali, non solo per la Regione, sia rispettato l'equilibrio dei bilanci, nel contempo “contribuisce non poco a qualificare l'autonomia regionale, che dovrebbe essere costituzionalmente garantita a livello di principi costituzionali (art. 5 Cost.), come assolutamente recessiva rispetto alle esigenze del rispetto del patto di stabilità a livello europeo, rispetto alle pervasive esigenze di coordinamento della finanza pubblica, senza nemmeno individuare quelle valvole di sfogo della verifica delle contingenze economiche, che sole oramai consentirebbero quel minimo di valutazione 'politica' in capo alle Regioni e quel minimo di definizione di un indirizzo politico di spesa, così da non caratterizzarsi come enti che determinano tali politiche 'a rime obbligate', in ragione delle istanze di coordinamento sopracitate”.
[103] Per un approfondimento in questa chiave di lettura – circa i fattori di compressione dell'autonomia regionale – sia consentito rinviare a G. Rivosecchi, Il c.d. pareggio di bilancio tra Corte e legislatore, anche nei suoi riflessi sulle regioni: quando la paura prevale sulla ragione, in www.rivistaaic.it, fasc. n. 3/2012.
[104] Su questo percorso tra Corte e legislatore, sia consentito ancora un rinvio a G. Rivosecchi, Il difetto di copertura di una legge regionale di bilancio, cit., 2335 ss.
[105] Ben messo in rilievo, ad esempio, da R. Bin, Veri e falsi problemi del federalismo in Italia, in AA.VV., Il federalismo preso sul serio. Una proposta federalista per l'Italia, Bologna, Il Mulino, 1996, 69.
[106] Al riguardo, criticamente, R. Bin, Prevalenza senza criterio. Nota alla sent. 411/2008, in Le Regioni, 2009, 617 ss.
[107] Al riguardo, cfr. G. Scaccia, Sussidiarietà istituzionale e poteri statali di unificazione normativa, Napoli, Jovene, 2009, passim, spec. 75 ss.
[108] In questo senso, le pregnanti considerazioni di M. Belletti, Percorsi di ricentralizzazione del regionalismo italiano nella giurisprudenza costituzionale, cit., 60 e 264 s.
[109] In questo senso, M. Benvenuti, “Le stesse cose ritornano”? Brevi considerazioni intorno al ricorso all'argomento della crisi economica nella più recente giurisprudenza costituzionale, in Giur. cost., 2013, in corso di stampa.
[110] In questo senso, E. Gianfrancesco, Undici anni dopo, in La giustizia costituzionale e il “nuovo” regionalismo, a cura di N. Viceconte, Milano, Giuffrè, 2013, 132 s.; M. Benvenuti, “Le stesse cose ritornano”?, cit.
[111] Cfr., per tutti, K.C. Wheare, Del governo federale, [IV ed., 1963], trad. it., Bologna 1997, 375 s.

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