Lo studio costituisce il Capitolo X del Quarto Rapporto annuale sullo stato del regionalismo in Italia, Milano, Giuffrè, 2007.


INDICE 
 
 
 
 
1.  Gli interventi legislativi di riforma
 
Nel corso del biennio 2005-2006, la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano (di seguito Conferenza Stato-Regioni) è stata interessata da alcuni significativi interventi di riforma legislativa che, in varia misura, hanno determinato un ampliamento delle sue funzioni.
Con riguardo all’anno 2005, va considerata, anzitutto, la legge 4 febbraio 2005, n. 11 recante “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”. La legge ha inciso su alcune competenze della Conferenza relative alla partecipazione alla formazione del diritto comunitario, nella direzione di una definizione dei rapporti tra Stato e Regioni improntati sempre più al principio di leale collaborazione.
In particolare, con riferimento alla fase c.d. “ascendente” di formazione del diritto comunitario, l’art. 5, comma 4, della legge n. 11/2005 ha previsto la necessità che il Governo, quando un progetto normativo comunitario riguardi materie attribuite alla competenza delle Regioni (o delle Province autonome) e queste ultime ne facciano richiesta, convochi la Conferenza Stato-Regioni ai fini del raggiungimento dell’intesa di cui all’art. 3 del d.lgs. 281/1997, da realizzarsi entro venti giorni. Con la precisazione che, decorso tale termine, ovvero in casi di motivata urgenza sopravvenuta, il Governo può procedere anche in mancanza dell’intesa.
Il comma 5 dello stesso articolo prevede, inoltre, che, qualora un progetto normativo comunitario riguardi materie attribuite alla competenza delle Regioni (o delle Province autonome), il Governo, su richiesta della Conferenza Stato-Regioni, apponga una riserva di esame in sede di Consiglio dei ministri dell’Unione europea. Dell’apposizione della riserva il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per le politiche comunitarie danno comunicazione alla Conferenza stessa. Decorso il termine di venti giorni da tale comunicazione, il Governo può comunque procedere alle attività di formazione dei relativi atti comunitari, anche in mancanza della pronuncia della Conferenza.
Infine, il comma 10 dell’art. 5 stabilisce che il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per le politiche comunitarie, prima di una riunione del Consiglio europeo, qualora siano all’ordine del giorno questioni di competenza delle Regioni (o delle Province autonome), riferisca alla Conferenza Stato-Regioni in sessione comunitaria circa la posizione che il Governo intende assumere. Lo stesso adempimento si rende necessario, ma solo se la Conferenza ne faccia richiesta, prima di una riunione del Consiglio dei ministri dell’Unione europea.
Nell’ottica del perseguimento sempre maggiore di rapporti basati sulla leale collaborazione sembra da leggersi anche il disposto dell’art. 8, comma 3, della legge n. 11/2005, il quale stabilisce che lo stato di conformità dell’ordinamento interno e degli indirizzi politici del Governo agli atti normativi e di indirizzo comunitari sia oggetto di una verifica da parte del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie, che ne trasmette le risultanze tempestivamente, e comunque ogni quattro mesi, oltre che agli organi parlamentari competenti, anche alla Conferenza Stato-Regioni, alla Conferenza dei presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle Province autonome, per la formulazione di eventuali osservazioni. Per converso, è stabilito che, con riguardo alle materie di propria competenza, le Regioni e le Province autonome effettuino proprie verifiche sullo stato di conformità dei loro ordinamenti in relazione ai predetti atti comunitari e ne trasmettano le risultanze al Dipartimento per le politiche comunitarie.
In modo analogo, l’art. 15, comma 1, della legge prevede che il Governo, entro il 31 gennaio di ogni anno, riferisca al Parlamento sugli sviluppi del processo di formazione del diritto comunitario, dando conto dei pareri, delle osservazioni e degli atti di indirizzo espressi, tra gli altri, dalla Conferenza Stato-Regioni, con l’indicazione delle iniziative assunte e dei provvedimenti adottati (cfr. art. 15, comma 1, lett. d)).
Con riguardo all’ipotesi in cui si renda necessaria l’adozione di provvedimenti per far fronte ad obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione europea, nei casi in cui la materia rientri nella competenza legislativa o amministrativa delle Regioni (o delle Province autonome), l’art. 10, comma 3, della citata legge n. 11/2005 dispone che il Presidente del Consiglio o il Ministro per le politiche comunitarie “informa gli enti interessati assegnando un termine per provvedere”, e, ove necessario, chiede che la questione sia sottoposta all’esame dalla Conferenza Stato-Regioni; “in caso di mancato tempestivo adeguamento”, il Presidente del Consiglio o il Ministro per le politiche comunitarie “propone al Consiglio dei Ministri le opportune iniziative ai fini dell’esercizio dei poteri sostitutivi di cui agli articoli 117, quinto comma, e 120, secondo comma, della Costituzione, secondo quanto previsto dagli articoli 11, comma 8, 13, comma 2, e 16, comma 3, della presente legge e dalle altre disposizioni legislative in materia”.
In particolare, gli articoli da ultimo citati disciplinano, con riferimento all’art 117, comma quinto, Cost., l’adozione di atti sostitutivi nella forma, rispettivamente, di regolamenti (art. 11, comma 8), di decreti ministeriali (art. 13, comma 2), e di atti legislativi (art. 16, comma 3), “nelle materie di competenza legislativa delle Regioni e delle Province autonome” al fine di rimediare all’eventuale loro inerzia nel dare attuazione a norme comunitarie. Si dispone, inoltre, con riguardo alle Regioni (e alle Province autonome) nelle quali non sia ancora in vigore la propria normativa di attuazione, che gli atti statali “si applicano […] a decorrere dalla scadenza del termine stabilito per l’attuazione della rispettiva normativa comunitaria, perdono comunque efficacia dalla data di entrata in vigore della normativa di attuazione di ciascuna Regione e Provincia autonoma” e “recano l’esplicita indicazione della natura sostitutiva del potere esercitato e del carattere cedevole delle disposizioni in essi contenute”; per gli atti sostitutivi di natura regolamentare e legislativa è altresì prevista la sottoposizione al preventivo esame della Conferenza Stato-Regioni.
Significativo appare altresì il disposto dell’art. 2 della legge n. 11/2005 il quale, nell’istituire e disciplinare il Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei (CIACE), prevede che esso si avvalga, per la preparazione delle proprie riunioni, di un Comitato tecnico permanente, il quale, quando si affrontano questioni che interessano le Regioni (e le Province autonome), è convocato e presieduto dal Ministro per le politiche comunitarie, in accordo con il Ministro per gli affari regionali, presso la Conferenza Stato-Regioni.
Si osservi, infine, che, relativamente alla disciplina della Conferenza Stato-Regioni in sessione comunitaria, l’art. 17 della legge in esame precisa che il Governo informa “tempestivamente” il Parlamento sui risultati emersi dalla sessione.
Quanto alla previsione, operata dallo stesso articolo, di una convocazione di tale sessione speciale della Conferenza “almeno ogni sei mesi, o anche su richiesta delle Regioni e delle Province autonome” [corsivo aggiunto], non sembra che essa rappresenti una novità. Già l’art. 10 della legge n. 86/1989 (c.d. “legge La Pergola”) disponeva infatti in tal senso. Tuttavia, potrebbe forse sostenersi che essa valga a superare il disposto dell’art. 5 del d.lgs. n. 281/1997, ai sensi del quale la Conferenza Stato-Regioni “si riunisce in apposita sessione almeno due volte l’anno” [corsivo aggiunto]. Tale ultima disposizione poteva infatti essere interpretata nel senso che avesse implicitamente abrogato l’art. 10 della “legge La Pergola”.
Tra gli ulteriori significativi interventi del legislatore statale, va ricordata, inoltre, la legge 11 febbraio 2005, n. 15, di modifica della legge 241/1990 sull’azione amministrativa. In particolare, l’art. 11, modificando l’art. 14-quater della legge n. 241/1990, prevede che in caso di dissenso, espresso, in seno alla conferenza di servizi, da un’amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o della tutela della salute e della pubblica incolumità, e intercorrente tra un’amministrazione statale e una regionale o tra più amministrazioni regionali, la decisione sia rimessa dall’amministrazione procedente, entro dieci giorni, alla Conferenza Stato-Regioni, che decide entro i successivi trenta giorni, salvo una eventuale proroga determinata dalla complessità dell’istruttoria per un ulteriore periodo, comunque non superiore a sessanta giorni (cfr. art. 14-quater, comma 3, legge 241/1990).
Anche nell’ipotesi in cui il dissenso sia espresso da una Regione (o da una Provincia autonoma) in una materia di propria competenza, e verta tra un’amministrazione statale e una regionale o tra amministrazioni regionali, la decisione è rimessa dall’amministrazione procedente, entro dieci giorni, alla Conferenza Stato-Regioni, che decide entro trenta giorni, salvo eventuale proroga per un ulteriore periodo, comunque non superiore a sessanta giorni (cfr. art. 14-quater, comma 3-bis, legge 241/1990).
Si dispone inoltre che, qualora la Conferenza non provveda nei termini indicati, la decisione, su iniziativa del Ministro per gli affari regionali, sia rimessa al Consiglio dei ministri, che decide in via sostitutiva nei successivi trenta giorni, ovvero, quando la materia non sia di competenza statale, alla Giunta regionale (o provinciale), che decide entro trenta giorni; qualora la Giunta non provveda entro il termine predetto, la decisione è rimessa al Consiglio dei ministri, che delibera con la partecipazione dei Presidenti delle Regioni interessate (cfr. art. 14-quater, comma 3-ter, legge 241/1990).
Infine, si precisa che in caso di dissenso tra amministrazioni regionali, non si applicano i commi 3 e 3-bis qualora le Regioni interessate abbiano ratificato, con propria legge, intese ai sensi dell’art. 117, ottavo comma, Cost. (cfr. art. 14-quater, comma 3-quater, legge 241/1990).
Importanti innovazioni sono state introdotte anche dalla legge 28 novembre 2005, n. 246 recante “Semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005”. In particolare, l’art. 2, modificando la legge n. 59/1997, inserisce un art. 20-ter che, facendo espresso richiamo al principio di leale collaborazione, prevede la necessità di stipula, in sede di Conferenza Stato-Regioni o di Conferenza unificata, di accordi o intese tra Governo, Regioni e Province autonome “per il perseguimento delle comuni finalità di miglioramento della qualità normativa nell’ambito dei rispettivi ordinamenti”, con il fine, tra l’altro, di: “a) favorire il coordinamento dell’esercizio delle rispettive competenze normative e svolgere attività di interesse comune in tema di semplificazione, riassetto normativo e qualità della regolazione; b) definire principi, criteri, metodi e strumenti omogenei per il perseguimento della qualità della regolazione statale e regionale, in armonia con i principi generali stabiliti dalla presente legge e dalle leggi annuali di semplificazione e riassetto normativo […]; c) concordare, in particolare, forme e modalità omogenee di analisi e verifica dell’impatto della regolazione e di consultazione con le organizzazioni imprenditoriali per l’emanazione di provvedimenti statali e regionali; d) valutare […] la configurabilità di modelli procedimentali omogenei sul territorio nazionale per determinate attività private e valorizzare le attività dirette all’armonizzazione delle normative regionali”.
Inoltre, l’art. 5, comma 2, richiamando espressamente, anch’esso, il principio di leale collaborazione, stabilisce che il Governo e le Regioni, in sede di Conferenza Stato-Regioni o di Conferenza unificata, promuovano intese o concludano accordi al fine di favorire l’armonizzazione della regolamentazione in materia di adempimenti amministrativi delle imprese, in particolare individuando forme di semplificazione dell’attività di impresa, anche mediante l’incentivazione dell’attività degli sportelli unici.
Oltre agli atti legislativi richiamati, possono esserne citati altri che in varia misura contemplano nuove competenze per la Conferenza Stato-Regioni. In particolare, si può ricordare la legge 21 ottobre 2005, n. 219, sull’attività trasfusionale e la produzione nazionale degli emoderivati, il cui art. 6 demanda ad uno o più accordi tra Governo, Regioni e Province autonome sanciti dalla Conferenza Stato-Regioni, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge: a) la promozione della uniforme erogazione dei livelli essenziali di assistenza in materia di attività trasfusionale; b) l’adozione di uno schema tipo per la stipula di convenzioni con le associazioni dei donatori di sangue; c) la promozione dell’individuazione da parte delle Regioni delle strutture e degli strumenti necessari per garantire un coordinamento intraregionale e interregionale delle attività trasfusionali nonché del monitoraggio del raggiungimento degli obiettivi prefissati. In aggiunta, l’art. 12 della medesima legge prevede il coinvolgimento della Conferenza nel procedimento di istituzione del Centro nazionale sangue, struttura finalizzata al raggiungimento degli obiettivi di autosufficienza nazionale e al supporto per il coordinamento delle attività trasfusionali sul territorio nazionale.
Infine, può osservarsi incidentalmente che l’art. 5 della legge, nell’indicare i livelli essenziali di assistenza sanitaria in materia di attività trasfusionale, precisa che resta “fermo […] quanto previsto dal punto 6.4 dell’accordo tra Governo, Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano, sancito il 22 novembre 2001 dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano”, attribuendo così valore legislativo al contenuto degli accordi stipulati in sede di Conferenza.
La previsione del necessario coinvolgimento della Conferenza, mediante stipula di intese, la fornitura di pareri o la designazione di membri di organi collegiali è contemplata da ulteriori atti legislativi, quali il d.lgs. 10 gennaio 2005, n. 9, in tema di opere strategiche e di preminente interesse nazionale, il d.lgs. 27 maggio 2005, n. 100, in materia di pesca e acquacoltura, il d.lgs. 27 maggio 2005, n. 101, in materia di agricoltura e foreste, il d.lgs. 27 maggio 2005, n. 102, in materia di mercati agroalimentari e la legge 2 dicembre 2005, n. 248, di conversione del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, in materia tributaria e finanziaria.
Va infine richiamata la legge costituzionale recante “Modifiche alla Parte II della Costituzione”, approvata nel novembre 2005 ma non confermata dal referendum costituzionale del giugno 2006. L’art. 40 della quale, modificando l’art. 118 Cost., aveva contemplato la Conferenza Stato-Regioni “per realizzare la leale collaborazione e per promuovere accordi ed intese”. Al riguardo, va detto che l’innovazione rappresentava indubbiamente uno degli elementi positivi della riforma costituzionale, dal momento che l’assenza, nell’attuale Titolo V della Costituzione, di qualsiasi cenno al “sistema delle Conferenze”, nonché del richiamo ad un generale principio di leale collaborazione si presta ad essere valutata in termini negativi.
Anche nel corso del 2006, il legislatore statale ha previsto diverse forme di coinvolgimento della Conferenza Stato-Regioni in ambiti di interesse comune ai due livelli di governo territoriale. Vengono in considerazione, in particolare, il d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, che, in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, codifica le norme sui contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture; la legge 1 febbraio 2006, n. 43, sulle professioni sanitarie; la legge 4 agosto 2006, n. 248, di conversione del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, recante norme sullo sviluppo economico e sul contenimento della spesa pubblica; la legge 24 novembre 2006, n. 286, di conversione del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, recante “Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria”; il d.lgs. 11 aprile 2006, n. 198, recante il Codice delle pari opportunità tra uomo e donna.
Occorre inoltre segnalare lo schema di disegno di legge - elaborato dal Ministero per gli Affari regionali e le autonomie locali e approvato dal Consiglio dei ministri il 22 dicembre 2006 - che conferisce al Governo una delega per l’istituzione e la disciplina della Conferenza Stato-Istituzioni territoriali. In base al progetto governativo, la nuova Conferenza andrà a sostituire le attuali Conferenze Stato-Regioni, Stato-Città e Unificata e sarà articolata in tre sedi, di cui una plenaria e due per la trattazione di questioni di interesse regionale e locale. Si prevedono, inoltre, alcune novità relativamente alla disciplina delle funzioni e dell’organizzazione dei lavori. Il testo del progetto sarà sottoposto alla Conferenza Stato-Regioni prima di tornare all’esame del Consiglio dei ministri.
 
 
2.   Il quadro giurisprudenziale
 
A fronte delle importanti innovazioni sul piano della legislazione, non si riscontrano, nel biennio 2005-2006, rilevanti novità sul piano della giurisprudenza costituzionale. Le pronunce della Consulta in tema di Conferenza Stato-Regioni e di principio di leale collaborazione hanno infatti ribadito precedenti statuizioni, contribuendo al consolidamento di orientamenti già delineati. Al riguardo, può del resto ipotizzarsi che le previsioni legislative statali dirette a favorire il coinvolgimento delle autonomie territoriali mediante il ricorso alla Conferenza Stato-Regioni sia strettamente correlato al consolidamento degli orientamenti giurisprudenziali sul tema.
In proposito, va ricordato anzitutto il principio espresso dalla Corte costituzionale nella sent. n. 303/2003, in base al quale allo Stato è consentito “chiamare in sussidiarietà”, ai sensi dell’art. 118 Cost., funzioni amministrative, attraendo contestualmente alla competenza legislativa statale settori che di norma rientrano nelle prerogative delle Regioni, nel rispetto però di alcune condizioni espressamente enunciate, tra cui «la presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealtà». Su questa linea, la Corte ha precisato che, in mancanza di adeguati strumenti di partecipazione delle Regioni ai procedimenti legislativi statali, quanto meno debbono essere previsti «adeguati meccanismi di cooperazione per l’esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate in capo agli organi centrali» (cfr. sent. n. 6/2004). Il predetto orientamento è stato ribadito nel biennio 2005-2006, ad esempio nella sent. n. 242/2005, relativa ad alcune disposizioni della legge finanziaria 2004, nella sent. n. 285/2005, in tema di attività cinematografica, nella sent. n. 383/2005, in materia di energia, e nella sent. n. 214/2006 (cfr. punti 4 e 8 del considerato in diritto), in tema di infrastrutture e turismo.
Più in generale, l’esigenza di prevedere moduli concertativi idonei a garantire la leale collaborazione nei rapporti tra Stato e Regioni è affermata in ulteriori pronunce della Corte, che sanciscono l’illegittimità di disposizioni di legge statali o rilevano la lesione della sera di attribuzioni costituzionalmente spettante alle Regioni per la mancata previsione di strumenti collaborativi (cfr. le sentt. n. 51/2005 - punto 5.2 del considerato in diritto -, relativa ad alcune disposizioni della legge finanziaria 2003, n. 162/2005 e n. 231/2005, concernenti disposizioni della legge finanziaria 2004, n. 133/2006, relativa a disposizioni della legge finanziaria 2005, n. 31/2006, in tema di beni demaniali, e n. 328/2006, sulla formazione professionale e la salute).
Sulla base del medesimo orientamento giurisprudenziale, la Corte ha invece altre volte ritenuto legittime determinate disposizioni statali in quanto prevedevano opportune forme di coordinamento tra Stato e Regioni (cfr. le sentt. n. 270/2005, sugli Istituti di Ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico, n. 33/2005, sulla parità scolastica e il diritto allo studio e all’istruzione, la citata sent. n. 51/2005 – punto 4.1 del considerato in diritto -, le sentt. n. 63/2006, sulla tutela della salute, n. 451/2006, su alcune disposizioni della legge finanziaria 2004, e la citata sent. n. 214/2006 – punti 5 e 9 del considerato in diritto -).
Può segnalarsi, in aggiunta, l’impiego da parte della Corte di pronunce “additive” o “sostitutive”, nelle quali la Corte pronuncia l’illegittimità della disposizione nella parte in cui non è prevista l’intesa (o il parere) da esprimersi in sede di Conferenza Stato-Regioni o direttamente con le Regioni o le Province interessate, ovvero nella parte in cui prevede la necessità di pareri invece che di intese. Rispetto a quest’ultima ipotesi, si possono richiamare, ad esempio, le sentt. n. 31/2005 e n. 222/2005, su alcune disposizioni della legge finanziaria 2004, la n. 279/2005, in tema di scuola dell’infanzia e primo ciclo dell’istruzione e la sent. 134/2006, su alcune disposizioni della legge finanziaria 2005.
Un ulteriore orientamento che il giudice delle leggi ha avuto occasione di riaffermare è quello, espresso nella sent. n. 196/2004, secondo il quale il mancato coinvolgimento della Conferenza Stato-Regioni nella fase di adozione di decreti-legge ovvero delle leggi di conversione in materie di competenza regionale non integra un vizio di legittimità delle norme statali e non comporta una violazione del principio di leale collaborazione. In quella circostanza la Corte affermò che «non è individuabile un fondamento costituzionale dell’obbligo di procedure legislative ispirate alla leale collaborazione tra Stato e Regioni». Principio riaffermato nella sent. n. 272/2005, con la precisazione che il rispetto del principio di leale collaborazione integra un requisito di validità delle norme statali solo nella fase di attuazione delle disposizioni legislative. Nelle citate sentenze la Corte ha inoltre rilevato che l’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 281 del 1997, che definisce ed amplia i compiti della Conferenza Stato-Regioni, prevede obbligatoriamente il parere della Conferenza Stato-Regioni in sede di predisposizione dei disegni di legge governativi e dei decreti legislativi, non invece di decreti-legge; e che la procedura prevista dal comma 5 dello stesso articolo, in base al quale il Governo deve consultare obbligatoriamente la Conferenza Stato-Regioni nella fase di conversione del decreto-legge, sembra configurarsi come mera eventualità (cfr., nello stesso senso, anche la sent. n. 181/2006).
Da ultimo, sembra opportuno richiamare l’opinione espressa dalla Corte in occasione di ricorsi in via principale per lesione del principio di leale collaborazione ex art. 120, secondo comma, Cost., con riferimento a fattispecie che non abbiano attinenza con l’esercizio di poteri sostitutivi. In questi casi, la Corte ha dichiarato l’infondatezza della questione, per estraneità della disposizione alle norme del giudizio (cfr. sent. n. 467/2005, sulle intolleranze alimentari).
 
 
3.   L’attività e il funzionamento della Conferenza Stato-Regioni
 
Anche un esame dei lavori della Conferenza Stato-Regioni nel biennio 2005-2006 consente di ritenere confermate alcune tendenze che sono andate consolidandosi nel corso degli anni.
La considerazione sembra valere, in primo luogo, con riferimento alla discreta frequenza delle sedute, che rappresenta ormai un dato caratterizzante l’attività della Conferenza. In particolare, nel corso del 2005, la Conferenza Stato-Regioni si è riunita complessivamente 17 volte, di regola una o due volte al mese. Il dato è leggermente superiore a quello del 2004, quando le riunioni erano state 14. Le sedute della Conferenza in sessione comunitaria sono state 3 e si sono tenute nei mesi di febbraio, giugno e dicembre. Incidentalmente può peraltro rilevarsi che nella seduta di giugno è stato sottolineato dal Ministro per le politiche comunitarie che la convocazione rispondeva alle nuove disposizioni di cui alla legge n. 11/2005 in tema di scadenze temporali e obblighi di informazione. Nel 2006 il numero delle sedute è stato anche maggiore: se ne contano 21 complessivamente, delle quali 2 in sessione comunitaria.
Nel 2005, a fronte di un aumento delle sedute, si è potuta registrare, tuttavia, una diminuzione del numero di atti complessivamente adottati rispetto all’anno precedente. Si è trattato, in particolare, di 222 atti (erano stati 290 del 2004). Il totale dei pareri è stato di 108 (a fronte di quasi 140 nel 2004), dei quali solo 5 in senso negativo; le intese sono state 46 (67 nel 2004); gli accordi 21 (31 nel 2004); gli atti di designazione 29 (44 nel 2004); i restanti atti (meno di 20) possono farsi rientrare tra gli atti atipici, quali prese d’atto, generiche delibere e approvazioni.
Nel corso del 2006, invece, insieme al numero delle sedute è aumentato anche il numero complessivo degli atti adottati. In particolare, il totale degli atti è stato di 330. Tra questi si annoverano 130 pareri, 91 intese, 25 accordi, 65 atti di designazione, mentre i restanti atti (anche in tal caso meno di venti) si configurano come atti atipici. Con riguardo al biennio di riferimento, l’attività più consistente della Conferenza si conferma essere quella consultiva.
Ulteriori tendenze da ritenersi consolidate possono ricavarsi da un esame del profilo strutturale e funzionale della Conferenza. Con riguardo alla componente statale, la quale - come noto - si caratterizza per la possibilità di variazione del numero dei suoi membri, può osservarsi che nel periodo considerato la (necessaria) presenza del Presidente del Consiglio o del Ministro per gli affari regionali è stata sempre accompagnata, con un’unica eccezione, dalla partecipazione di rappresentanti del Governo o di altre istituzioni statali, in un numero che è variato da uno a undici. Va inoltre rilevato che nel periodo considerato (ma il dato rappresenta ormai una – ulteriore – costante) la presidenza della Conferenza è stata sempre affidata al Ministro per gli affari regionali, ovvero, nelle sedute in sessione comunitaria, al Ministro per le politiche comunitarie, da solo o insieme con il Ministro per gli affari regionali.
Quanto alla componente regionale, va evidenziato che non si è mai registrata la contemporanea presenza di tutte le Regioni. In particolare, il numero dei rappresentanti regionali è variato da un minimo di quattro a un massimo di venti. In tre casi, inoltre, la componente statale è stata più numerosa di quella regionale.
In assenza di indicazioni legislative circa il quorum necessario per la validità della seduta, qualora ai fini della sua determinazione si intendessero richiamare i criteri generali che regolano gli organi collegiali, i quali - come noto - richiedono la maggioranza degli aventi diritto, emergerebbero in realtà almeno due interrogativi. Il primo, relativo alla necessità o meno di conteggiare i Ministri e i rappresentanti statali invitati a partecipare alla seduta; il secondo, relativo alla necessità o meno di conteggiare tutti i rappresentanti di una stessa Regione presenti alla seduta. Qualora a tali quesiti si desse una risposta negativa, dovrebbe ritenersi che il numero legale sia venuto a mancare in diverse occasioni nel corso del biennio 2005-2006. Diverse considerazioni varrebbero evidentemente qualora, ai fini della validità dell’adunanza, si ritenesse sufficiente, al seguito di parte della dottrina, la presenza di almeno un rappresentante regionale, oltre al Presidente del Consiglio o al Ministro per gli affari regionali.
Quanto al quorum funzionale (necessario, cioè, per l’adozione delle deliberazioni), è noto che l’art. 2 del d.lgs. n. 281/1997 fornisce alcune indicazioni con riguardo solo ad alcune tipologie di atti, stabilendo che, “fermo l’assenso del Governo, l’assenso delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano […] è espresso, quando non è raggiunta l’unanimità, dalla maggioranza dei presidenti delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano, componenti la Conferenza Stato-Regioni, o da assessori da essi delegati a rappresentarli nella singola seduta”. La disciplina non riguarda, tuttavia, gli atti di maggiore rilievo, quali gli accordi e le intese, in merito ai quali gli artt. 3 e 4 del d.lgs. n. 281/1997 richiedono “l’espressione dell’assenso del Governo e dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano”. Per tali ultime categorie di atti, qualora anche in tal caso si volessero richiamare le regole generali comuni agli organi collegiali, dovrebbe ritenersi operante il criterio della maggioranza assoluta dei votanti. Tuttavia, può rilevarsi che solo raramente le decisioni sono state adottate a maggioranza; il più delle volte, infatti, sembra che le delibere vengano adottate all’unanimità.
Sul tema, neanche la Corte costituzionale sembra abbia fornito finora chiare indicazioni. Infatti la Consulta, nella sent. n. 206/2001, per un verso, argomentando a contrario dall’art. 2 del d.lgs. n. 281/1997, ha affermato che per le delibere diverse da quelle ivi richiamate non sia necessaria la maggioranza assoluta (o comunque una maggioranza qualificata); per altro verso, ha negato che “l’assenza di alcune Regioni, al limite anche di una sola, pur regolarmente convocate, alla riunione della Conferenza, non accompagnata da alcuna espressione di dissenso, eventualmente manifestata anche fuori dalla sede della Conferenza, possa inficiare l’assenso delle regioni e dunque impedire il perfezionamento dell’intesa”; precisando, inoltre, che “l’intesa non può dirsi mancata una volta che […] tutte le Regioni siano state messe in grado di partecipare effettivamente alla ricerca e alla definizione dell’accordo e di concorrere al raggiungimento del medesimo, o invece di impedirlo, e non siano stati manifestati dissensi sulla posizione comune raggiunta”; con ciò, consentendo di ritenere che il dissenso anche di una sola Regione possa impedire l’adozione dell’atto.
Ad ogni modo, la lettura dei verbali lascia intendere che raramente emergono dissidi tra le Regioni in sede di Conferenza Stato-Regioni. Nella maggioranza dei casi, le Regioni affidano ad un loro rappresentante, solitamente il Presidente della Conferenza delle regioni, la manifestazione della loro posizione e non sollevano opinioni di dissenso. In proposito, si può immaginare che gli eventuali interessi contrastanti siano già stati mediati in altra sede. Uno dei rari casi in cui si è potuta riscontrare una evidente divisione delle Regioni in Conferenza si è verificato nel corso della seduta del 3 febbraio 2005, in merito ad un parere sul disegno di legge di conversione del decreto-legge 30 dicembre 2004, n. 314, relativamente alla proroga dei termini riferita ad alcuni articoli del predetto decreto-legge, in materia di autotrasporto, finanziamento alle Regioni e spettacolo. In tale circostanza, tuttavia, la questione non è stata messa ai voti, ma è stata rinviata ad una successiva seduta della Conferenza.
Il rinvio ad altra seduta della Conferenza o a tavoli tecnici che di regola precedono le sedute politiche viene del resto a configurarsi come una modalità frequente di risoluzione dei nodi che si presentino in sede di Conferenza, nel tentativo di evitare di addivenire a constatazioni di netto dissenso. Anche lo spazio dedicato alla discussione delle questioni all’ordine del giorno è spesso molto esiguo. Ciò è confermato dalla durata delle sedute che nel periodo considerato ha raramente superato l’ora. Il dato acquista ulteriore rilevanza se si considera che in ciascuna riunione sono stati approvati, di media e salvo poche eccezioni, dai dieci ai venticinque atti.
Trova pertanto conferma la tendenza della Conferenza a caratterizzarsi quale luogo ove le parti giungono per sancire una posizione già assunta in altra sede.

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