SOMMARIO:
1.Il regionalismo differenziato e l’istruzione.
2. Gli oggetti devoluti in materia di istruzione.
2.1. L’organizzazione scolastica e la gestione degli istituti.
2.2. La clausola di salvaguardia dell’autonomia scolastica.
2.3. La definizione della parte dei programmi scolastici di specifico interesse delle regioni.
3. Conseguenze sulla allocazione delle funzioni amministrative.
NOTE



1. Il regionalismo differenziato e l’istruzione.
Confrontando il testo del terzo comma dell’art. 116 Cost. con la devolution di cui al disegno di legge costituzionale di riforma della parte II Cost. approvato in prima lettura dai due rami del Parlamento (1), potrebbe aversi, a prima vista, l’impressione che, in materia di istruzione, il regionalismo asimmetrico previsto dall’attuale testo costituzionale permetta alle Regioni di acquisire ambiti assai più vasti di competenze di quanto sarebbe consentito dalla riforma (2). Il terzo comma dell’art. 116 della Costituzione vigente, infatti, consente alle Regioni di attivare un procedimento diretto, da un lato, all’acquisizione della competenza in materia di “norme generali sull’istruzione”, d’altro lato, a quella di una competenza legislativa non limitata alla posizione delle norme di dettaglio, in materia di “istruzione” tout court.
Per quanto concerne la previsione di assoggettamento delle “norme generali sull’istruzione” alla procedura volta al riconoscimento di “forme e condizioni particolari di autonomia”, si deve rilevare come il legislatore costituzionale del 2001, rinviando puramente e semplicemente alla lettera n) del secondo comma dell’art. 117 (che prevede appunto la competenza legislativa esclusiva dello Stato relativamente a tali norme), sembrerebbe aver aperto la strada alla possibilità che qualsiasi competenza statale in materia di istruzione venga cancellata (limitatamente, ovviamente, alle Regioni, che, in applicazione dell’art. 116 u.c., conseguano una competenza legislativa esclusiva su tale materia).
Non è da escludere che il rinvio operato dall’art. 116 u.c. sia dovuto ad una non piena messa a fuoco della competenza a dettare “norme generali sull’istruzione” di cui alla lettera n) del secondo comma dell’art. 117: una competenza verosimilmente introdotta per chiarire – al di là di ogni possibilità di dubbio - che, nonostante la nuova definizione di “Repubblica” di cui al primo comma dell’art. 114, le “norme generali sull’istruzione”, che il secondo comma dell’art. 33 Cost. attribuisce, appunto, alla competenza della “Repubblica” debbano essere conservate alla esclusiva competenza dello Stato (3). Come non è da escludere che – come si è sostenuto in dottrina (4) – le norme generali in materia di istruzione di cui all’art. 116 possano considerarsi cosa diversa dalle norme generali sull’istruzione di cui alla lettera n) dell’art. 117. Resta, comunque, il fatto che, nel silenzio del testo, sussiste la possibilità che la competenza statale in materia venga completamente cancellata.
Detto questo, è da sottolineare che la previsione del terzo comma dell’art. 116, di per sé, non produce spostamenti della titolarità della competenza in materia di norme generali sull’istruzione, ma si limita a consentire tali spostamenti: rinviando al negoziato tra lo Stato e le regioni di volta in volta interessate. Anche, pertanto, a non ritenere che nella novella costituzionale del 2001 per questa parte sussista una sorta di “riserva mentale” in ordine al ruolo che lo Stato avrebbe potuto giocare in fase di “contrattazione”, non può non prendersi realisticamente atto che, nel procedimento di cui all’art. 116 u.c., il contraente forte non sia certo la Regione. E questo – si badi – non tanto nella fase dell’intesa, quanto, e soprattutto, nella fase della conclusione del procedimento stesso: l’approvazione della legge rinforzata essendo riservata “ad organi dello Stato centrale e alla formazione della volontà politica parlamentare”(5).
E’, inoltre, da sottolineare che alcuni oggetti potrebbero comunque ritenersi sottratti alla possibilità di “negoziazione” in virtù di altre norme presenti nel testo costituzionale. Oggetti “non disponibili” alla contrattazione potrebbero ad es. ritenersi la disciplina degli esami di Stato, riservata appunto allo Stato dal quinto comma dell’art. 33 Cost. e l’autonomia delle istituzioni scolastiche, che la Costituzione sembra affidare allo Stato proprio per un’esigenza di tutela della stessa autonomia, che non potrebbe tollerare differenziazioni a livello regionale.
Passando a considerare la possibilità di acquisire forme e condizioni particolari di autonomia relativamente alla materia “istruzione” attualmente soggetta alla legislazione concorrente di Stato e Regioni, non è agevole prefigurare il possibile risultato di una “contrattazione” in materia. Ciò che si può rilevare è che risulterebbe certo assai macchinosa (ma non è da escludere che si possa verificare) un’eventuale negoziazione su singoli principi, mentre la Costituzione consente allo Stato di rinunciare completamente alla sua competenza a dettare i principi fondamentali, cosicché la Regione potrebbe acquisire una potestà legislativa esclusiva in materia di istruzione.

2. Gli oggetti devoluti in materia di istruzione
Com’è noto, il disegno di legge costituzionale di “riforma della riforma”, in luogo della procedura di differenziazione prevista dal terzo comma dell’art. 116 Cost., prevede una diretta attribuzione di competenze esclusive alle Regioni su alcuni, specifici, oggetti in materia di istruzione e precisamente: “l’organizzazione scolastica” e la “gestione degli istituti scolastici e di formazione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche”, da ritagliare all’interno della materia “istruzione” attribuita dal terzo comma dell’art. 117 Cost. alla competenza concorrente di Stato e Regioni e la “definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della Regione”, da ritagliare invece dalla più ampia competenza esclusiva dello Stato a dettare le norme generali sull’istruzione.
Secondo l’assetto delineato dal disegno di legge costituzionale, quindi, allo Stato residuerebbe la competenza esclusiva a dettare le norme generali sull’istruzione (salvo che per la definizione di quella parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della Regione), e la disciplina dell’autonomia scolastica; inoltre lo Stato potrebbe ancora dettare i principi fondamentali in materia di istruzione, purché questi non incidano sulla competenza esclusiva delle Regioni a disciplinare l’organizzazione scolastica e la gestione degli istituti scolastici e di formazione.

2.1. L’organizzazione scolastica e la gestione degli istituti.
Venendo, in particolare, alla “organizzazione scolastica”, pur rilevando l’ambiguità della nozione, si può tentare di individuarne l’oggetto, sia sulla base del significato proprio delle parole che sulla scorta della legislazione vigente.
Deve innanzitutto richiamarsi la fondamentale distinzione, messa in luce da Umberto Pototschnig, tra “scuola” ed “istruzione”: il primo vocabolo designando lo strumento attraverso il quale si raggiunge il risultato dell’istruzione.
Tale distinzione, peraltro, sembra accolta nello stesso testo costituzionale, laddove è disposto che “la Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi” (art. 33, secondo comma, Cost.).
Alla luce di quanto ora rilevato, si dovrebbe quindi ritenere che il provvedimento di c.d. devolution miri ad attribuire alla competenza esclusiva delle Regioni tutto ciò che attiene all’organizzazione di quello che si configura come il principale strumento di “produzione” dell’istruzione.
Qualche dubbio, tuttavia, residua sulla portata da attribuire al termine “organizzazione”. In proposito, si è manifestata la preoccupazione che questa competenza esclusiva possa “abrogare” la disciplina costituzionale della scuola dettata dagli artt. 33 e 34 Cost., e che, in virtù della devolution, possano aversi “tanti sistemi scolastici differenziati per strutture, per tipologia, per anni di corso, quante sono le Regioni” (6).
In realtà, anche trascurando la problematica relativa agli effetti, sulla prima parte della Costituzione, della riforma dell’assetto costituzionale delle competenze, ed ancor prima di indagare l’effettiva estensione del termine “organizzazione”, si potrebbe rilevare che il dovere della Repubblica di istituire scuole statali per tutti gli ordini e gradi dovrebbe continuare a costituire una direttiva inderogabile per tutti i legislatori regionali e che comunque la definizione degli “ordini e gradi di istruzione” rimarrebbe senz’altro al legislatore statale, in virtù della competenza esclusiva a dettare le norme generali sull’istruzione, così come dovrebbe considerarsi la permanenza della competenza statale a regolare l’esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi.
Altro problema sarebbe poi quello di capire se l’espressione scuole statali possa venir letta come se dicesse scuole pubbliche (7), altrimenti sarebbe preclusa in radice la possibilità per le Regioni di istituire proprie scuole.
Utili indicazioni per la ricostruzione del possibile significato da attribuire all’“organizzazione scolastica” ed alla “gestione degli istituti” potrebbero provenire poi dalla legislazione vigente ed in particolare dal d.lgs. n. 112 del 1998 (8), attraverso il quale si è provveduto a conferire alcune funzioni in materia di “istruzione scolastica” alle Regioni ed agli enti locali minori. Tale decreto, definita la “programmazione e la gestione amministrativa del servizio scolastico” come l’“insieme delle funzioni e dei compiti volti a consentire la concreta e continua erogazione del servizio scolastico” (art.136), annovera tra i compiti conferiti alle Regioni: la programmazione della rete scolastica, l’attività di provvista delle risorse finanziarie e di personale, la programmazione dell’offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale, la determinazione del calendario scolastico, la suddivisione, anche sulla base delle proposte degli enti locali interessati, del territorio regionale in ambiti funzionali al miglioramento dell’offerta formativa (art. 138). Esso, inoltre, menziona tra le funzioni mantenute in capo allo Stato: la determinazione di criteri e parametri per l’organizzazione della rete scolastica, la valutazione del sistema scolastico e la determinazione ed assegnazione delle risorse finanziarie e del personale alle istituzioni scolastiche. Esso, infine, individua le funzioni amministrative conferite alle province ed ai comuni ai sensi della disciplina costituzionale allora vigente (art, 128 Cost.).
Che tutte le competenze riconosciute alle Regioni dalla legislazione c.d. “Bassanini” debbano attualmente ritenersi costituzionalmente attribuite alla competenza legislativa delle Regioni stesse in virtù della loro potestà legislativa concorrente in materia di istruzione, è confermato dalla Corte costituzionale, che, con la sentenza n. 13 del 2004 (9), ha considerato “implausibile che il legislatore costituzionale abbia voluto spogliare le Regioni di una funzione che era già ad esse conferita nella forma della competenza delegata dall’art. 138 del d.lgs. n. 112 del 1998”. La Corte si è mostrata pertanto apertamente incline a far valere in maniera rigorosa il nuovo riparto di competenze in materia di istruzione, sottolineando che “compito dello Stato è solo quello di fissare principi (…) in materia di programmazione e gestione amministrativa del servizio” scolastico.
Se, quindi, quell’ambito materiale che il disegno di legge costituzionale vuole attribuito alla competenza regionale coincide con quello che già le Regioni possono disciplinare in virtù della potestà legislativa concorrente in materia di istruzione, vi è però da sottolineare che la c.d.devolution comporterebbe indubbiamente un’estensione verticale delle competenze regionali negli oggetti devoluti, superando il rispetto dei principi fondamentali posti dalle leggi dello Stato.
La differenza tra la potestà legislativa attualmente attribuita alle Regioni e quella che potrebbe essere loro riconosciuta con l’approvazione della legge costituzionale cui sono dedicate le presenti note è messa in luce da una recente sentenza della Corte costituzionale (n. 37 del 2005), ove viene ravvisato un principio fondamentale in materia di istruzione nella norma che obbliga le cattedre all’osservanza di un determinato orario: norma, che, secondo la Regione ricorrente, si sarebbe dovuta considerare invece lesiva della sua competenza a determinare il livello del servizio scolastico.
Considerazioni diverse valgono invece per l’inclusione, nell’ambito della “potestà legislativa esclusiva” regionale, della “gestione degli istituti di formazione”: una previsione pleonastica, essendo ragionevole ritenere che la competenza predetta spetti già alle regioni, in virtù del vigente comma 4 dell’art. 117 Cost..

2.2. La clausola di salvaguardia dell’autonomia scolastica.
Passando ad esaminare la clausola di salvaguardia della “autonomia delle istituzioni scolastiche”, è innanzitutto da rilevare che l’inciso che la contiene non faceva parte dell’originario disegno di legge costituzionale, ma è stato aggiunto a seguito della discussione parlamentare. Vi è chi ha ritenuto tale aggiunta pleonastica, in quanto le competenze che le Regioni acquisirebbero con la devolution non andrebbero ad intaccare la competenza esclusiva statale a dettare le norme generali sull’istruzione, tra le quali rientrano quelle relative all’autonomia scolastica. L’opinione non sembra però totalmente persuasiva. La qualificazione della competenza regionale come “esclusiva”, infatti, potrebbe avere come effetto la configurazione della stessa come un’isola immune da ingerenze. In conseguenza di ciò, nella complessità della normativa costituzionale relativa alle diverse competenze in materia di istruzione, aggravata dalla non facile individuazione dei confini delle competenze che si vorrebbero aggiungere per devolution, questa clausola di salvaguardia potrebbe servire ad evitare qualsiasi dubbio. Essa è indispensabile per sottolineare che le competenze esclusive che si vogliono attribuire alle Regioni, se devono essere considerate derogatorie rispetto alla “generale” competenza concorrente in materia di istruzione, non possono allo stesso modo derogare alla “salvezza dell’autonomia scolastica” sancita dallo stesso terzo comma dell’art. 117 Cost.. E, si ripete, ciò non appare inutile, se si considera che le competenze esclusive attribuite per devolution troverebbero il loro più fecondo terreno di esercizio proprio in quell’ambito materiale che la legislazione vigente ha disegnato come sfera di competenza delle istituzioni scolastiche ai fini dell’esercizio dei loro autonomi poteri: si pensi, ad es., che una delle tre forme di autonomia riconosciuta dalle leggi statali alle istituzioni scolastiche è proprio l’“autonomia organizzativa”.
Non è, del resto, un caso che parziali sovrapposizioni tra competenze regionali e delle istituzioni scolastiche si siano già verificate in virtù del doppio conferimento (di funzioni in materia di istruzione scolastica alle Regioni e di autonomia alle istituzioni scolastiche) operato dalla c.d. legislazione Bassanini. Ci si intende riferire alla competenza in ordine alla determinazione del calendario scolastico, ove la possibile sovrapposizione è stata risolta nel senso che tale determinazione spetta alle Regioni ai sensi dell’art. 138, primo comma, lettera d) del dlgs. 112 del 1998, mentre alle istituzioni scolastiche spetta l’“adattamento” dello stesso calendario, secondo quanto previsto dall’art. 4 del d.P.R. n. 275 del 1999.
La competenza legislativa esclusiva delle Regioni in materia di organizzazione scolastica e gestione degli istituti, dunque, incontrerebbe limiti sia “verso l’alto”, per via di quelle norme generali statali chiamate a disegnare l’autonomia scolastica in modo uniforme in tutto il territorio nazionale, sia “verso il basso”, ad opera delle determinazioni particolari rimesse agli istituti scolastici autonomi.
Valutato positivamente l’inserimento della clausola di salvezza dell’autonomia scolastica a fronte dell’attribuzione della competenza legislativa esclusiva alle Regioni in materia di organizzazione scolastica e gestione degli istituti, si può invece dubitare dell’utilità del mantenimento di un’identica clausola di salvezza, presente nel terzo comma dell’art. 117 Cost., a tutela dell’autonomia delle istituzioni scolastiche nei confronti della normativa regionale di dettaglio in materia di istruzione.

2.3. La definizione della parte dei programmi scolastici di specifico interesse delle regioni.
L’aspirazione delle Regioni ad inserire tra i programmi scolastici lo studio delle culture locali non poteva essere perseguita finché tali programmi venivano stabiliti esclusivamente dallo Stato; soltanto con la riforma relativa all’autonomia scolastica le Regioni hanno trovato il canale attraverso il quale realizzare quella aspirazione. L’art. 21, 10° comma, della L. 59/97 ha infatti riconosciuto alle istituzione scolastiche, nell’ambito dell’autonomia didattica, il potere di ampliare l’offerta formativa e dunque di determinare autonomamente una quota dei programmi di studio; poiché, inoltre, ai sensi dell’art. 6, quarto comma, del d.P.R. 233/98, le istituzioni scolastiche possono ricevere finanziamenti anche dalle Regioni, diverse leggi regionali hanno finalizzato tali finanziamenti all’introduzione, in quella quota di programmi riservata alle scuole, dello studio delle culture diffuse all’interno del territorio regionale.
Un esplicito riconoscimento del potere regionale di disporre di una parte dei programmi di studio da destinare all’approfondimento degli aspetti culturali dei diversi contesti regionali è poi stato previsto dalla legge di delega n. 53 del 2003.
Non è chiaro se la conservazione nel testo del d.d.l. costituzionale in esame di questa particolare competenza, nonostante l’approvazione della legge appena menzionata, che espressamente prevede una quota riservata alle Regioni nella determinazione dei piani di studio, sia frutto di una semplice distrazione oppure costituisca un atto di sfiducia nei confronti dell’“autolimitazione” dello Stato.
La legge di delega demanda al legislatore delegato l’individuazione di “un nucleo fondamentale, omogeneo su base nazionale, che rispecchi la cultura, le tradizioni e l’identità nazionale” nonché la previsione di “una quota riservata alle Regioni, relativa agli aspetti di interesse specifico delle stesse, anche collegata con le realtà locali”. Questa definizione, potrebbe essere utilizzata, seguendo il criterio “storico-normativo” di interpretazione delle materie, per spiegare la assai poco perspicua formula contenuta nel disegno di legge costituzionale relativa alla “definizione dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della Regione”.

3. Conseguenze sull’allocazione delle funzioni amministrative.
Pur nella indeterminatezza della terminologia presente nel testo dell’art. 118 Cost. riformulato nel 2001, l’interpretazione che si era affermata come prevalente in relazione alla disciplina della allocazione delle funzioni amministrative portava a ritenere che tale allocazione, per quanto riguarda la materia dell’istruzione, sarebbe dovuta spettare in ogni caso alle Regioni (titolari di potestà legislativa concorrente in materia), salvo per quanto riguarda le norme generali sull’istruzione e l’autonomia scolastica, di esclusiva competenza statale.
Ad un confronto con l’attuale testo costituzionale, quindi, il d.d.l.cost. sulla devolution in materia di istruzione non andrebbe ad incidere sul regime della allocazione delle funzioni amministrative, perché tale competenza sarebbe comunque spettata alle Regioni anche nelle materie soggette alla potestà legislativa concorrente.
A diversa conclusione si dovrebbe invece pervenire, qualora si ritenesse che lo Stato possa, in virtù del principio di sussidiarietà, allocare funzioni amministrative anche nelle materie di potestà legislativa concorrente (10). E’, infatti, verosimile che la qualificazione della competenza legislativa regionale come “esclusiva” impedisca il riconoscimento allo Stato del potere di allocazione delle funzioni amministrative (11), in quanto, rispetto alle materie attribuite alla competenza regionale esclusiva, “la Costituzione non solo esclude in radice la sussistenza di interessi unitari ed infrazionabili, ma priva lo Stato del primo strumento di influenza sull’amministrazione: la legislazione di principio” (12). Di conseguenza, il provvedimento di devolution apporterebbe una significativa modifica della disciplina relativa alla allocazione delle funzioni amministrative, in quanto, spostando dalla competenza concorrente alla competenza esclusiva gli oggetti coinvolti nella devoluzione, avrebbe l’effetto di sottrarli al potere statale di valutazione degli interessi unitari e quindi di allocazione delle funzioni amministrative ad essi corrispondenti.

NOTE
(1) Ci si riferisce al d.d.l.cost approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati il 15.10.2004 e dal Senato della Repubblica il 23.3.2005 (S. n. 2544-B).
(2) Come ha rilevato L. ANTONINI, Il “vaso di Pandora” del federalismo: spunti sulla questione della devolution, Intervento su Federalismo e devoluzione su Osservatorio del Federalismo, p.5.
(3) Ma cfr. P.MILAZZO, Il complesso riparto delle competenze legislative in materia di istruzione dopo la riforma del Titolo V, pp.334 e ss. in Osservatorio sulle fonti 2002 a cura di P. CARETTI, Torino, il quale sottolinea la diversità concettuale tra le “norme generali sull’istruzione” di cui all’art. 33, secondo comma, Cost. e quelle di cui all’art. 117, secondo comma.
(4) Cfr. A. POGGI, Istruzione, formazione professionale e Titolo V: alla ricerca di un (indispensabile) equilibrio tra cittadinanza sociale, decentramento regionale e autonomia funzionale delle istituzioni scolastiche, in Le Regioni, n. 4 del 2002, p.801.
(5) Cfr. M. CECCHETTI, Attuazione della riforma costituzionale del Titolo V e differenziazione delle Regioni di diritto comune, rinvenibile al sito www.federalismi.it
(6) Così, G.U. RESCIGNO in occasione dell’Audizione alla I Commissione della Camera dei Deputati.
(7) Come sembra ritenere lo stesso G. U. RESCIGNO, I diritti civili e sociali fra legislazione esclusiva dello Stato e delle Regioni, in Il “nuovo” ordinamento regionale. Competenze e diritti, a cura di S. GAMBINO, Milano, 2003, p.124. Sulla competenza in ordine alla istituzione di scuole si veda anche P. MILAZZO, Il complesso riparto delle competenze…, cit., pp.335 e ss.
(8) Per la utilizzazione del criterio c.d. “storico-normativo” ai fini della individuazione delle materie indicate nel testo costituzionale, si veda A. D’ATENA, L’autonomia legislativa delle Regioni, Roma, 1974, pp.117 ss.; ID., Materie legislative e tipologia delle competenze, in Quad.cost., 2003, 20 s.
(9) Tale sentenza, secondo un primo commento, costituirebbe “un’autorevole anticipazione” del d.d.l. in oggetto, insistendo proprio sul carattere gestorio delle competenze riconosciute alle Regioni: cfr. A. POGGI, Un altro pezzo del “mosaico”: una sentenza importante per la definizione del contenuto della competenza legislativa concorrente delle Regioni in materia di istruzione, p.4, pubblicato sul sito federalismi.it. Diversamente una successiva interpretazione della stessa sentenza ha rilevato che la Corte avrebbe potuto attribuire una maggiore portata alla sua decisione, facendo valere rigorosamente i limiti delle competenze legislative dello Stato in materia di istruzione (10): e, in particolare, dichiarando costituzionalmente illegittime le norme statali che non siano “generali”, né espressive di un “principio fondamentale”. Si è sottolineato, inoltre, che se la Corte si fosse regolata in questo modo avrebbe privato di buona parte della carica innovativa il d.d.l. sulla devolution: cfr. P. MILAZZO, La Corte costituzionale interviene sul riparto di competenze legislative in materia di istruzione e “raffina” il principio di continuità, nota a Corte Cost. n. 13/2004, pubblicato sul sito del forumcostituzionale, p.4.
(10) Secondo quanto deciso con la sentenza n. 303 del 2003, ove la Corte costituzionale ha fornito una particolare lettura del principio di sussidiarietà, individuandone le virtù dinamiche anche in senso ascensionale: lo Stato potrebbe, per assicurarne l’esercizio unitario e nel rispetto di una rigorosa procedura, allocare presso le proprie amministrazioni funzioni amministrative anche nelle materie di competenza legislativa concorrente.
(11) Al di là delle possibili differenze tra competenze regionali “residuali”, ai sensi del quarto comma dell’art. 117 Cost., e competenze “esclusive”, di cui al disegno di legge costituzionale in esame, si deve ritenere che l’impossibilità per lo Stato di allocare funzioni amministrative si possa predicare anche per le materie oggetto di competenza residuale. Non convince, pertanto, quanto sembra aver ritenuto la Corte costituzionale (sentenza n. 6 del 2004, punto 7 della motivazione) sulla possibilità di aprire un varco al potere statale di allocazione delle funzioni amministrative anche nelle materie di competenza regionale residuale.
(12) Così A. D’ATENA (L’allocazione delle funzioni amministrative in una sentenza ortopedica della Corte costituzionale., in Giur.cost. , fasc. n. 5 del 2003, pp.2776 e ss.).

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