Lo studio è tratto dal   "Quinto Rapporto sullo stato del regionalismo in Italia", in corso di stampa per i tipi di Giuffrè.
 
SOMMARIO
 
 
 
 
1. Considerazioni introduttive e i rassicuranti dati quantitativi
 
La giurisprudenza del 2007 segna alcune discontinuità con il passato che alimentano aspettative per una inversione di tendenza rispetto all’andamento del processo costituzionale in seguito alla revisione del Titolo V del 2001.
Non solo nel corso del 2007 i ricorsi in via principale si sono più che dimezzati rispetto al 2006, passando da 111 a 52, ma per la prima volta dal 2001 le pronunce adottate nell’ambito del processo in via principale hanno conosciuto un decremento tale da tornare a rappresentare una soglia inferiore al 20% (1) delle decisioni della Corte costituzionale. Il processo incidentale sembrerebbe riconquistare, quindi, la propria centralità e il giudizio in via d’azione, d’altra parte, trovare una qualche stabilizzazione: in particolare, dopo tre anni, le sentenze sono state emesse prevalentemente – sebbene di poco - sulla base di un’ordinanza di remissione (65) piuttosto che in seguito al deposito di un ricorso (58), tamponando l’ondata che negli ultimi anni sembrava volesse spingere la Corte sempre più verso un ruolo arbitrale.
Sembrerebbe avvalorare l’ipotesi di una certa metabolizzazione da parte di tutti gli enti del nuovo riparto delle competenze legislative l’incremento delle questioni di legittimità della legge regionale e provinciale sollevate in via incidentale che nel 2007 ha contato 20 decisioni. Sebbene il giudizio incidentale abbia rappresentato anche nel 2007 l’occasione privilegiata per dichiarazioni di manifesta inammissibilità e infondatezza delle questioni, la Corte ha accolto ben 13 questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento a leggi regionali o provinciali.
Questo dato potrebbe suggerire, in particolare, una trasformazione della legge regionale da mera norma di dettaglio, solo formalmente equiparata alla legge nazionale, a fonte normativa sempre più materialmente pariordinata alla legge dello Stato. In tal modo anche il giudizio della Corte tornerebbe ad avere ad oggetto prevalentemente i diritti coinvolti dalla legislazione, a prescindere dal tipo di legge, piuttosto che dalla sfera di competenza interessato.
Nell’ambito del giudizio in via incidentale, inoltre, anche alcune decisioni adottate su leggi statali interessano la prospettiva regionalistica: sia in riferimento ai parametri del Titolo V, quali le importanti sentenze sulla CEDU (sentt. nn. 348 e 349), la sent. n. 220 e le ordd. nn. 285 e 463, sia in riferimento alla loro materia (sent. n. 171 sulle elezioni degli enti locali e la sent n. 79 sull’Irap).
Se si considera che le decisioni assunte in via incidentale sulla legittimità di leggi regionali e provinciali rappresentano, non solo il 6% delle 319 assunte in questo tipo di giudizio, ma anche il 4% del totale delle decisioni dell’anno (464), sommando questa percentuale a quelle relative al processo principale (16,38) e al conflitto tra enti (5,82) si deve prendere atto che il 26% del contenzioso costituzionale verte direttamente in materia regionale.
Tornando al giudizio in via principale, delle 76 decisioni adottate, 38 sono state decise su ricorso dello Stato (22 sentenze e 16 ordinanze) e 37 su ricorso delle Regioni (35 sentenze e 2 ordinanze), 1 sentenza su ricorso sia statale che provinciale (sent. n. 378). Il livello di conflittualità sembrerebbe, quindi, equamente distribuito, anche se delle questioni decise 82 (con 4 riunioni) sono state sollevate dallo Stato e 121 (con 31 separazioni e 26 riunioni) dalle Regioni e Province autonome.
Dal punto di vista (decisamente parziale) del giudicato costituzionale lo Stato ha avuto soddisfazione nella metà dei casi, mentre le Regioni in un caso su tre. In meno della metà dei conflitti intersoggettivi – tutti originati da atti e comportamenti statali - inoltre le Regioni hanno avuto soddisfazione, con 27 pronunce (22 sentenze e 5 ordinanze) [v. infra 2.1].
La Corte, infine, di anno in anno dimostra di dedicare grande attenzione e premura alle sorti del regionalismo italiano, vantando indici di efficienza, sotto il profilo sia temporale – in termini di per singolo giudizio - sia quantitativo- rispetto allo smaltimento delle pendenze arretrate.
 
 
2. Profili processuali
 
            La Corte vanta un saldo positivo del rapporto tra ricorsi promossi e quelli decisi avendo risolto 69 giudizi completamente e 10 parzialmente. Ancora migliore il recupero sulle pendenze dei conflitti intersoggettivi che, a fronte dei 12 ricorsi proposti, sono stati decisi in 28 casi.
            Anche i tempi di trattazione di ogni singola causa hanno conosciuto un’ulteriore abbreviazione, con il risultato di aver avuto tempi medi per singola causa sempre più simili a prescindere dal tipo di giudizio: 366 giorni in quello principale, 392 nei conflitti intersoggettivi.
 
 
2.1. Le decisioni
 
Le questioni sollevate nei giudizi in via principale, dopo la separazione e la riunione dei giudizi (con 31 separazioni e 26 riunioni, v. infra par. 2.2), con i relativi capi di dispositivo sono state 82 da parte dello Stato e 121 da parte delle Regioni.
55 questioni sollevate dalle Regioni e dalle Province autonome sono state dichiarate non fondate o contengono un’interpretativa di rigetto (sentt. nn. 110, 378, 401). Altre 34 questioni sono state dichiarate inammissibili. Sotto questo profilo, quindi, sulle 121 questioni promosse ben 89 non sono state dichiarate fondate.
Sono state, invece, riconosciute fondate, espressamente, 26 questioni e, implicitamente, 5 attraverso la sostituzione della norma statale impugnata dalle Regioni (sent. n. 412, ord. n. 154), l’intesa raggiunta con lo Stato (sent. n. 367), l’abrogazione delle norme impugnate (sentt. nn. 89 e 289), determinando la cessazione della materia del contendere. Negli altri casi non ci sono chiare motivazioni che spieghino la rinuncia al ricorso.
Le argomentazioni delle Regioni e delle Province autonome, quindi, hanno convinto la Corte solo in caso su tre.
            Anche nei giudizi promossi dallo Stato, in tre casi (ordd. nn. 422, 428, 442) non è dato sapere perchè abbia rinunciato al ricorso. Nei restanti giudizi decisi con ordinanza di estinzione del processo (15) o di cessazione della materia del contendere (5, v. infra par. 2.2.), implicitamente, è riconosciuta la fondatezza del ricorso dello Stato.
Dato che le dichiarazioni di non fondatezza delle questioni proposte nei ricorsi statali sono state 19, come 19 sono state quelle di fondatezza, e considerato che 21 questioni sono state ritenute inammissibili, si potrebbe sostenere che lo Stato ha impugnato, correttamente e fondatamente, le leggi regionali in un caso su due.
Nell'anno si sono avute 3 sentenze interpretative di rigetto (nn. 100, 378 e 401), 16 dichiarazioni di tipo ablativo, 1 di tipo sostitutivo, 13 di tipo additivo e 3 illegittimità di tipo consequenziale.
            Nell’ambito dei conflitti intersoggettivi le Regioni hanno impugnato atti statali in meno della metà dei casi fondatamente. Dei 22 conflitti proposti, la metà delle sentenze ha dichiarato l’inammissibilità dei ricorsi, le questioni dichiarate fondate sono 12. Si tratta di 8 sentenze e tre cessazioni della materia del contendere, per intervenuta sentenza amministrativa di annullamento (ord. n. 252), per sospensione (sent. n. 138) o per revoca (ord. n. 41) del provvedimento impugnato. Accanto alle 4 questioni giudicate non fondate devono citarsi una estinzione per mancata costituzione del resistente e successiva rinuncia (ord. n. 230), una improcedibilità per sopravvenuta mancanza di interesse (sent. n. 174).
 
 
2.2. Cessazione della materia ed estinzione del processo
 
Alcune decisioni ricostruiscono gli estremi per la dichiarazione della cessazione della materia del contendere (ex plurimis, sentt. nn. 98 e 89, ord. n. 154) in tutti i giudizi impugnatori: 5 promossi dallo Stato (sentt. nn. 188, 275 e 451, ordd. nn. 229 e 358) e 5 promossi dalle Regioni (sentt. nn. 89, 289, 367, 412 e ord. 154), 3 nei conflitti (ordd. 41, 252, sent. n. 138).
Tale dichiarazione può intervenire in presenza di tre elementi.
Il primo è relativo alla norma o all’atto impugnato: successivamente alla instaurazione del giudizio, l'atto in relazione al quale è stato promosso è stato revocato (sent. n. 41), sospeso (sent. n. 138), annullato (ord. n. 252); la disposizione è stata disapplicata ovvero sostituita (sent. n. 412, ord. n. 154), soppressa (sent. n. 289), modificata (sentt. nn. 188, 269). Segnalazione specifica merita il caso in cui l’interesse ad una decisione nel merito è venuto meno in seguito all'intesa raggiunta tra le parti (sent. n. 367).
Il resistente, in altre parole, nelle more del giudizio è intervenuto a eliminare quanto il ricorrente ritenesse lesivo delle proprie competenze.
In secondo luogo, le forme di eliminazione dell’atto impugnato, normativo o meno, devono essere risolutive di ogni effetto e applicazione sia per il passato che per il futuro: l’atto o la norma non devono aver prodotto medio tempore (sentt. nn. 41, 188) né produrre per il futuro (sent. n. 412) effetti di cui la ricorrente possa dolersi e non deve aver avuto applicazione (sentt. nn. 98, 269, 286, 289) né attuazione (sentt. nn. 89, 138 e 194).
Nel caso di una sentenza di annullamento, questa deve essere definitiva, quindi passata in giudicato (ord. 252, ma v. anche sent. n. 451); nel caso dell’omissione nella promulgazione di legge siciliana (ordd. nn. 229, 358), «l’intervenuto esaurimento del potere promulgativo, che si esercita necessariamente in modo unitario e contestuale rispetto al testo deliberato dall’Assemblea regionale, preclude definitivamente la possibilità che le parti della legge impugnate ed omesse in sede di promulgazione acquistino o esplichino una qualche efficacia» (2) (ord. n. 229).
Tra le modalità con cui si dimostra che la disposizione impugnata non abbia avuto applicazione nelle more del giudizio deve segnalarsi i casi di dichiarazione della Regione, sottoscritta dal direttore del Servizio bilancio e dal direttore del servizio credito (sent. n. 275) e della nota del capo dell’ufficio legislativo del ministero allegata alla memoria (ord. n. 154).
L'interesse al ricorso permane, nonostante la norma impugnata non risulti aver avuto applicazione nel territorio della ricorrente, anche quando una disposizione successiva a quella impugnata ribadisca la vigenza del meccanismo contestato dalla ricorrente, e ne ha esteso l'applicazione anche agli anni successivi (sent. n. 193).
Un terzo elemento per la cessazione della materia del contendere è dato dal fatto che le circostanze sunnominate siano «da ritenersi totalmente satisfattive della pretesa avanzata con il ricorso» (sent. n. 138). Vi segnala un caso in cui, dopo una iniziale satisfazione delle richieste del ricorrente conseguente a promulgazione con omissione delle parti impugnate in Sicilia su cui la Corte aveva quindi dichiarato con ordinanza n. 204 del 2006 cessata la materia del contendere, il Commissario dello Stato ha presentato nuova impugnazione avverso una delibera che «non supererebbe i motivi di quella in precedenza proposta» (sent. n. 40).
Un ulteriore elemento è costituito dalla richiesta, avanzata dalla ricorrente nell'udienza pubblica o nelle memorie depositate in prossimità dell'udienza di discussione, di dichiarare cessata la materia del contendere (3) (sent. n. 194).
            Caso molto simile, ma processualmente diverso, è quello della estinzione del processo: in questo caso deve essere stata presentata formale rinuncia al ricorso, che a sua volta deve essere ritualmente accettata dal resistente. Nel 2007 si contano 22 dichiarazioni di estinzione del giudizio principale, oltre a 2 episodi nei conflitti (ordd. nn. 230 e 332): mentre le Regioni hanno rinunciato al ricorso presentato 4 volte (sentt. nn.89, 412 e 378 e ord. n. 423), lo Stato ha rinunciato molte volte, tanto è che 14 ordinanze adottate su ricorso statale sono di estinzione del processo.
Le Regioni, infatti, avevano provveduto ad abrogare la norma impugnata (ordd. nn. 69, 313, 346, 398, 427 e 457), a modificarla (ordd. nn. 175, 299, 346 e 441), ovvero a sostituirla (ord. n. 375). In altri casi, non è possibile dedurre i motivi della rinuncia al ricorso (3 nella sent. n. 378 di cui 2 statali e 1 provinciale; v. anche ordd. nn. 422, 428,442), «insistendo all’udienza pubblica perché [fosse] dichiarata l’estinzione del giudizio» (ord. n. 428). Una dichiarazione di estinzione senza dubbio sintomatica della infondatezza del ricorso a cui lo Stato ha rinunciato è quella avvenuta in seguito alla pubblicazione di una sentenza della Corte (ord. n. 90). Con la sent. n. 412 si è avuto, infine, un caso di rinuncia parziale.
 
 
2.3. Riunione dei giudizi e separazione delle decisioni
 
Anche nel 2007 la Corte ha fatto frequente uso della tecnica della separazione delle questioni che vengono decise con distinte pronunce. Quasi sempre (tranne che nelle sentt. nn. 82, 157, 159, 179, 184, 193) le questioni così enucleate sono state riunite con altre contenute in differenti ricorsi e decise con un’unica pronuncia. Singolare il caso di riunione tra ricorso statale e ricorso provinciale (sent. n. 378).
In ultima analisi sono pochissime le sentenze su ricorso regionale che non contengano tale tecnica (sent. nn. 289 e 239) con ben 26 riunioni e 31 separazioni. Al contrario su ricorso statale sono state poche le riunioni (sentt. nn. 57, 300, 431).
            Cominciamo con il vedere in quali casi la Corte riserva a separate pronunce la decisione sull'impugnazione (ord. n. 154).
Nei giudizi in via principale tale tecnica è stata utilizzata, anche questo anno, per i ricorsi con cui le Regioni hanno impugnato la legge finanziaria: dall’insieme di questi ricorsi sono state adottate ben 24 sentenze e 2 ordinanze. 5 sentenze invece hanno deciso delle impugnazioni regionali del c.d. decreto Bersani.
In particolare la Corte non ha addotto particolari motivazioni per procedere alla separazione delle questioni, affermando semplicemente che le questioni «ulteriormente proposte con lo stesso ricorso avverso altre norme della medesima legge (…) sono riservate a separate pronunce» (così in merito alla l. finanziaria 2006 sentt. nn. 82, 88, 94, 105, 137, 157, 159, 162, 179, 184, 193, 201, 240, ordd. nn. 154 e 423; in merito al decreto Bersani sentt. n. 443, 453). In alcuni casi semplicemente è il dispositivo delle sentenze a dichiarare che sono «riservate a separate decisioni le restanti questioni» (sentt. nn. 121, 141, 165, 194).
            In altri casi, invece, la Corte ha argomentato che «per ragioni di omogeneità di materia, le questioni di costituzionalità indicate debbono essere trattate separatamente dalle altre, sollevate con i medesimi ricorsi, oggetto di distinte decisioni» (sentt. nn. 89, 95, 98, 110, 256), e di «un esame distinto» (sentt. nn. 169, 202).
La separazione delle questioni, tuttavia, non è propedeutica alla loro riunione, come dimostrano le riunioni senza preventiva separazione avvenute su 4 impugnazioni regionali (sentt. nn. 339, 367, 387, 401) e nelle 3 riunioni statali (sentt. nn. 57, 300, 431). Analogamente è avvenuto nella riunione di 2 ricorsi statali con 1 provinciale (sent. n. 378).
La riunione delle questioni è spesso più argomentata. Nei giudizi in via principale «ai fini di una trattazione unitaria e di un'unica decisione», si provvede alla riunione dei giudizi quando i ricorsi propongono «profili di connessione della disciplina e della sostanziale identità delle argomentazioni con le quali le disposizioni sono censurate» (sent. n. 165), «sostanziale identità e la connessione del loro oggetto» (sent. n. 201), «identità della materia, nonché dei profili di illegittimità costituzionale fatti valere» (sent. n. 452), medesimi parametri costituzionali (sent. n. 137), «parziale identità delle norme censurate e delle questioni prospettate» (sentt. nn. 95, 202 e 378), «l'identità di materia e l'analogia delle questioni prospettate» (sent. n. 339).
            Molto più spesso, piuttosto che l’identità, è sufficiente l’analogia, la coincidenza, sotto uno dei profili, oggetto, parametro, censure, «questioni analoghe» (sentt. nn. 141, 431): «la evidente connessione fra i medesimi» (sent. n. 300), «connessi per oggetto» (sent. n. 194), «parametri costituzionali sostanzialmente coincidenti» e «omogeneità di materia» (ord. n. 154, sent. n. 179), «sostanziale analogia» (sent. n. 98, 110), «un oggetto parzialmente comune» (sent. n. 141), «per la sostanziale coincidenza dell'oggetto delle singole questioni e dei parametri evocati« (sentt. nn. 387, 443), «analogia esistente tra le censure prospettate» (sent. n. 240).
Interessante il caso della sent. n. 57 in cui due giudizi sono stati riuniti «vertendo entrambi sulla legittimità costituzionale di disposizioni legislative regionali recanti l'istituzione del registro degli amministratori di condominio», ma mentre una legge è stata annullata, l’identica legge siciliana non è stata giudicata nel merito a causa della erroneità del ricorso statale.
Non sono mancate neanche ipotesi di riunione nei giudizi incidentali di interesse regionale. In questo tipo di giudizio le ragioni di riunione sono state l’identità delle questioni (sent. n. 257), dell’oggetto (sent. n. 348), della disciplina legislativa impugnata (sentt. nn. 104, 220), dei parametri costituzionali evocati (sentt. nn. 348, 349) e delle censure (ord. n. 285). Non è necessaria una identità, ma è sufficiente una «sostanziale coincidenza» dei profili e delle argomentazioni (sent. n. 349).
Non tutti i casi di riunione hanno comportato una trattazione congiunta delle cause (sent. n. 104).
 
 
2.4. Inammissibilità della questione di legittimità e improcedibilità dei conflitti
 
Nel 2007 le questioni dichiarate inammissibili sono state 55, di cui 21 sollevate dallo Stato e 34 dalle Regioni e dalle Province.
            Si tratta, quindi, della tipologia di dispositivo più numerosa, dopo la non fondatezza della questione.
            I motivi della inammissibilità sono attinenti a profili squisitamente processuali, a causa dei quali questioni di estrema rilevanza sono state accantonate.
 
 
2.4.1. Notificazione
 
Ancora nel 2007, dopo inflessibile giurisprudenza (4), si è contato un caso di notifica dell'atto introduttivo del giudizio alla sola Avvocatura generale dello Stato e non anche al Presidente del Consiglio dei ministri, in contrasto con il consolidato principio secondo cui ai giudizi costituzionali non sono applicabili le norme sulla rappresentanza in giudizio dello Stato (sent. n. 138).
L'orientamento della più recente giurisprudenza costituzionale afferma che, «anche nei giudizi introdotti in via principale di fronte alla Corte stessa, va tenuto distinto il momento in cui la notificazione deve intendersi perfezionata nei confronti del notificante – che coincide con la data della consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario – rispetto al momento in cui essa si perfeziona per il destinatario dell'atto – che coincide con la data in cui quest'ultimo lo riceve» (5). D'altra parte «la pendenza del termine per l'impugnazione della legge regionale da parte dello Stato non ha alcuna valenza sospensiva della efficacia della legge regionale stessa, sicché durante siffatta pendenza non è affatto precluso alla Regione dare corso alla attuazione della legge anche, se necessario, tramite la adozione di atti normativi o amministrativi conseguenti» (sent. n. 300).
Per giurisprudenza costante (6), infine, l'atto che può formare oggetto di impugnazione per conflitto deve essere portato a conoscenza del soggetto cui la legge attribuisce la potestà di agire (sent. n. 2). Pertanto, nei giudizi per conflitto di attribuzione tra enti, la notificazione, la pubblicazione o la conoscenza del provvedimento impugnato, ai fini della decorrenza del termine di 60 giorni, debbono intendersi riferite agli organi legittimati a proporre il ricorso, cioè, per lo Stato, al Presidente del Consiglio dei Ministri e, per la Regione, al Presidente della Giunta regionale.
«In caso di impugnazione di una sentenza, la decorrenza per il conflitto deve farsi risalire alla emissione della sentenza solo qualora la Regione sia parte in giudizio nella persona del suo Presidente, se invece la Regione vi partecipa nella persona del Presidente del Consiglio [regionale], il termine utile ai fini della decorrenza per proporre conflitto decorre dalla notificazione della sentenza» (sent. n. 2).
 
 
2.4.2. Interesse a ricorrere
 
Tra i casi di inammissibilità della questione vi è quello per difetto di interesse all'impugnazione (sent. n. 159).
Talvolta la sopravvenuta carenza di interesse alla pronuncia preclude l'esame del merito (sent. n. 174) (7), mentre, la «adesione spontanea alle intese da parte delle Regioni ricorrenti non incide sulla perdurante attualità dell'interesse al ricorso, poiché nel giudizio in via principale non trova applicazione l'istituto della acquiescenza» (sent. n. 98) (8).
La Corte ha tralasciato di esprimersi sulla «questione di carattere generale se nei confronti degli atti amministrativi confermativi di altri in precedenza adottati possa ritenersi applicabile il principio della non acquiescenza – valevole nei confronti degli atti legislativi impugnati in via principale in relazione all'inderogabilità delle competenze che vengono difese» (sent. n. 235).
            Le questioni sono inammissibili per carenza di interesse, infine, per inidoneità della disposizione impugnata a ledere le competenze, «potendo la lesione derivare non già dall'enunciazione del proposito di destinare risorse per finalità indicate in modo così ampio e generico, bensì (eventualmente) dalle norme nelle quali quel proposito si concretizza, sia per entità delle risorse sia per modalità di intervento sia, ancora, per le materie direttamente e indirettamente implicate da tali interventi» (sent. n. 141).
 
 
2.4.3.  Delibera e ricorso
 
Profilo rilevante ai fini della ammissibilità della questione è quello attinente ai rapporti tra il ricorso e la delibera recante la determinazione all’impugnazione.
«La delibera governativa di impugnazione della legge e l'allegata relazione ministeriale a cui si faccia rinvio devono contenere l'indicazione delle disposizioni impugnate e la ragione dell'impugnazione medesima, seppur anche solo in termini generali, mentre eventualmente spetta alla memoria di costituzione dell'Avvocatura generale dello Stato la più puntuale indicazione dei parametri del giudizio. La discrezionalità della difesa tecnica ben può quindi integrare una solo parziale individuazione dei motivi di censura» (9) (sentt. nn. 365 e 98).
La mancata indicazione e la non precisa corrispondenza di alcune delle disposizioni contenute nell'epigrafe del ricorso, rispetto a quelle indicate, invece, nella relativa relazione del Ministro per gli affari regionali, determina, quindi, l'inammissibilità della questione. La questione è inoltre inammissibile qualora «nella delibera regionale di autorizzazione a proporre ricorso non vi [fosse] alcuna indicazione» relativa al parametro costituzionale, pur avendo ad oggetto l'impugnazione di diverse norme di una stessa legge di contenuto eterogeneo. In tali ipotesi è infatti necessario che la delibera regionale di autorizzazione a proporre il ricorso contenga, con riferimento ad ogni disposizione impugnata, l'indicazione specifica dei parametri costituzionali asseritamente lesi, al fine di consentire di individuare le ragioni poste a fondamento di ogni singola censura (sent. n. 453).
In passato (10) la Corte ha dichiarato l'inammissibilità di ricorsi promossi sulla base di delibere siffatte riferite ad intere leggi statali dal contenuto non omogeneo: «in questi casi si rivela senz'altro necessaria la indicazione, nella delibera dell'organo politico, quanto meno di una sintetica motivazione anche relativamente agli specifici parametri che si assumono violati, dal momento che solo attraverso siffatta motivazione è possibile ricostruire quali specifiche norme l'organo consiliare abbia inteso effettivamente censurare, tra le molte che compongono, senza omogeneità, l'intero testo normativo oggetto dell'impugnazione (sentt. nn. 98 e 51).
 
 
2.4.4. Atti introduttivi
 
Si è ribadito il principio della necessaria autosufficienza dell'atto introduttivo del giudizio innanzi alla Corte, «nel senso che tale atto, sia esso un ricorso principale ovvero per conflitto o un provvedimento giudiziario con cui venga sollevata una questione incidentale di costituzionalità, deve contenere – in via autonoma – tutti gli elementi che possano consentire alla Corte l'esame e la valutazione delle censure proposte» (sent. n. 38).
Il ricorso in via principale non solo, quindi, deve identificare esattamente la questione nei suoi termini normativi, indicando le norme costituzionali e ordinarie il cui rapporto di compatibilità o incompatibilità costituisce l'oggetto della questione di costituzionalità (sent. n. 300), ma deve anche contenere una seppur sintetica argomentazione di merito, a sostegno della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale della legge (11) (sentt. nn. 40 e 105).
Anche nelgiudizio in via principalela giurisprudenza costituzionale ritiene in ogni caso ammissibili le questioni di natura interpretativa (12) (sent. n. 88), ma non si deve tendere «all'introduzione nel testo della disposizione impugnata di una norma nuova e diversa» (sent. n. 401).
Le questioni sollevate per la prima volta nella memoria integrativa depositata in prossimità dell'udienza pubblica sono tardivamente proposte (13) (sent. n. 443), da ritenersi senz'altro inammissibili in quanto non contenute nei ricorsi originari (sent. n. 98).
           
 
2.4.5. Profili soggettivi
 
Nel 2007 si sono moltiplicate le ordinanze lette in pubblica udienza e allegate alle sentenze in merito all’intervento di terzi nel giudizio di legittimità e nei conflitti.
Sebbene «nei giudizi per conflitto di attribuzione non sia di regola ammesso l'intervento di soggetti diversi da quelli legittimati a promuovere il conflitto o a resistervi, (…) tuttavia, non può escludersi la possibilità che l'oggetto del conflitto sia tale da coinvolgere, in modo immediato e diretto, situazioni soggettive di terzi il cui pregiudizio o la cui salvaguardia dipendono imprescindibilmente dall'esito del conflitto».
In particolare, ciò può avvenire quando oggetto del conflitto sia una decisione giurisdizionale (sent. n. 195, nonché sent. nn. 149 e 222) (14):
Quando, però, la pronuncia della Corte non sia «suscettibile di incidere sulla definitiva affermazione o negazione dello stesso diritto della parte interveniente di agire nel giudizio comune» si «esclude la legittimazione ad intervenire in giudizio dei predetti soggetti, nei limiti in cui è inteso a salvaguardare il tono costituzionale dei conflitti affidati al giudizio della Corte» (sent. n. 344).
            Anche nei giudizi di legittimità, in via sia diretta che incidentale, è stata spesso dichiarata l’inammissibilità dell’intervento di terzi in nome del «principio consolidato» «della necessaria corrispondenza tra le parti del giudizio principale e del giudizio incidentale, a nulla rilevando che le parti intervenute abbiano in corso giudizi analoghi a quello principale» (15) (sent. nn. 220, 314).
Anche nel giudizio in via incidentale, tuttavia, «nel caso in cui l'interesse di cui è titolare il soggetto, pur formalmente esterno al giudizio a quo, inerisce immediatamente al rapporto sostanziale, rispetto al quale un'eventuale pronuncia di accoglimento eserciterebbe una influenza diretta, tale da produrre un pregiudizio irrimediabile della posizione soggettiva fatta valere» è stato ammesso l’intervento di terzi (16) (ordd. nn. 352, 414, nonché sent. n. 349).
Si segnala infine che è stato dichiarato ammissibile l’intervento in giudizio delle Province regionali, le quali non erano parti nel giudizio a quo, introdotto dalla Provincia di Ragusa (ord. n. 250).
Con ordinanza letta all'udienza e allegata alla decisione si è infine ribadito che sono inammissibili gli interventi proposti oltre il termine considerato, per costante orientamento della Corte, di natura perentoria (sent. n. 257). La notificazione del ricorso effettuata prima della discussione in udienza pubblica del conflitto ha consentito, ad esempio, alla Corte di cassazione di fruire, ai sensi del quarto comma dell'art. 27 delle norme integrative, di 20 giorni liberi, dalla data di notifica del ricorso, per intervenire in giudizio; intervento che si è concretamente realizzato (sent. n. 2).
 
 
2.4.6. Oggetto del giudizio
 
I casi di inammissibilità della questione per difetto di individuazione dell’oggetto non sono mancati neanche nel 2007.
Sebbene l'oggetto dell'impugnazione sia definito dal ricorso in conformità alla decisione assunta con la delibera dell’organo politico (17), resta «ferma la valutazione della Corte medesima in ordine all'eventuale nesso di inscindibilità tra la disposizione validamente impugnata e le altre disposizioni della legge non investite da autonome censure ritualmente proposte» (sent. n. 81).
Se poi le norme impugnate sono state riprodotte in una successiva legge il ricorso deve intendersi come riferito anche a queste ultime disposizioni (sent. n. 378).
Oggetto dei conflitti del 2007, invece, è stato statale e prendeva la forma principalmente del provvedimento giurisdizionale, ad opera di ricorsi presentati in particolar modo dalla Regione Veneto. La Corte si è, quindi, sentita in dovere di chiarire che non è ammissibile che il conflitto di attribuzione «diventi uno strumento improprio di censura degli asseriti errori in iudicando, sostitutivo dei rimedi previsti dagli ordinamenti delle diverse giurisdizioni (sentt. nn. 150 e 2, 39, 222 e 223): la Corte ha ricordato il conflitto intersoggettivo può riguardare un atto giurisdizionale, ogni qualvolta sia dal ricorrente «radicalmente contestata la riconducibilità dell'atto che determina il conflitto alla funzione giurisdizionale ovvero sia messa in questione l'esistenza stessa del potere giurisdizionale nei confronti del soggetto ricorrente» (sent. n. 39) (18). E' chiaro, quindi, che il conflitto non può surrettiziamente trasformarsi in un nuovo grado di giurisdizione avente portata tendenzialmente generale, con evidente forzatura dei caratteri propri del conflitto di attribuzione e alterazione dei rapporti tra la giurisdizione costituzionale e quella riconosciuta a istanze giurisdizionali non costituzionali»(sent. n. 380, nonché (sentt. nn. 195 e 235).
Le Regioni, infatti, possono proporre ricorso per conflitto di attribuzioni, quando esse lamentino non una qualsiasi lesione, ma una lesione di una propria competenza costituzionale (19).
La Corte è stata, quindi, costretta a ricordare le caratteristiche dell'atto idoneo ad innescare un conflitto di attribuzione: quello, imputabile allo Stato o alla Regione, che «sia dotato di efficacia e rilevanza esterna» o che, se preparatorio o non definitivo, rechi già in sé dei requisiti minimi di lesività e sia rivolto «ad esprimere in modo chiaro ed inequivoco la pretesa di esercitare una data competenza, il cui svolgimento possa determinare una invasione nella altrui sfera di attribuzioni o, comunque, una menomazione altrettanto attuale delle possibilità di esercizio della medesima» (20).
Non ha attitudine lesiva delle attribuzioni costituzionali della Regione Siciliana in materia tributariala nota impugnata, in quanto priva di carattere vincolante per l'Agenzia regionale che ha richiesto l'interpello (sent. n. 191).
È stato, inoltre, riconosciuto «tono costituzionale» (21) al conflitto sollevato in riferimento alla nota ministeriale, inviata per conoscenza al Comune di Cattolica, contenente una chiara manifestazione di volontà dello Stato di affermare la propria competenza e di negare quella regionale, involgendo questioni afferenti al riparto delle attribuzioni tra Stato e Regioni, quali risulta dal nuovo Titolo V (sent. n. 255).
Analogamente è avvenuto nel caso in cui la Regione ricorrente, lungi dal censurare il merito della decisione assunta dal Commissario per il riordino degli usi civici, ha contestato in radice la potestà di provvedere in tema di legittimazione delle occupazioni abusive dei terreni gravati da usi civici nell'esercizio della funzione giurisdizionale, trattandosi, al contrario, di un atto di amministrazione attiva ad essa spettante in via esclusiva (sent. n. 39): «stante la sua tipologia, l'atto impugnato è idoneo, oltretutto, a divenire immodificabile a seguito del suo passaggio in giudicato e, perciò, oltre a costituire l'origine di diritti di carattere sostanziale in capo ai soggetti da esso coinvolti, ad essere anche il fondamento per la adozione di ulteriori, successivi, provvedimenti diretti ad assicurarne la attuazione, anche coattiva. Pertanto risponde alle caratteristiche di «comportamento significante» (sent. n. 39).
Perché un comportamento omissivo possa essere qualificato come atto lesivo, esso deve essere «idoneo a produrre un'immediata violazione o menomazione di attribuzioni, come, ad esempio, l'indebito rifiuto di adottare un provvedimento necessario affinché una Regione sia posta in grado di esplicare un'attribuzione costituzionalmente ad essa spettante» (22) (sent. n. 276): nel caso di specie, l'inerzia delle amministrazioni statali a fronte delle istanze loro rivolte può essere interpretata solo come una mancata risposta ad una sollecitazione non vincolante che fa permanere lo stato di incertezza, perchè «nessuna norma dell'ordinamento attribuisce a tale inerzia il significato di diniego della spettanza del gettito dei tributi oggetto delle istanze regionali».
            Nella sent. n. 150,anche se nell'intestazione dell'atto giurisdizionale viene riportata l'epigrafe del ricorso introduttivo al TAR, presentato dalla LAV, espressamente rivolta nei confronti della delibera di Giunta che della legge regionale, ciò nondimeno, nel corpo in questione, si legge testualmente che oggetto di sospensione è il «provvedimento impugnato», al singolare, dovendosi, pertanto, intendere che si sia fatto riferimento all'unico atto provvedimentale oggetto di impugnazione: la deliberazione della Giunta regionale.
            In conformità a giurisprudenza costante, infine, in forza del principio di effettività della tutela delle parti nei giudizi in via di azione, s'impone il trasferimento della questione alla norma che, sebbene portata da un atto legislativo diverso da quello oggetto di impugnazione, sopravvive immutata nel suo contenuto precettivo (23).
Secondo la Corte, in particolare, la Regione che ritenga lese le proprie competenze da norme contenute in un decreto-legge può sollevare la relativa questione di legittimità costituzionale anche in relazione a questo atto, con effetto estensivo alla legge di conversione, ovvero può riservare l'impugnazione a dopo l'entrata in vigore di quest'ultima (24) (sent. n. 430).
Qualora la legge di conversione abbia introdotto innovazioni che, tuttavia, non incidono sul contenuto precettivo delle disposizioni, non sussistono i presupposti per dichiarare cessata la materia del contendere e lo scrutinio va condotto avendo riguardo al testo di dette norme risultante dalla legge di conversione, tenendo conto delle argomentazioni svolte in entrambi i ricorsi (25) (sent. n. 430). Qualora, invece, la disposizione censurata modifichi sostanzialmente, ancorché in modo non satisfattivo, il contenuto del testo originario, il trasferimento della questione, lungi dal garantire il richiamato principio di effettività, supplirebbe impropriamente all'onere di impugnazione gravante sulle parti (26). Né, rilevato il carattere non satisfattivo del ius superveniens, si può procedere ad una declaratoria di cessazione della materia del contendere, dovendosi effettuare lo scrutinio di costituzionalità sul testo originario (sent. n. 162).
Non significa che la Regionepossa, senza con ciò «eccedere i limiti della propria competenza legislativa», intervenire «con legge interpretativa o innovativa, su una legge statale, neppure adducendo la violazione, da parte di detta legge statale, di norme costituzionali (nella specie, addirittura diverse da quelle che regolano l'attribuzione della competenza legislativa dello Stato e delle Regioni)» (sent. n. 451). Questo è quanto argomentava la Regione resistente in merito all'applicazione dell'agevolazione fiscale agli autoveicoli adibiti a scuola guida diversi dalle «autovetture».
Nel processo incidentale «in virtù di un principio che va confermato, la questione di legittimità costituzionale può avere ad oggetto anche l'interpretazione risultante dal «principio di diritto» enunciato dalla Corte di cassazione (che vincola questa stessa nel giudizio di impugnazione della sentenza pronunciata in sede di rinvio), in quanto il regime delle preclusioni proprio del giudizio di rinvio non impedisce di censurare la norma dalla quale detto principio è stato tratto (27) (sent. n. 349).
 
 
2.4.7. Parametro
 
Secondo un consolidato indirizzo della giurisprudenza (28), «le Regioni sono legittimate a censurare, in via di impugnazione principale, leggi dello Stato esclusivamente per questioni attinenti al riparto delle rispettive competenze. Si è, tuttavia, ammessa la deducibilità di altri parametri costituzionali soltanto ove la loro violazione comporti una compromissione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite» (sent. n. 401, nonché sentt. nn. 98, 165 e 184), senza che possano avere rilievo denunce di illogicità o di violazione di principi costituzionali che non ridondino in lesione delle sfere di competenza provinciale (sent. n. 184, nonché nn. 387 e 98).
Talvolta il mancato riferimento nella prospettazione della censura ad una compressione delle competenze della ricorrente, come conseguenza della pretesa violazione dell'art. 97 Cost., non ha consentito di affrontare il merito della questione(sent. n. 165).Quando invece si è entrati nel merito, la censura non ha convinto la Corte: talvolta perché ilcollegamento tra il ripiano di un disavanzo finanziario già verificatosi e l'adozione di misure efficaci in futuro - estranee alle cause del disavanzo, considerato manifestamente irragionevole e contrario al buon andamento del servizio sanitario (artt. 3 e 97 della Costituzione) – non inciderebbe in termini riduttivi sulla sfera delle competenze costituzionalmente protette delle Regioni (sent. n. 184); talaltra perché è «indubitabile che il legislatore delegato, anche nel silenzio della legge di delega, sia tenuto comunque alla osservanza dei precetti costituzionali, indipendentemente, dunque, da ogni richiamo che di essi faccia la norma delegante (sent. n. 401).
Un’analisi dei parametri invocati mette in luce comunque la sempre più forte vocazione da parte delle Regioni e delle Province di promuovere il sindacato delle leggi statali alla stregua di tutti i parametri costituzionali.Tra questi spicca il riferimento agli artt. 3 e 97, singolarmente presi o in combinato disposto (sentt. nn. 169, 184, 194, 401). Altri articoli della Costituzione sono stati invocati in singoli ricorsi: artt. 42 e 43 (ord. n. 441), art. 76 (sent. n. 367), art. 138 (sent. nn. 3, 65). La Corte ha inoltre dichiarato l'inammissibilità della censura fondata sulla presunta violazione dell'art. 57, terzo comma, Cost., che attribuisce un seggio senatoriale alla Regione Valle d'Aosta prescindendo dal calcolo della popolazione residente (29) (sent. n. 66).
Lo Stato ha impugnato leggi regionali invocando parametri diversi da quelli sul riparto di competenze in vari casi: artt. 3 e 97 (ordd. nn. 229, 268, 346, sentt. nn. 38, 57, 402), artt. 3 e 41 (sent. n. 64), artt. 24 e 113 (ord. n. 346), art. 33 (sent. n. 21), art. 39 (sent. n. 40), art. 48 (sent. n. 373). Solo in due casi, tuttavia, è stata dichiarata fondata la questione in riferimento ai parametri extra Titolo V.
In particolare si trattava della disposizione regionale nella materia residuale del commercio [v. infra par. 11.1] nella parte in cui, in ordine al rilascio di autorizzazioni all'esercizio e all'ampliamento dell'attività commerciale, individuava il criterio preferenziale della previa titolarità di un'altra grande struttura di vendita nel medesimo territorio regionale. Tale disposizione è stata giudicata lesiva della libertà di concorrenza, in quanto favoriva il cumulo della titolarità di autorizzazioni inerenti a più di una grande struttura di vendita in capo ad un unico soggetto già operante sul territorio regionale, contraddicendo l'esigenza di interesse generale di tutela delle piccole e medie imprese presenti sul medesimo, stabilendo pertanto, «una barriera di carattere protezionistico alla prestazione, nel proprio ambito territoriale, di servizi di carattere imprenditoriale da parte di soggetti ubicati in qualsiasi parte del territorio nazionale» (30), in difetto di una giustificazione ragionevole. Pertanto, la norma realizza una ingiustificata discriminazione fra imprese sulla base di un elemento territoriale che contrasta con il principio di eguaglianza e con l'art. 41 Cost. (sent. n. 64).
Il secondo caso si è avuto a proposito della ampia autonomia statutaria delle Regioni: «è contrastante con gli artt. 1, secondo comma, 5 e 114 della Costituzione e con l'art. 1 dello statuto speciale che le censurate disposizioni e la stessa rubrica della legge regionale n. 7 del 2006 assumano come possibile contenuto del nuovo statuto speciale istituti tipici di ordinamenti statuali di tipo federale in radice incompatibili con il grado di autonomia regionale attualmente assicurato nel nostro ordinamento costituzionale» (sent. n. 365).
Tra i parametri invocabili dalle Regioni vi sono anche quelli relativi alle competenze comunali. Con riferimento alle censure regionali sulle norme applicabili al personale dei Comuni, la Corte ha ribadito che «le Regioni sono legittimate a denunciare la legge statale anche per la violazione delle competenze degli enti locali. La Corte, infatti, ha ritenuto sussistente in via generale una tale legittimazione in capo alle Regioni, perché «la stretta connessione, in particolare [...] in tema di finanza regionale e locale, tra le attribuzioni regionali e quelle delle autonomie locali consente di ritenere che la lesione delle competenze locali sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle competenze regionali» (31) (sent. n. 95).
Questione a parte è quella relativa ai parametri invocabili per le specialità [v. infra par. 17] , (sent. n. 38) (32), nonché sentt. nn. 239, 286 e 238).
Nel caso della delibera governativa avverso la affermazione «della sovranità del popolo sardo o di sovranità regionale» «la indicazione della grande pluralità di ulteriori parametri a cui si riferisce la memoria dell'Avvocatura è nella sostanza inconferente: ciò perché appare finalizzata ad indicare quali contraddizioni si produrrebbero nel tessuto costituzionale e statutario nell'ipotesi che la legge regionale censurata riuscisse davvero a modificare la procedura di deliberazione dello statuto speciale della Sardegna o ad attribuire all'ente rappresentativo del “popolo sardo” veri e propri poteri sovrani (…). Lo stesso riferimento agli artt. 132 e 133 Cost. non rappresenta altro che la indicazione di un possibile argomento contrario alla utilizzabilità del termine “popolo” piuttosto che “popolazione” per la individuazione di una frazione dei cittadini italiani» (sent. n. 365).
Sotto altro profilo, si è ribadito che la questione di legittimità costituzionale è ammissibile «quando il parametro costituzionale, seppur non menzionato, sia comunque chiaramente desumibile dal testo dell'ordinanza di rimessione» (33). Così come «l'omissione dell'espressa indicazione delle norme statutarie sui limiti dei poteri legislativi regionali che si assumono violate, può essere superata dalla Corte mediante i suoi poteri di interpretazione dell'atto che solleva la questione di legittimità costituzionale» (sent. n. 189 e n. 193).
Viceversa, è inammissibile, a causa dell'omessa indicazione del parametro costituzionale di competenza asseritamente violato perché «appare, infatti, evidente che non può nemmeno ipotizzarsi la compromissione da parte della legge statale dell'autonomia o persino della “dignità politica” della Regione e dei suoi organi elettivi che non si risolva nell'invasione delle competenze costituzionali regionali, che il ricorrente è tenuto ad enunciare espressamente quale fondamento della propria azione innanzi a questa Corte» (sent. n. 193).
Le censure svolte nella memoria depositata in prossimità dell'udienza pubblica, anche con riferimento a parametri non indicati nel ricorso (art. 119 Cost.), non possono essere prese in considerazione, in quanto siffatta memoria è destinata esclusivamente ad illustrare e chiarire le ragioni svolte nell'atto introduttivo, non essendo possibile con essa dedurne di nuove (34) (sent. n. 430).
             
 
2.4.8. Motivazioni
 
Sul difetto di motivazione poggia la quasi totalità delle dichiarazioni di inammissibilità.
Anche nei giudizi in via principale è imprescindibile l'autonoma esplicazione delle ragioni poste a sostegno della dedotta illegittimità costituzionale delle norme impugnate. In primo luogo quindi l’inammissibilità della questione è dovuta all’assenza di motivazione (sent. n. 387 e n. 157), o al fatto di essere sfornita di elementi minimi argomentativi (35) (sent. n. 38).
«Nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, l'esigenza di una adeguata motivazione a sostegno dell'impugnativa si pone infatti in termini perfino più pregnanti che in quelli in via incidentale» (36) (sent. n. 165), anche se è salva l'autonomia tecnica dell'Avvocatura dello Stato nell'individuazione dei motivi di censura (37) e svolta «in maniera apodittica» (38) (sent. n. 64).
La motivazione adeguata è quella «non meramente assertiva» (sent. n. 38).
Frequente è stata l'inammissibilità delle questioni proprio per la genericità delle censure di legittimità costituzionale. Le censure redatte in modo generico si pongono in contrasto con l'esigenza, ripetutamente enunciata dalla Corte, che il ricorrente svolga specifiche argomentazioni a sostegno delle proprie doglianze(sent. n. 81). La censura si presenta affetta da genericità ed indeterminatezza, proprio quando il ricorrente abbia omesso di specificare le ragioni che militerebbero a favore della tesi della illegittimità costituzionale della disposizione impugnata (sentt. nn. 38, 165, 373), «limitandosi a prospettare una generica censura» (sent. n. 105).
Talvolta il ricorrente non ha puntualizzato i motivi di illegittimità delle singole norme impugnate ma ha individuato una serie di parametri costituzionali che sarebbero genericamente violati da tutte le norme censurate (sent. n. 387): «si tratta di doglianze più generali (…) che, come tali, potrebbero utilmente corroborare qualsivoglia denuncia, senza però che si riesca a distinguere chiaramente l'aggancio con la singola disposizione che recherebbe il vulnus a quel determinato parametro», perché il ricorso non correla strettamente ciascuna disposizione impugnata alle argomentazioni che sorreggono la dedotta violazione del parametro (sent. n. 367).
In altre ancora la questione era inammissibile, in quanto motivata per relationem: «In particolare il ricorrente, a sostegno del dedotto vizio di incostituzionalità, dopo aver enunciato i suddetti parametri costituzionali, ha rinviato, per la motivazione delle censure, alle argomentazioni già indicate nella precedente impugnazione, sulla quale era intervenuta la declaratoria di cessazione della materia del contendere» (sentt. nn. 38, 40).
Inammissibile la questione proposta nei confronti dell'intera legge regionale, quando le censure adeguatamente motivate riguardino solo singole disposizioni, mentre quella indirizzata all'intero testo normativo sia del tutto generica (39). Nel caso di specie,in coerenza con il contenuto della delibera del Consiglio dei ministri, sono state invece formulate censure specifiche in riferimento (sent. n. 64).
Debbono considerarsi assorbite le censure al testo originario di un decreto-legge quando le stesse vengano rivolte alle corrispondenti disposizioni della legge di conversione, nell'ipotesi che vi sia identità testuale tra di esse (40) (sent. n. 443). In caso di impugnazione sia del decreto legge che della legge di conversione, la sostanziale identità delle norme impugnate esime peraltro il ricorrente da ribadire le motivazioni già addotte nel primo ricorso, ma se l'articolo ha subito modifiche sostanziali in sede di conversione che hanno profondamente inciso sul portato normativo della disposizione, arricchendola di ulteriori e distinte ipotesi, e ne hanno mutato la stessa rubrica e il ricorso sulla legge di conversione omette qualsivoglia motivazione, rispetto a quanto già dedotto tramite il ricorso sul decreto legge, che si faccia carico di dimostrare, o anche solo di ipotizzare, per quali ragioni il vizio di legittimità costituzionale si estenda alle nuove disposizioni introdotte (sent. n. 452).
            Il ricorso non illustra in alcun modo le ragioni per cui si imporrebbe alla Regione Friuli-Venezia Giulia l'applicazione di disposizioni del titolo V della Costituzione, né in quale rapporto queste si trovino rispetto alle disposizioni contenute nello statuto speciale (sent. n. 238). Tali carenze argomentative impediscono di giudicare il merito delle censure» (sent. n. 286).
Il ricorrente, inoltre, non deve basare le sue censure su una lettura parziale della disposizione impugnata «senza considerare l'intero testo di tale legge regionale» (sent. n. 402).
 
 
3. Idea e stato del regionalismo in Italia.
 
La giurisprudenza lascia trasparire l'idea di regionalismo che guida la Corte. In particolare, si è affermato che «il regionalismo non può esaurirsi nella statica difesa reciproca delle prerogative dello Stato e delle Regioni, ma si pone nella prospettiva di un miglioramento della qualità dei servizi resi ai cittadini, nel quadro di una integrazione dinamica tra i diversi livelli di governo» (sent. n. 105).
Ne discende che «né la sfera di competenze costituzionalmente garantita delle Regioni, né il principio di leale collaborazione risultano violati da una norma che prende atto dell'inattività di alcune Regioni nell'utilizzare risorse poste a loro disposizione nel bilancio dello Stato ed oggetto di accordi di programma stipulati in modo libero e paritario con il Governo nazionale (...) Il congelamento di ingenti somme già destinate, secondo moduli di cooperazione orizzontale tra Stato e Regioni, all'attuazione di programmi di edilizia sanitaria non giova all'autonomia regionale e sottrae per tempi indefiniti risorse per la realizzazione del diritto alla salute dei cittadini. Prevedere la risoluzione di accordi di programma, rispetto ai quali si sia registrato un inadempimento da parte di alcune Regioni, significa porre le condizioni per una incentivazione di comportamenti efficienti e virtuosi delle amministrazioni regionali, favorendo anche, sempre secondo il metodo dell'accordo, la riutilizzazione aggiornata, per le medesime finalità, dei finanziamenti revocati» (sent. n. 105).
Proprio perché espressione di una concezione dei rapporti fra Stato e Regione «del tutto estranea al regionalismo previsto nel nostro sistema costituzionale» sono state censurate anche le disposizioni che delimitavano l'area dei possibili contenuti della proposta statutaria da presentarsi al Consiglio regionale per la revisione dello statuto speciale della Sardegna:in particolare, parlare di «sovranità del popolo sardo o di sovranità regionale» sembrerebbe riproporre la questione già affrontata con riferimento alle cosiddette norme programmatiche degli statuti ordinari estranee alle materie che devono o possono essere disciplinate da queste ultime fonti, dalla Corte considerate «di natura culturale o anche politica, ma certo non normativa» (41) (sent. n. 365).
In proposito la Corte, da un lato, ha voluto precisare che, «sebbene la locuzione “popolo sardo” non fosse di per sé oggetto di una autonoma censura», sia da confermare la «normale utilizzazione della espressione “popolazione” per indicare i soggetti appartenenti ad uno specifico ente territoriale od ivi residenti».
D’altro lato, la Corte si è soffermata sul termine “sovranità”, la sua «natura polisemantica» e il significato peculiare che tale termine assume qualora «distingua la originaria natura di alcuni ordinamenti coinvolti nei processi di federalizzazione o nella formazione dei cosiddetti “Stati composti”»: in questi termini un «nuovo statuto di autonomia e di sovranità del popolo sardo» «in quanto fonte di rango costituzionale abilitata dal nostro ordinamento a definire lo speciale assetto istituzionale della Regione ed i suoi rapporti con lo Stato, diverrebbe una fonte attributiva di istituti tali da connotare, per natura, estensione e quantità, l'assetto regionale in termini accentuatamente federalistici piuttosto che di autonomia regionale»: si tratterebbe di «un ordinamento profondamente differenziato da quello attuale e, invece, caratterizzato da istituti adeguati ad accentuati modelli di tipo federalistico, normalmente frutto di processi storici nei quali le entità territoriali componenti lo Stato federale mantengono forme ed istituti che risentono della loro preesistente condizione di sovranità» (sent. n. 365).
«La legge in parola utilizza il termine “sovranità” per connotare la natura stessa dell'ordinamento regionale nel rapporto con l'ordinamento dello Stato, nella diversa accezione del necessario riconoscimento alla Regione interessata di un ordinamento adeguato ad una situazione anche di sovranità (implicitamente asserita come esistente o comunque da rivendicare). Né rileva minimamente su questo piano (...) la progressiva erosione della sovranità nazionale sul piano internazionale (...) Processo istituzionale cui non può certo paragonarsi l'affermarsi del regionalismo nel nostro Paese, neppure a seguito della riforma costituzionale del 2001: infatti, la sovranità interna dello Stato conserva intatta la propria struttura essenziale, non scalfita dal pur significativo potenziamento di molteplici funzioni che la Costituzione attribuisce alle Regioni ed agli enti territoriali. Del resto, quanto alle Regioni a statuto speciale, l'art. 116 Cost. non è stato modificato nella parte in cui riconosce alle stesse «forme e condizioni particolari di autonomia secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale». (...) Gli artt. 5 e 114 della Costituzione e l'art. 1 dello statuto speciale della Regione Sardegna utilizzano tutti (e certo non casualmente) il termine “autonomia” o il relativo aggettivo per definire sinteticamente lo spazio lasciato dall'ordinamento repubblicano alle scelte proprie delle diverse Regioni. D'altra parte, è ben noto che il dibattito costituente, che pure introdusse per la prima volta l'autonomia regionale nel nostro ordinamento dopo lunghi e vivaci confronti, fu assolutamente fermo nell'escludere concezioni che potessero anche solo apparire latamente riconducibili a modelli di tipo federalistico o addirittura di tipo confederale» (sent. n. 365).
Né, con riferimento all’art. 114 Cost., «tra le pur rilevanti modifiche introdotte» dalla l. cost. n. 3 del 2001 «può essere individuata una innovazione tale da equiparare pienamente tra loro i diversi soggetti istituzionali che pure tutti compongono l'ordinamento repubblicano, così da rendere omogenea la stessa condizione giuridica di fondo dello Stato, delle Regioni e degli enti territoriali» (42).
«Pretendere ora di utilizzare (…) sia il concetto di autonomia sia quello di sovranità equivale a giustapporre due concezioni tra loro radicalmente differenziate sul piano storico e logico (tanto che potrebbe parlarsi di un vero e proprio ossimoro piuttosto che di una endiadi), di cui la seconda certamente estranea alla configurazione di fondo del regionalismo quale delineato dalla Costituzione e dagli Statuti speciali».
Un’altra occasione, infine, per delineare una visione complessiva del regionalismo italiano è stata offerta alla Corte dalla questione della insindacabilità dei consiglieri regionali, per le opinioni espresse e i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni, che trova diretto ed esclusivo fondamento nell'art. 122, quarto comma, Cost. (43): a giudizio della Corte, «analogamente alla guarentigia prevista dall'art. 68, primo comma, Cost., l'insindacabilità in oggetto presidia l'autonomia costituzionalmente garantita ai Consigli regionali, quali organi politicamente rappresentativi delle rispettive comunità territoriali e legittimati democraticamente all'assolvimento di funzioni preordinate alla cura dei relativi interessi, a cominciare dalla potestà legislativa. L'identità formale degli enunciati (...) non riflette, tuttavia, una compiuta assimilazione tra le Assemblee parlamentari e i Consigli regionali» perché diversamente dalle funzioni assegnate alle Camere, «le attribuzioni dei Consigli regionali si inquadrano, invece, nell'esplicazione di autonomie costituzionalmente garantite, ma non si esprimono a livello di sovranità» (44) (sent. n. 301). 
 
4.  Art. 122 

La Corte nel 2007 ha più volte affermato che i membri della Giunta regionale godono dell'immunità prevista dall'art. 122, quarto comma, Cost. solo in quanto consiglieri regionali ed esclusivamente in relazione all'attività svolta in ambito consiliare. In altri termini, la guarentigia dei consiglieri non si estende a coprire le funzioni della Giunta o del suo Presidente, perché «non lo consentono la lettera dell'art. 122 Cost. e la ragion d'essere di tale immunità». Tale affermazione, precedente alla riforma costituzionale del 1999 «è ora ulteriormente rafforzata dalla accentuazione della distinzione tra le funzioni del Consiglio e quelle della Giunta, quale organo esecutivo della Regione, operata dal legislatore costituzionale. Priva di fondamento è, pertanto, non solo la tesi che il Presidente della Giunta regionale goda di una forma di immunità rafforzata, ma anche quella che lo stesso, in quanto tale, sia destinatario della guarentigia che il più volte citato quarto comma dell'art. 122 Cost. attribuisce invece esclusivamente ai consiglieri regionali in relazione alle opinioni espresse e ai voti dati nell'esercizio delle loro funzioni» (sent. n. 195, vedi anche i conflitti decisi con le sentt. nn. 173 e 174).
Nel conflitto tra enti la legittimazione a sollevare conflitto spetta, tuttavia, esclusivamente alla Giunta regionale che è un organo diverso rispetto a quello tutelato dall'art. 122, quarto comma, Cost. «Il che pone anche un problema di garanzia, essendo la Giunta l'organo, espressione della maggioranza politica della Regione, in cui sono assenti forme di rappresentatività dei consiglieri di minoranza, i quali potrebbero non trovare adeguata tutela. Tale equivocità si sposta anche sul versante della legittimazione passiva in quanto la parte principale chiamata in giudizio è il Presidente del Consiglio dei ministri e non l'autorità giudiziaria, soggetto direttamente coinvolto nel conflitto. In altri termini, il conflitto tra Consiglio regionale e autorità giudiziaria, che verte sulla delimitazione delle rispettive sfere costituzionali di attribuzioni in rapporto alla sindacabilità o meno della condotta del Consigliere regionale, si svolge con la presenza solo eventuale dell'organo titolare del potere del cui legittimo uso si dubita e nella totale assenza dal giudizio dell'organo titolare della funzione. In questo caso non può, quindi, il Consiglio regionale rivendicare il potere di giudicare in ordine all'insindacabilità, dato che non è neppure parte del conflitto. Ma anche la Regione non ha titolo, essendo soggetto diverso da quello che è tutelato dalla disposizione costituzionale, per la “vindicatio” del potere valutativo in ordine al verificarsi della fattispecie prevista dall'art. 122, quarto comma, Cost.»
La Corte ha fatto anche notare che, se il Presidente della Regione gode della prerogativa di cui all'art. 122, quarto comma, della Costituzione solo in quanto sia componente del Consiglio Regionale e solo in relazione all'attività svolta in ambito consiliare, si deve considerare che, dopo l'approvazione della l. cost. n. 1 del 1999, le due cariche non sono più necessariamente coincidenti, anche se il regime transitorio nelle more dell’approvazione dei nuovi statuti prevede espressamente che il Presidente della Giunta regionale faccia parte del Consiglio.
«L'efficacia inibitoria delle delibere parlamentari di insindacabilità dei membri delle camere per le opinioni espresse e per i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni non può quindi estendersi alle regioni: la diversa posizione dei Consigli regionali e delle Assemblee parlamentari nel sistema costituzionale è tale da escludere la sussistenza del “parallelismo”» (sent n. 301).
 
 
5.  Art. 123.
La Corte ha avuto più volte occasione di affermare che l'art. 123 della Costituzione «prevede l'esistenza nell'ordinamento regionale ordinario di alcune vere e proprie riserve normative a favore della fonte statutaria rispetto alle competenze del legislatore regionale» (45), il quale, quindi, è «vincolato dalle scelte operate mediante questa speciale fonte normativa». Fra i contenuti necessari dello statuto regionale, l'attuale art. 123 Cost. indica anzitutto «la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento», mentre il previgente art. 123 Cost. si riferiva più genericamente «all'organizzazione interna della Regione» (sent. n. 188).
La revisione del 1999 «ha riformato in modo incisivo l'art. 123 Cost., affidando alla fonte statutaria il compito di modificare ed integrare i precedenti statuti regionali anche adeguando l'organizzazione fondamentale della Regione alle modificazioni apportate all'assetto elettorale degli organi regionali di vertice ed al processo di accrescimento delle funzioni regionali, in parte già intervenuto ed in parte progettato, nonché anche alle trasformazioni nel frattempo intervenute nell'assetto della pubblica amministrazione, fra le quali certamente anche le notevoli innovazioni in tema di rapporto fra politica ed amministrazione. A fronte di tale situazione, le Regioni avrebbero dovuto sviluppare, attraverso apposite e complete disposizioni statutarie, le rilevanti innovazioni costituzionali ed istituzionali originate dalle nuove scelte operate a livello nazionale, in tal modo anche riducendo il rischio dell'assenza di normative adeguate alle novità comunque prodottesi, a tutela della necessaria trasparenza e legalità dell'azione regionale. D'altra parte, se originariamente la adozione degli statuti è stata necessitata entro brevi termini determinati dal legislatore statale (…), l'adeguamento alle modifiche costituzionali e legislative intervenute non può essere rinviato sine die (come sembrerebbe implicito per quelle Regioni che in un periodo di oltre sette anni non hanno proceduto a modifiche statutarie né complessive, né parziali), a meno del manifestarsi di rischi particolarmente gravi sul piano della funzionalità e legalità sostanziale di molteplici attività delle Regioni ad autonomia ordinaria»: «le scelte fondamentali in ordine al riparto delle funzioni tra gli organi regionali, ed in particolare tra il Consiglio e la Giunta, alla loro organizzazione e al loro funzionamento sono riservate dall'art. 123 Cost. alla fonte statutaria. Tale riserva impedisce al legislatore regionale ordinario, in assenza di disposizioni statutarie, di disciplinare la materia» (sent. n. 188).
Ne discende l’illegittimità della legge della Regione Campania che, in assenza del previo adeguamento dello statuto alle modifiche introdotte dalla legge cost. n. 1 del 1999, pretendeva di disciplinare il riparto di funzioni tra Giunta, Presidente e singoli assessori da un lato, e Consiglio dall'altro.
 
 
6.  Art. 177, comma 1. 
 
            E' nell'ambito del processo in via incidentale che la giurisprudenza costituzionale del 2007 ha sciolto, anche se in modo controverso (contra M. Luciani), il nodo interpretativo sugli obblighi internazionali di cui al comma 1 dell'art. 117.
La Corte, innanzitutto, ha mantenuto ferma la distinzione di tali obblighi dai vincoli comunitari, come fa «in modo significativo»: «si tratta di una differenza non soltanto terminologica, ma anche sostanziale. Con l'adesione ai Trattati comunitari, l'Italia è entrata a far parte di un “ordinamento” più ampio, di natura sopranazionale, cedendo parte della sua sovranità, anche in riferimento al potere legislativo, nelle materie oggetto dei Trattati medesimi, con il solo limite dell'intangibilità dei principi e dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione. La Convenzione EDU, invece, non crea un ordinamento giuridico sopranazionale e non produce quindi norme direttamente applicabili negli Stati contraenti. Essa è configurabile come un trattato internazionale multilaterale – pur con le caratteristiche peculiari (…) – da cui derivano “obblighi” per gli Stati contraenti, ma non l'incorporazione dell'ordinamento giuridico italiano in un sistema più vasto, dai cui organi deliberativi possano promanare norme vincolanti, omisso medio, per tutte le autorità interne degli Stati membri» (sent. n. 348).
In secondo luogo la Corte ha affrontato la questione relativa a quanto e come il nuovo testo dell'art 117, primo comma, Cost. condizioni l'esercizio della potestà legislativa dello Stato e delle Regioni al rispetto degli obblighi internazionali, tra i quali indubbiamente rientrano quelli derivanti dalla Convenzione europea per i diritti dell'uomo»: «se da una parte rende inconfutabile la maggior forza di resistenza delle norme CEDU rispetto a leggi ordinarie successive, dall'altra attrae le stesse nella sfera di competenza» della Corte; «il giudice comune non ha, dunque, il potere di disapplicare la norma legislativa ordinaria ritenuta in contrasto con una norma CEDU, poiché l'asserita incompatibilità tra le due si presenta come una questione di legittimità costituzionale» (sent. n. 348).
La Corte, inoltre, ha escluso «possa essere ritenuto una mera riproduzione in altra forma di norme costituzionali preesistenti (in particolare gli artt. 10 e 11)» e che «lo stesso sia da considerarsi operante soltanto nell'ambito dei rapporti tra lo Stato e le Regioni».
La validità della legge statale infatti, da un lato, «non può mutare a seconda che la si consideri ai fini della delimitazione delle sfere di competenza legislativa di Stato e Regioni o che invece la si prenda in esame nella sua potenzialità normativa generale»; dall’altro, «poiché, dopo la riforma del titolo V, lo Stato possiede competenza legislativa esclusiva o concorrente soltanto nelle materie elencate dal secondo e dal terzo comma, rimanendo ricomprese tutte le altre nella competenza residuale delle Regioni, l'operatività del primo comma dell'art. 117, anche se considerata solo all'interno del titolo V, si estenderebbe ad ogni tipo di potestà legislativa, statale o regionale che sia, indipendentemente dalla sua collocazione» (sent. n. 348).
L’impianto seguito dalla Corte ha consentito quindi di procedere a «una nuova valutazione della norma sui criteri di calcolo per determinare l'indennizzo dovuto ai proprietari di aree edificabili espropriate per motivi di pubblico interesse: tale norma è stata dichiarata illegittima perchè in contrasto con «l'art. 1 del primo Protocollo della CEDU, quale interpretato dalla Corte europea per i diritti dell'uomo» dato che consente una «corresponsione di somme non congruamente proporzionate al valore dei beni oggetto di ablazione» (sent. n. 348).
            «Ciò non significa, beninteso, che con l'art. 117, primo comma, Cost., si possa attribuire rango costituzionale alle norme contenute in accordi internazionali, oggetto di una legge ordinaria di adattamento, com'è il caso delle norme della CEDU. Il parametro costituzionale in esame comporta, infatti, l'obbligo del legislatore ordinario di rispettare dette norme, con la conseguenza che la norma nazionale incompatibile con la norma della CEDU e dunque con gli “obblighi internazionali” di cui all'art. 117, primo comma, viola per ciò stesso tale parametro costituzionale. Con l'art. 117, primo comma, si è realizzato, in definitiva, un rinvio mobile alla norma convenzionale di volta in volta conferente, la quale dà vita e contenuto a quegli obblighi internazionali genericamente evocati e, con essi, al parametro, tanto da essere comunemente qualificata “norma interposta”; e che è soggetta a sua volta (...) ad una verifica di compatibilità con le norme della Costituzione» (sent. n. 349).
Nel 2007 ci sono state peraltro altre pronunce in cui gli obblighi internazionali e comunitari rilevavano ai fini del giudizio di legittimità (ordd. n. 358 di cessazione della materia, nn. 457 e 428 di estinzione) e dei conflitti (sent. n. 51).
Una norma provinciale, in particolare, è stata annullata nella parte in cui non prevedeva l'obbligo di adottare procedure ad evidenza pubblica per appalti con soglia comunitaria, sebbene la fattispecie fosse «assimilabile a quella oggetto delle direttive comunitarie» (sent. n. 269).
 
 
7. Riparto delle competenze e sussidiarietà
 
Sempre più pervasivo sembrerebbe essere il ricorso al principio di sussidiarietà e alla sua forza attrattiva verso lo Stato delle funzioni amministrative [v. infra par. 15] e delle relative competenze normative. Fenomeno questo che trova terreno fertile nelle materie composte da settori in cui afferiscono interessi eterogenei.
La Corte ha più volte affermato in proposito che, «allorché sia ravvisabile un'esigenza di esercizio unitario a livello statale di determinate funzioni amministrative, lo Stato è abilitato a disciplinare siffatto esercizio per legge, e ciò anche se quelle stesse funzioni siano riconducibili a materie di legislazione concorrente o residuale. In tal caso, i principî di sussidiarietà e di adeguatezza, in forza dei quali si verifica l'ascesa della funzione normativa, dal livello regionale a quello statale, convivono con il normale riparto di competenze contenuto nel Titolo V della Costituzione e possono giustificarne una deroga. Sempre che, naturalmente, la valutazione dell'interesse pubblico sottostante all'assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata, assistita da ragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalità e sia previsto un coinvolgimento della Regione interessata» (sent. n. 88) (46).
La circostanza che l'esercizio unitario a livello statale sia «in via sperimentale» non esclude l'idoneità a recare vulnus alle competenze regionali (sent. n. 165).
Solo in pochi casi, tuttavia, la Corte non ha ritenuto sussistenti i necessari presupposti per l'assunzione, in via sussidiaria, ex art. 118, primo comma, Cost., a livello statale, delle funzioni amministrative con conseguenti riflessi sul riparto della potestà legislativa tra lo Stato e le Regioni.
In materia di pesca, attribuita alla competenza legislativa residuale delle Regioni che si intreccia «con competenze statali, connesse principalmente, ma non esclusivamente, alla tutela dell'ecosistema» e in cui «possono ritenersi sussistenti ragioni di unitarietà ed uniformità ordinamentali tali da richiedere – in ipotesi – l'allocazione a livello statale delle funzioni amministrative in materia o la previsione di meccanismi di attuazione del richiamato principio di leale collaborazione», in tre casi non è stata operata alcuna chiamata in sussidiarietà (sentt. nn. 81, 255 e 344).
La Corte, infine, ha ritenuto «eccessivo - in un contesto in cui comunque è la Regione ad esercitare sia la funzione amministrativa relativa alla determinazione del numero dei rappresentanti la cui designazione spetta a ciascuna organizzazione imprenditoriale, sia quella di controllo e di scioglimento dei consigli [delle camere di commercio], in caso di gravi e persistenti violazioni di legge o di impossibilità di normale funzionamento - conservare in capo allo Stato un rimedio amministrativo avverso le determinazioni dell'autorità regionale attuative della disciplina posta a livello nazionale» (sent. n. 374).
 
 
7.1. Chiamata in sussidiarietà
 
Allecamere di commercio sono attribuiti, tuttavia, anche «compiti che richiedono di essere disciplinati in maniera omogenea in ambito nazionale», come la tenuta del registro delle imprese e le verifiche sugli strumenti metrici e di attività collegate (quali, ad esempio, la gestione di elenchi o l'accreditamento di laboratori per la verificazione): «è quindi necessario» che la costituzione dei consigli camerali sia disciplinata in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale, per la funzionalità stessa del sistema camerale nel suo complesso, previa intesa con le Regioni (sent. n. 374).
A proposito di norme dirette a favorire la realizzazione di insediamenti turistici di qualità di interesse nazionale, si è ribadito che deve ritenersi legittimo l'intervento in sussidiarietà dello Stato nella materia del turismo quando esso è finalizzato alla promozione del “made in Italy” a livello nazionale e internazionale (sent. n. 88).
La chiamata in sussidiarietà può avvenire anche quando siano interessate più materie residuali, come il turismo e l'agricoltura, entrambe coinvolte in tema di agriturismo: in considerazione delle «ricadute che l'attività di promozione determina sul piano dei rapporti tra le aziende agrituristiche e tra queste ultime e gli altri operatori turistici» si è attribuito a livello centrale il compito di definire i criteri di classificazione delle aziende agrituristiche e «un ruolo centrale nella predisposizione del programma triennale di promozione dell'agriturismo» (sent. n. 339).
Ancora più facile la chiamata in sussidiarietà in caso di disposizioni spettanti alla competenza regionale anche concorrente, oltre che residuale. Sono state ritenute sussistenti quelle "esigenze di carattere unitario" che legittimano l'avocazione in sussidiarietà sia delle funzioni amministrative che non possono essere adeguatamente svolte ai livelli inferiori sia della relativa potestà normativa per l'organizzazione e la disciplina di tali funzioni, in relazione alla norma concernente l'Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione, che «presuppone, all'evidenza, un'attività unitaria» (sent. n. 165).
In entrambi casi hanno assunto particolare rilievo «la finalità dell'intervento e l'individuazione dell'oggetto delle norme» che permettano di ritenere che ci si trovi di fronte a scelte di rilevanza nazionale (sentt. nn. 165 e 339).
 
 
7.2.  Leale collaborazione.
 
La Corte ha più volte affermato (47) che il principio di leale collaborazione non è invocabile, quale requisito di legittimità costituzionale, a proposito dell'esercizio della funzione legislativa, poiché non è individuabile, direttamente od indirettamente, un fondamento costituzionale dell'obbligo di adottare procedure collaborative atte a condizionare la funzione suddetta(sentt. nn. 98 e 387). Quando poi competenze regionali diventano l'oggetto su cui incide la potestà legislativa dello Stato «si realizza una separazione tra competenza statale e competenza regionale che non richiede, salvo le peculiarità di determinate fattispecie, particolari forme di leale collaborazione»(sent. n. 98). Nel caso di specie, il carattere incentivante del finanziamento dello Stato dei servizi sanitari giustifica una legislazione statale che imponga particolari condizioni alle Regioni al fine di accedere al finanziamento stesso senza preventivo accordo.
«Le procedure di cooperazione e di concertazione» in sede di Conferenza unificata possono «rilevare ai fini dello scrutinio di legittimità degli atti legislativi, solo in quanto l'osservanza delle stesse sia imposta, direttamente o indirettamente, dalla Costituzione»: «pertanto, affinché il mancato coinvolgimento di tale Conferenza, pur previsto da un atto legislativo di rango primario, possa comportare un vulnus al principio costituzionale di leale cooperazione, è necessario che ricorrano i presupposti per la operatività del principio stesso e cioè, in relazione ai profili che vengono in rilievo in questa sede, la incidenza su ambiti materiali di pertinenza regionale (sent. n. 401).
In particolare, «per le ipotesi in cui ricorra una “concorrenza di competenze”, la Costituzione non prevede espressamente un criterio di composizione delle interferenze. In tal caso – ove […] non possa ravvisarsi la sicura prevalenza di un complesso normativo rispetto ad altri, che renda dominante la relativa competenza legislativa – si deve ricorrere al canone della “leale collaborazione”, che impone alla legge statale di predisporre adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni, a salvaguardia delle loro competenze» (sent. n. 201) (48). Questo principio opera in tutti i casi «in cui sussista una connessione tra funzioni attribuite a diversi livelli di governo costituzionalmente rilevanti e non sia possibile una netta separazione nell'esercizio delle competenze (sent. n. 58)», «in cui si verifichi un forte intreccio con competenze regionali che richieda l'adozione di modalità concordate o comunque di meccanismi che garantiscano il coinvolgimento dei livelli di governo interessati» (sent. n. 401).
In questi casi, l'attrazione al centro delle funzioni amministrative, mediante la “chiamata in sussidiarietà”, benché sia giustificata, richiede quindi che l'intervento legislativo preveda forme di leale collaborazione con le Regioni (49) (sent. n. 165).
«A tal fine l'individuazione della tipologia più congrua compete alla discrezionalità del legislatore» (sent. n. 201), anche se la Corte non si esime – al fine di «recuperare il ruolo delle Regioni in termini di coinvolgimento delle medesime» - dall’adottare sentenze additive per inserire direttamente nelle leggi impugnate, secondo i casi, l’obbligo o dell’intesa in Conferenza Stato-Regioni o del parere obbligatorio della Regione (sent. n. 165).
Se, infatti, «la molteplicità di tematiche coinvolte (…) giustifica la discrezionalità legislativa circa la scelta del modulo concertativo più idoneo a salvaguardare le competenze regionali, non riscontrandosi l'esigenza di specifici strumenti costituzionalmente vincolati di concertazione» (50), l’intreccio tra materie di competenza esclusiva e concorrente determina la dichiarazione di illegittimità della disposizione «nella parte in cui non prevede alcuno strumento idoneo a garantire la leale collaborazione fra Stato e Regioni» (sent. n. 201).
La Corte ha più volte precisato che «le intese in sede di Conferenza Stato-Regioni rappresentano la via maestra per conciliare esigenze unitarie e governo autonomo del territorio. Ne deriva che il principio di leale collaborazione che si realizza mediante tali accordi, anche in una accezione minimale, impone alle parti che sottoscrivono un accordo ufficiale in una sede istituzionale di tener fede ad un impegno assunto» (51) (sent. n. 58).
Il sistema delle Conferenze è il principale strumento che consente alle Regioni di avere un ruolo nella determinazione del contenuto di taluni atti legislativi statali che incidono su materie di competenza regionale a causa della «perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari e, più in generale, dei procedimenti legislativi, anche solo nei limiti di quanto previsto dall'art. 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001» (52) (sent. n. 401). Si tratta di una forma di cooperazione di tipo organizzativo e costituisce «una delle sedi più qualificate per l'elaborazione di regole destinate ad integrare il parametro della leale collaborazione» (sent. n. 401).
Sulla questa base è stato impugnato ildecreto ministeriale con il quale è stato confermato l’incarico del commissario straordinario di un Ente Parco in mancanza di trattative con il Presidente della Regione nel cui territorio ricade il Parco per raggiungere l’intesa prevista dalla Legge quadro sulle aree protette, posta dal legislatore a salvaguardia delle potestà regionali costituzionalmente garantite nelle materie del governo del territorio e dell’edilizia, della valorizzazione dei beni culturali e ambientali, dell’agricoltura, del turismo, della caccia e della pesca. Successivamente al ricorso, infatti, la nomina è avvenuta a seguito di previa intesa fra essa stessa e il Ministro dell’ambiente e che, pertanto, è venuta a cessare la materia del contendere (sent. n. 332). Fondata è stata poi ritenuta la questione relativa alla norma che nel disciplinare l'istituzione presso il Ministero delle politiche agricole e forestali dell'Osservatorio nazionale dell'agriturismo, non prevedeva alcun coinvolgimento delle Regioni per mezzo della Conferenza Stato-Regioni (sent. n. 339).
L'atto che individua nove programmi di ricerca sanitaria e nove enti capifila (Istituto Superiore di Sanità, e otto Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS), pubblici e privati, insistenti nel territorio di due sole Regioni), cui è destinato uno stanziamento in assenza di qualsiasi confronto con le Regioni, ha quindi violato i moduli della leale collaborazione, indispensabili nelle materie in cui si determina, come nella specie, un intreccio di competenze tra Stato e Regioni, mancando financo una motivazione specifica anche in ordine ai criteri di individuazione dei destinatari delle risorse (sent. n. 41 di cessazione della materia del contendere).
La Corte è poi tornata sulla questione del mancato raggiungimento dell'intesa e sulla legittimità dei meccanismi antistallo.
In base alla prassi, la mancata conclusione dell'accordo con le Regioni speciali entro il termine previsto non comporta la definitiva applicazione del regime di spesa delle Regioni a statuto ordinario alle specialità: in caso di mancata tempestiva definizione dell'accordo si applicano i limiti di spesa previsti per le Regioni a statuto ordinario, ma ciò solo in via provvisoria, fino alla conclusione dell'accordo, che può intervenire anche successivamente (sent. n. 82).
Estendendo il principio di leale collaborazione anche ai rapporti tra enti pubblici territoriali e soggetti privati (G. Di Cosimo), la Corte ha ritenuto, inoltre, che la legge regionale, nel prevedere che, se l'intesa della Giunta con le organizzazioni sindacali dei lavoratori e le associazioni dei datori di lavoro riguardo ai profili formativi dell'apprendistato professionalizzante non è raggiunta entro il termine di sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge stessa, provveda la Giunta regionale, attribuisce a quest'ultima un ruolo preminente, incompatibile con il regime dell'intesa, che deve essere caratterizzata dalla paritaria codeterminazione dell'atto (53) (sent. n. 24). «La drastica previsione, in caso di mancata intesa, della decisività della volontà di una sola delle parti, invece, riduce all'espressione di un parere il ruolo dell'altra, declassando l'attività di codeterminazione in una mera attività di consultiva» (sent. n. 24). Il principio di leale collaborazione attiene allo stesso modus procedendi per l'adozione dell'atto impugnato(sent. n. 58): l'incidenza della disciplina statale «anche in materie riconducibili alla competenza legislativa residuale di queste ultime rende indispensabile, per la loro riconduzione nell'ambito della “chiamata in sussidiarietà” da parte dello Stato, l'applicazione del modulo della concertazione necessaria e paritaria fra organi statali e Conferenza Stato-Regioni dei poteri di tipo normativo o programmatorio» (sent. n. 165).
La necessità di un meccanismo idoneo a superare la situazione di stallo determinata dalla mancata intesa e dare concreta attuazione al principio di leale collaborazione sarebbe a giudizio della Corte soddisfatta, piuttosto, da «un sistema che imponga comportamenti rivolti allo scambio di informazioni e alla manifestazione della volontà di ciascuna delle parti e, in ultima ipotesi, contenga previsioni le quali assicurino il raggiungimento del risultato, senza la prevalenza di una parte sull'altra (per esempio, mediante la indicazione di un soggetto terzo)» (sent. n. 24). La disposizione che stabilisce che anche le Province autonome informino, con cadenza semestrale, il Ministero della salute, in merito alla sospensione delle prenotazioni diagnostiche e terapeutiche dovuta a motivi tecnici, «è una previsione che introduce un meccanismo di leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni. La norma impugnata ha carattere meramente propulsivo e propositivo, tendendo unicamente a sollecitare – nell'ottica del principio di leale collaborazione – lo svolgimento delle iniziative ivi indicate, sicché essa non invade le competenze provinciali, né si sovrappone alle stesse» (sent. n. 162). La predisposizione di linee-guida in ordine al settore dell'appropriatezza delle prestazioni e delle relative prescrizioni devono essere approvate con decreto ministeriale d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni, «e quindi mediante un procedimento fondato su un meccanismo di garanzia dell'attuazione del principio di leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni», d’altra parte, «la previsione della partecipazione alla Commissione anche di rappresentanti designati dalla Conferenza permanente Stato-Regioni può ritenersi, nella specie, adeguato strumento di leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni (sent. n. 162).
«La previsione dell'intesa appare sufficiente a contrastare l'eventuale assunzione, da parte del decreto [statale], di contenuti lesivi dell'autonomia garantita agli enti territoriali: ferma restando, naturalmente, la possibilità per questi ultimi di esperire, nell'ipotesi di lesione della propria autonomia, i rimedi consentiti dall'ordinamento, ivi compreso, se del caso, il conflitto di attribuzione davanti a questa Corte» (sent. n. 121).
Non si può, inoltre, «invocare l'efficacia vincolante della previsione dell'intesa che di norma statale dichiarata incostituzionale rappresenta la riproduzione» (sent. n. 178).In altri casila Regione ha fondatamente fatto valere in sede di conflitto il diretto contrasto di una circolare con la premessa di una intesa sancita in sede di Conferenza Stato-Regioni avente ad oggetto l'attuazione della Disciplina del servizio civile nazionale, in cui non si vietava esplicitamente che le Regioni e le Province Autonome, essendo preposte al controllo di alcuni progetti di servizio civile, potessero gestire tali progetti (sent. n. 58).
Si trattava, quindi, di un caso di rottura dell'intesa raggiunta, che ha offerto occasione di confermare l'obbligo di tener fede agli impegni assunti, anche quando vengono fatti discendere dal mero stralcio dell'espresso divieto per enti territoriali di gestire i programmi di servizio civile nazionale. L'intesa di conseguenza assurge a decisione definitiva abbandonando il ruolo di fase, per quanto importante, di un più ampio processo decisionale, e il suo contenuto sembrerebbe rimesso liberamente alle determinazioni delle parti (cfr. I. Ruggiu).
Invece «in linea di massima, non sussiste alcuna violazione del principio di leale collaborazione nel caso in cui le modifiche introdotte allo schema di decreto legislativo successivamente alla sua sottoposizione alla Conferenza unificata siano imposte dalla necessità di adeguare il testo alle modifiche suggerite in sede consultiva (54) (...). In tale caso, non è necessario che il testo modificato torni nuovamente alla Conferenza per un ulteriore parere, anche perché altrimenti si innescherebbe un complesso e non definibile meccanismo di continui passaggi dall'uno all'altro dei soggetti coinvolti» (sent. n. 401).
Non sono mancati casi in cui le Regioni hanno lamentato, a giudizio della Corte non fondatamente, la violazione del principio di leale collaborazione.
È successo in materia rientrante nel secondo comma, lettera l), dell'art. 117 della Costituzione (sent. n. 438), in cui «un eventuale problema di coordinamento, nella fase di attuazione, tra i livelli di governo coinvolti, potrebbe, in ipotesi, porsi esclusivamente rispetto a singole disposizioni contenute nel Codice e non già rispetto ad una norma recante un principio generale attinente al riparto delle competenze statali e regionali» (sent. n. 401). In merito al decreto ministeriale che doveva regolare i tempi di corresponsione di somme maturate in un consistente periodo di tempo (e dunque con indubbie ripercussioni sulle finanze statali), la forma di collaborazione prevista dalla norma (parere della Conferenza Stato-Regioni) è apparso sufficiente (sent. n. 194).
Il piano regionale deve essere approvato entro il 31 dicembre dell'anno precedente all'adozione del piano nazionale, dato che quest'ultimo è predisposto d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni, previa consultazione del c.d. “Tavolo azzurro”. È evidente, quindi, che i due strumenti di programmazione sono destinati naturalmente ad integrarsi secondo le rispettive competenze, grazie alla previsione di meccanismi idonei a dare attuazione al principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni (sent. n. 81).
            Lo Stato ha, inoltre, soddisfatto le pretese delle Regioni nelle more del giudizio prevedendo che la composizione e la organizzazione dell'Osservatorio per il disagio giovanile legato alle dipendenze siano disciplinate con decreto del Ministro della solidarietà sociale, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano e che il Fondo nazionale per le comunità giovanili attribuisce il 75 per cento delle risorse d'intesa con la Conferenza (ord. n. 154).
Di fatto la chiamata in sussidiarietà porta con il sè la potestà regolamentare; rientra infatti nella discrezionalità del legislatore prevedere forme di cooperazione con i livelli di governo regionali nella fase di adozione di singoli atti regolamentari (sent. n. 401).
 
 
7.3. Potere sostitutivo
 
Anche l'esercizio del potere sostitutivo implica, in ogni caso, il rispetto delle garanzie procedimentali improntate al principio di leale collaborazione (sent. n. 339).
 
 
8. Oggetto e materie.
 
«Occorre anzitutto identificare la materia nella quale si collocano le disposizioni impugnate» facendo «riferimento all'oggetto ed alla disciplina stabilita dalle norme scrutinate, per ciò che esse dispongono» (55), «alla luce della ratio dell'intervento legislativo nel suo complesso e nei suoi punti fondamentali, tralasciando gli aspetti marginali e gli effetti riflessi delle norme medesime» (56), «così da identificare correttamente e compiutamente anche l'interesse tutelato» (57) (sent. n. 165, v. anche nn. 256 e 430).
 
 
8.1. Intreccio di materie e competenze in unico oggetto
 
Anche nella giurisprudenza del 2007 sono riscontrabili numerosi esempio di oggetti in cui si intrecciano una pluralità di materie e di competenze. «L'interferenza va, quindi, composta facendo ricorso al criterio della prevalenza, applicabile appunto quando risulti evidente, (…) l'appartenenza del nucleo essenziale della disciplina» ad una determinata materia (sentt. n. 50,80,81, 165, 240, 401 e 430).
Il concorso di competenze legislative statali e regionali rende «necessario fare applicazione del principio di prevalenza, nonché, in ragione dell'intreccio delle relative discipline, anche del criterio di leale cooperazione» (58) (sentt. nn. 162 e 240). «Si è rilevata (anche) un'interferenza di materie riguardo alle quali esistono competenze legislative diverse, alla cui composizione provvedono, quando possibile, gli strumenti della leale collaborazione o, qualora risulti la prevalenza di una materia sull'altra, l'applicazione del criterio appunto di prevalenza (sent. n. 24 in materia di apprendistato professionalizzante e sent. n. 21 sulla formazione esterna).
Esemplare dell’applicazione del principio della leale collaborazione in settore caratterizzato da concorrenza di competenza è una legge regionale in materia di pesca, attribuita alla competenza legislativa residuale delle Regioni, le cui disposizioni «si intrecciano con competenze statali, connesse principalmente, ma non esclusivamente, alla tutela dell'ecosistema»: le norme relative alle licenze di pesca, quanto alle misure di sostenibilità dello “sforzo di pesca”, trovano collocazione nei due strumenti di programmazione, quello regionale e quello nazionale, che «sono destinati naturalmente ad integrarsi secondo le rispettive competenze, grazie alla previsione di meccanismi idonei a dare attuazione al principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni» (sent. n. 81).
Il principio di prevalenza, invece, segue in particolare il criterio finalistico, per cui ciò che rileva è l'obiettivo che le disposizioni mirano a perseguire. Caso esemplare è quello in cuila Corte ha affermato che «il fine della disposizione in esame non è quello di dettare una disciplina generale in tema di assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, di competenza dello Stato, (...) bensì quello di regolare le procedure amministrative e organizzative per arrivare ad una più rapida e conveniente cessione degli immobili» (sent. n. 94).
In altri due casi la pluralità delle materie con concorso di competenze coinvolgeva il coordinamento informativo statistico e informatico tutela della salute, del coordinamento della finanza pubblica per finalità di razionalizzazione e contenimento della spesa sanitaria e de4lla spesa per il personale (sentt. nn. 169 e 240): nella specie si trattava del sistema di rilevamento, di trasmissione telematica e monitoraggio delle spese sostenute..
Il divieto volto ad impedire il “blocco” delle cosiddette liste di attesa, salvo che motivi di ordine tecnico, «pur intersecando la sfera di competenza legislativa concorrente» assegnata dallo statuto speciale nelle materie «igiene e sanità, ivi compresa l'assistenza sanitaria e ospedaliera», nonché in quella relativa al funzionamento e alla gestione delle istituzioni ed enti sanitari, rinviene, tuttavia, «il suo prevalente titolo di legittimazione nella competenza legislativa esclusiva dello Stato prevista dall'art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione» (sent. n. 162). L’interferenza tra materie «non può, pertanto, giustificare, nella fattispecie in questione, una disciplina, marcatamente dettagliata, quale è quella che impone il rispetto di determinate modalità procedurali, come sentire le associazioni degli utenti presenti sul territorio nell'emanazione di disposizioni per regolare i casi in cui la sospensione dell'erogazione delle prestazioni sanitarie è consentita per la sussistenza di motivi di natura tecnica» (sent. n. 162).
La verifica sulla operatività delle liste di attesa è, infatti, la «tipica ipotesi nella quale si verifica una concorrenza di competenze, statali e regionali, che postula, di necessità, la individuazione di una linea di demarcazione tra le stesse»: «anche se non appare dubbia la riconducibilità delle predette liste di attesa e l'attività di verifica diretta allo scopo di accertare gli standard qualitativi e quantitativi all'area dei livelli essenziali di assistenza, ma del pari, è indubitabile che rientra nella medesima area anche indicati negli atti di determinazione dei livelli in questione vengono effettivamente rispettati» (sent. n. 80).
Se l'edilizia sanitaria attiene alle strutture, l'organizzazione del servizio sanitario «inerisce invece ai metodi ed alle prassi di razionale ed efficiente utilizzazione delle risorse umane, finanziarie e materiali destinate a rendere possibile l'erogazione del servizio», così l'ambito materiale dell'edilizia sanitaria «non trova posto come materia specifica tra quelle elencate nell'art. 117 Cost., ma rientra in due materie previste dalla citata disposizione costituzionale, governo del territorio e tutela della salute, entrambe appartenenti alla potestà legislativa concorrente»(sent. n. 105). «La materia dell'edilizia residenziale pubblica si estende su tre livelli normativi. Il primo riguarda la determinazione dell'offerta minima di alloggi destinati a soddisfare le esigenze dei ceti meno abbienti. In tale determinazione – che, qualora esercitata, rientra nella competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. – si inserisce la fissazione di principi che valgano a garantire l'uniformità dei criteri di assegnazione su tutto il territorio nazionale (59) (...). Il secondo livello normativo riguarda la programmazione degli insediamenti di edilizia residenziale pubblica, che ricade nella materia «governo del territorio», ai sensi del terzo comma dell'art. 117 Cost. (60) (...). Il terzo livello normativo, rientrante nel quarto comma dell'art. 117 Cost., riguarda la gestione del patrimonio immobiliare di edilizia residenziale pubblica di proprietà degli Istituti autonomi per le case popolari o degli altri enti che a questi sono stati sostituiti ad opera della legislazione regionale (sent. n. 94).
La molteplicità di materie in un unico oggetto è sovente giustificata dalla complessità dell’obiettivo (sent. n. 165): sebbene la pesca costituisca materia oggetto della potestà legislativa residuale delle Regioni, tuttavia, «per la complessità e la polivalenza delle attività in cui essa si estrinseca, possono interferire più interessi eterogenei, tanto statali, quanto regionali. Per loro stessa natura, infatti, talune attività e taluni aspetti riconducibili all'attività di pesca non possono che essere disciplinati dallo Stato, atteso il carattere unitario con cui si presentano e la conseguente esigenza di una loro regolamentazione uniforme» (sent. n. 81); l’obiettivo di «realizzare una complessa manovra concernente lo sviluppo dell'economia e del sistema produttivo» giustifica il legislatore statale a stabilire una disciplina delle modalità di contrarre e della rappresentanza che interviene senz’altro in materie di competenza esclusiva (materia fiscale, nonché quella dell'ordinamento civile) ma che incide anche su materie attribuite alla competenza legislativa delle Regioni, sia concorrente (quale la «ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi» (61), sia residuale (quali il commercio (62), l'industria, l'artigianato (63)). Analogamente, l'attività della Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione – pur se non imprescindibilmente connessa ai distretti produttivi – è riconducibile a materie spettanti alla competenza legislativa concorrente delle Regioni (in particolare, alla ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi) ed a quella residuale (industria)».
Il fondo per l'innovazione, la crescita e l'occupazione non riguarda soltanto materie regionali, ma anche materie di esclusiva competenza statale, quali la tutela della concorrenza, la tutela ambientale, nonché l'istruzione, materia nella quale spetta allo Stato in via esclusiva la determinazione delle norme generali. «Va infatti tenuto conto anche delle interferenze che, in sede attuativa, potranno verificarsi tra competenze diverse» (sent. n. 201).
Lo sviluppo economico, infine, «è locuzione che costituisce una espressione di sintesi, meramente descrittiva, che comprende e rinvia ad una pluralità di materie» attribuite sia alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, sia a quella concorrente, o residuale delle Regioni» (sentt. nn. 165, 64 e 430). La disciplina generale per l'attività agrituristica, seppure in via immediata rientra nelle materie agricoltura e turismo di competenza residuale delle Regioni, interferisce tuttavia con altre materie attribuite alla competenza, o esclusiva o concorrente, dello Stato (sent. n. 339).
A proposito del servizio civile, si è detto che «in concreto, comporta lo svolgimento di attività che investono i più diversi ambiti materiali, come l'assistenza sociale, la tutela dell'ambiente, la protezione civile: attività che, per gli aspetti di rilevanza pubblicistica, restano soggette alla disciplina dettata dall'ente rispettivamente competente, e dunque, se del caso, alla legislazione regionale o alla normativa degli enti locali, fatte salve le sole specificità direttamente connesse alla struttura organizzativa del servizio e alle regole previste per l'accesso ad esso» (64) (sent. n. 58).
 
 
8.2. Materie trasversali
 
Dall'intreccio di materie solo tendenzialmente gerarchico si passa alla netta prevalenza di una materia sulle altre di fronte alle cosiddette materie trasversali dello Stato, tenendo presente che con tale locuzione si intende che «sullo stesso oggetto insistono interessi diversi» (sent. n. 256): nel settore degli appalti, ad esempio, deve «ritenersi che la interferenza con competenze regionali si atteggia, in modo peculiare, non realizzandosi normalmente un intreccio in senso stretto con ambiti materiali di pertinenza regionale, bensì la prevalenza della disciplina statale su ogni altra fonte normativa. Ne consegue che la fase della procedura di evidenza pubblica, riconducibile alla tutela della concorrenza, potrà essere interamente disciplinata, nei limiti e secondo le modalità di seguito precisati, dal legislatore statale» (sent. n. 401).
«È pacifico che le materie di competenza esclusiva e nel contempo "trasversali" dello Stato (...) possono intersecare qualsivoglia titolo di competenza legislativa regionale, seppur nei limiti strettamente necessari per assicurare gli interessi cui esse sono preposte, fino ad incidere sulla «totalità degli ambiti materiali entro i quali si applicano» (65), anche con riguardo alle materie legislative regionali di tipo residuale (sent. n. 452).
Se la tutela della concorrenza assume sempre più una dimensione trasversale e preponderante (sent. n. 401), in particolare la cosiddetta concorrenza “nel” mercato attraverso la liberalizzazione dei mercati stessi riveste «natura trasversale, non presentando i caratteri di una materia di estensione certa», ma quelli di «una funzione esercitabile sui più diversi oggetti» (sent. n. 401).
Anche se si è ribadito che l'art. 117, comma secondo, lettera m), attribuisce allo Stato una «competenza trasversale ed esclusiva» relativa alla determinazione degli standard strutturali e qualitativi delle prestazioni, da garantire agli aventi diritto su tutto il territorio nazionale, in quanto concernenti il soddisfacimento di diritti civili e sociali (sent. n. 387), la materia tipicamente trasversale resta, tuttavia, l'ambiente di cui si è sottolineato che «accanto al bene giuridico ambiente in senso unitario, possano coesistere altri beni giuridici, aventi ad oggetto componenti o aspetti del bene ambiente, ma concernenti interessi diversi giuridicamente tutelati (...): quello alla conservazione dell'ambiente e quelli inerenti alle sue utilizzazioni. In questi casi, la disciplina unitaria del bene complessivo ambiente, rimessa in via esclusiva allo Stato, viene a prevalere su quella dettata dalle Regioni o dalle Province autonome, in materie di competenza propria, ed in riferimento ad altri interessi» (sent. n. 256).
La Corte ha confermato inoltre che, una volta ricondotto l'intervento statale al legittimo esercizio di una potestà legislativa esclusiva di carattere trasversale e quindi valutato in termini di proporzionalità ed adeguatezza, tale intervento «può avere anche un contenuto analitico» (sentt. nn. 401 e 452), può essere «una disposizione particolare e specifica» soprattutto in materie, come la «tutela della concorrenza» o la «tutela dell'ambiente», «contrassegnate più che da una omogeneità degli oggetti delle diverse discipline, dalla forza unificante della loro funzionalizzazione finalistica, con i limiti oggettivi di proporzionalità ed adeguatezza» (sentt. nn. 430 e 401).
«La proporzionalità e l'adeguatezza non si misurano, infatti, avendo riguardo esclusivamente al livello di dettaglio che connota quella specifica normativa. Se così fosse si verificherebbe una identificazione non consentita tra materie concorrenti e materie trasversali di competenza esclusiva che, invece, ricevono dalla Costituzione una differente disciplina» (sent. n. 165). «È sulla base del contenuto precettivo della norma che si deve stabilire se siano stati rispettati i limiti interni alla materia stessa e dunque se l'intervento statale sia effettivamente proporzionato ed adeguato rispetto all'obiettivo perseguito» (sent. n. 401).
«Una illegittima invasione della sfera di competenza legislativa costituzionalmente garantita alle Regioni, frutto di eventuale dilatazione oltre misura dell'interpretazione delle materie trasversali, può essere evitata (…) con la rigorosa verifica della effettiva funzionalità delle norme statali» agli obiettivi della materia trasversale (sent. n. 443)
A fronte di un materia trasversale il giudizio di legittimità deve avvenire «in rapporto al contenuto precettivo delle singole disposizioni impugnate, al fine di stabilire quali siano gli ambiti materiali in cui esse trovano collocazione» (sent. n. 401).
Deve, infine, segnalarsi che la Corte ha definito trasversale anche una materia residuale, l’edilizia residenziale pubblica, dal momento che tale materia si estende su tre livelli normativi (sent. n. 94)
 
 
8.3. Materia non materia
 
Ribadendoche i lavori pubblici «non integrano una vera e propria materia, ma si qualificano a seconda dell'oggetto al quale afferiscono» e pertanto possono essere ascritti, di volta in volta, a potestà legislative statali o regionali (66) e che non è, dunque, configurabile né una materia relativa ai lavori pubblici nazionali, né tantomeno un ambito materiale afferente al settore dei lavori pubblici di interesse regionale, la Corte ha affermato che ciò è estensibile all'intera attività contrattuale della pubblica amministrazione che non può identificarsi in una materia a sé, ma rappresenta, appunto, un'attività che inerisce alle singole materie sulle quali essa si esplica (sentt. nn. 401 e 256).
La stessa attività di programmazione lavori pubblici, non essendo una materia a sé stante, né risultando riconducibile ad uno specifico ambito materiale, segue il regime giuridico proprio della realizzazione delle relative opere, le quali possono rientrare, a seconda dei casi, in settori di competenza esclusiva statale o residuale delle Regioni ovvero ripartita tra Stato e Regioni (sent. n. 401).
In materia di lavori pubblici, il criterio per la «perimetrazione delle sfere materiali di competenza non può, infatti, essere determinata avendo riguardo esclusivamente alla natura del soggetto che indice la gara o al quale è riferibile quel determinato bene o servizio» (sent. n. 401).
Anche «il procedimento amministrativo non è una vera e propria materia, atteso che lo stesso, in relazione agli aspetti di volta in volta disciplinati, può essere ricondotto a più ambiti materiali di competenza statale o regionale» (67), entro i quali la disciplina statale regola in modo uniforme i diritti dei cittadini nei confronti delle pubbliche amministrazioni (sent. n. 401).
           
 
9. Competenza esclusiva statale (art. 117, comma 2).
 
9.1. Difesa e Forze armate
 
La Corte ha precisato che «è attribuita allo Stato in via esclusiva la competenza a disciplinare il servizio civile nazionale, trattandosi di una forma di adempimento del dovere di difesa della Patria (...) Vi rientrano certamente gli aspetti organizzativi e procedurali del servizio» (sent. n. 58).
 
 
9.2. Tutela della concorrenza (lett. e).
 
 A fronte di una preoccupazione regionale per «una espansione abnorme» della tutela della concorrenza attraverso la sua matrice trasversale (68), la Corte si è soffermata sulla relativa nozione allo scopo di chiarirne «ambiti di rilevanza, natura e limiti di incidenza».
La Corte, innanzitutto, in occasione dei vari giudizi sul cosiddetto decreto Bersani - che ha l'intento di «favorire l'apertura del mercato alla concorrenza» (sentt. nn. 94 e 430), garantendo i mercati ed i soggetti che in essi operano -, ha sostenuto che l'espressione «tutela della concorrenza», coerentemente con quella operante nel sistema giuridico comunitario, comprende, tra l'altro, «interventi regolatori che a titolo principale incidono sulla concorrenza, quali: le misure legislative di tutela in senso proprio, che hanno ad oggetto gli atti ed i comportamenti delle imprese che incidono negativamente sull'assetto concorrenziale dei mercati e ne disciplinano le modalità di controllo, eventualmente anche di sanzione; le misure legislative di promozione, che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l'apertura, eliminando barriere all'entrata, riducendo o eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacità imprenditoriale e della competizione tra imprese, in generale i vincoli alle modalità di esercizio delle attività economiche. In tale maniera, vengono perseguite finalità di ampliamento dell'area di libera scelta sia dei cittadini, sia delle imprese, queste ultime anche quali fruitrici, a loro volta, di beni e di servizi» (sentt. nn. 401, 430 e 443 ). «Si tratta, in altri termini, dell'aspetto più precisamente di promozione della concorrenza, che è una delle leve della politica economica del Paese» (69) (sent. n. 430).
La nozione di concorrenza assunta dalla Corte «riflette», quindi, «quella operante in ambito comunitario», che a sua volta «si riflette» su quella di cui all'art. 117, includendo il mantenimento di mercati già concorrenziali e gli strumenti di liberalizzazione dei mercati stessi, con le relative «misure di garanzia» (sent. n. 401).
La natura della materia in esame, «senza ambito definito», «si caratterizza per le specifiche finalità perseguite» avendo carattere trasversale (sent. n. 401); ciò implica che essa, «avendo ad oggetto la disciplina del mercato di riferimento delle attività economiche, può influire anche su materie attribuite alla competenza legislativa, concorrente o residuale, delle Regioni» (sent. n. 430).
In questa prospettiva, si giustifica un controllo di costituzionalità – guidato dai criteri della proporzionalità e adeguatezza – volto a saggiare «la congruità dello strumento utilizzato rispetto al fine di rendere attivi i fattori determinanti dell'equilibrio economico generale»: «stabilire, innanzitutto, se l'intervento statale sia astrattamente riconducibile, nei modi anzidetti, ai principi della concorrenza nel mercato o della concorrenza per il mercato o ad entrambi; in secondo luogo, accertare se lo strumento utilizzato sia congruente rispetto al fine perseguito alla luce dei criteri di proporzionalità e della adeguatezza» (sent. n. 401).
Essa, «avendo ad oggetto la disciplina del mercato di riferimento delle attività economiche, può influire anche su materie attribuite alla competenza legislativa, concorrente o residuale, delle Regioni» (sent. n. 430).
Innumerevoli sono gli oggetti che sono stati ricondotti, in seguito al suddetto scrutinio, nella tutela della concorrenza: nel settore degli appalti pubblici, compresi quelli al di sotto della soglia comunitaria, le procedure di qualificazione e selezione dei concorrenti, le procedure di affidamento (esclusi i profili attinenti all'organizzazione amministrativa), i criteri di aggiudicazione, ivi compresi quelli che devono presiedere all'attività di progettazione ed alla formazione dei piani di sicurezza, nonché i poteri di vigilanza sul mercato degli appalti (70), nonché gli strumenti di controllo del possesso, da parte dei concorrenti, dei requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi idonei a fornire valide garanzie di serietà che devono caratterizzare, appunto, la partecipazione alla gara stessa (sentt. nn. 401, 430 e 431); la disciplina generale dell'ordinamento contabile dell'amministrazione regionale e della gestione delle risorse finanziarie necessarie regolamenta l'attività del Consiglio regionale inerente all'affidamento di appalti di forniture e di servizi di importo inferiore alla soglia di rilievo comunitario, di appalti di importo superiore qualora diversi da quelli menzionati dalle direttive comunitarie, di appalti di lavori pubblici di qualunque importo e la relativa attività contrattuale, nonché la stipulazione di contratti d'opera professionale (sent. n. 431); i criteri che presiedono allo svolgimento e dell'attività di progettazione e alla sua articolazione dei subappalti (71); nel settore dei lavori pubblici ai servizi e alle forniture, i criteri uniformi della progettazione «esclusivamente per quanto attiene alla fissazione dei criteri in base ai quali tale attività deve essere svolta ma non si estende fino ad incidere sulla spettanza del concreto svolgimento dell'attività progettuale alle singole amministrazioni aggiudicatici»; nella disciplina degli «strumenti di liberalizzazione dei mercati» (sent. n. 401), le disposizioni che si propongono e conseguono l'obiettivo di accrescere l'offerta del trasporto pubblico locale, tramite il rilascio di licenze o di titoli autorizzatori temporanei o stagionali ovvero riconoscendo ai Comuni la facoltà di autorizzare al trasporto di linea di passeggeri chi sia in possesso dei necessari requisiti tecnico-professionali (sent. n. 452); nell'ambito delle attività libero-professionali e intellettuali, la norma che ha abrogato le disposizioni che prevedono «l'obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti», la possibilità di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché i costi complessivi delle prestazioni (sent. n. 443); alle modalità di gestione ed affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica sono riconducibili alla potestà legislativa esclusiva dello Stato nella materia «tutela della concorrenza», in quanto disciplinano tale ambito secondo un sistema teso a salvaguardare la concorrenzialità del mercato (72) (sent. n. 38).
Questo elenco dimostra la «portata ampia» (73) della tutela della concorrenza, che, avendo ad oggetto la disciplina del mercato di riferimento delle attività economiche, da un lato, «influisce necessariamente anche su materie attribuite alla competenza legislativa, concorrente o residuale, delle Regioni, dall'altro, impongono di garantire che la riserva allo Stato della predetta competenza trasversale non vada oltre la «tutela della concorrenza» e sia in sintonia con l'ampliamento delle attribuzioni regionali disposto dalla revisione del titolo V della parte seconda della Costituzione (74) (...). Ne consegue che non possono ricondursi alla «tutela della concorrenza» quelle misure statali che non intendono incidere sull'assetto concorrenziale dei mercati o che addirittura lo riducono o lo eliminano» (sent. n. 430). Le norme statali in materia di composizione della Commissione giudicatrice e alle modalità di scelta dei suoi componenti, quindi, sono state dichiarate costituzionalmente illegittime nella parte in cui, per i contratti inerenti a settori di competenza regionale, non prevedono che esse abbiano carattere suppletivo e cedevole rispetto ad una divergente normativa regionale che abbia già diversamente disposto o che disponga per l'avvenire (sent. n. 401).
Deve comunque ritenersi ammissibile che - «al fine di evitare che siano vanificate le competenze delle Regioni» - le norme regionali« riconducibili a queste competenze abbiano effetti proconcorrenziali (...) purché tali effetti, connessi alla specificità dei settori disciplinati, siano indiretti e marginali e non si pongano in contrasto con gli obiettivi posti dalle norme statali che tutelano e promuovono la concorrenza» (sentt. nn. 430 e 431).
È la stessa Corte a spiegare che «il presupposto logico» delle disposizioni statali in materia di tutela della concorrenza è che «il conseguimento degli equilibri del mercato non può essere predeterminato normativamente o amministrativamente, mediante la programmazione della struttura dell'offerta, occorrendo invece, al fine di promuovere la concorrenza, eliminare i limiti ed i vincoli» (…) «all'accesso al mercato, sia soggettivi sia riferiti alla astratta predeterminazione del numero degli esercizi, sia concernenti le modalità di esercizio dell'attività, nella parte influente sulla competitività delle imprese, anche allo scopo di ampliare la tipologia di esercizi in concorrenza» (sent. n. 430).
 
 
9.3.  Ordinamento e organizzazione amministrativa (lett. g).
 
La potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento ed organizzazione amministrativa statale non è lesa dalla disposizione secondo cui l'attività di organizzazione e coordinamento della Regione è svolta «anche in collaborazione con l'Istituto per il commercio estero (ICE), l'Agenzia nazionale per il turismo, altri enti pubblici», dal momento che si tratta di una mera facoltà e non già un obbligo di collaborazione, escludendo che il coinvolgimento di organi statali in detta attività regionale sia imposto unilateralmente dalla Regione (75) (sent. n. 454). La norma regionale, anzi, «lungi dal disciplinare unilateralmente forme di collaborazione e di coordinamento obbligatorie che coinvolgono compiti e attribuzioni dello Stato, opera all'interno delle funzioni già attribuite dallo Stato alle Regioni con il d.lgs. n. 112 del 1998 che, espressamente prevede che nell'esercizio di funzioni amministrative le regioni possono avvalersi anche dell'ICE e dell'Agenzia nazionale per il turismo».
 
 
9.4. Giurisdizione e norme processuali, ordinamento civile, giustizia amministrativa (lett. l)
 
9.4.1. Ordinamento civile.
 
La disciplina delle procedure amministrative tendenti all'alienazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica non rientra nell'ordinamento civile, ma deve essere ricondotta al potere di gestione dei propri beni e del proprio patrimonio, appartenente in via esclusiva alle Regioni ed ai loro enti strumentali (sent. n. 94).
La disciplina della formazione interna al luogo di lavoro attiene, invece, all'ordinamento civile (sent. n. 24).
Sono, inoltre, istituti dell'ordinamento civile le indennità che il legislatore statale può sopprimere e eliminare «dai contratti e dagli accordi collettivi in vigore e vietare per quelli da stipularsi, con ciò fissando un inderogabile limite generale all'autonomia contrattuale delle parti» comportando «la compressione dell'autonomia privata nel settore del pubblico impiego sia dello Stato che delle Regioni e degli enti locali» (sent. n. 95). Lo Stato, quindi, ha legittimamente fissato «un tipico limite di diritto privato» (76) «fondato sull'esigenza, connessa al principio costituzionale di eguaglianza, di garantire l'uniformità nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti fra privati» e, come tale, si impone anche alle Regioni a statuto speciale.
Rientra nell'ambito materiale dell'ordinamento civile anche il subappalto che costituisce un istituto tipico del rapporto di appalto, come tale disciplinato dal codice civile e inquadrabile nell'ambito dei contratti di derivazione. Sebbene caratterizzato da elementi di sicura matrice pubblicistica, detto istituto conserva, infatti, la sua natura privatistica (sent. n. 401).
Disciplinando aspetti afferenti a rapporti che presentano prevalentemente natura privatistica, pur essendo parte di essi una pubblica amministrazione, è stata ascritta all'ambito materiale dell'ordinamento civile anche la fase dell'attività contrattuale della pubblica amministrazione, che ha inizio con la stipulazione del contratto: al momento tipicamente procedimentale di evidenza pubblica segue, infatti, un momento negoziale in cui «l'amministrazione si pone in una posizione di tendenziale parità con la controparte ed agisce non nell'esercizio di poteri amministrativi, bensì nell'esercizio della propria autonomia negoziale. Tale fase, che ricomprende l'intera disciplina di esecuzione del rapporto contrattuale, incluso l'istituto del collaudo (...) si connota, pertanto, per la normale mancanza di poteri autoritativi in capo al soggetto pubblico, sostituiti dall'esercizio di autonomie negoziali» (sent. n. 401).
Nella fase di attuazione del rapporto contrattuale rientrano anche «i profili relativi all'esecuzione del contratto, come le garanzie fideiussorie di esecuzione e le coperture assicurative, dettandone le modalità di costituzione, di escussione e di estinzione, nonché le conseguenze derivanti dalla loro mancata prestazione (…) ferma restando l'autonomia negoziale delle singole amministrazioni aggiudicatrici» (sentt. nn. 401 e 431).
In sede di confitto, infine, la Corte ha avuto modo riconoscere l’avvenuta migrazione delle fondazioni bancarie dalla materia del credito a quella «dell'ordinamento civile, a seguito di una riforma economico-sociale che «costituisce un limite – in questo caso assoluto – all'esercizio della potestà legislativa regionale e provinciale» (sent. n. 438). 


9.4.2. Giurisdizione e norme processuali.

La legge che determina gli enti assoggettabili alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, in quanto "idonea ad incidere sul regime, sostanziale e processuale, delle situazioni soggettive coinvolte nella procedura", deve essere statale: è stata dichiarata l'illegittimità pertanto della legge regionale che assegnava "(tra l'altro) alle situazioni soggettive di coloro che hanno avuto rapporti con quegli enti un regime, sostanziale e processuale, peculiare rispetto a quello (ordinario, previsto dal codice civile e da quello di procedura civile) altrimenti applicabile" nonché "di tutte le norme regionali che presuppongono l'assoggettamento alla procedura di liquidazione coatta amministrativa delle USL in gestione liquidatoria" (sent. n. 25).

 
9.4.3. Giustizia amministrativa
 
Rientra nella competenza esclusiva dello Stato, in relazione alle materie della giurisdizione e della giustizia amministrativa, il contenzioso (sent. n. 401). Contrasterebbe con la potestà esclusiva dello Stato in materia di «giustizia amministrativa» l’istituzione con legge regionale del Tribunale regionale di giustizia amministrativa (sent. n. 239).
 
 
9.5. Determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (lett. m)
 
La Corte ha ripetutamente precisato che l'attribuzione allo Stato della competenza trasversale ed esclusiva di cui alla lettera m) si riferisce alla determinazione degli standard strutturali e qualitativi delle prestazioni, da garantire agli aventi diritto su tutto il territorio nazionale, in quanto concernenti il soddisfacimento di diritti civili e sociali (sent. n. 387).
Sarebbe «concettualmente inappropriato» l’inquadramento nel presente ambito normativo di «un principio di libertà di scelta, da parte dell'utente, tra strutture pubbliche e private operanti nel campo della prevenzione, cura e riabilitazione delle tossicodipendenze» (sent. n. 387) e «del tutto improprio» il riferimento a tale materia in caso di prescrizioni meramente facoltizzanti, «come tali del tutto inidonee a garantire il “livello essenziale” di una prestazione» (sent. n. 452). Non sono, inoltre, «inquadrabili in tale categoria le norme volte all'individuazione del fondamento costituzionale della disciplina, da parte dello Stato, di interi settori materiali (77) o la regolamentazione dell'assetto organizzativo e gestorio degli enti preposti all'erogazione delle prestazioni» (78) (sent. n. 387).
Dopo aver nel 2006 subordinato la determinazione dei livelli essenziali al principio della leale collaborazione, la Corte è intervenuta nuovamente in materia di finanziamento dei servizi sanitari, connesso, in base a una serie di accordi e intese tra Stato e Regioni, alla garanzia di standard comuni di assistenza: a giudizio della Corte, il carattere incentivante del finanziamento statale consentirebbe allo Stato di subordinare l'accesso delle Regioni al finanziamento integrativo per il ripiano dei disavanzi del servizio sanitario nazionale a specifiche condizioni. In altri termini il legislatore statale, senza previo accordo con le Regioni, può determinare unilateralmente condizioni che le Regioni sono obbligate a rispettare per poter accedere al finanziamento dei servizi essenziali (sent. n. 98).
Sono riconducibili all'area dei livelli essenziali di assistenza, tra l’altro, le previsioni concernenti le liste di attesa così come l'attività di controllo che gli standard qualitativi e quantitativi indicati vengano effettivamente rispettati (sent. n. 80). Il divieto statale della sospensione delle attività di prenotazione delle prestazioni aventi ad oggetto i livelli essenziali di assistenza (L.E.A.) sanitari, non è illegittimo in quanto «preordinato a consentire la fruizione, in modo continuativo, da parte degli utenti del Servizio sanitario, delle prestazioni costituenti livelli essenziali di assistenza sanitaria, salvo che motivi di ordine tecnico impongano tale blocco», radicando la potestà legislativa statale in ordine anche alle relative sanzioni amministrative (79) (sent. n. 162).
La disciplina statale della destinazione delle risorse residue finalizzate all'edilizia sanitaria, invece, pone «un limite indiretto all'autonomia regionale, [che] si pone in contrasto con la necessaria generalità di una previsione di LEA» dal momento che intende determinare la soglia minima dei posti letto che dovrebbero avere i presidi ospedalieri per essere destinatari di finanziamenti (sent. n. 105).
«Tale materia trasversale consente infatti una forte restrizione dell'autonomia legislativa delle Regioni»: nonostante l'ambito materiale della «tutela della salute» sia assegnato alla potestà legislativa concorrente, «si deve riconoscere allo Stato il potere di fissare la quantità, la qualità e la tipologia delle prestazioni cui tutti gli utenti hanno diritto nell'intero territorio nazionale. Nel porre tali livelli essenziali, lo Stato ha facoltà di dettare norme di principio o di dettaglio, avendo cura di operare con legge le scelte di carattere generale, all'interno delle quali la legge stessa deve stabilire «adeguate procedure e precisi atti formali per procedere alle specificazioni ed articolazioni ulteriori che si rendano necessarie nei vari settori» (80) (sent. n. 387).
«La deroga alla competenza legislativa delle Regioni, in favore di quella dello Stato, è ammessa nei limiti necessari ad evitare che, in parti del territorio nazionale, gli utenti debbano, in ipotesi, assoggettarsi ad un regime di assistenza sanitaria inferiore, per quantità e qualità, a quello ritenuto intangibile dallo Stato. Alle Regioni sarà sempre possibile fornire, con proprie risorse, prestazioni aggiuntive tese a migliorare ulteriormente il livello delle prestazioni, oltre la soglia minima uniforme prescritta dalla legge statale» (sent. n. 387).
Tale materia, infine, è stata invocata per censurarel'esclusione degli studenti lavoratori dagli interventi in materia di diritto allo studio universitario (ord. n. 69).
 
 
9.6.  Previdenza sociale (lett. o)
Non rientrano nella materia della previdenza sociale le disposizioni in materia di trattamento indennitario dei Consiglieri regionali che prevedono una trattenuta obbligatoria nella misura del 20 per cento, a titolo di contributo per la corresponsione dell'assegno vitalizio (ord. n. 86).
Gli assegni per la nascita dei figli, invece, hanno natura «previdenziale» grazie al fatto di essere temporanee, di avere carattere indennitario e di «prescindere da ogni situazione di bisogno, di disagio o di difficoltà economica». La previsione di un “tetto” di reddito per beneficiare della provvidenza non incide sulla caratteristica da ultimo indicata, atteso che tale “tetto” è individuato in una somma compatibile con l'assenza di «bisogno, disagio o difficoltà economica» e si risolve, in sostanza, in uno strumento di selezione dei destinatari di risorse comunque limitate (sent. n. 141).
 
 
9.7. Coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale (lett. r)
 
Lo Stato ha esercitato la potestà legislativa in materia di coordinamento informativo, statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale e regionale prevedendo l'obbligo per le Regioni di fornire informazioni sullo stato dell'agriturismo nel territorio di propria competenza al fine di coordinare a livello centrale la raccolta dei dati afferenti all'attività agrituristica da esse svolta, e di disporre di un quadro unitario (sent. n. 339).
Ancorché interferisca anche con la materia della tutela della salute e dunque con il sistema di controllo della spesa sanitaria, rientra in questo ambito materiale la normativa degli obblighi di trasmissione di dati telematici desumibili dalle ricette mediche e dalle confezioni dei farmaci, con le relative sanzioni amministrative (sent. n. 240).


9.8. Tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali (lett. s).
 
9.8.1. Tutela dell'ambiente.

«Sovente l'ambiente è stato considerato come “bene immateriale”. Sennonché, quando si guarda all'ambiente come ad una “materia” di riparto della competenza legislativa tra Stato e Regioni, è necessario tener presente che si tratta di un bene della vita, materiale e complesso, la cui disciplina comprende anche la tutela e la salvaguardia delle qualità e degli equilibri delle sue singole componenti» (ord. n. 144 e sent. n. 378).
Dalla giurisprudenza della Corte, sia precedente che successiva alla nuova formulazione del titolo V della parte seconda della Costituzione,«è agevole ricavare una configurazione dell'ambiente come "valore" costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia "trasversale"» (81) (sent. n. 380).
«La tutela ambientale e paesaggistica, (…) rientrando nella competenza esclusiva dello Stato, precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali. In sostanza, vengono a trovarsi di fronte due tipi di interessi pubblici diversi: quello alla conservazione del paesaggio, affidato allo Stato, e quello alla fruizione del territorio, affidato anche alle Regioni» (sent. n. 367): se «il concetto di paesaggio indica, innanzitutto, la morfologia del territorio, riguarda cioè l'ambiente nel suo aspetto visivo (…) per i contenuti ambientali e culturali che contiene» e «che è di per sé un valore costituzionale» «la cui cura spetta in via esclusiva allo Stato», «quelli concernenti il governo del territorio e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali (fruizione del territorio)» sono affidati alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni (sent. n. 367).
«Si tratta di due tipi di tutela, che ben possono essere coordinati fra loro, ma che debbono necessariamente restare distinti»: «in buona sostanza, la tutela del paesaggio, che è dettata dalle leggi dello Stato, trova poi la sua espressione nei piani territoriali, a valenza ambientale, o nei piani paesaggistici, redatti dalle Regioni»(sent. n. 367).
Ne discende che le regioni non possono «certo lamentarsi di non poter statuire d'intesa l'individuazione dei beni da tutelare ed il regime di tutela, (...) le competenze regionali non concernono le specifiche modalità della tutela dei beni paesaggistici (rimessa alla competenza esclusiva dello Stato), ma la concreta individuazione e la collocazione di questi ultimi nei piani territoriali o paesaggistici» (sent. n. 367). 
«Come si evince anche dalla Dichiarazione di Stoccolma del 1972, occorre, in altri termini, «guardare all'ambiente come “sistema”, considerato cioè nel suo aspetto dinamico, quale realmente è, e non soltanto da un punto di vista statico ed astratto» (sent. n. 378). La Costituzione «parla di “ambiente” in termini generali e onnicomprensivi. E non è da trascurare che la norma costituzionale pone accanto alla parola “ambiente” la parola “ecosistema”. Ne consegue che spetta allo Stato disciplinare l'ambiente come una entità organica, dettare cioè delle norme di tutela che hanno ad oggetto il tutto e le singole componenti considerate come parti del tutto. Ed è da notare, a questo proposito, che la disciplina unitaria e complessiva del bene ambiente, inerisce ad un interesse pubblico di valore costituzionale primario ed assoluto (82), e deve garantire, (come prescrive il diritto comunitario) un elevato livello di tutela, come tale inderogabile da altre discipline di settore. Ciò comporta che la disciplina ambientale (...) viene a funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per cui queste ultime non possono in alcun modo derogare o peggiorare il livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato» (sent. n. 378).
Ciò non esclude affatto, tuttavia, che le leggi regionali possano assumere tra i propri scopi anche finalità di tutela ambientale (83). «La segnalata particolarità della disciplina del bene giuridico ambiente considerato nella sua completezza ed unitarietà riverbera i suoi effetti anche quando si tratta di Regioni speciali o di Province autonome, con l'ulteriore precisazione, però, che qui occorre tener conto degli statuti speciali di autonomia» (sent. n. 378).
Si tratta di una impostazione che è stata ribadita anche con riferimento ad una Regione ad autonomia speciale quale la Sardegna, che nel proprio statuto reca come materia di competenza esclusiva l'edilizia e l'urbanistica e come materie di competenza concorrente il governo del territorio, la salute pubblica e la protezione civile, in quanto questo insieme di competenze «non comprende ogni disciplina di tutela ambientale» (84) (sent. n. 380).
            Lo Stato può imporre alle Regioni criteri inderogabili di priorità nella valutazione delle proposte dirette alla realizzazione di insediamenti turistici, qualora detti criteri rispondano all'esigenza di non compromettere la tutela dell'ambiente: nel caso di specie si è data priorità al recupero e alla bonifica di aree compromesse sotto il profilo ambientale e di impianti industriali dismessi (sent. n. 88).
Anche a fronte di competenze residuali delle Regioni, come quelle inerenti la pesca, rilevano competenze statali, connesse principalmente, ma non esclusivamente, alla tutela dell'ecosistema, che potrebbero, a fronte di ragioni di unitarietà ed uniformità ordinamentali, consentire la chiamata in sussidiarietà delle relative funzioni amministrative: in tema di norme regionali relative alle licenze di pesca, quanto alle misure di sostenibilità dello “sforzo di pesca”, la Corte ha chiarito che «spetta allo Stato la individuazione del numero complessivo e della tipologia delle licenze concedibili, mentre compete alla Regione, attraverso il (...) programma regionale, ripartire tale numero, in relazione appunto ai diversi tipi di pesca, tra le Province (sent. n. 81).
È stata dichiarata, invece, la palese inidoneità a ledere le attribuzioni costituzionali della Regione della disposizione ministeriale che «si è limitata a dettare un requisito (relativo alla superficie massima consentita per ciascuna rete da posta fissa) compatibile con quelli imposti» da regolamento CE, la cui diretta applicabilità all'ecosistema marino italiano è «indiscutibile» (sent. n. 51).
Se la questione relativa al soggetto istituzionale competente in materia di rilascio di concessioni demaniali in ambito portuale non ha trovato ancora soluzione definitiva (sent. n. 235), manifestamente infondata è stata, infine, giudicata la questione di legittimità costituzionale sollevata della legge regionale per la gestione dei rifiuti nella parte in cui pone in capo ai Comuni una sanzione amministrativa pecuniaria per il mancato raggiungimento, a livello di Comune, degli obiettivi di raccolta differenziata dei rifiuti urbani (ord. n. 437).
 
 
9.8.2. Tutela dei beni culturali.

 La Corte aveva già avuto modo di affermare (85) che «la tutela dei beni culturali costituisce un ambito materiale di competenza legislativa statale, con possibilità per le Regioni di integrare la relativa normativa con misure diverse ed aggiuntive rispetto a quelle previste a livello statale» (sent. n. 401).
 
 
10. Competenza concorrente (art. 117, comma 3).
 
10.1. Principi fondamentali della materia e norme di dettaglio.
 
«La fondamentalità dei principi (..) deriva dalla volontà in tal senso del legislatore e non dalla eventuale mutazione nel tempo della volontà dei diversi legislatori» (sent. n. 50).
Vi sarebbero, inoltre, principi fondamentali aventi “natura integrativa” del principio di cui «esse si limitano o a integrare il contenuto» o «concorrere al raggiungimento (…) di un obiettivo ancor più generale» (sent. n. 169).
«Il rapporto tra norma “di principio” e norma “di dettaglio” va certo inteso nel senso che alla prima spetta prescrivere criteri ed obiettivi, essendo riservata alla seconda l'individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere detti obiettivi (86). Tuttavia, la specificità delle prescrizioni, di per sé, neppure vale ad escludere il carattere “di principio” della norma, qualora esse risultino legate al principio stesso «da un evidente rapporto di coessenzialità e di necessaria integrazione» (87) (sent. n. 430).
Non sarebbero, invece, norme di dettaglio quelle che si limitano ad attribuire una mera facoltà ai loro destinatari essendo prive di attitudine lesiva delle competenze delle Regioni (sent. n. 169): la Corte ha, quindi, riconosciuto natura di principio fondamentale alla norma che consente alle Regioni di provvedere esse stesse, in piena autonomia, a differenziare le misure necessarie al raggiungimento dell'obiettivo della riduzione della spesa, tenendo conto delle diverse esigenze dei vari settori dell'amministrazione regionale e adeguandole alle peculiarità dei vari tipi di rapporto di lavoro (sent. n. 169).
Infatti «si è in presenza di principi fondamentali e non di una normativa di dettaglio» qualora le prescrizioni siano «molto ampie e richiedono sia un'attività normativa di attuazione, precisazione e adattamento alle singole realtà territoriali, di competenza delle Regioni, sia un'attività amministrativa» (sent. n. 387).
Si è ribadito, infine, che «la qualificazione legislativa non vale ad attribuire alle norme una natura diversa da quella ad esse propria, quale risulta dalla loro oggettiva sostanza» (88): «la qualificazione che la legge statale opera del contenuto di determinate disposizioni come principi fondamentali di una materia di competenza legislativa concorrente non può essere decisiva, perché altrimenti si attribuirebbe allo Stato la potestà di comprimere senza alcun limite il potere legislativo regionale, dovendosi invece aver riguardo al contenuto delle disposizioni ed alla loro funzione nel sistema» (sent. n. 268).
 
 
10.2. Rapporti con l'Unione europea delle Regioni

In base al principio dell'unitarietà della rappresentazione della posizione italiana nei confronti dell'Unione europea, l’ente territoriale non può intrattenere, nella persona del suo Presidente, i rapporti con la Commissione europea in materia di ambiente e di patrimonio culturale (sent. n. 378).
 
 
10.3. Tutela e sicurezza del lavoro
 
E' principio più volte affermato dalla Corte che «le disposizioni dirette a regolare, favorendolo, l'incontro tra domanda ed offerta di lavoro» attengano alla tutela del lavoro (89) (sent. n. 268).
La definizione dello stato di disoccupazione o di inoccupazione, la qualifica di disoccupato, nonché le evenienze cui si ricollega la perdita della qualifica o la sospensione dei suoi effetti sono, quindi, stabilite con legge statale, mentre è stata dichiarata illegittima la disciplina regionale con cui si disciplinava la conservazione dello status di disoccupato: infatti, «la definizione dello stato di disoccupazione, con la fissazione delle evenienze che ne comportano la perdita, ha carattere polivalente e costituisce il presupposto di un numero indefinito e virtualmente indefinibile di regole attinenti alle varie ipotesi e modalità di regolamentazione dell'incontro tra domanda ed offerta di lavoro (sent. n. 268).
 
 
10.4. Professioni
 
Anche quest'anno si è avuto modo di confermare il consolidato orientamento che vede in materia di professioni riservare allo Stato «sia l'individuazione delle figure professionali, con i relativi profili ed ordinamenti didattici, sia la disciplina dei titoli necessari per l'esercizio delle professioni, sia l'istituzione di nuovi albi» (90). In particolare, si è ribadito (91) a proposito del registro generale degli amministratori di condominio, che «l'istituzione di nuovi e diversi albi (rispetto a quelli istituiti dalle leggi statali) per l'esercizio di attività professionali, avendo tali albi una funzione individuatrice delle professioni [è] preclusa in quanto tale alla competenza regionale» (sent. n. 57).
Tale principio, al di là della particolare attuazione ad opera dei singoli precetti normativi, si configura infatti quale limite di ordine generale, invalicabile dalla legge regionale» mentre rientrano «nella competenza delle Regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale» (sent. n. 300).
Se la funzione individuatrice degli albi non è alterata dalla previsione che «la mancata iscrizione al registro non preclude l'esercizio dell'attività di amministratore di condominio e di immobili» (sent. n. 57), è illegittima anche la istituzione con legge regionale di un apposito elenco ove possono iscriversi, sulla base del verificato possesso di specifici requisiti attestanti una determinata qualificazione professionale, gli operatori delle discipline bionaturali per il benessere (sent. n. 300).
Ciò non toglie che la competenza regionale in materia sia stata considerata condizione di maggior autonomia ai sensi della clausola di maggior favore nei confronti della Regione Sicilia il cui Statuto non contempla tale voce (sent. n. 443).
 
 
10.5. Ricerca scientifica e tecnologica
 
La Corte ha ribadito (92) che la previsione di un sistema regionale di controllo sull'attività di ricerca degli IRCCS produce «un'indubbia interferenza sull'attività di vigilanza che la normativa statale affida al Ministero della salute, senza alcuna ragione giustificativa», dal momento che incide sulla verifica della rispondenza di dette attività al programma nazionale di ricerca sanitaria la cui determinazione spetta senza dubbio allo Stato. Ciò, tuttavia, non esclude che la Regione possa comunque svolgere autonomamente una propria attività di monitoraggio sui «singoli progetti dei quali ogni regione abbia assunto, specificamente, la responsabilità della realizzazione» (sent. n. 188).
A proposito della nomina dei componenti del consiglio di indirizzo e verifica degli IRCCS e dei membri del collegio sindacale, in cui non è prevista alcuna designazione ministeriale, la Corte ha ribadito che «sul piano della composizione dei loro organi» il nuovo Titolo V della Costituzione «non legittima ulteriormente una presenza obbligatoria per legge di rappresentanti ministeriali in ordinari organi di gestione di enti pubblici che non appartengono più all'area degli enti statali, né consente di giustificare in alcun modo, in particolare sotto il profilo del rispetto della competenza a dettare i principi fondamentali, che il legislatore statale determini quali siano le istituzioni pubbliche che possano designare le maggioranze del consiglio di amministrazione delle fondazioni» (sent. n. 188).
La legge regionale, invece, che introduceva un limite al potere ministeriale di nomina del direttore scientifico dell'istituto oncologico veneto, escludendo che l'incarico potesse essere rinnovato per più di una volta, contrasta con il principio fondamentale in materia di «ricerca scientifica» dettato dalla disciplina statale pregiudicando l'interesse che giustifica l'attribuzione al Ministro della salute del potere in questione: «introdurre limiti alla facoltà di rinnovo significa inevitabilmente incidere direttamente sul pieno esercizio del potere di scelta del direttore scientifico» (sent. n. 178).
 
 
10.6. Tutela della salute
 
Si è ribadito, innanzitutto, che la competenza legislativa concorrente concernente la «tutela della salute» è «assai più ampia» rispetto a quella precedente dell'«assistenza ospedaliera» (93) ed esprime «l'intento di una più netta distinzione» fra la competenza regionale e quella statale (94) (sent. n. 162). In altri termini, la materia della sanità, comprensiva anche della organizzazione sanitaria di competenza residuale [v. infra par. 11.6], sotto il profilo della tutela della salute è di competenza concorrente (sent. n. 105).
«Non appare dubbio (95) che nel sistema di assistenza sanitaria (...) l'esigenza di assicurare la universalità e la completezza del sistema assistenziale nel nostro Paese si è scontrata, e si scontra ancora attualmente, con la limitatezza delle disponibilità finanziarie che annualmente è possibile destinare, nel quadro di una programmazione generale degli interventi di carattere assistenziale e sociale, al settore sanitario» (sent. n. 162). La Corte ha ribadito (96), quindi, che «l'autonomia legislativa concorrente delle Regioni nel settore della tutela della salute ed in particolare nell'ambito della gestione del servizio sanitario può incontrare limiti alla luce degli obiettivi della finanza pubblica e del contenimento della spesa» (sentt. nn. 98 e 193).
«Di qui la necessità di individuare strumenti che, pur nel rispetto di esigenze minime, di carattere primario e fondamentale, del settore sanitario, coinvolgenti il «nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana» (97) (...), operino come limite oggettivo alla pienezza della tutela sanitaria degli utenti del servizio» (sent. n. 162).
Pur in una situazione di perdurante inattuazione dell'art. 119 della Costituzione [v. infra par. 16] «la vigente legislazione di finanziamento del servizio sanitario nazionale trova origine in una serie di accordi fra Stato e Regioni, che spesso ne hanno anche successivamente sviluppato ed integrato la normativa, quantificando anche i corrispondenti livelli di spesa. La stessa offerta “minimale” di servizi sanitari non è unilateralmente imposta dallo Stato, ma viene concordata per taluni aspetti con le Regioni in sede di determinazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA)», «pertanto non si può attribuire esclusivamente allo Stato la causa del deficit del servizio sanitario (98) (sent. n. 98).
«Di conseguenza lo speciale contributo finanziario dello Stato (in deroga al precedente obbligo espressamente previsto dalla legislazione sul finanziamento del Servizio sanitario nazionale che siano le Regioni a coprire gli eventuali deficit del servizio sanitario regionale) ben può essere subordinato a particolari condizioni finalizzate a conseguire un migliore o più efficiente funzionamento del complessivo servizio sanitario, tale da riservare in ogni caso alle Regioni un adeguato spazio di esercizio delle proprie competenze nella materia della tutela della salute» (sent. n. 98).
A proposito della norma regionale che riguardava il momento della remunerazione delle prestazioni rese dalle strutture sanitarie in eccedenza rispetto ai quantitativi risultanti dai programmi preventivamente concordati, la Corte ha, infatti, ricordato che il legislatore statale ha spesso «fatto riferimento al sistema di determinazione della spesa sanitaria sulla base del dato storico rappresentato dall'esborso effettuato in anni precedenti rispetto a quello preso in considerazione. E ciò è avvenuto proprio nella sede delle annuali leggi finanziarie, vale a dire in una sede specificatamente destinata alla fissazione dei princípi in ordine al finanziamento della spesa necessaria per l'espletamento del servizio di assistenza sanitaria in favore della popolazione» (sent. n. 257).
Analogamente «la previsione di un repertorio nazionale generale dei dispositivi medici, realizzato previo accordo Stato-Regioni, idoneo a costituire una sorta di albo degli stessi, ai fini dell'approvvigionamento delle Aziende sanitarie locali e delle necessarie attività di monitoraggio e acquisizione dei dati per tenerlo aggiornato, rappresenta un dato di novità, volto a creare una sinergia tra esigenze di verifica a livello centrale dell'idoneità e adeguatezza dei dispositivi medici, a fini di tutela della salute, ed esigenze di contenimento della spesa sanitaria, allo scopo di garantire, tendenzialmente, il prodotto migliore al prezzo più conveniente» (sent. n. 162).
Sono principi fondamentali della materia, in particolare, la disciplina delle caratteristiche del lavoro dei dirigenti sanitari ed in particolare del loro rapporto di esclusività con l'amministrazione sanitaria da cui dipendono (99): la facoltà di scelta tra i due regimi di lavoro dei dirigenti sanitari (esclusivo e non esclusivo) è risultata violata dalla norma regionale che escludeva ogni forma di esercizio di attività libero-professionale extramuraria (sent. n. 50).
Si è ribadito (100), inoltre, che la legislazione regionale non può «confondere la liquidazione dei pregressi rapporti delle unità sanitarie locali con l'ordinaria gestione delle ASL. Ciò al duplice fine di sottrarre le ASL al peso delle preesistenti passività a carico delle USL e di fornire ai creditori di queste ultime la necessaria certezza sulla titolarità passiva dei rapporti e sulla individuazione dei mezzi su cui soddisfarsi» (sentt. nn. 25 e 116): è stata, pertanto, dichiarata l'illegittimità costituzionale della legge regionale calabra nella parte in cui stabiliva che eventuali sopravvivenze attive e passive delle soppresse gestioni liquidatorie delle USL sarebbero rimaste di pertinenza delle ASL competenti e a tal fine le disponibilità finanziarie dei conti correnti accesi presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato sarebbero confluite in unico conto «accantonamento spese ex gestioni liquidatorie» (sent. n. 116).
La giurisprudenza costituzionale ha confermato poi che va ricondotta alla «tutela della salute» anche la “materia” della organizzazione del servizio farmaceutico, compresa «la vendita dei farmaci e la modalità con la quale questa deve avvenire»: «la complessa regolamentazione pubblicistica» di tale attività economica «mira, infatti, ad assicurare e controllare l'accesso dei cittadini ai prodotti medicinali ed in tal senso a garantire la tutela del fondamentale diritto alla salute, restando solo marginale, sotto questo profilo, sia il carattere professionale, sia l'indubbia natura commerciale dell'attività del farmacista (101) » (sent. n. 430).
Si segnala peraltro in proposito che in via incidentale era stata sollevata questione di legittimità su leggi regionali che, nel prevedere la istituzione in deroga ai criteri ordinari di due nuove sedi farmaceutiche, avrebbero conferito a tali farmacie uno status “privilegiato” (ord. n. 414), e che era stato indicato, quale principio della materia, il divieto di concorsi, delle operazioni a premio e delle vendite sotto costo aventi ad oggetto i farmaci, per evitare che l'acquisto dei medicinali possa essere influenzato da ragioni diverse da quelle della loro indispensabilità ai fini terapeutici (sent. n. 430).
Le norme statali che, «nel disciplinare i requisiti igienico-sanitari applicabili alle strutture edilizie ed alle attrezzature dell'agriturismo, nonché le modalità di produzione, preparazione e confezionamento degli alimenti ivi consumati» demandano alle Regioni il compito di stabilire i suddetti requisiti non invadono alcuna competenza regionale; mentre laddove prevedono che nella individuazione di tali requisiti deve tenersi conto di particolari elementi, quali, tra l'altro, le caratteristiche architettoniche degli immobili e la salubrità degli alimenti, si limitano a fissare alcuni principi generali, «lasciando alle Regioni la concreta disciplina in materia» (sent. n. 339).
Principio fondamentale relativo alla tutela della persona è in particolare la deroga a favore delle strutture agrituristiche per quanto attiene al rispetto della disciplina sul superamento delle barriere architettoniche fisse (sent. n. 339).
Nella competenza ripartita indubbiamente ricade anche la tutela della salute dei tossicodipendenti e la libertà di scelta dell'assistito tra le strutture sanitarie, pubbliche e private, in grado di offrire le prestazioni richieste: «la previsione di un sistema di accreditamento non incide sui poteri amministrativi regionali (giacché spetta sempre alla Regione introdurre eventuali requisiti ulteriori e stabilire in concreto la sussistenza degli stessi), ma obbedisce soltanto all'esigenza di garantire uniformità di condizioni di ammissione delle strutture private all'erogazione di prestazioni sanitarie, in regime di concorrenzialità con quelle pubbliche» (102) (sent. n. 387).
In altri termini, «il sistema di rapporti delineato in generale per tutte le prestazioni sanitarie» è «fondato sulla fissazione in sede nazionale dei requisiti minimi delle strutture e sulla competenza regionale a stabilire gli ulteriori requisiti necessari per l'accreditamento ed a stipulare gli accordi contrattuali, senza i quali gli oneri delle prestazioni non possono essere posti a carico del Servizio sanitario nazionale» (sent. n. 387).
Non viola la competenza regionale neanche la norma statale che ha affidato all'Alleanza degli ospedali nel mondo la promozione e il coordinamento della cessione, a titolo di donazione, di apparecchiature e altri materiali dismessi da organismi sanitari in favore di ospedali di Paesi in via di sviluppo, dal momento che non obbliga in alcun modo le Regioni ad avvalersene (sent. n. 110).
La materia della tutela della salute, infine, trova applicazione anche rispetto alle specialità ai sensi dell'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, in ragione della maggiore estensione della «tutela della salute» rispetto alle corrispondenti competenze statutarie in materia sanitaria (sent. n. 240) [v. infra par. 17].
 
 
10.7. Governo del territorio
 
Principio fondamentale condiviso nelle materie della tutela della salute e del governo del territorio è quello individuato in tema di agriturismo, «essendosi limitato il legislatore nazionale ad indicare alcuni criteri a cui deve attenersi l'autorità sanitaria ai fini della valutazione di idoneità dei locali al trattamento ed alla somministrazione di alimenti all'interno delle aziende agrituristiche» (sent. n. 339).
A proposito della realizzazione di insediamenti turistici di qualità, lo Stato non può determinare le verifiche a cui la Regione deve sottoporre le proposte né fissare i termini delle stesse. Lo sfruttamento a fini turistici del demanio marittimo, infatti, - oltre che sulla materia del turismo - incide significativamente sul governo del territorio, materia in cui alla Regione non possono essere affidati compiti di mera istruttoria tecnica, attraverso un modulo organizzativo che ricorda l'avvalimento d'ufficio (sent. n. 88).
Si è ribadito poi che, se è pur vero che «la parola “urbanistica” non compare nel nuovo testo dell'art. 117», nondimeno «ciò non autorizza a ritenere che la relativa materia non sia più ricompresa nell'elenco del terzo comma», facendo parte, appunto, del governo del territorio (103).
La Corte ha quindi precisato che «l'approvazione dei progetti che consistono in variante urbanistica «è strettamente correlata a scopi di disciplina urbanistica e dunque alla pianificazione territoriale. Nella specie, inoltre, anche l'espropriazione viene in rilievo nella sua valenza strumentale all'acquisizione di suoli necessari per la realizzazione di opere pubbliche inserite in un complessivo contesto pianificatorio»: ne deriva la illegittimità costituzionale di una norma statale che, stabilendo che «l'approvazione dei progetti definitivi costituisce variante urbanistica a tutti gli effetti», «non è passibile di ulteriore svolgimento da parte del legislatore regionale» e «per il suo contenuto precettivo del tutto puntuale, non lascia alcuno spazio di intervento alle Regioni» (104) (sent. n. 401).
In particolare, il legislatore regionale, nell'introdurre un nuovo tipo di strumento urbanistico denominato PGT, ha predisposto una duplice disciplina per l'applicazione delle misure di salvaguardia che, riproducendo gli stessi termini di efficacia delle misure di salvaguardia previsti dal legislatore statale, non presenta vizi di legittimità (sent. n. 402).
 
 
 
11. Competenza residuale (art. 117, comma 4)
           
Il principio orientativo per individuare una competenza residuale è che quando «si verte in materie nelle quali non è individuabile una specifica competenza statale, deve ritenersi sussistente la competenza della Regione» (sent. n. 137). Tale principio, tuttavia, non è di sé sufficiente (v. tra molte sent. n. 94)
Anche nel 2007 non sono mancate occasioni per la Corte di approfondire i confini delle materie di competenza residuale delle regioni che la Corte ha chiamato «esclusiva» (sent. n. 88). Si ribadisce anzi che rispetto alla competenza legislativa regionale residuale «gli artt. 117 e l'art. 118 Cost. delineano forme più ampie di autonomia rispetto a quelle già attribuite dallo statuto regionale, in quanto detta competenza è soggetta ai limiti generali stabiliti dal primo comma dell'art. 117 della Costituzione, fra i quali non vi è, ad esempio, quello delle norme fondamentali di riforma economico-sociale (105) (...), né quello dell'interesse nazionale, indicati dallo statuto speciale (106) (...). Pertanto, ai sensi dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, la particolare “forma di autonomia” espressa dalle norme del titolo V della parte seconda della Costituzione in favore delle Regioni ad autonomia ordinaria si applica anche» (sent. n. 165) alle Regioni speciali, in quanto “più ampia” rispetto a quella prevista dallo statuto, con conseguente corretta evocazione degli artt. 117 e 118 Cost.
 
11.1. Commercio, industria e artigianato
 
Tra le materie residuali che sono state estese, ad opera della clausola di maggior favore, alle specialità vi sono quelle del commercio, dell'industria e dell'artigianato [v. infra par. 17] (sent. n. 165).
La materia del commercio era già stata ricondotta alla competenza residuale nel novellato art. 117 (107) (sent. n. 64), mentre nel vigore del “vecchio” Titolo V spettava al legislatore statale.
Anche al fine di salvaguardare i livelli occupazionali reali la legge regionale che ha stabilito che, per la realizzazione di una grande struttura di vendita nella forma del centro commerciale, deve esserci una riserva del trenta per cento della superficie in favore delle piccole e medie strutture, e quella del quindici per cento per chi già fosse operante sul territorio regionale da un congruo periodo, non determina una lesione ingiustificata e irragionevole del principio della libera concorrenza e/o di eguaglianza (sent. n. 64). Principio che, invece, si è ritenuto violato dalla norma che stabiliva, in ordine al rilascio di autorizzazioni all'esercizio e all'ampliamento delle attività commerciali, una priorità ai titolari di altre grandi strutture di vendita nella Regione (sent. n. 64).
Anche la modalità di esercizio dell'attività della distribuzione commerciale incide sul «commercio» e non sulla presunta materia dello «sviluppo economico» (sent. n. 430), «espressione di sintesi, meramente descrittiva, che comprende e rinvia ad una pluralità di materie» (sent. n. 165).
Si è ricordata, infine, l'evoluzione dell'ordinamento del commercio che da iniziali profili protezionistici è passato a comprendere finalità quali «la trasparenza del mercato, la concorrenza, la libertà di impresa e la libera circolazione delle merci», «l'efficienza, la modernizzazione e lo sviluppo della rete distributiva, nonché l'evoluzione tecnologica dell'offerta» - dice la Corte - «al fine di rimuovere vincoli e privilegi, realizzando una maggiore eguaglianza di opportunità per tutti gli operatori economici» (sent. n. 430).
 
 
11.2. Trasporto pubblico locale
 
Si è ribadito che la materia del trasporto pubblico locale rientra «nell'ambito delle competenze residuali della Regione» (108) (sent. n. 452).
La deroga prevista in riferimento al «termine entro il quale la Giunta regionale determina l'ammontare dei conguagli da operare sui contributi di esercizio versati in acconto a favore delle aziende di trasporto pubblico locale» è stata giudicata illegittima (sent. n. 156).
Non è stata giudicata nel merito, invece, la questione di legittimità costituzionale sollevata sulla legge della Regione Lombardia nella parte in cui stabilisce una sanzione pecuniaria in misura fissa, pari a cento volte il valore del biglietto ordinario di corsa semplice di classe minima, in caso di utilizzo dei mezzi del trasporto pubblico locale senza biglietto, in riferimento agli artt. 3, 97 e 117, secondo comma, lettera m), e terzo comma, della Costituzione (ord. n. 353).
 
 
11.3. Organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici regionali e dello stato giuridico ed economico del relativo personale
 
Si è data conferma anche della residualità della materia dell'organizzazione amministrativa della Regione «da esercitare, peraltro nel rispetto dei «princìpi fondamentali di organizzazione e funzionamento» fissati negli statuti (sent. n. 188). Un principio fondamentale in materia di coordinamento della finanza può «avere influenza sull'organizzazione degli uffici regionali e degli enti da essi dipendenti, risolvendosi detta influenza in una mera circostanza di fatto» non rilevante sul piano della legittimità costituzionale (sent. n. 169).   
La norma statale, invece, che, nell'abilitare le Regioni e le Province autonome a ricevere erogazioni liberali prevedeva che i criteri per la ripartizione dovessero essere predeterminati dalle «rispettive assemblee», individuando l’organo regionale competente, violava l'autonomia organizzativa interna delle Regioni: «non solo infatti l'art. 123 Cost. attribuisce allo statuto la determinazione dei principi fondamentali di organizzazione e funzionamento della Regione, ma rileva nel caso di specie la violazione diretta del quarto comma dell'art. 117 Cost., in quanto trattasi di normativa di dettaglio attinente all'organizzazione interna della Regione e rientrante quindi, entro la cornice generale dei principi statutari, nella competenza residuale delle stesse» (sent. n. 387).
Da un lato, non è riconducibile a tale materia il rapporto di impiego alle dipendenze di Regioni ed enti locali, che «essendo stato “privatizzato”» «costituisce un limite alla menzionata competenza residuale regionale» (sent. n. 95). Dall’altra lato, invece, vi rientra la disciplina della dirigenza regionale.
In particolare, «pur dovendo ispirarsi alla norma-quadro statale in materia di ordinamento civile, le leggi regionali che prevedano forme di automatica caducazione dei dirigenti sono da considerarsi contrarie ai principi dell'imparzialità e del buon andamento amministrativo (sent. n. 104). È stata quindi dichiarata l'illegittimità costituzionale della legge della Regione Lazio nella parte in cui si prevedeva che i direttori generali delle Asl decadessero dalla carica il novantesimo giorno successivo alla prima seduta del Consiglio regionale e l’illegittimità della legge della Regione Sicilia nella parte in cui prevedeva che gli incarichi dirigenziali non di vertice potessero essere revocati entro novanta giorni dall'insediamento del dirigente generale nella struttura cui lo stesso è preposto.


11.4. Turismo

Si consolida il passaggio della materia del turismo dalla competenza concorrente ante riforma a quella residuale delle Regioni, la cui "pienezza", tuttavia, continua a essere insidiata da chiamate in sussidiarietà.
Le norme dirette a favorire la realizzazione di insediamenti turistici di qualità di interesse nazionale, in particolare, sono attratte legittimamente dallo Stato che potrà intervenire anche con fonte regolamentare, ma solo previa intesa con le Regioni (sent. n. 88).
Proprio un’intesa aveva previsto l'inserimento del porto di Cattolica nell'ambito dei “porti turistici”. Tale caratterizzazione lo ha fatto rientrare nella materia “turismo” che è attualmente di competenza legislativa residuale delle Regioni, con attribuzioni delle funzioni amministrative agli enti territoriali minori, secondo i criteri indicati dall'art. 118 della Costituzione (sent. n. 255). Ciò non esclude (109), tuttavia, che «lo Stato possa procedere, per il futuro, con la necessaria partecipazione della Regione interessata in ossequio al principio di leale collaborazione, a riconoscere a taluni porti, e dunque anche a quello in oggetto, per la loro dimensione ed importanza, quel carattere di rilevanza economica internazionale, o di preminente interesse nazionale, che sia idoneo a giustificare la competenza legislativa ed amministrativa dello Stato su di essi e sulle connesse aree portuali, né che, anche attualmente, possa essere inibito od ostacolato in alcun modo lo svolgimento in tale porto delle competenze (relative, ad esempio, alla sicurezza della navigazione, alla protezione dei confini nazionali, all'adozione di misure per contrastare l'immigrazione clandestina, e così via) che l'attuale riparto attribuisce in via esclusiva allo Stato» (sent. n. 255).
Se nel caso di specie non spettava allo Stato attribuire alle autorità marittime statali la competenza amministrativa nella materia delle concessioni sui beni del demanio marittimo portuale del porto di Cattolica (sent. n. 255), analogamente deve ritenersi in contrasto con il riparto delle competenze tra lo Stato e le Regioni in materia portuale la rivendicazione di una generale competenza statale nella materia stessa e in particolare nella materia delle concessioni sui beni del demanio marittimo portuale nei porti turistici e commerciali di rilevanza economica regionale ed interregionale (sent. n. 344, vedi anche sent. n. 454).
La Corte, infine, ha riconosciuto una «identità di materia» nelle competenze in tema di turismo previste dagli statuti delle Regioni con autonomia speciale con quelle attribuite alla «potestà legislativa esclusiva (residuale) delle Regioni ad autonomia ordinaria» [v. infra par. 17] (sent. n. 88).


11.5 Turismo e agricoltura.
 
Essendo estraneo ad ambiti di competenza legislativa statale tutto quanto sia strettamente ed esclusivamente collegato con l'attività agrituristica, deve intendersi demandato alle Regioni il compito di dettare i criteri utili al fine di classificare un'azienda agrituristica, attività riconducibile «in via immediata» nell'ambito delle materie agricoltura e turismo, attribuite in via residuale (sent. n. 339).
È, quindi, illegittima la norma statale che pretenda di stabilire una presunzione ai fini del riconoscimento di un'attività come agrituristica qualora le attività di ricezione e di somministrazione di pasti e bevande interessino un numero non superiore a dieci ospiti e di fissare, poi, una serie di criteri che l'impresa agrituristica deve rispettare, tra i quali quello di garantire una quota significativa di prodotti propri e di poter offrire anche prodotti di Regioni limitrofe.
Analogamente la disciplina del procedimento amministrativo che consente l'avvio dell'esercizio di un agriturismo, nonché le comunicazioni delle eventuali variazioni dell'attività autorizzata, attengono unicamente ad aspetti relativi alla attività agrituristica che, in quanto tali, sono sottratti alla competenza legislativa dello Stato. Spetta, quindi, alle Regioni la possibilità di disciplinare le modalità per il rilascio del certificato di abilitazione all'esercizio dell'attività agrituristica nonché la facoltativa organizzazione a tal fine di appositi corsi di formazione, la determinazione di periodi di svolgimento della attività agrituristica e della loro eventuale sospensione.
Le Regioni non devono, quindi, attenersi ad alcun principio fondamentale in materia ma, nell'esercizio delle loro competenze residuali, devono uniformarsi unicamente ai principi, contenuti nella legge n. 96 del 2006, i quali siano espressione della potestà legislativa esclusiva o concorrente dello Stato.


11.6. Organizzazione sanitaria.


La materia della sanità, se sotto il profilo della tutela della salute è di competenza concorrente, è comprensiva anche della organizzazione sanitaria di competenza residuale (sent. n. 105) [v. supra par. 10.6]. Nell’ambito dell'organizzazione sanitaria in senso stretto «le Regioni possono adottare una disciplina anche sostitutiva di quella statale» (110). L'organizzazione del servizio sanitario inerisce, infatti, ai metodi e alle prassi di razionale e efficiente utilizzazione delle risorse umane, finanziarie e materiali destinate a rendere possibile l'erogazione del servizio (sent. n. 105). Non rientra in questo ambito materiale l'edilizia sanitaria, che attiene invece alle strutture (sent. n. 105).
 
 
11.7. Edilizia residenziale pubblica.
 
 
Il rilievo che la materia “edilizia residenziale pubblica” non sia ricompresa nel secondo e nel terzo comma dell'art. 117 Cost. non consente di «concludere puramente e semplicemente nel senso che tutti gli aspetti di tale complessa materia debbano essere ricondotti alla potestà legislativa residuale delle Regioni» (sent. n. 94).
In seguito all’evoluzione giurisprudenziale, «si è parlato di plena cognitio delle Regioni, sia amministrativa sia (per il parallelismo delle funzioni) legislativa, in materia di edilizia residenziale pubblica, cosicché potrebbe ritenersi ormai formata, nell'evoluzione dell'ordinamento, una “nuova” materia di competenza regionale (…) avente una sua consistenza indipendentemente dal riferimento all'urbanistica e ai lavori pubblici» (111), e «attinente alla prestazione e gestione del servizio della casa (disciplina delle assegnazioni degli alloggi, in locazione od in proprietà, ecc.)» (112) (sent. n. 64).
«La “nuova” materia possiede quel carattere di “trasversalità” individuato dalla giurisprudenza a proposito di altre materie non interamente classificabili all'interno di una denominazione contenuta nell'art. 117 Cost.» perché «la materia dell'edilizia residenziale pubblica si estende su tre livelli normativi»: solo il «terzo livello normativo» rientra nel quarto comma dell'art. 117 Cost. e riguarda la gestione del patrimonio immobiliare di edilizia residenziale pubblica di proprietà degli Istituti autonomi per le case popolari o degli altri enti che a questi sono stati sostituiti ad opera della legislazione regionale» (sent. n. 94).
Dettare una disciplina generale in tema di assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, invece, è di competenza dello Stato. Nella specie l’intervento normativo dello Stato nella gestione degli alloggi di proprietà degli I.A.C.P. sulle procedure amministrative e organizzative per arrivare ad una più rapida e conveniente cessione degli immobili rappresentava «una ingerenza nel terzo livello di normazione riguardante l'edilizia residenziale pubblica»: la disciplina delle procedure amministrative tendenti all'alienazione degli alloggi, indissolubilmente connessa con l'assegnazione degli stessi, infatti, «non rientra nell'ordinamento civile, ma deve essere ricondotta al potere di gestione dei propri beni e del proprio patrimonio, appartenente in via esclusiva alle Regioni ed ai loro enti strumentali» (sent. n. 94).
La facoltà delle Regioni di avvalersi della normativa statale sulla cartolarizzazione del patrimonio immobiliare, inoltre, «non può legittimamente estendersi anche ad enti strumentali della Regione assegnando loro la possibilità di esercitare la facoltà in parola anche contro, in ipotesi, il volere della Regione di riferimento. Analoghe considerazioni valgono per la facoltà riconosciuta gli enti proprietari di rivolgersi a società specializzate per il censimento, la regolarizzazione e la vendita dei singoli beni immobili, scavalcando le possibili scelte gestionali della Regione» (sent. n. 94).
Deve, infine, segnalarsi un’ulteriore dichiarazione dell'illegittimità costituzionale di quella legislazione regionale che assume come riferimento, ai fini dell'assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica e della decadenza da essa, il criterio del valore locativo calcolato secondo la legge n. 392 del 1978 dell'immobile eventualmente posseduto dall'interessato (113), legge «espressione di una impostazione di fondo ormai superata» (sent. n. 200).
 
 
 
11.8. Pesca
Dopo aver ribadito la diretta applicabilità di regolamento CE alla «pesca» (sent. n. 51), la Corte ha ribadito (114) che in materia «è riscontrabile la sussistenza di una generale promozione della funzione di razionalizzazione del sistema ittico in ragione dei principi di sviluppo sostenibile e di pesca responsabile, al fine di coniugare le attività economiche di settore con la tutela dell'ambiente e degli ecosistemi» (sent. n. 81).
Sebbene la pesca costituisca materia oggetto della potestà legislativa residuale delle Regioni, su si essa, tuttavia, «per la complessità e la polivalenza delle attività in cui essa si estrinseca, possono interferire più interessi eterogenei, tanto statali, quanto regionali». Come in tutti i casi di intreccio di competenze assumono, quindi, peculiare rilievo l'applicazione del principio di prevalenza tra le materie interessate e di quello, fondamentale, di leale collaborazione (sent. n. 81).
Se nel 2006 la Corte aveva salvato la disposizione regionale dove si stabiliva che il piano regionale per la pesca e l'acquacoltura dovesse contenere, tra l'altro, «l'articolazione territoriale dei distretti di pesca», nel 2007 ha ritenuto legittimo il contingentamento delle licenze di pesca e le misure di sostenibilità dello "sforzo di pesca" previste nella legge regionale perchè collocate nel programma regionale per la pesca e l'acquacoltura che, con quello nazionale, in osservanza degli indirizzi comuniatri e degli impegni internazionali, costituisce lo strumento cardine nella definizione delle politiche di pesca (sent. n. 81).
Ben può la pianificazione regionale affidare alla Giunta la determinazione dei criteri di organizzazione dei distretti di pesca e di acquicoltura, e - anche se spetta allo Stato individuare il numero complessivo e la tipologia delle licenza concedibili - compete alla Regione ripartire tale numero tra le Province.
 
 
 
11.9. Urbanistica
Oltre ad aver individuato un piano di intervento normativo riconducile anche all’urbanistica in materia di edilizia residenziale pubblica (sent. n. 94), la Corte ha accolto la questione sollevata dal Consiglio di Stato sulla legge regionale che prevedeva «la proroga (rectius: rinnovo) dei vincoli posti dai piani a.s.i. ai fini dell’incremento e dello sviluppo delle iniziative industriali nel territorio regionale, in relazione alla persistente necessità da parte della pubblica amministrazione di disporre della proprietà privata per realizzare un progetto di interesse generale»: l’effetto di limitare i diritti dei cittadini, attraverso la reviviscenza dei piani a.s.i., non avrebbe potuto prescindere, infatti, dalla procedimentalizzazione di una verifica, caso per caso, della persistente attualità dell’interesse allo sviluppo industriale a distanza di tempi anche considerevoli, sugli specifici contesti territoriali, in rapporto all’interesse dei proprietari (sent. n. 314).
 
 
 
12. Attuazione del diritto comunitario (art. 117, comma 5)
La sussistenza di titoli di competenza legislativa statale esclude la necessità di prevedere la clausola di cedevolezza prevista per le disposizioni statali eventualmente adottate nelle materie di competenza legislativa delle Regioni e delle Province autonome. Tali norme entrano in vigore, quando in sede locale non sia stata emanata l'apposita normativa di attuazione, alla data di scadenza del termine stabilito per il recepimento della normativa comunitaria e perdono comunque efficacia a decorrere dalla data di entrata in vigore della normativa di attuazione adottata da ciascuna Regione e Provincia autonoma nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e, nelle materie di competenza concorrente, dei principi fondamentali stabiliti dalla legislazione dello Stato (sent. n. 401).
 
 
13. Potere regolamentare (art. 117, comma 6)
 
Dato che il sesto comma dell'art. 117 Cost. prevede che lo Stato possa esercitare la potestà regolamentare soltanto nelle materie di propria legislazione esclusiva, «in ogni altra materia» la potestà regolamentare spetta alle Regioni.
«Il potere di emanare regolamenti nelle materie di cui al sesto comma dell'art. 117 Cost. discende direttamente dalla Costituzione, sicché non rileva la mancanza nella norma delegante di uno specifico criterio direttivo al riguardo» (sent. n. 401).
Fa applicazione del riportato principio costituzionale, la norma statale che stabilisce che il regolamento di attuazione ed esecuzione del Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture vincola le Regioni soltanto in presenza di ambiti materiali rientranti nella sfera di potestà legislativa esclusiva statale (sent. n. 401).
La competenza statale in rilievo nella specie era la materia trasversale della tutela della concorrenza, in proposito della quale la censura regionale sollevava la più ampia problematica relativa al rapporto tra fonti statali regolamentari e fonti regionali primarie: in presenza di materie di tipo trasversale l'evenienza del condizionamento di una fonte secondaria nei confronti di una legge regionale non si verifica in quanto le fonti secondarie statali, «dando attuazione ed esecuzione a disposizioni di legge, detteranno tutte le norme necessarie a perseguire l'obiettivo di realizzare assetti concorrenziali»; mentre le norme primarie regionali «disciplineranno i profili non afferenti, ancorché contigui, a quelli relativi alla tutela della concorrenza. Le modalità di operatività della materia in esame garantiscono, dunque, anche quando venga in rilievo l'esercizio di una potestà regolamentare, la separazione tra fonti statali e regionali di rango diverso, evitando così che un atto secondario dello Stato interferisca con la legge regionale» (sent. n. 401).
La Corte ha, inoltre, aggiunto che «non sussiste alcun obbligo di coinvolgimento delle Regioni nella fase di esercizio della potestà regolamentare dello Stato nelle materie riservate alla sua competenza legislativa esclusiva. Ciò vale anche per la tutela della concorrenza, in ragione proprio del peculiare modo di atteggiarsi della sua trasversalità [v. supra parr. 7.2 e 8.2] (sent. n. 401).
Prevedendo l'esercizio della potestà regolamentare nelle materie di competenza legislativa esclusiva statale non deve recare l'esplicita indicazione del carattere cedevole delle norme in essa contenute. Tale carattere deve, infatti, essere presente esclusivamente nel caso in cui la potestà regolamentare venga esercitata nelle materie di competenza regionale (sent. n. 401).
Sempre con riferimento al potere regolamentare si è ribadito che «la modifica del titolo V della parte seconda della Costituzione non abbia determinato l'automatica illegittimità costituzionale delle norme emanate nel vigore dei vecchi parametri costituzionali. Tali norme, infatti, adottate in conformità al preesistente quadro costituzionale, mantengono, in applicazione del principio di continuità, la loro validità fino al momento in cui “non vengano sostituite da nuove norme dettate dall'autorità dotata di competenza nel nuovo sistema” (…). Qualora poi, in prosieguo, venissero adottati regolamenti statali, ritenuti in contrasto con l'attuale riparto delle competenze regolamentari, le Regioni avrebbero a loro disposizione gli strumenti processuali per censurare tale eventuale manifestazione di potestà regolamentare» (115) (sent. n. 401).
Si segnala, infine, il caso di potestà regolamentare acquisita dallo Stato in seguito a chiamata in sussidiarietà di competenza regionale: nella specie nell'individuare i soggetti abilitati alla presentazione delle proposte dirette alla realizzazione degli insediamenti turistici la norma statale che faceva rinvio ad apposito regolamento da adottare con decreto interministeriale per la definizione dei requisiti tecnici, organizzativi e finanziari in materia di turismo è stata dichiarata illegittima costituzionalmente soltanto nella parte in cui, in violazione dell'obbligo di leale collaborazione, non comprende anche la preventiva intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni (sent. n. 88). La chiamata in sussidiarietà quindi trasforma la competenza regionale in statale consentendo allo Stato di adottare nella materia sussunta anche la potestà regolamentare (sent. n. 88, ma v. anche sent. n. 94).
 
 
14.  Potere estero (art. 117, comma 9).
 
Le funzioni concernenti «l'organizzazione e il coordinamento delle attività delle imprese che partecipano in Italia e all'estero a manifestazioni fieristiche», non risultando finalizzate alla stipulazione di accordi internazionali, consistono in un'attività avente finalità promozionale e di sostegno. In particolare è «il carattere meramente interno della funzione» ad «escludere che il suo esercizio possa incidere sulla politica estera dello Stato ovvero impegnarne la responsabilità».
Tale funzione non può neanche essere qualificata come «attività di mero rilievo internazionale», consistente in quelle attività compiute con omologhi organismi esteri «aventi per oggetto finalità di studio o di informazione (in materie tecniche) oppure la previsione di partecipazione a manifestazioni dirette ad agevolare il progresso culturale o economico in ambito locale, ovvero, infine, l'enunciazione di propositi intesi ad armonizzare unilateralmente le rispettive condotte» (116) (sent. n. 454).
 
 
15. Funzioni amministrative (art. 118)
La Corte ha ribadito «che possono realizzare violazione di attribuzioni costituzionalmente rilevanti gli atti lesivi di funzioni rimesse alle Regioni»: «per effetto della entrata in vigore del nuovo testo dell'art. 118 della Costituzione, l'attribuzione di queste funzioni costituisce realizzazione, (...), dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, dato che la loro allocazione a livello regionale ne permette l'idoneo esercizio unitario» (sent. n. 39).
Nel caso di specie oggetto di conflitto era stata l'esplicita vindicatio potestatis del Commissario per il riordino degli usi civici a decidere in ordine ai terreni demaniali soggetti ad usi civici che fossero stati illegittimamente occupati. Si tratta, invece, di competenza regionale «come dimostra l'ampia casistica di normative regionali (...) che, in vigenza del precedente testo dell'art. 118 della Costituzione (basato sul principio del parallelismo tra l'ambito di attribuzione delle competenze legislative delle Regioni e quello delle funzioni amministrative), disciplinavano la materia degli usi civici e della procedura finalizzata alla legittimazione delle occupazioni di terreni demaniali» dal «carattere amministrativo e non giurisdizionale, mentre restano assegnate al Commissario le sole attribuzioni di carattere giurisdizionale, inerenti, in caso di contestazione, all'accertamento della demanialità del suolo» (sent. n. 39)
Dato che la materia “turismo” è «attualmente di competenza legislativa residuale delle Regioni, con attribuzioni delle funzioni amministrative agli enti territoriali minori, secondo i criteri indicati dall'art. 118 della Costituzione», non spettava allo Stato attribuire alle autorità marittime statali la competenza amministrativa nella materia delle concessioni sui beni del demanio marittimo portuale del porto di Cattolica inserito nell'ambito dei “porti turistici” dal Protocollo d'intesa tra Stato e Regione (sent. n. 255). Deve, infatti, ritenersi in contrasto con il riparto delle competenze tra lo Stato e le Regioni in materia portuale la rivendicazione di una generale competenza statale con relative funzioni amministrative nella materia stessa e in particolare nella materia delle concessioni sui beni del demanio marittimo portuale nei porti turistici e commerciali di rilevanza economica regionale ed interregionale (sent. n. 344, vedi anche sent. n. 454).
«In riferimento all’art. 118 Cost., la cosiddetta sussidiarietà orizzontale non può consentire una interpretazione dell’art. 33, quarto comma, Cost. che induca a ritenere le scuole paritarie senz’altro legittimate ad eseguire sempre esami di Stato a beneficio di chiunque, senza esserne «alunno», chieda di svolgerli presso di esse» (sent. n. 220).
 
 
16.  Art. 119
 
16.1. Art. 119 e sistema tributario dello Stato (art.117, comma 2, lett. e)
 
In attesa della «doverosa» attuazione dell'art. 119 (117), si è confermato che «l'attribuzione alle Regioni, in tutto o in parte, del gettito di imposte statali, non ne altera la natura erariale» (118), sicché compete allo Stato (e non alla Regione, se non nei limiti previsti dalla legge statale) la disciplina del tributo, se del caso mediante norme di dettaglio (sent. n. 193). In particolare, «il legislatore statale, pur attribuendo alle Regioni ad autonomia ordinaria il gettito della tassa ed un limitato potere di variazione dell'importo originariamente stabilito, oltre che l'attività amministrativa concernente la riscossione, i rimborsi, il recupero della tassa stessa e l'applicazione delle sanzioni, non ha tuttavia devoluto a dette Regioni il potere di disciplinare gli altri elementi costitutivi del tributo. In questo quadro normativo, quindi, la tassa automobilistica non può definirsi come “tributo proprio della Regione”, (…) dal momento che il gettito della tassa è stato “attribuito” alle Regioni, ma la disciplina di detto tributo non rientra nella competenza legislativa residuale» (sent. n. 451).
Già in passato, in quanto lesive della competenza esclusiva dello Stato in materia di tributi erariali, sono state dichiarate costituzionalmente illegittime norme regionali che disponevano esenzioni dalla tassa automobilistica o modificavano la disciplina dei termini per l'accertamento del tributo (119); nel 2007 lo è stata la legge regionale che prevedeva per i veicoli adibiti a scuola guida casi di riduzione della tassa automobilistica non contemplati dalla norma statale (sent. n. 451).
Sono riconducibili alla categoria delle entrate tributarie statali anche i contributi obbligatori per il funzionamento dell'Autorità vigilanza sui lavori pubblici gravanti sui soggetti sottoposti alla vigilanza dell’organo, fra i quali possono esservi anche le Regioni e le Province autonome quali «stazioni appaltanti» (sent. n. 256).
«Si tratta, infatti, di una contribuzione (…) alle spese necessarie a consentire l'esercizio della sua attività istituzionale, che si caratterizza per la doverosità della prestazione, il collegamento di questa ad una pubblica spesa ed il riferimento ad un presupposto economicamente rilevante» (120): «il primo requisito è soddisfatto in quanto essa grava sull'intero mercato di riferimento, senza alcuna relazione diretta con il godimento di specifici servizi ed in difetto di un rapporto sinallagmatico tra prestazione e beneficio percepito dal singolo; il secondo, in quanto è connessa alla spesa relativa al servizio di vigilanza del settore dei lavori pubblici, obbligatorio in relazione all'istituzione dell'Autorità; il terzo, infine, in quanto l'entità di detta contribuzione è determinata con una percentuale fissa rispetto ai ricavi annui delle imprese regolate» (sent. n. 256).
Non è, infine, lesiva dell'autonomia finanziaria delle regioni la norma che «si limita a riconoscere allo Stato la possibilità di procedere con gradualità alla corresponsione di somme che sono maturate nel corso di un periodo di quattro anni. E ciò vieppiù perché si è in fase di riattivazione del sistema della compartecipazione regionale al gettito dell'IVA, (…) nell'erogazione di un importo comunque considerevole» (sent. n. 194).
 
 
16.2. Autonomia finanziaria regionale e coordinamento della finanza pubblica
 
Nella giurisprudenza della Corte è ormai «consolidato l'orientamento per il quale il legislatore statale, con una «disciplina di principio», può legittimamente «imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti». Perché detti vincoli possano considerarsi rispettosi dell'autonomia delle Regioni e degli enti locali, essi debbono riguardare l'entità del disavanzo di parte corrente oppure – ma solo «in via transitoria ed in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale» – la crescita della spesa corrente degli enti autonomi. In altri termini, la legge statale può stabilire solo un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa» (121) (sentt. nn. 169 e 82).
Da tali pronunce può desumersi che, « perché norme statali che fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti locali possano qualificarsi princípi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, è necessario che esse soddisfino i seguenti requisiti: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, intesi anche nel senso di un transitorio contenimento complessivo, sebbene non generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che non prevedano strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi» (sentt. nn. 169 e 82).
L'imposizione, da parte dello Stato, del limite alla spesa complessiva del personale (122) - «una delle più frequenti e rilevanti cause del disavanzo pubblico» - è, infatti, un principio fondamentale in materia di coordinamento della finanza pubblica che «può dar luogo, nell'organizzazione degli uffici, ad inconvenienti di mero fatto, come tali non incidenti sul piano della legittimità costituzionale» (sentt. nn. 169 e 412).
In passato, se è stato considerato legittimo il divieto di nuove assunzioni a carico degli enti locali che avessero violato il patto di stabilità interno, era stata anche dichiarata l'illegittimità di norme di leggi finanziarie che stabilivano limiti specifici alle assunzioni da parte delle Regioni. Il limite di assunzioni oggetto di giudizio nel 2007 aveva, invece, il carattere della transitorietà del contenimento complessivo (solo per il 2006) e lasciava libere le Regioni di individuare le misure necessarie (sent. n. 169).
Le norme sul cosiddetto patto di stabilità interno per gli enti territoriali, che «stabiliscono limiti alla crescita della spesa complessiva e ai pagamenti degli enti territoriali, relativamente sia alle spese correnti, sia a quelle in conto capitale, ivi comprese le spese di personale», inoltre, «devono ritenersi applicabili anche alle autonomie speciali, in considerazione dell'obbligo generale di partecipazione di tutte le Regioni, ivi comprese quelle a statuto speciale, all'azione di risanamento della finanza pubblica» (sent. n. 82).
Analogamente la Corte ha stabilito in tema di contenimento della spesa sanitaria.
La Corte ha precisato che le condizioni a cui subordinare il finanziamento integrativo per il ripiano dei disavanzi del servizio sanitario nazionale 2002-2004 devono lasciare alle Regioni «un adeguato spazio» (sent. n. 98), tenendo conto che il ripianamento del deficit ad opera dello Stato permette alle Regioni di impiegare altrimenti le loro risorse.
Di conseguenza condizionare l'acquisto, l'utilizzazione o la dispensa dei dispositivi medici, nell'ambito del Servizio sanitario nazionale, all'inserimento degli stessi nel repertorio nazionale per ragioni di contenimento della spesa (sent. n. 162), nonché prevedere misure di contenimento dei tempi di attesa delle prestazioni sanitarie (sent. n. 98) costituisce legittimo principio fondamentale della tutela della salute e del coordinamento finanziario.
Sono proprio gli obiettivi di finanza pubblica e del contenimento della spesa, condizionati anche dagli obblighi comunitari, quali vincoli alle politiche di bilancio a rappresentare limiti invalicabili della tutela della salute (sentt. nn. 162 e 193). È legittimo, quindi, obbligare le Regioni a provvedere alla copertura degli eventuali disavanzi di gestione del servizio sanitario consentendo loro di introdurre misure di compartecipazione degli utenti, variazioni dell'addizionale IRPEF o altre misure fiscali (sent. n. 193). È legittimo inoltre - a giudizio della Corte - che la norma non consenta la Presidente della Giunta il potere di intervento per assicurare il necessario equilibrio finanziario, poiché la norma è l'«esito di una persistente inerzia degli organi regionali» (sent. n. 193).
L’obiettivo del contenimento della spesa ha consentito, infine, l’introduzione della contribuzione obbligatoria per la copertura dei costi di funzionamento dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici a carico delle Regioni e delle Province quali “stazioni appaltanti” e quindi in qualità di soggetti sottoposti alla vigilanza dell’Autorità indicata (sent. n. 256).
Le conseguenti limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti sono bilanciate dal previo accordo, sancito dalla Conferenza Stato-Regioni, e dunque con un meccanismo idoneo a garantire il pieno coinvolgimento, sotto l'aspetto della leale collaborazione istituzionale, delle Regioni e delle Province autonome (sent. n. 162). L'accesso delle Regioni al finanziamento integrativo statale è, quindi, legittimamente subordinato al raggiungimento di un'intesa Stato-Regioni (sent. n. 98).
La Corte ha, inoltre, più volte affermato che, «a seguito di manovre della finanza pubblica, possono anche determinarsi riduzioni nella disponibilità finanziaria delle Regioni, purché esse non siano tali da comportare uno squilibrio incompatibile con le complessive esigenze di spesa regionale e rendano insufficienti i mezzi finanziari dei quali la Regione dispone per l'adempimento dei propri compiti» (sent. n. 256).
È, invece, legittimo per le Regioni «contenere ulteriormente la finanza locale, con effetti per così dire “peggiorativi”» indicando categorie di spese destinate ad abbattere il tetto massimo delle spese sostenibili dagli enti locali con carattere aggiuntivo e non sostitutivo rispetto all'elencazione contenuta nella legge statale (sent. n. 275): non può dirsi, infatti, che «qualsiasi interferenza regionale nella determinazione del tetto massimo di crescita della spesa pubblica sarebbe lesiva della prerogativa statale di determinare, in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, tale tetto, perché la competenza statale concorrente in materia di finanza pubblica regionale e locale, sancita dall'art. 119, secondo comma, Cost. (…), non si traduce anche in una preclusione alle Regioni di adottare norme che, nell'ambito di tali limiti di crescita, siano finalizzate ad attuare gli stessi obiettivi di contenimento» (sent. n. 275).
 
 
16.3. Autonomia finanziaria regionale e armonizzazione dei bilanci pubblici
 
La legge finanziaria 2006, avendo di mira la sana gestione finanziaria degli enti locali, ha previsto che gli organi degli enti locali di revisione economico-finanziaria debbano trasmettere alle competenti sezioni regionali di controllo della Corte dei conti una relazione sul bilancio di previsione dell'esercizio di competenza e sul rendiconto dell'esercizio medesimo. Tale controllo, con l’obiettivo «in una prospettiva non più statica (com'era il tradizionale controllo di legalità-regolarità), ma dinamica, di finalizzare il confronto tra fattispecie e parametro normativo alla adozione di effettive misure correttive», concorre, insieme al controllo sulla gestione, «alla formazione di una visione unitaria della finanza pubblica, ai fini della tutela dell'equilibrio finanziario e di osservanza del patto di stabilità interno, che la Corte dei conti può garantire (123)» (sent. n. 179); in tal modo si viene a realizzare un quadro complessivo in cui «il controllo sulla gestione finanziaria è complementare rispetto al controllo sulla gestione amministrativa, ed è utile per soddisfare l'esigenza degli equilibri di bilancio» (sent. n. 179 e ord. n. 285).
La previsione della certificazione dei bilanci per le aziende sanitarie locali, le aziende ospedaliere, gli istituti di ricovero e cura, gli istituti zooprofilattici e le aziende ospedaliere universitarie ovvero per amministrazioni pubbliche del settore sanitario ha «il chiaro scopo di garantire un maggiore controllo su questi rilevanti e numerosi centri autonomi di spesa pubblica. Si tratta, pertanto, di un intervento normativo da ascrivere alla materia concorrente dell'armonizzazione dei bilanci pubblici e del coordinamento delle finanza pubblica. (...) Ed è sicuramente un principio fondamentale della materia quello di imporre agli enti in questione la certificazione dei bilanci» (sent. n. 121).
Sono state, inoltre, dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale della norma – considerata quale principio integrativo - che introduce un periodico monitoraggio al fine di controllare l'effettivo rispetto del limite previsto (sent. n. 169) e di quella che prevede una sanzione a carico degli enti che non rispettino il limite posto alla spesa per il personale (sent. n. 412). Analogamente le «evidenti esigenze di razionalizzazione della spesa sanitaria giustificano» l'introduzione a livello centrale di un sistema informatico di rilevamento ottico e di trasmissione telematica dei dati desumibili dalle ricette mediche e dalle confezioni dei farmaci (sent. n. 240), e la disciplina delle sanzioni in caso di inadempimento rientra nella competenza esclusiva statale di coordinamento informatico (sent. n. 240).
Questa ultima norma, infatti, «non impone alcun divieto di assunzioni a Regioni ed enti locali che rispettino i limiti generali di spesa per il personale. Il divieto è previsto solamente a carico degli enti che abbiano violato quei limiti generali» (sent. n. 412).
Si è ribadito, infine, che «in linea con le esigenze di tutela dell'unità economica della Repubblica e del coordinamento della finanza pubblica, nonché del rispetto del patto di stabilità interno e del vincolo in materia di indebitamento posto dall'ultimo comma dell'art. 119 Cost., si pone il quadro di misure delineate dall'art. 7, comma 7, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), che spazia dal controllo sulla gestione in senso stretto, che ha ad oggetto l'azione amministrativa e serve ad assicurare che l'uso delle risorse avvenga nel modo più efficace, più economico e più efficiente, al fenomeno finanziario considerato nel suo complesso, che attiene alla allocazione delle risorse e, quindi, alla struttura ed alla gestione del bilancio» (sent n. 179 e ord. n. 285).
In tema di giudizio di conto della Corte dei conti sulla gestione unicamente di cassa del solo Tesoriere, la Corte ha affermato che «nulla è mutato quanto al dovere di denuncia da parte dei revisori degli enti locali, essendosi semmai reso ancor più forte il collegamento tra controlli interni e giurisdizione di responsabilità», e «che, inoltre, proprio il mutato assetto dei rapporti tra i soggetti costitutivi della Repubblica, in ragione della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione, al quale ha fatto seguito una rinnovata disciplina dei controlli, resasi necessaria per l'abrogazione dell'art. 103 Cost., quale conseguenza, tra le altre, dell'aumentato spazio di autonomia degli enti territoriali (artt. 114, 117 e 118 Cost.), consente di rafforzare la considerazione (...) sulla non irragionevolezza della disciplina sul giudizio di conto» (ord. n. 285).
Come la giurisprudenza aveva già rilevato (124), «il coordinamento finanziario può richiedere, per la sua stessa natura, anche l'esercizio di poteri di ordine amministrativo, di regolazione tecnica, di rilevazione di dati e di controllo. In questa specifica materia, non può, infatti, ritenersi preclusa alla legge statale la possibilità di prevedere e disciplinare siffatti poteri, anche in forza dell'art. 118, primo comma, della Costituzione. Infatti il carattere “finalistico” dell'azione di coordinamento non solo giustifica la posizione di principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 Cost., ma anche la collocazione a livello centrale di poteri puntuali eventualmente necessari perché la finalità di coordinamento – che di per sé eccede inevitabilmente, in parte, le possibilità di intervento dei livelli territoriali sub-statali – possa essere concretamente realizzata. La giurisprudenza (...) ha, peraltro, chiarito che i poteri in questione devono essere configurati in modo consono all'esistenza di sfere di autonomia, costituzionalmente garantite, rispetto alle quali l'azione di coordinamento non può mai trasformarsi in attività di direzione o in un indebito condizionamento dell'autonomia regionale» (sent. n. 121).
È doveroso, quindi, «adottare le misure tecniche necessarie per assicurare che la certificazione dei bilanci delle istituzioni del settore sanitario avvenga con criteri e modalità idonee a garantirne l'effettività e l'efficacia, nonché al fine di consentire la comparabilità dei dati a livello nazionale; l'esercizio di tale potere è subordinato all'intesa in sede di Conferenza unificata (sent. n. 121).
           
 
16.4. Vincoli di destinazione
 
La legge statale può prescrivere criteri e obiettivi (ad esempio, il contenimento della spesa pubblica), non imporre alle Regioni minutamente gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi. Ciò si risolverebbe «in un'indebita invasione dell'area riservata dall'art. 119 Cost. alle autonomie regionali» (sent. n. 157). Si lede l'autonomia finanziaria garantita alle Regioni qualora si imponga, quindi, «una puntuale modalità di utilizzo di risorse proprie delle Regioni, così da risolversi in una specifica prescrizione di destinazione di dette risorse» (sent. n. 169, nonché sent. n. 95). La predeterminazione di vincoli di destinazione da parte dello Stato, al di fuori degli indirizzi e dei limiti resi necessari dal coordinamento della finanza pubblica, è pertanto illegittima (sentt. nn. 169, 157, 105, 95, 387).
«In altri termini, l'introduzione da parte dello Stato di un limite complessivo alla crescita della spesa corrente degli enti autonomi (…) non può comportare che lo Stato entri nelle scelte finanziarie, del tutto discrezionali, delle Regioni, ad esempio stabilendo vincoli che hanno ad oggetto singole voci di spesa. Nei principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica (…) non possono rientrare, cioè, limiti al potere discrezionale delle Regioni di decidere come utilizzare le somme a loro disposizione, per quali tipologie di spese e di investimenti. Questo potere di scelta, in ultima analisi, include anche quello di decidere se avvalersi in tutto o in parte delle disponibilità concesse e di ritoccare al ribasso i limiti massimi, non spendendo, o spendendo meno, rispetto al tetto stabilito da parte dello Stato» (sent. n. 275).
La norma statale, nel fissare la riduzione delle indennità corrisposte ai titolari degli organi politici regionali, quindi, «pone un precetto specifico e puntuale, comprimendo l'autonomia finanziaria regionale ed eccedendo dall'ambito dei poteri statali in materia di coordinamento della finanza pubblica» (sent. n. 157). Così come la destinazione dei fondi per le finalità di potenziamento e ammodernamento tecnologico delle strutture sanitarie impone «un vincolo di destinazione sull'intero ammontare delle risorse residue, che non lascia alle Regioni alcun margine di autonomia sia per determinare le proprie scelte sia per negoziare eventuali intese con lo Stato. Tale costrizione è indebita ingerenza nell'autonomia finanziaria regionale, in quanto sottrae del tutto alle Regioni la possibilità di utilizzare, secondo propri orientamenti, le risorse disponibili in materia di edilizia sanitaria, rientrante nella potestà legislativa concorrente» (sent. n. 105).
Poneva puntuali vincoli di spesa anche il limite all'acquisto di immobili individuato nell'importo non superiore alla spesa media sostenuta per l'acquisto di immobili nel triennio precedente (sent. n. 89); illegittimi sono risultati pure i limiti al rimborso spese di viaggio in aereo a chi si reca in missione all’estero posti dal legislatore statale al personale delle Regioni e degli enti locali (sent. n. 95); analogamente illegittime sono state giudicate la riduzione delle indennità corrisposte ai titolari di organi politici regionali nella misura del 10% (sent. n. 157). nonché la concorrenza delle economie di spesa di personale del 2005 al finanziamento degli oneri contrattuali del biennio 2004-2005 (sent. n. 169).
Un preciso vincolo di destinazione era rappresentato, infine, dalla previsione che le Regioni e le Province autonome dovessero ripartire le erogazioni liberali disposte direttamente in loro favore agli enti per la tossicodipendenza indicati da fonte statale (sent. n. 387).
Non viola, invece, la autonomia finanziaria delle Regioni la mera facoltà loro riconosciuta di avvalersi dell’intermediazione dell’Alleanza degli ospedali italiani nel mondo per cedere a titolo di donazione alle strutture sanitarie del pesi in via di sviluppo o in transizione apparecchiature e materiali dimessi da aziende sanitarie locali, aziende ospedaliere o organizzazioni similari (sent. n. 110).
La Corte ha, infine, ribadito che deve considerarsi inidonea a ledere le competenze regionali la mera enunciazione del proposito di destinare risorse per finalità indicate in modo ampio e generico; lesive possono invece eventualmente valutarsi le norme nelle quali «quel proposito si concretizza, sia per entità delle risorse sia per modalità di intervento sia, ancora, per le materie direttamente e indirettamente implicate da tali interventi» (sentt. nn. 141 e 453).
 
 
16.5. Fondi statali
 
Non sono, invece, qualificabili come entrate tributarie erariali le quote del 5 per mille dell'IRPEF che, a scelta del contribuente, sono attribuite ai soggetti che svolgono attività etico-sociali indicati dal contribuente medesimo. Ne consegue che queste norme non istituiscono un fondo patrimoniale statale vincolato al finanziamento di una determinata spesa pubblica nelle materie di competenza legislativa regionale (sent. n. 202).
La legittimità della destinazione di fondi a finalità specifiche, operata da leggi dello Stato, infatti, «è condizionata dalla finalizzazione dei finanziamenti ad opere o servizi di competenza statale» mentre «la finalizzazione a scopi rientranti in materia di competenza residuale delle Regioni o anche di competenza concorrente comporta la illegittimità costituzionale delle norme statali» (125) (sent. n. 105).
La Corte ha, pertanto, confermato «il proprio giudizio di illegittimità costituzionale delle norme, inserite in varie leggi finanziarie, che prevedono l'istituzione di fondi speciali in materie riservate alla competenza residuale o concorrente delle Regioni» (sent. n. 137), sebbene la giurisprudenza non sia del tutto univoca (E. Buglione).
Mediante «disposizioni che non trovano la loro fonte legittimatrice in alcuna delle materie di competenza esclusiva dello Stato» sono illegittime anche le «prestazioni direttamente fruibili da privati, mediante una garanzia di ultima istanza, per consentire ai meno abbienti – e specificamente ai giovani che non sono in possesso di un contratto di lavoro a tempo indeterminato – di coprire, al di là delle usuali garanzie ipotecarie, l'intero prezzo dell'immobile da acquistare: non è ammissibile, secondo la Corte, la costituzione di un fondo speciale che - in violazione tuttavia della competenza legislativa regionale - «preveda supporto a determinate categorie di persone» (sent. n. 137).
La lesione dell’autonomia regionale deriva dal vincolo in sé che comprime in modo illegittimo le scelte programmatorie delle Regioni. Non è necessario che il vincolo determini una sottrazione delle risorse delle Regioni.
Per tali ragioni è stato colpito da declaratoria di illegittimità il fondo che impegnava per finalità specifiche le risorse residuanti dal completamento del programma di investimenti di edilizia sanitaria, materia riconducile a due ambiti di competenza concorrente (governo del territorio e tutela della salute) nonostante non venissero intaccate le quote regionali (sent. n. 105).
La Regione non avrebbe interesse, tuttavia, ad impugnare la norma che ha semplicemente istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri tre fondi, rispettivamente destinati alle politiche della famiglia, alle politiche giovanili e alle politiche relative ai diritti e alle pari opportunità (sent. n. 453).
Legittima, invece, - in quanto rientrante nella materia di competenza esclusiva statale della previdenza sociale - è stata l’istituzione di un fondo per la concessione di un assegno per ogni figlio nato o adottato nel 2005 o per ogni figlio secondo o ulteriore nato nel 2006 per determinati nuclei familiari (sent. n. 141).
 
 
17. Competenze e autonomie speciali
 
Nel 2007 molte sono state le questioni relative alle specialità, spesso in riferimento a parametri statutari, sovente in relazione alla clausola di cui all'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
 
 
17.1. Competenze previste dagli statuti
 
«Bisogna ricordare che allorché si tratta di Regioni a statuto speciale o di Province autonome, gli statuti, nell'attribuire competenze legislative a detti enti distinguono le materie oggetto di una potestà legislativa primaria, in osservanza soltanto i principi generali dell'ordinamento e le norme fondamentali di riforma economica e sociale dalle materie oggetto di una potestà legislativa concorrente. Tutto ciò che gli statuti non riservano all'ente di autonomia resta attribuito alla competenza dello Stato, salvo quanto stabilito dall'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001» (sent n. 378).
Il settore della gestione dei rifiuti, in Sardegna, alla luce dello statuto, inerisce materia di «igiene e sanità pubblica», in cui la Regione ha potestà legislativa concorrente (sent. n. 12), mentre per la Provincia autonoma di Trento - non previsto dallo statuto e non riconducibile alla nozione statutaria di “urbanistica e piani regolatori”, ovvero di “igiene e sanità” - ricade nella competenza esclusiva in materia di “ambiente ed ecosistema” dello Stato (sent. n. 378).
La competenza esclusiva statale, comunque, «non esclude che lo Stato possa anche attribuire alla Provincia funzioni al riguardo» (sent. n. 378): non solo, infatti, già il decreto legislativo 1998, n. 112 ma anche le norme statali di attuazione di direttive comunitarie attribuivano alle Regioni le competenze concernenti la gestione dei rifiuti.
La norma della Provincia autonoma, tuttavia, che crea un regime alternativo a quello predisposto dallo Stato in attuazione di direttive comunitarie, in ordine all'uso delle discariche esistenti, alla costruzione di nuovi impianti, al trasporto dei rifiuti, all'utilizzo di altre forme di smaltimento ed alla modifica dei bacini di conferimento, prevedendo il potere della Giunta provinciale di disporre o autorizzare il potenziamento o l'ampliamento delle discariche esistenti, è stata giudicata illegittima. Mentre non presenta profili di lesività la previsione che, nell'ipotesi del rinvenimento di una discarica o di uno stoccaggio di rifiuti abusivi, si possa procedere alla bonifica del sito «nel senso che per le operazioni di messa in sicurezza si procede soltanto alla “movimentazione” in sito dei rifiuti, e non alla loro “raccolta e trasporto”» (sent. n. 378).
La Corte già più volte è intervenuta sui limiti imposti dalla legislazione regionale allo smaltimento dei rifiuti di provenienza extraregionale, pervenendo sostanzialmente ad una duplice soluzione in relazione alla tipologia dei rifiuti in questione: il divieto di smaltimento dei rifiuti di produzione extraregionale è applicabile ai rifiuti urbani non pericolosi; mentre si è, d'altro canto, affermato che il principio dell'autosufficienza locale non può valere per quelli speciali e quelli pericolosi (126) per i quali non è possibile preventivare in modo attendibile la dimensione quantitativa e qualitativa del materiale da smaltire e che talvolta necessitano lo smaltimento in strutture specializzate (127).
«In altri termini il requisito della “specializzazione” precede quello della “prossimità”, posto che solo dopo aver determinato la tipologia dei rifiuti può aversi un quadro della dislocazione degli impianti che trattano del loro smaltimento nel territorio nazionale» (sent. n. 12).
La disposizione sarda, quindi, che operava una «indiscriminata assimilazione» di ogni genere di rifiuto di origine extraregionale, vietandone globalmente l'ingresso nel territorio regionale, anche se finalizzato allo smaltimento di rifiuti speciali pericolosi, è quindi viziata di incostituzionalità (sent. n. 12).
La competenza primaria della Provincia autonoma nella materia di «parchi e protezione della flora e della fauna» con consente, inoltre, alle norme provinciali di assegnare il potere di “designazione” dei siti come zone speciali di conservazione unicamente dalla Giunta provinciale: per rispettare i principi generali dell'ordinamento, nonché con le norme fondamentali di riforma economica e sociale invocati dallo Stato deve, invece, essere effettuata dallo Stato d'intesa con la Provincia autonoma (sent. n. 378).
Tra le norme fondamentali di riforma economico-sociale non possono certo annoverarsi limiti puntuali a specifiche voci (sent. n. 273): ad esempio criteri e limiti fissati dallo Stato per assunzioni a tempo indeterminato nelle camere di commercio, quando l'ordinamento delle camere di commercio con le relative funzioni amministrative siano di competenza legislativa esclusiva della Regione (sent. n. 273).
Il principio di autonomia degli enti locali, deducibile dall'art. 5 della Costituzione, limita le stesse potestà legislative esclusive della Regione, in quanto “principio generale dell'ordinamento giuridico della Repubblica”, in forza del quale tutte le Regioni debbono riconoscere e promuovere le autonomie locali (128). Peraltro, tutto ciò deve avvenire in riferimento anche alle specifiche attribuzioni costituzionali o statutarie delle diverse Regioni (sent. n. 286).
Si è ribadito (129) in particolare che «va esclusa, anzitutto, l'applicabilità, nelle regioni a statuto speciale, come in quelle ordinarie, dei principi della legge statale (legge n. 145 del 2002) concernenti il regime dei dirigenti nelle amministrazioni dello Stato (sent. n. 104).
Per quanto concerne la sanità, il settore concernente i tempi di attesa con riguardo all'attività di erogazione delle prestazioni di assistenza sanitaria rientra nella materia dell'assistenza sanitaria per statuto di competenza delle Province autonome con specifici poteri di verifica su tutta l'attività svolta dalle Aziende Unità sanitarie locali e dalle Aziende ospedaliere ed in genere dalle strutture di sanità pubblica (sent. n. 80), relativamente alla Regione Siciliana si è ribadito che la potestà legislativa regionale in materia di «sanità pubblica» si esercita «entro i limiti dei principi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato», coincidendo l'ampiezza di tale competenza con quella delle Regioni a statuto ordinario in materia di «tutela della salute», con la conseguenza che i «principi generali» della materia ai quali deve attenersi la legislazione siciliana corrispondono ai «principi fondamentali» che, nella stessa materia, vincolano le Regioni a statuto ordinario (130) (sent. n. 430).
La Corte in specifico riferimento alla potestà legislativa esclusiva della Regione siciliana in tema di ineleggibilità ed incompatibilità dei consiglieri degli enti locali prevista dallo statuto ha in molte occasioni affermato che discipline legislative differenziate possono essere ammissibili «in presenza di situazioni concernenti categorie di soggetti, le quali siano esclusive per la Sicilia ovvero si presentino diverse, messe a raffronto con quelle proprie delle stesse categorie di soggetti nel restante territorio nazionale ed in ogni caso per motivi adeguati e ragionevoli, e finalizzati alla tutela di un interesse generale»: la previsione siciliana, definendo alcune ipotesi di incompatibilità per lite pendente, «appare ragionevolmente giustificata dalle peculiari condizioni dell'amministrazione locale siciliana, caratterizzata da fenomeni particolarmente gravi di pressione della criminalità organizzata sulle amministrazioni pubbliche e dal numero e gravità di episodi di illegalità amministrativa riscontrati in tale ambito. Ciò spiega e giustifica la volontà del legislatore siciliano di predisporre strumenti idonei a garantire maggiormente il regolare ed imparziale funzionamento degli organi consiliari» (sent. n. 288).
Le competenze riconosciute alla Provincia autonoma di Bolzano in materia di ordinamento degli uffici provinciali e del personale ad essi addetto non sono lese dalle norme statali che investono direttamente la responsabilità amministrativa, la cui disciplina è materia di competenza dello Stato e non rientra tra le attribuzioni provinciali. Tale potestà «se può esplicarsi nel senso di disciplinare il rapporto di impiego o di servizio dei propri dipendenti, prevedendo obblighi la cui violazione comporti responsabilità amministrativa, non può tuttavia incidere sul regime di quest'ultima» (131) (sent. n. 184).
Lo Statuto della Regione Trentino-Alto Adige e la relativa disciplina di attuazione svolgono esclusivamente la funzione di regolare «l'assetto organizzativo» del Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento e della sezione autonoma di Bolzano, facendone oggetto di «una competenza riservata e separata» della Provincia (132) (sent. n. 201). La previsione provinciale sul potere spettante alla Provincia autonoma di designazione di due dei suoi giudici del Tribunale regionale amministrativo con sede in Trento peraltro non è idonea ad incidere sui criteri generali di individuazione della competenza territoriale degli organi decentrati di giustizia amministrativa (sent. n. 239).
La legge regionale che prevede che la scuola, le università e gli enti di formazione espletino le attività del sistema dei servizi in materia di lavoro «previo accreditamento rilasciato dalla Giunta regionale», da un lato costituiscono esercizio del potere della Regione di emanare norme attuative e integrative in materia di istruzione e in materia di lavoro come previsto dallo statuto, dall'altro non contrastano con quanto stabilito dall'art. 33, sesto comma, della Costituzione (sent. n. 21).
Va aggiunto che la specialità dello statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia comporta l'ingresso in campo di un titolo di legittimazione più ampio, posto che gli interventi legislativi in materia di «urbanistica» (133) non soggiacciono all'osservanza dei princìpi fondamentali sanciti dalla legge statale, ma ai soli limiti statutari (sent. n. 303): la Regione è libera, per il profilo dell’inquinamento elettromagnetico, «di strutturare in forme differenti la fase di pianificazione concernente l'insediamento urbanistico e territoriale degli impianti. Ne segue che l'articolazione prescelta dalla legge regionale che, in luogo del regolamento comunale previsto dalla legge statale, ruota intorno al Piano urbanistico esecutivo del Comune, non eccede, sotto tale angolatura, la sfera di competenza legislativa regionale in materia urbanistica. Parimenti, la legge regionale può svolgere un'attività pianificatoria che avvolga l'intero territorio, in luogo di limitarsi alla predisposizione di specifici divieti di localizzazione. Il solo limite, insuperabile, che l'intervento di pianificazione regionale può incontrare, purché rispettoso dei valori soglia selezionati dalla normativa dello Stato, va infatti rinvenuto nel divieto di «impedire od ostacolare ingiustificatamente l'insediamento» degli impianti» (134) (sent. n. 303).
La Corte aveva già interpretato l'art. 11 della legge n. 131 del 2003 nel senso che esso conferma che «per tutte le competenze legislative aventi fondamento nello statuto speciale, il principio del parallelismo fra funzioni legislative e funzioni amministrative conserva la sua validità» (135) (sent. n. 328).
 
 
17.2. Clausola di salvaguardia e clausola di maggior favore
 
Si è nuovamente escluso che la lesione delle competenze speciali sia impedita da clausola di salvaguardia troppo generica come quella contenuta nella finanziaria 2006 che prevedeva che «Le disposizioni della presente legge sono applicabili nelle Regioni a statuto speciale e nelle Province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti»: «in tale disposizione non risulta neppure precisato quali norme della legge finanziaria in questione dovrebbero considerarsi non applicabili alle ricorrenti per incompatibilità con gli statuti speciali e quali, invece, dovrebbero ritenersi applicabili» (136) (sent. n. 95), rispetto a norme del medesimo testo di legge che risultano formulate in termini inequivoci come riferite a tutte le Regioni (sent. n. 162), nel contesto di una legge recante numerose disposizioni, concernenti materie ed oggetti diversi (sent. n. 165). L'eccessiva vaghezza della loro formulazione, aggravata dalla complessa struttura delle annuali leggi finanziarie, per il loro riferirsi ad una serie eterogenea di disposizioni comprese nello stesso atto legislativo (sent. n. 240), frutto della prassi invalsa negli ultimi anni, non può valere ad escludere le autonomie speciali dall'applicazione delle norme contenute nelle suddette leggi (sentt. nn. 105, 179,443).
Analogamente si è sostenuto in relazione alla “clausola di salvaguardia” contenuta cosiddetto nel Decreto Bersani (sent. n. 430).
A prescindere dalla sua genericità, «la citata clausola di salvaguardia delle autonomie speciali presuppone l'applicabilità delle norme statutarie» (sent. n. 94).
Al contrario vanta un «contenuto puntuale in ordine al relativo ambito applicativo» (137), la clausola di salvaguardia secondo la quale «Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano adeguano la propria legislazione secondo le disposizioni contenute negli statuti e nelle relative norme di attuazione». A tale fine, pertanto, opera il meccanismo prefigurato dall'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, secondo il quale l'emanazione di nuove norme statali non determina una diretta abrogazione di leggi provinciali preesistenti, ma solo un obbligo di adeguamento entro i sei mesi successivi alla pubblicazione dell'atto legislativo statale nella Gazzetta Ufficiale o nel più ampio termine da esso stabilito. Il mancato adempimento di siffatto obbligo può essere fatto valere dal Governo con ricorso contro le leggi provinciali non adeguate (138) (sent. n. 401).
Molti sono stati i casi in cui, invece, rilevava l’applicazione della clausola di maggior favore prevista dall'art. 10 della l. cost. n. 3 del 2001.
La Corte ha affremato che, in virtù di tale clausola, la competenza legislativa concorrente dell’ordinamento della comunicazione si estende, non solo alla Provincia di Bolzano e alla Regione Valle d'Aosta (139), ma anche alla Regione Friuli-Venezia Giulia. (sent. n. 303). Ne discende l'assoggettamento della legislazione friulana in materia alla normativa trasversale posta in essere dallo Stato a titolo di tutela della concorrenza (140): a giudizio della Corte non costituiscono un ostacolo effettivo alla funzionalità della rete di comunicazione elettronica né il previsto procedimento per l'autorizzazione all'installazione né il divieto di localizzare gli impianti nelle zone interessate dai biotopi (sent. n. 303).
In ragione dell'art. 10 della l. cost. n. 3 del 2001, inoltre, la «riconduzione delle attribuzioni in materia sanitaria delle Province all'art. 117, terzo comma, Cost. implica l'assoggettamento delle stesse ai limiti, espressi od impliciti, contenuti nel nuovo Titolo V, e, in particolare, all'esercizio della competenza esclusiva dello Stato in ordine alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale», alla quale va ricondotta la previsione del divieto di sospensione delle attività di prenotazione delle prestazioni sanitarie (sent. n. 162). D’altra parte, la competenza di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. in tema di tutela della salute, è più favorevole rispetto a quanto previsto anche nello statuto della Regione Friuli Venezia Giulia in materia di «igiene e sanità, assistenza sanitaria ed ospedaliera» (sentt. nn. 98 e 110): vertendosi in materia di legislazione concorrente, lo Stato è legittimato a porre principi fondamentali, come tali vincolanti per le Regioni e per le Province autonome, tra i quali, per il perseguimento delle finalità di razionalizzazione degli acquisti e di contenimento della spesa sanitaria, condizionare l'acquisto, l'utilizzazione o la dispensa dei dispositivi medici, nell'ambito del Servizio sanitario, all'inserimento degli stessi nel repertorio nazionale (sent. n. 162, ma v. anche sent. n. 50).
In tutti gli altri casi la clausola non ha trovato applicazione, almeno non nella direzione proposta dalla parte regionale.
La Provincia di Bolzano, in particolare, impugnando la previsione istitutiva del Fondo per un assegno in favore dei nuovi nati, ha sostenuto senza soddisfazione che l'art. 10 citato avrebbe escluso la riconducibilità dell'intervento alla materia della «previdenza sociale» di competenza statale in favore della materia della «assistenza e beneficenza pubblica», che lo statuto riserva alla sua potestà legislativa esclusiva (sent. n. 141).
Più ampie forme di autonomia non potrebbero derivare alla Regione Sicialia dall'applicazione dell'art. 10 in materia di ambiente sebbene le competenze previste dallo statuto riguardino importanti settori che afferiscono all'ambiente, ma non lo esauriscono (sent. n. 380).
A fronte di una competenza esclusiva dello Stato si può, infatti, escludere che «possano derivare dall’assimilazione alle Regioni a statuto ordinario poteri più ampi di quelli ad essa attribuiti dallo statuto»: in materia di beni culturali (141), di competenza statutaria della Provincia autonoma di Bolzano, si sono quindi dichiarate illegittime la norma sulla prelazione c.d. artistica, che in riferimento al leasing finanziario limitava la prelazione al primo trasferimento, perché la tutela del bene culturale «va garantita mantenendo l’amministrazione provinciale in grado di intervenire, con l’eventuale esercizio della prelazione, anche nel momento conclusivo della vicenda contrattuale, nonché la norma che non estendeva l’obbligo di denuncia del trasferimento dei beni culturali (142) alla disciplina della prelazione nel rapporto c.d. di lease-back (sent. n. 221).
Ancora una volta, infine, è stata dichiarata inammissibile la questione relativa all'applicabilità del quarto comma dell'art. 123 Cost. anche ad una Regione ad autonomia speciale unicamente in forza dell'art. 10 della l. cost. n. 3 del 2001 (143), il quale farebbe riferimento alle condizioni di maggior autonomia anche degli enti locali: la Corte aveva già affermato che «gli spazi di maggiore autonomia introdotti dalla riforma del titolo V della Costituzione debbono essere apprezzati con esclusivo riguardo alle competenze regionali, e non già a quelle relative agli enti locali» (sent. n. 328).
 
 
17.3. Ordinamento degli enti locali.
 
Si è avuto modo di affermare nuovamente che, con specifico riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., la competenza primaria attribuita alle Regioni a statuto differenziato in materia di ordinamento degli enti locali «non è intaccata dalla riforma del titolo V, parte seconda della Costituzione, ma sopravvive, quanto meno, nello stesso ambito e negli stessi limiti definiti dagli statuti» (144) (sent. n. 328). Esiste peraltro potestà legislativa primaria in materia di «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni» (sent. n. 373).
La legge cost. n. 2 del 1993 ha innovato in modo rilevante il dettato dello statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia, trasformando la competenza legislativa regionale in tema di ordinamento degli enti locali da concorrente in esclusiva. Inoltre, in sede di attuazione è stato chiarito che, nell'ambito di tale competenza, la Regione «fissa i principi dell'ordinamento locale e ne determina le funzioni» (145).
La Corte, nella sua giurisprudenza relativa a leggi regionali in tema di funzioni degli enti locali, ha ammesso che il legislatore regionale possa (nei differenziati ambiti lasciati dalle disposizioni costituzionali o statutarie), in presenza di esigenze di carattere generale, articolare diversamente i poteri di amministrazione locale, con il limite della permanenza di almeno una sfera adeguata di funzioni (146). Ciò non toglie che l'art. 5 Cost. certamente impegni la Repubblica «e anche quindi le Regioni ad autonomia speciale, a riconoscere e a promuovere le autonomie»: si è ritenuto che «le leggi regionali possono bensì regolare» l'autonomia degli enti locali, «ma non mai comprimere fino a negarla» e che sia doveroso il «coinvolgimento degli enti locali infraregionali alle determinazioni regionali di ordinamento», in considerazione «dell'originaria posizione di autonomia ad essi riconosciuta» (sent. n. 328).
In conclusione, quindi, la legislazione della Regione Friuli-Venezia Giulia in tema di enti locali non è vincolata all'osservanza delle singole disposizioni del testo unico degli enti locali, ma deve rispettare il principio autonomistico o – meglio ancora – tramite le sue autonome determinazioni deve «favorire la piena realizzazione dell'autonomia degli enti locali: il mancato riferimento, da parte del legislatore regionale, alle funzioni proprie delle Province non implica il disconoscimento dell'esistenza di un nucleo di funzioni intimamente connesso al riconoscimento del principio di autonomia degli enti locali.
La Corte ha aggiunto, tuttavia, che non esistono «competenze storicamente consolidate dei vari enti locali (addirittura immodificabili da parte sia del legislatore statale che di quello regionale)»: sebbene non abbia escluso la utilità del criterio storico «per la ricostruzione del concetto di autonomia provinciale e comunale», la Corte ne ha tuttavia circoscritto l'utilizzabilità «a quel nucleo fondamentale delle libertà locali che emerge da una lunga tradizione e dallo svolgimento che esso ebbe durante il regime democratico» (147) (sent. n. 328).
Deve pertanto concludersi che, ai fini della verifica del rispetto dell'autonomia degli enti locali, ciò che rileva non è la disciplina di un particolare settore o di uno specifico istituto, ma la complessiva configurazione da parte della legislazione regionale del ruolo della Provincia in termini effettivamente adeguati alla sua natura di ente locale necessario di secondo livello: valutazione, che può essere operata solo avendo riguardo al complesso della legislazione sull'amministrazione locale per accertare la sua coerenza con il principio di autonomia (sent. n. 286).
Si è ribadito che le norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica costituiscono limiti alla potestà legislativa della Regione Sicilia (148) anche nella competenza esclusiva nella materia di «regime degli enti locali»(sent. n. 189).
I princípi fissati dalla legge statale in materia di rapporto di impiego alle dipendenze di Regioni ed enti locali (sent. n. 95) costituiscono tipici limiti di diritto privato, che si impongono anche alle Regioni a statuto speciale (149) (sent. n. 189): in particolare, il principio della regolazione mediante contratti collettivi del trattamento economico dei dipendenti pubblici il cui rapporto di lavoro è stato “privatizzato” (150) ha reso illegittime le disposizioni legislative regionali che determinavano il trattamento economico dei dipendenti degli enti locali addetti agli uffici stampa delle amministrazioni di appartenenza (sent. n. 189).
 
 
17.4. Autonomia finanziaria
 
Le norme sul cosiddetto patto di stabilità interno per gli enti territoriali, contenute negli ultimi anni in tutte le leggi finanziarie dello Stato - che stabiliscono limiti alla crescita della spesa complessiva e ai pagamenti degli enti territoriali, relativamente sia alle spese correnti, sia a quelle in conto capitale, ivi comprese le spese di personale - proponendosi l'obiettivo di coinvolgere anche Regioni ed enti locali nelle misure dirette ad assicurare il rispetto dei vincoli anche di origine comunitaria in ordine al disavanzo pubblico, devono ritenersi applicabili anche alle autonomie speciali, in considerazione dell'obbligo generale di partecipazione di tutte le Regioni all'azione di risanamento della finanza pubblica (151) (sent. n. 82).
Un tale obbligo, però, deve essere contemperato e coordinato con la speciale autonomia in materia finanziaria di cui godono le predette Regioni, in forza dei loro statuti. In tale prospettiva, la Corte ha ribadito (152) che la previsione normativa del metodo dell'accordo tra le Regioni a statuto speciale e il Ministero dell'economia e delle finanze, per la determinazione delle spese correnti e in conto capitale, nonché dei relativi pagamenti, deve considerarsi un'espressione della descritta autonomia finanziaria e del contemperamento di tale principio con quello del rispetto dei limiti alla spesa imposti dal cosiddetto patto di stabilità (sent. n. 162).
Nel prevedere espressamente che le disposizioni stabilite per le regioni a statuto ordinario si applichino alle specialità solo nel caso di mancato raggiungimento di accordi, si è inteso indicare «chiaramente che l'obiettivo di contenimento delle spese per il personale deve essere realizzato dagli enti ad autonomia speciale in via prioritaria mediante lo strumento degli accordi da esso stesso previsto. Per esplicita previsione è, quindi, applicabile in via sussidiaria e transitoria solo qualora gli accordi medesimi non siano raggiunti» (sent. n. 169, nonché n. 162).
Gli statuti, infatti, non attribuiscono agli enti ad autonomia speciale competenze legislative che possano essere lese da princípi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica attinenti alla spesa (sent. n. 169).
Tra questi ultimi «non possono rientrare, tuttavia, limiti al potere discrezionale delle Regioni di decidere come utilizzare le somme a loro disposizione, per quali tipologie di spese e di investimenti. Questo potere di scelta, in ultima analisi, include anche quello di decidere se avvalersi in tutto o in parte delle disponibilità concesse e di ritoccare al ribasso i limiti massimi, non spendendo, o spendendo meno, rispetto al tetto stabilito da parte dello Stato. Tale principio, per quanto attiene alle Regioni a statuto speciale, esplica la sua efficacia anche nella materia della finanza locale, la quale, per la Regione sarda, è devoluta alla competenza legislativa esclusiva della Regione in forza del relativo statuto speciale. In ossequio a siffatta attribuzione di competenza, deve ritenersi consentito alle Regioni di porre limiti ulteriori alla spesa pubblica degli enti locali, anche attraverso la previsione di un tetto massimo più basso di quello nazionale» (sent. n. 275).
La possibilità data dall'art. 7 della legge n. 131 del 2003 alle Regioni a statuto speciale di «adottare particolari discipline nel rispetto delle suddette finalità», non pone in nessun caso in discussione la finalità di uno strumento, quale il controllo sulla gestione delle risorse collettive, affidato alla Corte dei conti, in veste di organo terzo a servizio della Repubblica, che garantisca il rispetto dell'equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva: esigenze di tutela dell'unità economica della Repubblica e di coordinamento della finanza pubblica, in funzione collaborativa, giustificano la tempestiva segnalazione agli Enti interessati di situazioni inerenti agli equilibri di bilancio, per l'adozione delle necessarie misure correttive (sent. n. 179, cfr. sent. n. 88).
Inoltre il legislatore regionale, non può sottrarsi a quella fondamentale esigenza di chiarezza e solidità del bilancio cui l'art. 81 Cost. si ispira (153): ne discende che il consistente incremento dei corrispettivi delle prestazioni lavorative eccedenti la durata ordinaria con un rilevante aumento di spesa anche per la Provincia, è illegittimo perché non indicava né l'ammontare della nuova e maggiore spesa né i mezzi per farvi fronte (sent. n. 359).
Per la Regione Sicilia, infine, agli oneri derivanti alle Camere di commercio si provvede mediante somme da prelevarsi dagli stanziamenti di spesa del bilancio statale, secondo una apposita disciplina (sent. n. 159).
 
 
18.  Art. 132.
 
La Corte è, infine, intervenuta sulla «migrazione» (A. D'Atena) dei comuni di regioni ordinarie nei territori regionali speciali. Le Regioni speciali, nel tentativo di arginare tale fenomeno, hanno sostenuto che il procedimento di aggregazione previsto dall'art. 132 non possa applicarsi anche a loro senza ricorrere alla revisione dello statuto speciale che identifica i territori delle regioni. Dato che la costituzionalizzazione del rispettivo territorio, tuttavia, non può considerarsi prerogativa delle autonomie speciali ma discende da una lettura territoriale dell'art. 131 (A. D'Atena, M. Malo) non può ammettersi deroga per le specialità alle garanzie procedimentali previste dall'art. 132.
La Corte, infatti, ritiene che l'art. 132, primo e secondo comma, Cost. si riferisca «pacificamente a tutte le Regioni (quelle indicate nel precedente art. 131), mediante l'individuazione di procedure che coinvolgono tutti i diversi organi e soggetti indicati dalle norme costituzionali come attori necessari nei differenziati procedimenti ivi configurati (enti locali e relative popolazioni, Consigli regionali, Parlamento). Ciò, mentre evidentemente nessuna procedura normativa interna ad un singolo ordinamento regionale potrebbe produrre effetti su due diversi enti regionali» (sent. n. 66).
Il secondo comma dell'art. 132 della Costituzione «mira a garantire un ruolo significativo alle popolazioni locali, nel complesso rapporto fra interessi locali, regionali e nazionali nei processi di distacco-aggregazione di un comune da una Regione ad un'altra, con conseguente ridisegno del territorio delle Regioni. La stessa parziale modificazione di questo comma ad opera della legge cost. n. 3 del 2001 ha ancora meglio messo in evidenza, nella fase iniziale del procedimento configurato, il ruolo fondamentale della popolazione del singolo ente locale interessato dal distacco-aggregazione» e del suo diritto di autodeterminazione (154).
Proprio la recente modifica costituzionale ha ulteriormente chiarito - ad avviso della Corte - che «il soggetto interessato in questa fase del tutto “prodromica” del procedimento è la sola collettività locale appartenente al Comune interessato dalla proposta di distacco-aggregazione (sent. n. 66).
 
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NOTE
 
(1) Percentuali fornite dalla Relazione sulla giurisprudenza costituzionale del 2007 pubblicata in occasione dell’incontro del Presidente Franco Bile, Palazzo della Consulta, 14 febbraio 2008.
(2) V. sentenza n. 351 del 2003; ordinanze nn. 410, 358 e 349 del 2006.
(3) Cfr. fra le altre, sentenze nn. 370 e 216 del 2006, 345 del 2004, 53 del 2000, 266 del 2001 e 251 del 1995; ex plurimis ordd. nn. 41 del 2007, 477 del 2005 e 428 del 2005, 244 del 2004, 160 del 2004 e n. 168 del 2003, 578 del 2000 e 524 del 2000.
(4) V. sentenze n. 42 del 2004, n. 135 del 1997, n. 295 del 1993, n. 355 del 1992, n. 548 del 1989 e ordinanza n. 266 del 1995.
(5) V. sentenza n. 383 del 2005.
(6) V. sentenza n. 82 del 1958.
(7) V. sentenza n. 204 del 2005.
(8) V. fra le molte, le sentenze n. 74 del 2001, n. 20 del 2000, n. 382 del 1999.
(9) V. sentenza n. 533 del 2002.
(10) V. sentenze nn. 216 del 2006 e 50 del 2005.
(11) V. sentenze nn. 139 e 364 del 2006, 450 del 2005 e 384 del 1999.
(12) V. sentenza n. 412 del 2004.
(13) V. sentenza n. 246 del 2006.
(14) V. sentenze nn. 312 e 89 del 2006, 386 del 2005, 154 del 2004 e 76 del 2001.
(15) V. sentenza n. 190 del 2006.
(16) V. sentenza n. 411 del 2006, ordinanza n. 251 del 2002.
(17) V. sentenze nn. 106 del 2005 e 338 del 2003.
(18) V. sentenze nn. 326, 276 e 29 del 2003, 27 del 1999, 357 del 1996, 432 del 1994, 175 e 99 del 1991, 285 del 1990, 70 del 1985, 183 e 98 del 1981, 289 del 1974.
(19) V. sentenza n. 27 del 2006.
(20) V. sentenza n. 771 del 1988.
(21) V. sentenza n. 89 del 2006.
(22) V. sentenze nn. 187 del 1984 e 111 del 1976.
(23) V. sentenze nn. 449 del 2006, 424 del 2004 e 533 del 2002.
(24) V. tra le molte, sentenze nn. 383 del 2005; 287 e 272 del 2004.
(25) V. sentenze nn. 214 del 2006 e 378 del 2005.
(26) V. ordinanza n. 137 del 2004.
(27) V sentenze n. 78 del 2007, n. 58 del 1995, n. 257 del 1994, n. 138 del 1993; ordinanza n. 501 del 2000).
(28) V. sentenze nn. 116 del 2006; 383 del 2005; 287, 196, e 4 del 2004; 274 del 2003.
(29) V. ex plurimis, le sentenze n. 72 del 2005, n. 137 del 1998, n. 211 del 1994, n. 153 del 1986.
(30) V. sentenze nn. 440 del 2006 e 207 del 2001.
(31) V. sentenze nn. 417 del 2005 e 196 del 2004.
(32) V. sentenze nn. 202 del 2005, 65 del 2005, 8 del 2004 e 213 del 2003.
(33) V., ad esempio, le sentenze nn. 305 del 1994 e 115 del 1993.
(34) V. sentenze nn. 246 del 2006, 286 del 2004 e 337 del 2001.
(35) V. ex plurimis, sentenze n. 29 del 2006 e n. 176 del 2004.
(36) V. ex plurimis, sentenze n. 139 e 233 del 2006; n. 450 del 2005.
(37) V. sentenza n. 3 del 2006.
(38) V. sentenze nn. 51, 139, 246 del 2006, nn. 336 462 del 2005.
(39) V. fra le molte, sentenze n. 253 del 2006, n. 59 del 2006, n. 300 del 2005.
(40) V. sentenza n. 417 del 2005.
(41) V. sentenze nn. 379, 378 e 372 del 2004.
(42) V. sentenza n. 274 del 2003.
(43) V. sentenze nn. 221 del 2006, 276, 163 e 76 del 2001, e 382 del 1998.
(44) V. sentenze nn. 306 del 2002 e 81 del 1975.
(45) V. sentenze nn. 196 del 2003, 2 e 372 del 2004.
(46) V. sentenze nn. 383, 285, 270 e 242 del 2005, 6 del 2004, 303 del 2003.
(47) V., ex plurimis, nn. 133 del 2006, 31 del 2005 e 196 del 2004, 437 del 2001.
(48) V. sentenze nn. 50 e 219 del 2005.
(49) V. soprattutto sentenza n. 214 del 2006; ma anche sentenze nn. 425, 406, 213 del 2006.
(50) V. sentenza n. 231 del 2005.
(51) V. sentenza n. 31 del 2006.
(52) V. sentenze nn. 423 e 6 del 2004.
(53) V. sentenze nn. 27 del 2004, 308 del 2003 e 116 del 1994.
(54) V. sentenza n. 179 del 2001.
(55) V. sentenze nn. 450 e 411 del 2006.
(56) V. sentenze nn. 319 e 30 del 2005.
(57) V. sentenze nn. 285 del 2005; 449 del 2006.
(58) V., ex plurimis, sentenze nn. 133 del 2006 e 231 del 2005.
(59) V. sentenza n. 486 del 1995.
(60) V. sentenza n. 451 del 2006.
(61) V., ex plurimis, sentenze nn. 31 del 2005 e 423 del 2004.
(62) V. sentenza n. 1 del 2004.
(63) V. sentenza n. 162 del 2005.
(64) V. sentenza n. 228 del 2004.
(65) V. sentenza n. 80 del 2006.
(66) V. sentenza n. 303 del 2003.
(67) V. sentenza n. 465 del 1991.
(68) V. sentenza nn 14 del 2004; v., altresì, sentenze nn. 29 del 2006; 336 del 2005 e 272 del 2004.
(69) V. sentenze nn. 80 del 2006; 242 e 175 del 2005.
(70) V. sentenza n. 345 del 2004.
(71) V. sentenza n. 482 del 1995.
(72) V. sentenza n. 29 del 2006.
(73) V. sentenza n. 80 del 2006.
(74) V. sentenze n. 175 del 2005.
(75) V. sentenza n. 30 del 2006.
(76) V. sentenze nn. 234 e 50 del 2005; 282 del 2004;. 352 del 2001; 82 del 1998.
(77) V. sentenze nn. 383 e 285 del 2005.
(78) V. sentenza n. 120 del 2005.
(79) V. sentenze nn. 384 del 2005 e 12 del 2004.
(80) V. sentenze nn. 88 del 2003 e 134 del 2006.
(81) V. sentenze nn. 32 del 2006, 336, 232, 214, 62 del 2005, 259 del 2004, 507 e 54 del 2000, 382 del 1999, 273 del 1998.
(82) V. sentenze nn. 151 del 1986 e 210 del 1987.
(83) V., tra molte, le sentenze nn. 183 del 2006, 407 del 2002.
(84) V. sentenza n. 65 del 2005.
(85) V. sentenza n. 232 del 2005.
(86) V. sentenza n. 181 del 2006.
(87) V. sentenza n. 355 del 1994.
(88) V. ex plurimis, sentenze nn. 447 del 2006 e 482 del 1995.
(89) V. ex plurimis, sentenze nn. 50, 219 e 384 del 2005.
(90) V. sentenze nn. 449, 424, 423 e 153 del 2006.
(91) V. sentenza n. 355 del 2005.
(92) V. sentenze nn. 422 del 2006, 270 del 2005.
(93) V. sentenze nn. 134 del 2006 e 270 del 2005.
(94) V. sentenza n. 282 del 2002.
(95) V. sentenza n. 111 del 2005.
(96) V. sentenza n. 36 del 2005.
(97) V. sentenza n. 509 del 2000.
(98) V. sentenze n. 134 del 2006 e n. 88 del 2003.
(99) V. sentenza n. 181 del 2006.
(100) V. sentenze nn. 89 del 2000 e 437 del 2005.
(101) V. sentenze nn. 448 e 87 del 2006; 275 e 27 del 2003.
(102) V. sentenza n. 416 del 1995.
(103) V. sentenza n. 303 del 2003; e nn. 383 e 336 del 2005.
(104) V. sentenza n. 206 del 2001.
(105) V. sentenza n. 274 del 2003.
(106) V. sentenza. n. 328 del 2006.
(107) V. sentenza n. 1 del 2004 ed ordinanza n. 99 e sentenze nn. 165 e n. 199 del 2006.
(108) V. sentenze nn. 80 e n. 29 del 2006, 222 del 2005.
(109) V. sentenze nn. 90, 89 e 233 del 2006, 380 del 2004 e 274 del 2003.
(110) V. sentenze nn. 328 e 181 del 2006, 270 del 2005, 510 del 2002.
(111) V. sentenza n. 27 del 1996.
(112) V. sentenza n. 221 del 1975.
(113) V. sentenze nn. 334 e 135 del 2004; 299 e 176 del 2000.
(114) V. sentenza n. 213 del 2006.
(115) V. sentenza 376 del 2002.
(116) V. sentenze nn. 472 del 1992, 42 del 1989 e 179 del 1987.
(117) V. sentenza n. 37 del 2004.
(118) V. sentenza n. 381 del 2004, nonché sentenze nn. 155 del 2006; 431 e 241 del 2004 e 296 del 2003.
(119) V. sentenze nn. 296, 297 e 311 del 2003.
(120) V. sentenza n. 73 del 2005.
(121) V. sentenze nn. 88 del 2006, 449 e 417 del 2005, 36 del 2004.
(122) V. sentenza n. 4 del 2004.
(123) V. sentenza n. 267 del 2006.
(124) V. sentenza n. 376 del 2003.
(125) V. sentenza n. 231 del 2005; nonché nn. 118 del 2006, 424 del 2004, 370 del 2003.
(126) V. sentenze nn. 281 del 2000 e 335 del 2001.
(127) V. sentenze nn. 505 del 2002.
(128) V. sentenza n. 83 del 1997.
(129) V. sentenza n. 233 del 2006.
(130) V. sentenza n. 448 del 2006.
(131) V. sentenza n. 345 del 2004.
(132) V. sentenza n. 137 del 1998.
(133) V. sentenza n. 450 del 2006.
(134) V. sentenza n. 307 del 2003.
(135) V. sentenza n. 236 del 2004.
(136) V., ex multis, sentenze nn. 134, 118, 88 del 2006.
(137) V. sentenze nn. 384, 287 e 263 del 2005.
(138) V. sentenza numero 302 del 2003.
(139) V. sentenze nn. 312 del 2003 e n. 450 del 2006.
(140) V. sentenze nn. 134 del 2006 e n. 383 del 2005.
(141) V. sentenze n. 51 del 2006 e n. 340 del 1996.
(142) V. sentenza n. 405 del 2006.
(143) V. sentenza n. 175 del 2006, nonché 370 del 2006.
(144) V. sentenza n. 48 del 2003.
(145) V. sentenza n. 415 del 1994, nonché nella successiva sentenza n. 229 del 2001 n. 230 del 2001, n. 48 del 2003.
(146) V. sentenze n. 378 del 2000, n. 286 del 1997, n. 83 del 1997.
(147) V. sentenza n. 52 del 1969.
(148) V. sentenze n. 308 del 2006, n. 4 del 2000 e n. 153 del 1995.
(149) V. sentenze n. 234 e n. 106 del 2005; n. 282 del 2004.
(150) V. sentenza n. 314 del 2003.
(151) V. sentenza n. 416 del 1995.
(152) V. sentenza n. 353 del 2004.
(153) V. sentenze n. 54 del 1958; n. 30 del 1959; n. 31 del 1961; n. 96 del 1966; n. 47 del 1967; n. 135 del 1968; n. 123 del 1975.
(154) V. sentenza n. 334 del 2004.

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