AVVERTENZA: Contributo destinato al Liber Amicorum  dedicato a Federico Spantigati, in corso di pubblicazione per i tipi dell’editore Franco Angeli, nella collana del Dipartimento di studi politici della Facoltà di scienze politiche dell’Università La Sapienza di Roma.
(testo aggiornato - maggio 2009)
 
DALLA DISCIPLINA DEL PAESAGGIO ALLA VALUTAZIONE DELLE “CONDIZIONI DI ESISTENZA”
Carlo Desideri
 
 
Sommario:
 
 
1.   Premessa
 
Se nell’ultimo decennio del secolo scorso i parchi naturali hanno avuto il ruolo di protagonisti delle politiche di protezione, nel primo decennio – in corso - di questo secolo è il paesaggio ad assumere questo ruolo.
Ciò è vero sia guardando al dibattito in tema - nel quale il paesaggio a volte sembra persino diventare la chiave per ripensare la questione ambientale – che alle novità della normativa.
La Convenzione europea sul paesaggio – sottoscritta nel 2000 e ratificata dall’Italia nel 2006 (1) - non solo dà una definizione di paesaggio, ma introduce anche gli “obiettivi di qualità paesaggistica” ed indica i tipi di “azioni” che andranno applicate a tutto il territorio degli stati parti della Convenzione. Il Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004 (2), noto anche come Codice Urbani, definisce a sua volta il paesaggio, disciplinandone la tutela e la valorizzazione.
Il paesaggio, insomma, è diventato – almeno così può sembrare - un concetto importante e giuridicamente rilevante nel nostro sistema di diritto.
Ma è proprio così? E’ proprio vero che il concetto di paesaggio sia definito chiaramente ed operi efficacemente nel diritto italiano?
I dubbi che ispirano tali domande appaiono legittimi, soprattutto considerando le notizie e i dati che informano dell’ampio e per ora inarrestabile degrado del paesaggio italiano.
Nelle pagine che seguono si cercherà, però, di mettere in evidenza altri elementi, risultanti dalla giurisprudenza e dalle normative, che mostrano come il nostro diritto, non solo non era pronto agli inizi di questo secolo a recepire un concetto di paesaggio giuridicamente rilevante ed operativo, ma ancora adesso continui a non esserlo. I dubbi allora riguardano le stesse impostazioni – anche le più recenti - seguite, i concetti formulati e gli strumenti. Si vedrà, tra l’altro, che lo stesso concetto di paesaggio, in sé già piuttosto astratto e controverso, stenta a trovare una sua precisa fisionomia sul piano giuridico e, quando e dove appare, viene utilizzato per scopi diversi e spesso in maniera indifferenziata con altri concetti.
Ricercando un punto di partenza per trattare un tema che, dunque, non è esagerato dire scivoloso, si è qui scelto di iniziare da alcuni casi di giurisprudenza, ritenendo che questa – esprimendo delle valutazioni giuridiche in ordine a situazioni controverse specifiche - possa offrire il materiale più adatto per cercare di capire quale spazio abbia realmente il paesaggio nel sistema giuridico italiano e quali problemi porti con sé la sua considerazione.
Di seguito, nel terzo paragrafo e nelle sue articolazioni, l’attenzione verrà portata – sia pure in modo sintetico – sugli sviluppi della normativa fino al Codice dei beni culturali e del paesaggio, per saggiarne – almeno per alcuni profili - l’adeguatezza rispetto ai problemi esistenti e ai contenuti della Convenzione europea sul paesaggio.
Da ultimo, alcune brevi considerazioni saranno volte a formulare, più che una conclusione sul tema, degli interrogativi e delle ipotesi.
 
  
2.   La giurisprudenza
 
2.1.  Che cosa è il paesaggio e che valore ha.
 
Del paesaggio è stato affermato, da tempo, il valore “primario”. Ma che si intende per “primario”? E – prima ancora – in che senso si parla di paesaggio? E’ veramente il paesaggio l’oggetto al quale viene attribuito quel valore?
Anche solo limitando l’osservazione alle sentenze ricordate in questo scritto – nel presente sottoparagrafo e nei seguenti - si può constatare che i concetti evocati sono i più vari: “bellezze naturali”, “beni ambientali”, ma anche “ bellezze paesaggistiche”, “valori estetico-culturali”, “valori paesaggistici-ambientali” e, qualche volta, “paesaggio” e “ambiente”.
I concetti di “bellezze”, di “beni” e di “valori” sono sempre riferiti ad oggetti specifici e delimitati (come particolari immobili, siti o panorami), individuati secondo i criteri e i procedimenti a suo tempo dettati dalla legge del 1939 (3), oppure alle – molto più vaste – “zone di particolare interesse ambientale” individuate direttamente dalla legge Galasso del 1985 (4). In entrambi i casi riferiti, comunque, a cose e parti di territorio individuate, delimitate e assoggettate a vincolo paesaggistico.
Accade anche, tuttavia, che con riferimento a tali oggetti si parli in genere di “paesaggio” o anche di “ambiente”, volendo evocare con tali termini l’ambito materiale al quale essi appartengono o le finalità perseguite con la loro tutela.
Non sempre è così, però. A volte, infatti, quando si parla di “paesaggio” o di “ambiente” si fa riferimento a parti di territorio non individuate né vincolate (in base alla legge del 1939 o alla legge Galasso), oppure a realtà onnicomprensive, riguardanti cioè tutto il territorio, a seconda dei casi regionale o nazionale.
Da un certo numero di pronunce, peraltro, appare emergere la tendenza ad identificare nel diritto italiano una linea evolutiva da forme di tutela parziali relative a specifici oggetti (cose, siti, ecc.) alla tutela del paesaggio (riferito a zone vaste e, infine, tutto il territorio). Ed insieme, dal riconoscimento – come degno di tutela – solo di ciò che è considerato esteticamente rilevante al riconoscimento di tutto ciò che è ambientalmente rilevante. Già l’art. 9 della Costituzione – come puntualizza il Consiglio di Stato in una nota decisione (5) - va oltre la protezione delle “bellezze naturali” introdotta dalla legge del 1939 e prevede una tutela estesa al paesaggio e all’ambiente, come confermato anche dalla giurisprudenza della Corte costituzionale riportata nella stessa decisione (6). Finché il paesaggio, nemmeno menzionato tra le materie considerate dal riformato Titolo V della Costituzione, diviene - in particolare nella giurisprudenza costituzionale sulla riforma costituzionale (7) - un contenuto dell’ambiente.
Seguendo dunque tale linea evolutiva, dovrebbe essere ormai acquisita l’estensione dell’ambito della tutela anche verso ciò che non è delimitato ed oggetto di “vincolo paesaggistico” in senso stretto. Inoltre, potrebbe ritenersi che, quando un interesse paesaggistico-ambientale emerge e viene riconosciuto in qualsiasi punto o zona del territorio, tale interesse abbia sempre carattere “primario” rispetto agli altri interessi.
Tuttavia, come si vedrà tra poco, non sembrano essere esattamente questi i punti di arrivo della tendenza evolutiva sopra accennata.
La Corte costituzionale afferma e spiega - non molto per la verità - il valore “primario” precisando che “primario” è un interesse che non può essere assoggettato ad un altro interesse e che “è proprio tale primarietà – la quale impedisce di subordinare l’interesse estetico-culturale a qualsiasi altro, ivi compresi quelli economici, nelle valutazioni concernenti i reciproci rapporti – a costituire la scelta di fondo della normativa e a manifestarne la rilevanza economico-sociale” (8). Dalle decisioni in merito, ricordate in questo scritto (che comunque, va sottolineato, trattano casi relativi ad oggetti specifici: cose o zone individuate, delimitate e vincolate), si ricava, poi, che dalla qualificazione del valore “estetico-culturale” o “paesaggistico” come “primario” derivano in sostanza due conseguenze: che è configurabile una disciplina autonoma rispetto all’urbanistica e che non si richiede una ponderazione di interessi nel momento in cui si impone il vincolo (9).
Ma è sempre così? Certamente non è così quando le considerazioni della Corte costituzionale riguardano un interesse paesaggistico riferito in generale alle sorti di tutto il territorio e non a quelle di oggetti specifici delimitati.
In una sentenza del 2004 la Corte costituzionale, decidendo sui ricorsi di alcune regioni volti a contestare il condono edilizio del 2003 in quanto avrebbe dato luogo ad un illegittimo bilanciamento fra valori costituzionali primari ed altri interessi pubblici, ribadisce (10) che gli interessi relativi alla tutela del paesaggio come “forma del territorio e dell’ambiente” vanno qualificati come “valori costituzionali primari”; tuttavia afferma che “questa ‘primarietà’ non legittima un primato assoluto in una ipotetica scala gerarchica di valori costituzionali, ma origina la necessità che essi debbano sempre essere presi in considerazione nei concreti bilanciamenti operati dal legislatore ordinario e dalle pubbliche amministrazioni” (11). Aggiunge, inoltre, che la tutela “sarà tanto più effettiva quanto più risulti garantito che tutti i soggetti istituzionali cui la Costituzione affida poteri legislativi e amministrativi siano chiamati a contribuire al bilanciamento dei diversi valori in gioco”, donde il “doveroso riconoscimento alla legislazione regionale di un ruolo specificativo… delle norme in tema di condono”, al fine di “rafforzare la più attenta e specifica considerazione” degli interessi della tutela dell’ambiente e del paesaggio.
Benché la Corte consideri questa decisione in continuità con la precedente giurisprudenza, tale continuità non appare scontata. Si può osservare in effetti che la primarietà, in precedenza intesa – rispetto a specifici oggetti (una cosa, un sito, un luogo, un’area) - in senso sostanziale, assume qui – rispetto al paesaggio in genere - un carattere solo procedurale, privo peraltro di particolari qualificazioni, finendo per consistere nella necessità che l’interesse paesaggistico venga preso in considerazione, al pari di altri interessi costituzionalmente riconosciuti (cioè quasi tutti). Vista in senso sostanziale la primarietà accennava alla valutazione e alla qualificazione del valore paesaggistico derivanti da elementi e fattori oggettivamente rilevati; a qualcosa, dunque, che poneva l’oggetto proprio al di fuori della contesa tra gli altri interessi: se così può dirsi, una sorta di situazione di alterità.
Vista in senso procedurale la primarietà rinvia, invece, ad una considerazione e tutela dell’interesse paesaggistico che diviene alla fine il risultato - eventuale comunque - della dinamica del pluralismo istituzionale, che la Corte nella sua sentenza si preoccupa di ripristinare (riconoscendo un ruolo alle regioni e censurando per la mancata previsione di tale ruolo la normativa nazionale sul condono).
Di recente, infine, la Corte costituzionale è tornata sul “valore primario” con riferimento in generale al paesaggio e all’ambiente, in funzione però dell’affermazione della competenza statale esclusiva in ordine alla loro tutela, precisandone l’estensione rispetto alle competenze regionali (12).
 
 
2.2.   Paesaggio e urbanistica: integrazione e separazione.
 
Il fatto che esistano competenze specifiche statali, poi delegate alle regioni, in materia di “bellezze naturali” – afferma il Consiglio di Stato in una pronuncia del 2000 – “non esclude che la tutela di queste ultime sia un obiettivo primario anche per la pianificazione urbanistica”, con la quale potranno essere introdotti “vincoli diretti alla protezione del paesaggio, ancorché non siano stati adottati i provvedimenti di cui alla l. 29 giugno 1939, n.1497 ed anche in maniera più restrittiva di quelli previsti da questi ultimi, se emanati” (13). Si spiega così anche il potere della regione, previsto dalla normativa (14), di introdurre, in sede di approvazione dei piani regolatori generali adottati dai comuni, modifiche ai piani stessi, al fine – tra l’altro - di tutelare il paesaggio e l’ambiente (15).
Di “naturale forza espansiva degli strumenti di pianificazione urbanistica” parla poi la giurisprudenza costituzionale guardando favorevolmente l’“invenzione”, ad opera della legge Galasso, della figura del “piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali” (16).
Il risultato di tale giurisprudenza è quello di far considerare quella della legge Galasso una tutela “minimale” (17) comunque necessaria, ben estensibile però dalle regioni, in forza delle loro competenze urbanistiche-territoriali, a tutto il territorio regionale ma, potrebbe anche dirsi, al paesaggio o meglio all’ambiente regionale.
La giurisprudenza utilizza in effetti in modo piuttosto promiscuo vari concetti – bellezze naturali, paesaggio, ambiente, cultura – per indicare comunque un ulteriore ambito di tutela che può essere oggetto della disciplina urbanistica (18).
Di recente, è fondamentalmente seguendo tale impostazione – di integrazione cioè tra urbanistica e paesaggio-ambiente – che la Corte costituzionale con la sentenza n.51 del 2006 ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal governo in ordine alla legge n. 8/2004 della Sardegna, nota come legge “salva costa” (19), ed è tornata ad insistere sul “rilevante significato sistematico” della norma - introdotta dalla legge Galasso e confermata anche, sottolinea la Corte, dall’art.135 del Codice Urbani - che contempla la possibilità di adottare piani urbanistici-territoriali con valenza paesistica e ambientale (20).
Da un lato, dunque, la giurisprudenza promuove e asseconda la tendenza all’estensione dell’ “urbanistica” in direzione dell’ambiente (considerato comprensivo del paesaggio e della cultura), dall’altro continua tuttavia a guardare all’urbanistica e al paesaggio-ambiente come a materie separate, addirittura “ontologicamente” distinte (21).
Vi sono in tal senso varie sentenze della Corte costituzionale risalenti agli anni settanta e ottanta dello scorso secolo. In particolare, la Corte in una sentenza del 1982 dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale di alcune leggi regionali relative alla tutela della costa, insistendo proprio sulla distinzione tra urbanistica - alla quale, secondo la Corte, appartengono in realtà le norme regionali in discussione – e paesaggio (22). La stessa zona – afferma la Corte - può essere oggetto di provvedimenti normativi relativi al paesaggio e di altri relativi all’urbanistica. In questo caso, l’appartenenza dell’atto normativo all’una o all’altra materia dipende “dal contenuto e dallo scopo dell’atto”, giacché è la “protezione di un valore estetico-culturale relativo alle bellezze paesistiche” lo scopo nel quale “si sostanzia la nozione di paesaggio”. Prima di giungere a tale conclusione la Corte aveva altresì puntualizzato che “la tutela del paesaggio è compito della Repubblica e quindi in prima linea dello Stato” ed aveva affermato - in ordine alla previsione dell’art.80 del D.P.R. n.616 che completa la definizione dell’urbanistica con la “protezione dell’ambiente” - che la formula nella specie non è usata in senso lato (23), ma “restrittivo e riferita soltanto al profilo urbanistico”.
Decidendo poi, in una nota sentenza del 1986 qui già ricordata, della questione di legittimità costituzionale della legge Galasso, promossa da alcune regioni ricorrenti in particolare in nome della loro competenza urbanistica-territoriale, afferma la “configurabilità di un’autonoma disciplina dell’intero territorio dall’angolo visuale e per l’attuazione del valore estetico culturale come valore primario”, rispetto alla quale l’urbanistica resta distinta, “limitata dal rispetto” di quel valore e “piegata a realizzarlo” (24).
In realtà, sembra che l’affermazione della competenza statale in ordine appunto alla tutela del paesaggio (o meglio delle “bellezze naturali” o “paesistiche”) ed il ridimensionamento delle tendenze interpretative favorevoli all’ampliamento della competenza regionale sull’urbanistica siano gli elementi che soprattutto hanno pesato sui ragionamenti e sulle decisioni della Corte.
Su questa scia, almeno a prima vista, si mette anche la recente sentenza della Corte costituzionale n.182 del 2006 relativa alla legge della Toscana del 2005 sul governo del territorio. La Corte accoglie il ricorso sollevato in ordine alla legittimità di alcuni articoli della legge dal governo, che lamenta l’invasione della competenza statale esclusiva in materia di “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” e il mancato rispetto dei principi contenuti nel Codice Urbani (25), sulla base di due argomenti: da un lato, la specificità dell’interesse paesaggistico, dotato di “valore primario” rispetto a quello urbanistico; dall’altro, il “modello rigidamente gerarchico” della disciplina paesaggistica che si esprime, oltre che con le competenze statali in materia, anche con quelle regionali nei confronti degli enti locali, allo scopo di assicurare “l’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica”. A ben vedere, però, la Corte appare qui soprattutto preoccupata di ripristinare il rispetto di un principio – quello cioè della “unitarietà” della pianificazione – considerato interno alla logica della tutela del paesaggio, mentre non solo non fa rilievi sulla scelta della regione di tutelare il paesaggio attraverso la pianificazione territoriale, ma ritiene “condivisibile” il carattere di fondo del sistema della legge che “tende al superamento della separatezza tra pianificazione territoriale ed urbanistica da un lato e tutela paesaggistica dall’altro, facendo rientrare la tutela del paesaggio nell’ambito del sistema di pianificazione del territorio e rendendo pertanto partecipi anche i livelli territoriali inferiori di governo (province e comuni) nella disciplina di tutela del paesaggio”.
La separazione tra le materie torna in alcune pronunce della giurisprudenza amministrativa. In una decisione del 2004 il Consiglio di Stato (26) riconosce la fondatezza dell’appello del Ministero per i beni e le attività culturali contro una sentenza del TAR di accoglimento del ricorso di un comune della Toscana contro un decreto ministeriale di dichiarazione di notevole interesse pubblico di un’area ricadente nel territorio del comune, adottato ai sensi della legge di tutela del 1939. Rispondendo all’argomentazione che il decreto di vincolo era stato emanato malgrado fosse in corso, con riferimento anche all’area in discussione, l’elaborazione di un piano territoriale paesistico della provincia, il Consiglio di Stato spiega che il vincolo e il piano sono “strumenti con effetti diversi ancorché talvolta concorrenti”, per cui il piano “non può mai vanificare il vincolo paesaggistico”. Sottolinea che, come emerge dalla descrizione del “fatto”, il Ministero aveva deciso per l’apposizione del vincolo avendo valutato insufficiente la pianificazione territoriale (peraltro ancora in corso di elaborazione) ad evitare il rischio che “il proliferare nella zona …di piccoli annessi agricoli potesse poi portare a complessi turistici residenziali”. Risponde, infine, al rilievo del comune, secondo il quale la decisione ministeriale sarebbe viziata per “eccesso di potere per illogicità e mancata ponderazione degli interessi”, con due argomenti connessi. Da un lato, sostiene che l’imposizione del vincolo riguardando un “valore primario” non richiede una ponderazione di interessi; dall’altro, afferma che “la materia del paesaggio non è riducibile a quella dell’urbanistica né può ritenersi in questa ultima assorbita o subordinata”, per cui “non può essere considerato vizio della funzione preposta alla tutela del paesaggio il mancato accertamento dell’esistenza nel territorio oggetto dell’intervento paesaggistico di eventuali prescrizioni urbanistiche, che rispondono ad esigenze diverse che, in ogni caso, non si inquadrano in una considerazione globale del territorio sotto il profilo dell’attuazione del primario valore paesaggistico”.
La specialità del paesaggio – del concetto-materia paesaggio – si fonda dunque nell’ottica di questa giurisprudenza, peraltro ampiamente condivisa (27), sull’accertamento di un “valore primario” attribuibile ad un determinato paesaggio (in realtà, un oggetto specifico: cosa, sito, area, ecc.) e, quindi, sul vincolo che ne consegue. Determinata in tal modo la rilevanza giuridica della materia del paesaggio, ne risulta anche la separazione rispetto all’urbanistica. Certamente - come ha sottolineato il Consiglio di Stato (28), citando in proposito anche la giurisprudenza costituzionale - la distinzione tra urbanistica e paesaggio è fondamentalmente servita a mantenere i poteri statali sul paesaggio. Ciò, peraltro, nella convinzione - di molti, non solo giudici ma anche in genere dei movimenti ambientalisti e di parte dell’opinione pubblica - che questo fosse il modo migliore per ottenere un altro risultato: un ruolo forte e superiore dell’interesse paesaggistico-ambientale rispetto agli altri interessi.
La logica del ‘separare per rinforzare’ torna anche nella giurisprudenza della Corte suprema di Cassazione. In una sentenza del 2001 sul caso del noto “ecomostro” di Punta Perotti (29), la Corte suprema ritiene non condivisibile l’argomentazione dei giudici di merito in ordine alla esistenza di un contrasto tra la legge regionale sulla tutela del territorio e la legge Galasso. Tale contrasto infatti – sostiene la Corte - non può esservi, visto che la legge regionale riguarda la materia urbanistica di competenza regionale, mentre la legge statale è riferita alla tutela del paesaggio, due materie tra loro distinte (30). Più di recente in un’altra decisione della Cassazione (31), l’affermazione che urbanistica e paesaggio sono materie distinte in quanto rispondono a diversi interessi pubblici (32) viene fatta in funzione di una limitazione degli effetti delle politiche di condono (33).
 
 
2.3   Ambiente vs paesaggio?
 
Negli ultimi anni la realizzazione, nell’ambito della politica energetica nazionale, di centrali eoliche ha posto alcune questioni delicate e di grande rilievo per i temi qui considerati. Ha fatto sorgere tensioni e conflitti all’interno dello stesso ‘mondo ambientalista’ e lo sviluppo di una nuova giurisprudenza che si trova a dover decidere in merito al rapporto tra interesse paesaggistico e interesse ambientale.
Per la verità non proprio così avviene in una sentenza del 2005 del TAR della regione Sicilia (34), che ha dichiarato fondato il ricorso della società Enel Green Power contro il provvedimento che aveva negato l’autorizzazione alla realizzazione di un impianto per la produzione di energia eolica ritenuta non compatibile con la tutela paesaggistica. Il TAR giunge alla decisione di annullamento del provvedimento partendo dalla considerazione che “l’amministrazione preposta alla tutela dei valori paesaggistici deve valutare la compatibilità dell’attività autorizzanda rispetto al vincolo ponendo in comparazione detti valori con gli interessi antagonisti”. Nella specie, invece, secondo il TAR è mancata la ricerca di “una soluzione necessariamente comparativa della dialettica fra le esigenze dell’impresa e quelle afferenti valori non economici” ed il provvedimento si è limitato ad indicare, per di più in modo generico, “le caratteristiche morfologiche del territorio considerato […] affermandone apoditticamente l’incompatibilità con l’insediamento di impianti eolici”. A tali valutazioni il TAR ne aggiunge altre di carattere più generale. Infatti, in primo luogo – con riferimento all’interesse paesaggistico - afferma che una “concezione totalizzante dell’interesse pubblico primario” è “incompatibile con il disegno costituzionale dell’esercizio del potere amministrativo nello Stato sociale”, che si inspira ad un “modello pluralista”, nel quale vi è una “pluralità dei valori e degli interessi assunti come primari dallo Stato (paesaggio, ambiente, salute, impresa, telecomunicazioni, urbanistica, ecc.)”, e ad una logica redistributiva “a fronte della limitatezza delle risorse naturali da un lato, e della contrapposta esigenza di garantire ai più vasti settori della collettività maggiori livelli di benessere sociale dall’altro”. In secondo luogo, entra in merito al concetto di tutela di paesaggio, che – diversamente dal provvedimento in discussione che “sembra ammettere esclusivamente ‘processi di antropizzazione’ compatibili con l’attuale forma territoriale” - deve includere la considerazione di “processi evolutivi dei valori estetico-culturali”. A questo proposito viene citato “il caso dei grattacieli statunitensi, divenuti emblema dell’identità estetico-culturale delle rispettive comunità territoriali”.
La sentenza del TAR, in definitiva, rimprovera al provvedimento annullato di essere rimasto fermo ad una visione statica – fisica-morfologica – del paesaggio e di non aver saputo intravedere – in una visione evolutiva-dinamica, capace anche di tenere conto della pluralità degli interessi – un nuovo paesaggio dell’eolico. Il ragionamento e la valutazione sono, insomma, interni al concetto e al valore del paesaggio. Non fanno forza sull’interesse ambientale allo sviluppo del settore energetico eolico e sulla sua necessaria prevalenza sull’interesse paesaggistico; cosa questa che accade invece in altra giurisprudenza.
Fa fondamentalmente riferimento al protocollo di Kyoto, alle direttive comunitarie sulle fonti di energia rinnovabili e, dunque, al rilievo della “tutela della salute e della salubrità dell’ambiente” da perseguire con lo sviluppo di tali fonti, un’altra sentenza del TAR Sicilia successiva a quella sopra ricordata, le cui argomentazioni peraltro vengono riprese integralmente, come sottolinea lo stesso giudice (35).
Nel tempo intercorso tra le due sentenze, in effetti, era anche intervenuta una giurisprudenza del Consiglio di Stato, citata dal giudice siciliano da ultimo ricordato, nella quale la “finalità di interesse pubblico” ambientale (36) dell’istallazione di impianti eolici viene direttamente assunta come canone di valutazione in sede di decisione sull’autorizzazione. Anche se qui una maggiore preoccupazione per il mantenimento del valore paesaggistico originario e una posizione più cauta – rispetto alla “teoria” evolutiva del giudice siciliano – traspare dalla sottolineatura che fa il Consiglio di Stato anche di alcuni elementi specifici e più puntuali: come l’impegno, comunque richiesto dalla regione, di realizzare il progetto definitivo tenendo conto delle “valenze del luogo, in modo da restituire una qualità paesaggistica al sito”, e come la mancanza nell’area considerata di un vincolo assoluto di edificazione (37).
Tenendo conto fondamentalmente dello “spirito di massimo favore” verso gli impianti eolici che traspare dalla normativa italiana, da quella comunitaria e dal protocollo di Kyoto – e quindi dell’interesse ambientale “alla produzione di energia pulita” – anche il TAR Molise (38) ritiene fondato il ricorso contro la prescrizione del piano energetico ambientale regionale che subordina la costruzione di nuovi impianti alla adozione di “linee guida contenenti le prescrizioni e gli indirizzi per tutelare aree sensibili dal punto di vista ambientale e paesaggistico e contenenti inoltre la mappatura dei territori preclusi ad impianti eolici”. Si introduce così – afferma il TAR - una “moratoria” incompatibile con la normativa nazionale di principio (39) che dichiara gli impianti, oltre che di pubblica utilità, “indifferibili e urgenti” e fissa un termine massimo di tempo per il procedimento di “autorizzazione unica” (40). Mentre è comunque dovere dell’amministrazione regionale valutare la compatibilità degli impianti “con i valori ambientale e paesaggistico” attraverso “un attento esame che, in attesa dell’adozione delle linee guida, va svolto caso per caso sulla base dei principi generali in materia”.
In breve, nella giurisprudenza finora ricordata l’interesse o valore paesaggistico viene messo in discussione adottando due linee interpretative: intervenendo sul senso stesso di tale interesse, attraverso un mutamento del concetto di paesaggio che ora si vuole “dinamico”; oppure mettendo l’interesse paesaggistico a confronto con l’“interesse pubblico” ambientale di cui si afferma la superiorità. Appare evidente in entrambi i casi, comunque, che la considerazione del paesaggio presente nelle recenti pronunce giurisprudenziali qui esaminate non è la stessa teorizzata e affermatasi in precedenza, di massima nel periodo che va dalla legge del 1939 alla legge Galasso.
Infatti, sia nel caso delle “bellezze naturali” che, più tardi, nel caso delle più vaste zone di interesse ambientale tutelate dalla Galasso, la nozione di paesaggio alla quale veniva fatto riferimento aveva sempre – come qui già accennato - un carattere sostanziale, essendo volta ad indicare e definire una realtà identificata da fattori ed elementi (naturali e culturali) pure vari e diversi ma riconducibili ad una matrice unitaria, ad un senso e valore “centrale” in grado di connetterli tra loro. Nel caso delle “bellezze naturali” o “paesaggistiche”, tale essendo un valore estetico-culturale apprezzato e riconosciuto; nel caso dei paesaggi coincidenti con le “zone di interesse ambientale”, tale essendo un valore che sinteticamente può definirsi come l’identità ambientale dei luoghi, risultante da una combinazione di elementi naturali e culturali.
In ogni caso, era rispetto a tale valore “centrale” di tipo estetico-culturale e/o identitario nel senso appena detto - che peraltro era identificato e descritto espressamente in documenti appositi (41) - che si riteneva dovesse essere valutata la compatibilità o meno delle modificazioni in sede di procedimento di autorizzazione (42). Non rispetto ad un dato meramente fisico dunque, ma ad un dato che include una connotazione di valore.
Nella giurisprudenza esaminata sembra, invece, che l’argomentazione utilizzata – il richiamo in particolare alla necessaria ponderazione degli interessi – finisca per determinare un vero e proprio mutamento dell’oggetto-valore rispetto al quale va fatta la valutazione di compatibilità della modificazione da autorizzare. Non più il valore “centrale” estetico-culturale o identitario del luogo, ma il peso dell’interesse a realizzare la modificazione nei confronti dell’interesse paesaggistico. Questo non è che scompare, ma diviene “fluido”: non più riferito ad un “centro”, è chiamato ad aprirsi alla possibilità di nuovi paesaggi che verranno determinati dalle modificazioni in corso.
In effetti, se si ammette che la valutazione di compatibilità non è riconducibile ad un dato oggettivo, formale e sostanziale, preesistente e legato alla specificità del luogo, ma alla gestione di molteplici interessi, vuol dire che la valutazione è riconducibile a scelte che possono realizzarsi al di là e al di sopra di quella specificità.
La nozione di paesaggio – lo si è visto anche discutendo il senso del “valore primario” - da sostanziale diventa, per così dire, procedurale. In pratica, la valutazione di compatibilità dell’attività modificativa consente ora di mettere in discussione - in nome di una nuova ponderazione di interessi – la valutazione che aveva portato alla decisione di conservare un certo oggetto (sito, area, zona) sulla base della rilevanza di un determinato “centro” di valore, ritenuto irrinunciabile (almeno per un certo periodo storico!) perchè in grado di identificare l’oggetto. L’interesse o valore paesaggistico perde, dunque, il suo carattere “primario” anche là dove – con riferimento ad un oggetto specifico - esiste già un atto di identificazione e di decisione per la conservazione. Evento questo che avrebbe dovuto mettere l’oggetto al riparo dalla contesa con altri interessi.
Si finisce, insomma, per confondere la fase in cui si decide dello stato e del destino di un’area - e quindi il vincolo - con il momento della valutazione della compatibilità di un singolo intervento: il secondo diviene un momento in cui si ri-decide – peraltro con un procedimento inadeguato, in particolare sotto il profilo degli interessi da sentire - la sorte di un area. Questo sembra essere, in effetti, se non forse l’intento, certamente il rischio al quale va incontro la giurisprudenza “evolutiva”.
Per riprendere l’esempio ardito utilizzato dal TAR Sicilia per illustrare la visione “dinamica” del paesaggio e qui già ricordato, una fase è quella in cui – per ipotesi - si decide se Manhattan debba rimanere o no una zona umida con una bassa penisola di sabbia, un’altra fase è quella in cui in seguito, dopo la scelta dell’urbanizzazione e il consolidamento della città, si decide la compatibilità di un nuovo oggetto rispetto allo skyline di New York.
Si potrebbe dire che così facendo – ragionando per fasi diverse - si frena l’evoluzione, però è anche vero che la confusione delle fasi potrebbe portare ad abbandonare progressivamente ogni forma di conservazione.
Né la questione cambia parlando di qualità paesaggistica-ambientale, vale a dire sostenendo che la modificazione comunque non turba o anzi migliora la qualità dei luoghi. Il concetto di qualità infatti è diverso da quello di valore estetico-culturale o di identità. Ora, è indubbio che la qualità può essere un valore elevato ed importante, e che con riferimento ad essa potrebbe costruirsi un sistema di valutazione con strumenti e criteri adatti. Tuttavia, in attesa di tale eventuale evoluzione, resta il fatto che la confusione sui concetti toglie ogni punto di riferimento certo per l’utilizzo corretto degli strumenti di tutela paesaggistica per ora esistenti, che sono stati pensati e impostati per affrontare valutazioni in termini estetico-culturali e/o di identità ambientale.
Nel caso specifico delle pronunce appena viste, l’interesse che prevale è quello ambientale alla riduzione dei gas serra, un interesse ritenuto gerarchicamente superiore a quello paesaggistico. Il richiamo fatto dai giudici all’“interesse pubblico” allo sviluppo dell’eolico ha allora in realtà questo significato: in nome dell’ambiente si usa un criterio nuovo rispetto a quelli tipici della disciplina paesaggistica, volto a neutralizzarne la finalità e la sostanza stessa, che è la conservazione del particolare valore di un luogo.
Tutto ciò non per dire che l’eolico non va considerato e sviluppato e nemmeno per dire che in sé sia da considerare non compatibile con il valore o – se si preferisce - la qualità del paesaggio. Piuttosto, per sottolineare che il paesaggio si conferma nella fase storica attuale un interesse debole e che, a questo punto, non è solo attraverso i concetti e gli strumenti della disciplina paesaggistica – pensati per scopi più limitati e in un contesto poi fortemente mutato - che possono affrontarsi questioni come quella dell’impianto o meno delle pale eoliche.
Alcuni elementi che mettono in luce la possibilità di valutazioni di diverso tipo – non ancorate alla (sola) disciplina paesaggistica - sono suggeriti da altre pronunce.
In particolare, il TAR Sardegna in una sentenza del 2006 (43) ha ritenuto infondato il ricorso di una società ricorrente contro un atto con il quale la regione aveva richiesto alla stessa società di presentare istanza di valutazione di impatto ambientale, bloccando nel frattempo i lavori per l’istallazione delle centrali eoliche. Esprimendosi sull’argomento centrale avanzato dal ricorso – ovvero, una già presente modifica “irreversibile” dello stato dei luoghi causata dagli impianti (44) - il TAR afferma che in merito “la valutazione va…condotta secondo la logica propria della materia ambientale” con riguardo cioè all’impatto dell’intervento e all’eventuale “pregiudizio ambientale”. Quindi, su questa base, ritiene che debba considerarsi “irreversibile” non la trasformazione che “interessa semplicemente il piano di campagna”, ma quella che interessa “lo spazio aereo sovrastante e il territorio”, evenienza che non ricorre – secondo il giudice – nel caso in esame. La sentenza, peraltro, precisa che non va escluso “un giudizio di prevalenza tra valori ed interessi”, anche se “nessuna norma o principio indica l’esigenza energetica come prioritaria rispetto alla tutela ambientale”.
La valutazione comparativa tra gli interessi è, in effetti, presa in considerazione – con ampi riferimenti alla giurisprudenza del TAR Sicilia già ricordata (45) - anche in un’altra sentenza del TAR Sardegna (46), che ritiene fondato il ricorso contro un provvedimento del soprintendente di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica per la realizzazione di un parco eolico. Come si legge nella sentenza, “assume particolare e decisivo rilievo”, però, la circostanza che sia stata condotta un’istruttoria “non solo per i profili paesaggistici”, ma “per i più generali profili attinenti all’impatto ambientale”.
Infine, la valutazione comparativa tra interessi ma anche l’assenza di un carattere “prioritario” dell’esigenza energetica sono di nuovo richiamati in un’ulteriore sentenza del TAR Sardegna (47), con la quale viene respinto il ricorso di una società che si era vista negare dalla regione la compatibilità ambientale di un progetto di parco eolico a seguito di un giudizio tecnico di impatto negativo. Il giudice, in proposito, sottolinea la diversità sostanziale che esiste tra un controllo di tipo “edilizio”, limitato all’aspetto esteriore del paesaggio, da un lato, e la valutazione di impatto ambientale, che considera anche l’eventuale “incidenza sugli elementi naturalistici” e in generale “la lesione di valori ambientali”, dall’altro. Infondato, secondo il giudice, è inoltre il richiamo del ricorrente al principio di proporzionalità al fine di ottenere dall’amministrazione competente comunque una soluzione alternativa . Non c’è, infatti, una “astratta ‘necessarietà’ degli impianti eolici” destinata a “condizionare e vincolare sempre e in maniera assoluta il giudizio di compatibilità ambientale”; una interpretazione questa che “finirebbe per ribaltare totalmente (e, unilateralmente, in favore delle esigenze energetiche) un sistema di valori (paesistico-ambientali ed economici) aventi pari rilevanza costituzionale”.
Nel complesso questa giurisprudenza non rifiuta, anzi richiama come diritto “normale” il giudizio comparativo riferito ad una pluralità di interessi tutti meritevoli di tutela. Decide però facendo leva su concetti e strumenti diversi da quelli utilizzati dalla giurisprudenza vista in precedenza: il concetto che diviene centrale ai fini del giudizio è quello di ambiente e lo strumento per decidere, dunque, non è più la valutazione di compatibilità paesaggistica ma quella di impatto ambientale.
L’interesse economico-energetico-ambientale all’impianto delle pale eoliche nei singoli casi può risultare vincente o soccombente (come si è visto possono accadere entrambe le cose). Ciò avviene, in ogni caso, non perché un’idea statica di paesaggio deve essere sostituita con una “evolutiva”, oppure perché c’è una materia o un interesse che è destinato a prevalere sull’altro (sia pure l’ambiente sul paesaggio), ma perché viene effettuata una valutazione dello stato ambientale dei luoghi attraverso procedimenti che prevedono giudizi complessi basati su vari tipi di criteri e il contraddittorio tra gli interessati.
 
 
2.4.  L’ambiente ( con il paesaggio) è una (non)materia “trasversale”.
 
La trasversalità della materia ambiente - e con l’ambiente del paesaggio (48) - è affermata dalla Corte costituzionale fondamentalmente al fine di trovare un equilibrio tra le competenze legislative delle regioni (che disciplinavano temi e problemi ambientali ormai da decenni) e la riserva della materia alla competenza esclusiva dello Stato ad opera della legge costituzionale del 2001 di riforma del Titolo V della Costituzione.
Tale giurisprudenza – iniziata con una sentenza del 2002 (49) - sembra essersi ormai consolidata su alcuni punti fondamentali. In sintesi, si ritiene che non è possibile identificare una materia in senso tecnico qualificabile come tutela dell’ambiente, perché questa “investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze”. L’ambiente è dunque un “valore” che “delinea una sorta di materia trasversale” (50). Le conseguenze che ne derivano sull’ordine delle competenze sono, quindi, che se allo Stato spettano “le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale” (51), alle regioni spetta la competenza “alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali”.
La tutela ambientale, dunque, interverrà in maniera trasversale anche nei confronti della “valorizzazione dei beni ambientali”, elencata tra le materie di tipo concorrente; il che dovrebbe consentire a livello regionale, oltre che statale, di ricongiungere aspetti che – secondo più opinioni – poco opportunamente si è pensato di considerare separatamente. Non ampia, peraltro, è per ora la giurisprudenza sul concetto di “valorizzazione dei beni ambientali”. In una sentenza recente – nella quale però l’esigenza predominante appare quella di confermare la competenza regionale nella fattispecie trattata – la Corte costituzionale sembra orientata ad una lettura generica del termine “bene ambientale”: in pratica qualsiasi “risorsa ambientale” (52) e non solo i “beni ambientali”, o “paesaggistici”, intesi come oggetti specifici identificati e classificati come tali.
Al di là dei problemi di riparto delle competenze e delle difficoltà che può comportare la discutibile distinzione tra tutela e valorizzazione, resta il fatto di grande rilevanza che la giurisprudenza sulla trasversalità apre delle prospettive del tutto nuove in ordine al modo di affrontare la questione ambientale e del paesaggio.
E’ infatti il principio di integrazione che sta così mettendo radici nel diritto italiano, con conseguenze ancora tutte da vedere. Non solo, in tale prospettiva, l’ambiente dovrebbe perdere qualsiasi dimensione settoriale e circoscritta mettendo così in discussione molti confini tra materie finora mantenuti se non il modo stesso di concepire le materie, ma l’idea stessa di tutela dell’ambiente dovrebbe portare con sé la necessità di ragionare in termini di integrazione dell’interesse ambientale in tutti gli ambiti di azione.
 
 
2.5   In breve sulla giurisprudenza
 
Cercando di sintetizzare quanto finora emerso dalle sentenze considerate, il primo elemento che viene in evidenza è l’uso non univoco del termine paesaggio, utilizzato a volte genericamente per indicare una finalità ed altre volte un oggetto, oppure una vera e propria materia. Anche come oggetto o materia il termine comunque non è univoco: è usato sia per indicare oggetti specifici (bellezze naturali, beni, valori, tutti comunque circoscritti) sia con riferimento a tutto il territorio. In più casi, poi, al posto di paesaggio si utilizza indifferentemente il termine ambiente, che – si specifica in alcune sentenze – è comprensivo sia del paesaggio che della cultura.
Il secondo elemento rilevante è il riconoscimento di una potenziale forza espansiva della pianificazione urbanistica in direzione della tutela del paesaggio, riferita a tutto il territorio, oltre che a singoli beni e siti. Al punto che si giunge a configurare la tutela delle bellezze naturali (legge del 1939) e delle zone di interesse ambientale (legge Galasso) come una tutela “minimale” necessaria, che non delimita perciò il campo della tutela, eventualmente estensibile con la pianificazione urbanistica. Per altro verso paesaggio e urbanistica sono viste come materie separate e, se a volte tale visione appare fondata sulla individuazione di una logica specifica e interna alla materia paesaggistica, nella maggior parte dei casi appare fondata sull’intento di affermare la competenza statale sulla materia stessa, che così si riduce in realtà all’insieme dei poteri statali di tutela fissati dalla normativa. Si vedrà nel tempo se e quali effetti innovativi potrà produrre su tali questioni il principio di integrazione, introdotto dalla giurisprudenza sulla trasversalità dell’ambiente e del paesaggio. Si tratta di una novità non di poco conto, peraltro in armonia con le espresse indicazioni in merito della Convenzione europea sul paesaggio (53).
Il terzo elemento che viene in evidenza è che quando si parla di “valore primario” del paesaggio – nel senso della “insuscettibilità” ad essere soggetto ad un altro interesse - si fa sempre riferimento alla tutela di oggetti specifici e circoscritti. Inoltre, colpisce che – malgrado la legge Galasso e la sua apertura alla tutela degli interessi ambientali – si tende per lo più ad identificare il “valore primario” con quello estetico-culturale (riferito a singole bellezze, beni, siti). Al di là della tutela di oggetti specifici, invece, il significato di “primario” cambia: diviene il riconoscimento dell’aspettativa dell’interesse paesaggistico ad essere considerato nel confronto con gli altri interessi; oppure – su un altro piano - un concetto utile a ribadire la competenza statale in ordine alla tutela ambientale-paesaggistica .
Il quarto elemento rilevante – in particolare nelle sentenze relative alla compatibilità dell’istallazione di impianti eolici con il vincolo paesaggistico – è l’introduzione di visioni profondamente diverse da quelle che erano alla base della legge del 1939 e della legge Galasso. Infatti, da un lato cambia lo stesso termine di riferimento della valutazione giuridica: il paesaggio – o meglio un determinato paesaggio - non più come un oggetto riconducibile ad un valore estetico culturale dato o ad una identità ambientale data, ma come paesaggio “dinamico”, un oggetto in realtà allo stato fluido plasmabile dagli interessi – economici e/o ambientali - che di volta in volta sopravvengono. Nella specie il “paesaggio dell’eolico” diviene allora giuridicamente accettabile perché ritenuto una necessaria e valida evoluzione del paesaggio. Dall’altro, forse più cautamente, si ritiene che l’interesse paesaggistico sia assoggettabile ad un interesse superiore di tipo ambientale, rafforzato peraltro dall’impegno assunto a livello internazionale.
In entrambi i casi il concetto di paesaggio appare, comunque, destinato a mutare: da un concetto sostanziale – basato sulla centralità di un valore o di una identità riconosciuti dal diritto, rispetto ai quali va valutata la compatibilità di ogni azione di trasformazione – si passa ad una nozione procedurale di paesaggio, nel senso che il carattere del paesaggio sarà il risultato di una valutazione comparativa tra interessi diversi. Anche se, in realtà, non esistono strumenti adeguati per tale valutazione, e il confronto al quale si finisce per fare riferimento è quello tra soggetti pubblici istituzionali, lo Stato, le regioni, gli enti locali. Viene meno, inoltre, il significato originario del “valore primario” del paesaggio, stavolta con riferimento però non al paesaggio-territorio in genere, ma ad oggetti specifici già individuati e vincolati.
L’interesse paesaggistico appare dunque un interesse debole. Più forte, forse, quando era riferito ad oggetti ben delimitati e circoscritti, sembra essersi indebolito man mano che si è andato estendendo l’ambito della tutela, senza che nel frattempo si sia provveduto a rivedere i concetti e gli strumenti da utilizzare per la tutela stessa. L’impressione che si ricava è che si sia andati oltre le impostazioni e gli schemi delle leggi del 1939 e Galasso, senza però fissare alcun punto solido di riferimento e di garanzia per l’interesse paesaggistico. In particolare – oltre che i concetti - gli strumenti tipici della tutela paesaggistica (il vincolo e l’autorizzazione) non sembrano essere all’altezza dei nuovi problemi e finiscono – come mostrano proprio alcune sentenze sugli impianti eolici – per essere neutralizzati da nuove visioni del paesaggio.
Appare a questo punto significativo ed indicativo di nuovi possibili sviluppi il fatto che altre sentenze, nelle quali pure viene affermata l’esigenza della comparazione tra gli interessi, facciano riferimento ad altri tipi di strumenti – come la valutazione di impatto ambientale – per esprimere il giudizio sulla compatibilità, anche paesaggistica, degli impianti eolici.
Rispetto ai problemi che risultano dalla lettura delle sentenze qui considerate, come si vedrà tra poco, la normativa non ha fornito delle risposte convincenti ed anzi, in certi casi, ha finito per sollevare ulteriori problemi ed interrogativi.
 
 
3.    La normativa
 
3.1  La tutela dei “beni ambientali” e l’incerto paesaggio
 
Il paesaggio – insieme al patrimonio storico e artistico - appare nella Parte prima della Costituzione, che ne affida la tutela alla Repubblica.
Non appare mai, o quasi mai, come tale invece nella normativa ordinaria, almeno fino al Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004. Non c’è nella legge del 1939, dedicata alla “protezione delle bellezze naturali” da sottoporre a vincolo, le quali - ove si configurino come “vaste località” - sono le effettive destinatarie anche del facoltativo, secondo la legge, “piano territoriale paesistico”.
Né il paesaggio è nominato e disciplinato come tale dalla legge Galasso, che alla protezione delle “bellezze naturali” aggiunge la tutela delle “zone di particolare interesse ambientale”, alle quali si applicano il vincolo e il piano paesistico. L’importanza della legge stava nel fatto che alla sua applicazione veniva affidata la sorte di componenti territoriali di grande rilevanza, come – tra le altre - la fascia costiera, la montagna, i fiumi e le loro sponde, i laghi e le loro coste, le foreste e i boschi (54). La legge inoltre – formulata in modo piuttosto chiaro e snello – introduceva un sistema regolativo tutto sommato semplice e diretto. Non senza limiti e problemi, tuttavia. Infatti, mentre da un lato si estendeva enormemente sia l’ambito territoriale della tutela che il suo contenuto, ora ampliato ai profili ambientali, dall’altro si continuava però a contare sugli strumenti inventati dalla legge del 1939 tenendo presenti realtà molto più circoscritte da tutelare fondamentalmente nei loro aspetti esteriori, tra l’altro secondo una visione preminentemente estetica. Basti pensare in proposito alla concezione del vincolo – rimasta inalterata nella Galasso - come divieto di distruggere un oggetto protetto dalla legge o di “introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio al suo esteriore aspetto”. Davanti alla ampiezza dei territori tutelati e, quindi, alla varietà degli interessi che venivano così in campo stavano, insomma, pur sempre gli stessi strumenti e anche gli apparati amministrativi pensati a suo tempo per affrontare situazioni meno complesse. Unica novità era l’enfasi sullo strumento dei piani paesistici, ora definiti come piani di “uso e valorizzazione ambientale” e resi obbligatori.
La giurisprudenza, inoltre, come si è visto, ha avanzato una interpretazione ulteriormente estensiva delle previsioni della legge Galasso, secondo la quale dalla tutela delle “bellezze naturali” si passerebbe direttamente a quella del paesaggio. Sta di fatto, però, che nella legge non viene considerato il paesaggio complessivo, ma – oltre alle “bellezze naturali” della legge del 1939 - zone delimitate, anche se ora tali zone, specialmente alcune, sono vastissime. Per utilizzare una terminologia come è noto introdotta da Massimo Severo Giannini, si può dire che in realtà con la legge Galasso si rimane nell’ambito di quello specifico “aspetto giuridico” dell’ambiente costituito dalla tutela dei “beni ambientali”. E’ del resto proprio l’articolo 82 intitolato a tale tipo di beni, contenuto nel D.P.R. n. 616, che viene integrato dalla Galasso con l’elenco delle nuove categorie di “zone”.
Più tardi, nel 1999, le normative qui accennate sono state inserite senza modificazioni sostanziali in un testo unico che avrà però vita breve. Un merito di tale testo è stato, tra l’altro, quello di mettere insieme per la prima volta i beni culturali e i beni ambientali, fino ad allora divisi in ambiti concettuali e materiali diversi e ora ricondotti in una visione unitaria di cultura e ambiente. Ancora una volta non compariva il paesaggio, ma i “beni ambientali” o “beni paesaggistici e ambientali”.
Nemmeno il paesaggio si trova nei testi normativi che hanno disciplinato il decentramento regionale, nei quali peraltro non è mancato una sforzo di declinare le materie e le funzioni in visioni più aggiornate, organiche e finalizzate dell’azione dei pubblici poteri. Il D.P.R. n.616 del 1977 ha individuato il settore organico “assetto e utilizzazione del territorio” nel quale confluiva, tra le altre materie, l’“urbanistica”, intesa in senso ampio come “disciplina dell’uso del territorio”, comprensiva a sua volta della “protezione dell’ambiente” e, più in particolare, della “protezione delle bellezze naturali” insieme alla “protezione della natura, le riserve ed i parchi naturali”. Successivamente, il d.lgs n.112 del 1998 ha adottato una impostazione solo parzialmente coincidente con quella appena vista. Infatti, mentre individua un grande settore denominato “territorio, ambiente e infrastrutture”, poi – all’interno di tale settore – distingue, collocandoli in capi distinti, tra “territorio e urbanistica” da un lato e “protezione della natura e dell’ambiente, tutela dell’ambiente dagli inquinamenti e gestione dei rifiuti” dall’altro. Inoltre, mette i “beni ambientali” insieme ai beni culturali, ma nell’ambito di un altro grande settore del tutto distinto, quello dei “servizi alla persona e alla comunità”. Urbanistica, ambiente e – in un settore separato - i “beni ambientali” appaiono insomma come materie distinte.
Nel complesso, nei testi di decentramento si richiamavano dunque – in sede di riparto di competenze - gli oggetti specifici della normativa del 1939 e della Galasso, le “bellezze naturali” e i “beni ambientali”. Solo nel D.P.R. n.616 si prospettava una estensione dei contenuti della disciplina urbanistica in direzione dell’ambiente, nel quale si poteva – per via interpretativa – considerare compreso il paesaggio come tale. Tale indicazione restava tuttavia piuttosto generica e – come si è già visto – è stata anche di molto ridimensionata dalla giurisprudenza costituzionale, preoccupata soprattutto di ribadire i poteri statali sull’ambiente e sul paesaggio.
E’ nella normativa urbanistica che il paesaggio viene, invece, per la prima volta espressamente nominato e considerato. L’art. 10 della legge n.1150 del 1942, nella versione modificata dalla “legge ponte” del 1967 (55), prevede infatti che in sede di approvazione del piano regolatore generale da parte dell’autorità competente (che in genere sarà la regione) possano essere apportate al piano stesso modifiche “indispensabili per assicurare…c) la tutela del paesaggio e di complessi storici, monumentali, ambientali ed archeologici” (56). Si tratta, come si vede, di una norma la cui formulazione autorizza a ritenere possibile una tutela del paesaggio, effettuata attraverso lo strumento urbanistico, anche al di là della tutela realizzata secondo i dettami delle leggi del 1939 e Galasso su oggetti specifici.
Va detto tuttavia che – a parte la disposizione appena ricordata - nessuna innovazione legislativa rilevante per la tutela del paesaggio ha interessato la normativa urbanistica, almeno a livello nazionale. Invece, si sono sviluppati nel tempo procedimenti, prassi e metodi, introdotti o favoriti da normative episodiche, ma reiterate, che hanno finito per indebolire lo stesso sistema della pianificazione urbanistica (57), fino alla perdita della sua stessa credibilità a seguito dei ripetuti condoni edilizi. Né sembra che gli interessi ambientali e paesaggistici abbiano trovato una efficace tutela nel sistema complessivo della pianificazione territoriale, già concepito originariamente secondo un modello gerarchico dalla legge del 1942 e, poi, ripreso dalla legislazione regionale privilegiando le formule della partecipazione e del coordinamento, ma comunque in entrambi i casi scarsamente attuato.
In realtà, la novità più importante in ordine alle potenzialità ambientali della pianificazione urbanistica si deve alla legge Galasso del 1985, con la previsione che riconosce alle regioni la facoltà di elaborare - al posto degli specifici “piani paesistici” - “piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici e ambientali”. Un vero e proprio colpo d’ala, ancora oggi in grado di produrre effetti incisivi e significativi, come hanno evidenziato le recenti vicende giurisprudenziali della disciplina paesaggistica della Sardegna (58) e le prospettive sulle quali va orientandosi la recente legislazione regionale (alla quale si farà cenno più avanti) (59).
 
 
3.2   Il paesaggio incerto e senza ambiente del Codice
 
Il Codice dei beni culturali e del paesaggio (60), noto anche come Codice Urbani, diversamente dalla legge Galasso, non si presenta come un testo semplice e chiaro. Basti considerare la difficoltà di raccordare le Disposizioni generali della Parte prima, che fanno riferimento ai “beni paesaggistici” (oltre a quelli “culturali”), con la Parte terza dove – malgrado il titolo “Beni paesaggistici” - si introduce invece il concetto di paesaggio in generale; la tendenza, inoltre, alla proliferazione dei concetti, con l’introduzione di concetti ulteriori rispetto a quelli ormai consolidati nella normativa e nella giurisprudenza e nel testo costituzionale stesso.
Mentre l’art. 9 della Costituzione aveva messo al centro dell’attività di tutela il paesaggio, l’art.1 della Parte prima del Codice individua un nuovo oggetto: il “patrimonio culturale” (61). Di questo viene data una definizione, sia pure indirettamente, affermando che la sua tutela e la sua valorizzazione “concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura”. Inoltre – all’articolo successivo - si dice che il “patrimonio culturale” è costituito dai “beni culturali” e dai “beni paesaggistici” .
Il Codice adotta quindi il concetto di “beni paesaggistici” in luogo di quello di “beni ambientali”, per indicare comunque immobili specifici ed aree circoscritte. Come risulta da un insieme di articoli che rinviano l’uno all’altro non favorendo la chiarezza, si tratta comunque delle “bellezze naturali”, delle “zone di interesse ambientale” della Galasso, di altri immobili ed aree tipizzati ed individuati dai piani paesaggistici. Non invece dei paesaggi “ordinari”, pure considerati nella Parte terza del Codice, che dunque non dovrebbero essere componenti del “patrimonio culturale”.
Sparisce completamente nel Codice il concetto di “beni ambientali”, che pure da tempo veniva utilizzato per comprendere oggetti (anche) culturali ed è infine approdato, nel 2001, nel testo costituzionale. Anche il termine “ambiente” – presente in Costituzione e, come si è visto, ritenuto dalla giurisprudenza comprensivo del paesaggio - non è mai nominato nel Codice.
Non appare un fatto casuale. Già dai pochi elementi sopra accennati emerge, in effetti, che nel Codice la tutela è vista in funzione della preservazione della memoria di valori culturali, riferiti al contesto – comunità e suo territorio - nazionale: valori soggettivi perciò, sia pure collettivi e visti in una dimensione storico-temporale. Non sembra esserci spazio, invece, per l’ambiente, che includendo fattori non-umani (insieme a quelli culturali), non appare riducibile ad una dimensione unicamente soggettiva, né ormai - si pensi all’inquinamento dell’aria e al cambiamento climatico - è delimitabile nello spazio “nazionale”. Ne deriva che, abbandonato l’ambiente come prospettiva in sé inclusiva in realtà della stessa cultura, ritornano invece – in un elenco di valori “del territorio” settorialmente considerati (dei quali, si afferma, sono espressione i “beni paesaggistici”) - i “valori naturali” (62).
Particolarità del Codice è che, nella Parte terza, accanto ai “beni paesaggistici”, fa entrare in scena direttamente il paesaggio, del quale viene data una definizione e che viene fatto oggetto di alcune previsioni del piano paesaggistico. La prima versione del Codice (solo lievemente corretta nel 2006) - seguendo di massima il testo della Convenzione europea del paesaggio – affermava che “per paesaggio si intendono parti di territorio i cui caratteri distintivi derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni”, non seguiva più quel testo nel momento in cui aggiungeva e precisava che “la tutela e la valorizzazione salvaguardano i valori che esso [il paesaggio] esprime quali manifestazioni identitarie percepibili”. Quasi si volesse in tal modo fissare il limite entro il quale interessa tutelare il paesaggio, limite comandato da fattori esclusivamente umani-soggettivi, connessi alla percezione dell’identità.
Nella versione del Codice come da ultimo modificata dal d.lgs. n.63 del 2008 si definisce paesaggio il “territorio espressivo di identità”, mentre cade il riferimento alle “parti di territorio”. Inoltre, si delimita ulteriormente l’ambito di tutela del Codice a “quegli aspetti e caratteri che costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell’identità nazionale”. Da un lato, si introduce, dunque, una nuova definizione più generica e astratta e, dall’altro, si riduce il “percepibile” al “visibile” e l’identità a quella “nazionale”, utilizzando peraltro una formula (“identità nazionale”, appunto) destinata a creare non pochi problemi interpretativi e che, di fatto, appare fondamentalmente destinata a legittimare il rafforzamento delle competenze statali introdotto dallo stesso d.lgs. del 2008.
In realtà, in questione non è la riscoperta dell’elemento identità – che anzi può considerarsi un contributo utile del Codice e un concetto da approfondire – ma il fatto di vederla come un fattore da solo determinante e di tipo soggettivo che condiziona, limitandolo, l’ambito di considerazione e di tutela del paesaggio. Rilevante è a questo proposito il confronto con la nozione di paesaggio contenuta nella Convenzione europea: “una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”. In essa l’elemento percettivo è integrato nella definizione ed è visto fondamentalmente in funzione della determinazione della “parte di territorio”. Inoltre, le “interrelazioni” vanno sempre prese in considerazione, come suggerisce la congiunzione “e”, mentre non era così nella prima versione del Codice.
In ogni caso, assume rilievo nella prima definizione del Codice, come in quella della Convenzione europea, l’elemento della percezione di determinati paesaggi, da parte – precisa la Convenzione - delle “popolazioni”, termine che non va riferito solo a quelle “locali” ma ad un “pubblico” più vasto (63).
Peraltro, non appare scontato che esista veramente una percezione chiara e, dunque, un interesse delle “popolazioni” per il paesaggio. Si può constatare spesso che tale interesse si manifesta solo per reazione, quando viene inferta o c’è il rischio che venga inferta una “ferita” molto rilevante e qualcuno più sensibile mobilita la “popolazione” (come nel caso di punta Perotti, ad esempio). Oppure – per pensare anche in positivo – quando si realizza un nuovo spazio di qualità (un parco, una piazza, un lungomare) che apre nuove sensibilità e prospettive di bellezza e serenità. Più difficile è percepire, invece, le trasformazioni del paesaggio che avvengono per effetto di un lavorio minuto e continuo: vale a dire a seguito di tante piccole trasformazioni (a volte piccoli e medi abusi, ma spesso anche legali) che alla fine possono comunque cambiare il senso e il valore dei luoghi, ma senza che nessuna consapevolezza e valutazione si sia sviluppata nei confronti di tale trasformazione. Infine, si può ritenere che la stessa percezione dell’identità e del valore dei luoghi sia un elemento non immediato e spesso attutito, ad esempio, da una certa omologazione della sensibilità e del gusto.
Appare significativo, in proposito, che la Convenzione europea sul paesaggio dia molta importanza proprio alla “educazione” e alla “sensibilizzazione”, partendo evidentemente dal presupposto che l’interesse per il paesaggio deve essere aiutato a manifestarsi, reso consapevole, alimentato.
Si tratta di prospettive che, invece, trovano solo un limitatissimo accenno nel Codice, dove come strumento di tutela e valorizzazione del paesaggio è indicato il piano paesaggistico (64), di contenuto tanto ampio quanto poco chiaro, anche perché disciplinato in due articoli diversi (il 135 e il 143). Comunque il piano – esteso, si precisa, all’intero territorio regionale - dovrà, con riferimento ad “ambiti paesaggistici” (che per la verità non è chiaro in base a quali criteri vadano individuati) (65), definire una “normativa d’uso” del territorio. Questa in alcuni casi – in particolare le prescrizioni di tipologie, tecniche e materiali – appare applicabile limitatamente ai singoli “beni paesaggistici sottoposti a tutela”, come espressamente precisa il Codice. In altri - le “linee di sviluppo urbanistico ed edilizio” - sembra invece estesa al di là delle tutele specifiche. Inoltre, il piano dovrà prevedere azioni concrete, come gli interventi di recupero e riqualificazione volti – precisava la prima versione del Codice - al reintegro di valori preesistenti e alla “realizzazione di nuovi valori paesaggistici coerenti e integrati”, nonché altri interventi di valorizzazione “anche in relazione ai principi dello sviluppo sostenibile” (66).
In sostanza, il piano paesaggistico - per quanto riguarda i paesaggi “ordinari” non individuati, esterni a siti, aree e zone oggetto di tutela specifica – nel migliore dei casi può operare come una guida di riferimento per la pianificazione urbanistica e per le politiche di intervento attivo da realizzare. Non viene nemmeno accennata, invece, una forma di tutela che vada oltre quanto può farsi con gli strumenti oggi già esistenti – deboli e limitati, come si è visto - della pianificazione territoriale. Quanto al richiamo dello sviluppo sostenibile, appare in questo contesto generico e di rito.
Più specifica e precisa è la disciplina dei “beni paesaggistici” che, comunque, resta essenzialmente quella preesistente, della legge del 1939 e della Galasso, basata sul vincolo e sulla autorizzazione. Anche se il Codice persegue qui un modello di regolazione più elastico, da un lato rendendo meno oggettivo il sistema del vincolo-autorizzazione (67) e, dall’altro, cercando di dare più spazio alle scelte di piano rispetto al vincolo, prevedendo anche l’eventuale modulazione dell’intensità del vincolo nei vasti territori individuati dalla Galasso (68).
Il diverso rilievo dei beni paesaggistici rispetto al paesaggio torna nella disposizione del Codice sul raccordo tra piani paesaggistici ed altri piani territoriali. Nel caso dei beni si afferma, infatti, che le previsioni dei primi sono “cogenti” per gli altri piani e “immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi”, mentre - nel caso del paesaggio – solo che sono “comunque prevalenti” sulle disposizioni degli altri piani. Niente di nuovo, dunque, rispetto a quanto già previsto in precedenza. In particolare – per i beni - già la legge urbanistica del 1942 disponeva per i piani urbanistici l’obbligo di recepire i vincoli di tutela delle “bellezze naturali”. Nuova, ma curiosa, è casomai la previsione che il piano paesaggistico debba prevalere anche sui piani delle aree protette, piani i cui contenuti - secondo la normativa quadro relativa a tali aree – sarebbero invece direttamente sostitutivi di quelli degli altri piani, compresi quelli paesistici. Ma appunto si tratta di una previsione che evidenzia l’atteggiamento indifferente – se non negativo – del Codice verso l’approccio ambientalista.
L’impressione che, infine, si ricava dalla lettura del Codice è che si tratta di una normativa ambiziosa, nella quale sono confluiti più intenti, ma che come risultato ha prodotto un sistema ibrido e complicato, non innovativo in particolare con riguardo agli strumenti di azione. Tra gli intenti del Codice appaiono evidenti quello – ideologico - di utilizzare il “paesaggio” in opposizione all’“ambiente”; quello, inoltre, di rendere meno rigido il sistema del vincolo paesaggistico privilegiando una gestione “dinamica” attraverso il piano paesaggistico. E forse – viste le difficoltà dell’urbanistica e della riforma dell’urbanistica - si è pensato anche di proporre il piano paesaggistico come strumento di pianificazione urbanistica-territoriale di area vasta, restituendo peraltro - elemento questo non trascurabile - un ruolo allo Stato, la cui intesa con la regione è condizione per una piena e ampia operatività del piano e diviene poi obbligatoria con le modifiche del 2008. In pratica, tuttavia, il Codice - magari complicandone la disciplina - si limita a riprendere strumenti già esistenti nella normativa preesistente.
Si è finito, insomma, per costruire ornamenti barocchi sopra la struttura preesistente di una chiesa romanica, ottenendo alla fine un ibrido destinato a suscitare pensieri incerti e ad alimentare dubbi interpretativi.
Successivamente al Codice, alcune regioni – nel solco peraltro di una tendenza legislativa, già emersa, ad ampliare i contenuti della regolazione urbanistica in direzione del “governo del territorio” e in parte della tutela del paesaggio e dell’ambiente (69) - hanno adottato leggi che, al di là dei diversi concetti e linguaggi utilizzati (70), delle diverse costruzioni normative, a volte non semplici, hanno in comune il fatto di essere leggi sul “governo del territorio”, dirette ad integrare la considerazione del paesaggio nel piano territoriale regionale e/o nel piano territoriale di coordinamento provinciale (71). Viene così ripreso il modello del piano territoriale con valenza paesistica e ambientale a suo tempo inventato dalla legge Galasso e fortunatamente, si può dire, mantenuto dal Codice Urbani.
Non sempre le previsioni delle leggi regionali sono chiare e non sono mancati rilievi critici da parte della dottrina e della giurisprudenza. Inoltre, se è forse presto per valutare lo stato di attuazione e l’operatività delle normative considerate, alcuni casi controversi di progetti di trasformazione – che hanno assunto grande rilievo sulla stampa nazionale – hanno messo in evidenza la persistente debolezza della tutela.
Resta, in linea generale, la tendenza da parte regionale a superare le visioni settoriali della normativa nazionale, muovendosi verso concetti e sistemi di regolazione volti ad integrare nella regolazione del territorio contenuti riferiti alla tutela del paesaggio e – in modo più ampio – alla tutela dell’ambiente.
 
 
4.    Dai concetti-materie ai criteri ed agli strumenti di valutazione delle “condizioni di esistenza”.
 
Tanti e diversi concetti nella giurisprudenza, tanti e diversi nella normativa, che più che portare chiarezza ha finito per introdurre ulteriori complicazioni. Alcuni concetti sono diventati materie - urbanistica, governo del territorio, paesaggio, ambiente - e molto si è discusso sui loro confini e sui loro rapporti. In effetti, sembra che proprio l’identificazione di oggetti e di interessi attraverso concetti-materie sia divenuta, nel diritto italiano, la tecnica giuridica prevalente con la quale si è cercato di definire – nella normativa come nella giurisprudenza, e da parte di ampia parte della dottrina - sia i rapporti tra i diversi interessi in ordine alle “condizioni di esistenza” (72) sia quelli tra i vari poteri pubblici a seguito dei processi di decentramento regionale: l’assetto del pluralismo sociale e di quello istituzionale davanti alla nuova questione ambientale. Quanto abbiano pesato, poi, nelle scelte fin qui adottate, le ragioni connesse ai rapporti tra interessi e quanto le esigenze di risolvere i conflitti di competenze tra poteri pubblici non appare sempre facile stabilirlo (73).
Tutto ciò non sembra aver giovato sul piano pratico. Mentre si è concentrata l’attenzione sui concetti per definire le materie, sono stati messi in secondo piano altri aspetti pure importanti, come le esigenze di aggiornamento e di riordino della normativa e come la ricerca di nuovi principi e criteri di valutazione e di nuovi strumenti di azione, che comunque a un certo punto verranno in parte introdotti grazie al diritto comunitario.
Il paesaggio in tutto questo è rimasto – proprio nel Bel Paese - un concetto in realtà evanescente. Se ne parla tanto, con intenti vari e riferendosi ad oggetti differenti (da specifiche cose immobili, a siti di ridotte dimensioni, a zone vastissime, al territorio e ambiente in genere). Nella normativa però – dopo una prima apparizione nella Parte prima della Costituzione – il termine paesaggio fino a pochi anni fa nemmeno appariva, tranne un breve cenno nella “legge ponte” del 1967.
E’ attraverso la regolazione e la pianificazione urbanistica che – come la giurisprudenza indica e auspica e in particolare le regioni sembrano voler fare – potrebbe svilupparsi una attenzione al paesaggio, con riferimento a tutto il territorio e non alle sole “bellezze naturali” tutelate dalla legge del 1939 e alle “zone di interesse ambientale” della Galasso. Ma lo sviluppo della regolazione urbanistica in tale direzione non è avvenuto se non in maniera molto limitata, affidato a interventi solo eventuali e soprattutto alla buona volontà. Si spiega forse così il continuo richiamo, apparentemente contraddittorio, della giurisprudenza alla separazione tra la materia urbanistica e quella del paesaggio: quasi si voglia dire che, certamente, c’è un al di là ambientale-paesaggistico verso il quale l’urbanistica si deve protendere, ma appunto dimostrando di essere capace di evolversi; mentre dichiarare ora la fusione tra urbanistica e paesaggio-ambiente vorrebbe dire appiattire la tutela del secondo su normative e strumenti inadeguati. Di qui il ritorno, dunque, alla separazione tra le materie come garanzia di tutela, che comunque in più casi finisce anche per coincidere con la riaffermazione della competenza dello Stato.
Finalmente il paesaggio appare nel Codice del 2004, ma paradossalmente in un contesto nel quale il posto centrale – importante, se non altro per gli sviluppi significativi che ne aveva tratto la giurisprudenza – a suo tempo attribuitogli dalla stessa Costituzione nell’art.9 viene usurpato dal nuovo concetto di “patrimonio culturale” (una nuova, ennesima, materia?).
Il paesaggio appare dunque nel Codice, ma con un significato incerto. Inoltre, il Codice riprende la definizione del paesaggio contenuta nella Convenzione europea sul paesaggio, ma introduce delle variazioni che ne distorcono il senso. Soprattutto, nemmeno nel Codice il paesaggio diviene un concetto operativo in grado di produrre effetti giuridici specifici. Non si va oltre, infatti, il richiamo di strumenti già esistenti: per i “beni paesaggistici”, quelli della legge del 1939 e della legge Galasso (che vengono tuttavia resi più “elastici” a favore di un più rilevante ruolo del piano paesaggistico), per il paesaggio in genere – riferito cioè a tutto il territorio - quelli urbanistici.
Prima e dopo il Codice, in ogni caso, il paesaggio “ordinario”, destinatario della regolazione urbanistica, non gode di alcuno statuto particolare: non ha “valore primario”. Al massimo, si riconosce l’esigenza che l’interesse al paesaggio venga rappresentato nei procedimenti decisionali per essere comparato con gli altri interessi.
Di recente, ha finito per attenuarsi, tuttavia, anche il “valore primario” degli oggetti specifici - cose, aree, zone – destinatari della tutela basata sull’applicazione del vincolo, secondo la legge del 1939 e la legge Galasso. Ciò avviene in modo evidente nella giurisprudenza sugli impianti eolici, dove l’interesse al paesaggio, pure riferito a zone vincolate, deve cedere o perché si ritiene ormai cambiato lo stesso concetto di paesaggio, in senso “dinamico”, o perché deve sottostare alla superiorità dell’interesse ambientale. In ogni caso, sia per il paesaggio “ordinario” che per gli oggetti specifici vincolati, si sta manifestando un mutamento di visioni e di impostazioni che determina il passaggio da una nozione sostanziale (riferita ad un elemento centrale consistente nel valore estetico culturale o nell’identità ambientale dell’oggetto) ad una nozione procedurale e fluida (74).
In realtà, l’affermazione del paesaggio-ambiente come “valore primario” era legata ad un momento storico particolare in cui, mentre si decideva nel febbraio del 1985 di introdurre la prima normativa di condono edilizio (75), si pensava invece - con la legge Galasso, di pochi mesi successiva - di mettere un punto fermo. Nel senso che da quel momento in poi sarebbe stata rigorosamente tutelata la specificità e alterità – oltre che delle “bellezze naturali” e degli altri beni di valore estetico-culturale – di alcuni vasti paesaggi, da salvare da ulteriori trasformazioni (a parte quelle valutate compatibili con un apposito procedimento di autorizzazione). Tale idea si basava anche sul fatto che i paesaggi da salvare, per quanto vasti, erano pur sempre individuabili in beni e aree delimitate e probabilmente erano visti ancora in gran parte come aree ‘esterne’ e ‘lontane’ rispetto ai territori dove più forti si concentravano le pressioni di altri interessi. Già la Galasso estendeva, però, non poco l’ambito territoriale della tutela e, come si è visto, da lì in poi si è fatta avanti nella giurisprudenza una visione sempre più estensiva di paesaggio. Tutto ciò mentre, per altro verso, andava crescendo la pressione di altri interessi - economici, energetici, turistici e di mobilità – finendo per indebolire fortemente le idee e gli stessi presupposti sui quali si era cercato di fondare la nuova tutela paesaggistica, come formulata dalla legge Galasso.
Si è visto che, in particolare con le sentenze sugli impianti eolici, si va oltre i modi di vedere, le impostazioni ed i concetti della legge del 1939 e della Galasso. Intanto, però, gli strumenti di tutela restano sempre gli stessi: in realtà inadeguati a gestire situazioni nuove e complesse come quelle esemplificate dagli impianti eolici. Si sa, inoltre, che quegli strumenti sono in difficoltà anche sul piano pratico per mancanza di mezzi tecnici, davanti alla vastità dei territori da tutelare e in presenza di procedure complesse (76).
Si potrebbe dire, per sintetizzare la situazione attuale, che da un lato appare ormai in difficoltà l’aspetto giuridico del bene ambientale (Giannini) che si esprime nella conservazione della specificità del bene (77), mentre dall’altro non c’è ancora la rilevanza giuridica del paesaggio concepito come “forma del territorio” o meglio “forma dell’ambiente” (Predieri) (78).
Come si può oggi sviluppare in particolare tale rilevanza giuridica del paesaggio? Gli interrogativi e le ipotesi che in proposito possono formularsi riguardano, da un lato, la regolazione urbanistica, la possibilità cioè di integrarla con criteri e strumenti in grado di far emergere e poi tutelare l’interesse ambientale-paesaggistico, ovunque si manifesti (79); il che peraltro non potrà avvenire con efficacia di risultati se non facendo in modo che tale interesse sia considerato per i suoi caratteri e scopi specifici (80). Dall’altro, la ripresa della linea di pensiero che vede il paesaggio inserito all’interno dell’ambiente, inteso qui non come materia ma in senso lato come “condizioni di esistenza’”: un percorso, dunque, inverso a quello del Codice del 2004 che conosce un paesaggio senza ambiente. Su questa via ci si dovrebbe chiedere allora se abbia ancora senso mantenere gli strumenti di tutela oggi esistenti, e casomai per quali scopi e per quali oggetti. Se non sia necessario prendere in considerazione strumenti di diverso tipo – come le valutazioni di impatto e strategiche e come, in certe situazioni, le ‘gestioni ambientali’ di territori anche ampi (81) - maggiormente capaci di tenere conto della specificità degli interessi ambientali-paesaggistici e di lavorare sulle “interazioni” (82) tra gli elementi e i fattori che definiscono la “forma dell’ambiente”.
 
 
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NOTE
 
(1)  Legge 9 gennaio 2006, n.14.
(2)  D.lgs 22 gennaio 2004, n.42, in seguito corretto ed integrato con il d.lgs 24 marzo 2006, n.157 e con il d.lgs 26 marzo 2008, n. 63.
(3)  Legge 29 giugno 1939, n.1497, Protezione delle bellezze naturali.
(4)  Legge 8 agosto 1985, n.431, che ha convertito con modificazioni il d.l. 27 giugno 1985, n.312, Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale.
(5)  Cons. St. Adunanza plenaria, n. 9 del 2001, dove viene fatto il punto sulla disciplina del paesaggio, anche con ampi riferimenti alla giurisprudenza amministrativa e costituzionale.
(6)  V. in particolare della sentenza n.379 del 1994 le parti citate più avanti alla nota 15.
(7)  V. più avanti la nota 48.
(8)  Così la sentenza n.151 del 1986.
(9)  Oltre la sentenza della Corte costituzionale n.151 del 1986, v. in tal senso la più recente sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 7667 del 2004, più avanti ricordata anche nel paragrafo 2.2.
(10)  Sentenza n.196 del 2004. Il condono in discussione era stato previsto dal d.l. 30 settembre 2003, n.269, convertito con modificazioni con la legge 24 novembre 2003, n.326, Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici.
(11) Prosegue la Corte: “in altri termini, la ‘primarietà’ degli interessi che assurgono alla qualifica di ‘valori costituzionali’ non può che implicare l’esigenza di una compiuta ed esplicita rappresentazione di tali interessi nei processi decisionali all’interno dei quali si esprime la discrezionalità delle scelte politiche o amministrative”.
(12) V. la sentenza n.367 del 2007, che dichiara non fondata la questione di illegittimità costituzionale sollevata dalla regione Toscana relativamente ad una disposizione del d.lgs 24 marzo 2006, n.157: “la tutela ambientale e paesaggistica, gravando su un bene complesso ed unitario, considerato dalla giurisprudenza costituzionale un valore primario ed assoluto, e rientrando nella competenza esclusiva dello Stato, precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali. In sostanza, vengono a trovarsi di fronte due tipi di interessi pubblici diversi: quello alla conservazione del paesaggio, affidato allo Stato, e quello alla fruizione del territorio, affidato anche alla regioni”. Dove peraltro emerge la tendenza a sottolineare una diversità di oggetti (paesaggio e territorio) e di interessi (conservazione e fruizione) e, dunque, di materie.
(13) Cons. St., Sez. IV, 21 luglio 2000 n.4076.
(14) V. l’art.10, c.2 della legge urbanistica 7 agosto 1942, n.1150, come modificato dall’art.3 della legge 6 agosto 1967, n.765, nota come “legge ponte”.
(15) Oltre la sentenza del 2000 citata alla nota 12, il cui thema decidendum è appunto la natura giuridica e i limiti del potere regionale di approvazione con modifiche, v. anche: Cons. St., Sez. IV, 19 marzo 2003 n.1456. Nella sentenza del 2000, decidendo in merito all’annullamento da parte del TAR dell’atto regionale di approvazione con modifiche per difetto di motivazione, si rileva che “la modifica destinata a tutelare il paesaggio o l’ambiente in genere, anche quando si risolve nell’imprimere ad un’area il connotato di zona agricola, non richiede una diffusa analisi argomentativa”, ma si precisa che nel caso in esame la regione si limita a ripristinare una classificazione preesistente espungendo una destinazione complementare ad insediamenti produttivi introdotta dal comune. Nella sentenza del 2003 si riconosce in generale che la destinazione a zona agricola a “salvaguardia del paesaggio o dell’ambiente” non richiede “una specifica motivazione”, anche se poi per la modificazione introdotta dalla regione si ritiene necessario – sulla base dell’art.10 della legge n.1150 del 1942 - “un giudizio di indispensabilità e che emerga almeno la consapevolezza degli effetti che derivano dal mutamento su particolari situazioni consolidatesi nel territorio”. Nel caso qui deciso infatti la modificazione interveniva incidendo su una attività produttiva preesistente ed in corso, mentre – afferma il Consiglio di Stato - non risultava chiaramente che la modificazione venisse introdotta a tutela del paesaggio o dell’ambiente.
Con la sentenza n.327 del 1990 la Corte costituzionale si è pronunciata sulla decisione con la quale la Commissione di controllo sull’amministrazione aveva annullato le deliberazioni della regione Emilia Romagna relative all’adozione del piano paesistico, sostenendo che tale piano: sarebbe indebitamente esteso a tutto il territorio invece che limitarsi ai singoli “beni ambientali”; introdurrebbe vincoli nei confronti di soggetti pubblici e privati non previsti e consentiti. La Corte ha riconosciuto in proposito la fondatezza del ricorso regionale per conflitto di attribuzioni, affermando che il piano – sulla base delle norme regionali applicate nel caso – va ricondotto alla categoria dei “piani urbanistici-territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici e ambientali”, che tali piani “trovano il loro nucleo iniziale di disciplina” nei piani territoriali di coordinamento, operano “con le tecniche e gli effetti propri degli strumenti di pianificazione urbanistica” pur in vista di obiettivi di tutela del paesaggio. La regione, esercitando la sua competenza ordinaria in materia urbanistica, ben può perciò estendere l’efficacia del piano “anche al di là della sua sfera ‘necessaria’, fino ad investire aree territoriali non comprese nella disciplina della legge n.431”, secondo una “visione organica dell’intero territorio regionale”. Inoltre, il piano avrà gli effetti di “un piano di direttive” come quelli di “un piano di prescrizioni”, secondo le previsioni in merito della legislazione regionale.
(16) Con la successiva sentenza n.379 del 1994, la Corte si pronuncia sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal pretore di Salerno in ordine ad una legge della regione Campania che violerebbe i principi fondamentali della legge Galasso (in particolare: il vincolo può riguardare solo beni determinati) nella parte in cui vieta il rilascio di concessioni edilizie da parte di tutti i comuni dell’area sorrentina-amalfitana fino alla approvazione di piani regolatori adeguati al piano urbanistico regionale. La Corte dichiara non fondate le questioni, stavolta insistendo anche sulla scelta della legge Galasso di andare oltre la tutela di singole “bellezze naturali” verso una “tutela del paesaggio improntata a integralità e globalità”. Riprende comunque l’argomento dell’ “allargamento della disciplina urbanistica”, citando in proposito l’art. 80 del D.P.R. n.616. Poi – pur ribadendo che pianificazione urbanistica e paesistica restano “ontologicamente distinte” in ragione dei diversi obiettivi perseguiti ( la gestione del territorio a fini economico-sociali, dalla prima; la tutela dei valori estetico-culturali, dalla seconda) – afferma che la concezione “dinamica” del paesaggio da un lato e la “più ampia apertura” del concetto di urbanistica dall’altra hanno per risultato “una sorta di mutualità integrativa per effetto della quale la tutela dei valori paesaggistici-ambientali si realizza anche attraverso la pianificazione urbanistica”. Fatto questo riconosciuto – sottolinea la Corte - dalla legge Galasso, appunto con la previsione dei piani urbanistici a valenza paesaggistica.
(17) Così espressamente entrambe le sentenze citate alla nota precedente.
(18) Di rilievo, in proposito, anche la più recente sentenza della Corte costituzionale n.232 del 2005 che decide in merito al ricorso del governo avverso la legge n.11 del 2004 della regione Veneto sul governo del territorio, dichiarandolo non fondato almeno in ordine all’art. 40 della legge, che amplia l’ambito di tutela dei beni culturali ad opera del piano di assetto territoriale della regione. La Corte nella sentenza – commentando l’art.117, secondo comma lettera s della Costituzione – sottolinea, tra l’altro, la “connessione della tutela e valorizzazione dei beni culturali con la tutela dell’ambiente” ed afferma che “non è discutibile che i beni immobili di valore culturale caratterizzano e qualificano l’ambiente”. Precisa poi, in particolare, che non vi è dubbio che “tra i valori che gli strumenti urbanistici devono tutelare abbiano rilevanza non secondaria quelli artistici, storici, documentari e comunque attinenti alla cultura nella polivalenza di sensi del termine”, e precisa, con riferimento al piano di assetto territoriale regionale, che la “disciplina regionale è in funzione di una tutela non sostitutiva di quella statale, bensì diversa e aggiuntiva”, il che peraltro consente anche l’eventuale identificazione da parte regionale di altri beni culturali, “purchè…essi si trovino a far parte di un territorio avente una propria conformazione e una propria storia” (qui la Corte richiama anche la precedente sentenza n.94 del 2003).
(19) La legge, che contiene “Norme urgenti di provvisoria salvaguardia per la pianificazione paesaggistica e la tutela del territorio regionale”, prevede tra l’altro – fino all’approvazione del piano paesaggistico e comunque per un periodo non superiore a diciotto mesi – la salvaguardia dei “territori costieri compresi nella fascia entro 2000 metri dalla linea di battigia marina, anche per terreni elevati sul mare”. La Corte – in risposta agli argomenti del ricorrente secondo il quale la regione non sarebbe titolare di competenza in materia paesaggistica ed avrebbe adottato misure di salvaguardia illogiche e irragionevoli in relazione alla disciplina statale sulla tutela del paesaggio - ha sottolineato che, interpretando lo statuto alla luce delle norme di attuazione che disciplinano la competenza regionale “edilizia ed urbanistica”, è “evidente” che la regione può “intervenire in relazione ai profili di tutela paesaggistico-ambientale”.
(20) In proposito la Corte ricorda – con riferimento al caso specifico – che la regione Sardegna già con la legge n.45 del 1989 aveva previsto e disciplinato i piani territoriali paesistici e che la legge n.8 del 2004 solo in parte modifica la legge n.45, “particolarmente per ciò che concerne il recepimento nella Regione Sardegna del modello di pianificazione paesaggistica fondato sul piano urbanistico-territoriale, appunto attualmente contemplato nel richiamato art.135, comma 1, del codice”.
(21) Così la sentenza della Corte costituzionale n.379 del 1994 già ricordata alla nota 16.
(22) Sentenza n.239 del 1982. La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata nel corso di procedimenti penali sulla base della considerazione – tra le altre – che la normativa regionale travalicherebbe l’ambito della competenza regionale limitata all’urbanistica invadendo quella statale relativa al paesaggio.
(23) In senso lato, invece, la formula della “protezione dell’ambiente” secondo la Corte “comprende, com’è comunemente ammesso, oltre la protezione ambientale collegata all’assetto urbanistico del territorio, anche la tutela del paesaggio, la tutela della salute nonché la difesa del suolo, dell’aria e dell’acqua dall’inquinamento”.
(24) Sentenza n.151 del 1986.
(25) In particolare, si imputava alla legge regionale: di prevedere la modulazione del regime autorizzatorio in assenza della prevista previa intesa con lo Stato; di spostare a livello dei “piani strutturali” dei comuni i contenuti del piano paesaggistico di competenza regionale.
(26) Cons. St., Sez. VI, n. 7667 del 2004. Il Consiglio cita come precedenti, oltre la propria pronuncia della Sez. VI n.29 del 1993, la sentenza della Corte costituzionale n.151 del 1986 sulla legge Galasso, qui già ricordata.
(27) Si può vedere, ad esempio, la sentenza del TAR Emilia Romagna n.262 del 2001 che dichiara infondato il ricorso di un privato nel quale si sosteneva che l’intervento da realizzare rientrava tra quelli comunque consentiti dal piano territoriale paesistico regionale. Il TAR afferma al contrario che resta fermo il potere autorizzatorio in quanto il piano non supera i vincoli ma ne costituisce lo “strumento di attuazione”, né conseguentemente “può mai derogare …alla necessità dell’autorizzazione”; casomai il piano può essere più severo, precludendo ogni autorizzazione. La sentenza del TAR a sua volta cita come precedenti la sentenza della Corte costituzionale n.327 del 1990, qui già ricordata, e la pronuncia del Cons. St. Sez.VI n.106 del 1998.
(28) Cons. St. Adunanza plenaria, n. 9 del 2001, qui già citata.
(29) Cass. Sez. III penale, n.11716 del 2001.
(30) Ne consegue, secondo la Corte, che, nei procedimenti di formazione dei piani di lottizzazione in esame, dovevano perciò trovare integrale applicazione sia gli standard relativi all’assetto urbanistico imposti con la legge regionale, sia le disposizioni di tutela paesaggistica previste dalla legge Galasso.
(31) Cass. Sez. III penale, n.451 del 2006.
(32) Che sarebbero, in maniera “classica”, nel caso dell’urbanistica “l’ordinato assetto del territorio” e nel caso del paesaggio la “conservazione della funzione estetico culturale del bene-valore”.
(33) Più precisamente: “quand’anche la prevenuta dovesse ottenere la compatibilità paesaggistica per l’abuso paesaggistico commesso, non potrebbe evitare la condanna per l’abuso edilizio e la conseguente demolizione del manufatto illecitamente realizzato”. Il “condono paesaggistico” è quello introdotto dal comma 37 dell’articolo unico della legge n.308 del 2004.
(34) TAR Sicilia, Palermo, Sez. II, n.150.
(35)  V. TAR Sicilia, Palermo, Sez. I, n.1671 del 2005. Non riprende – come argomento decisivo della decisione - il richiamo all’interesse ambientale invece l’ulteriore sentenza del TAR Sicilia, Palermo, Sez.II, n.1398 del 2006. Entrambe le sentenze, peraltro, diversamente dalla sentenza n.150 che non contiene indicazioni precise in merito alla fonte del vincolo, citano il decreto assessorile con il quale era stato dichiarato l’eccezionale interesse paesaggistico dell’area interessata.
(36) Si tratta – v. le sentenze citate alla nota che segue - della finalità della “riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra”, che peraltro “costituisce un impegno internazionale assunto dallo Stato italiano”.
(37)  V. le sentenze del Cons. St. Sez. VI, n.680 e n.971 del 2005. Entrambe le sentenze accolgono i ricorsi della società Enel Green Power contro sentenze del TAR Molise, che aveva invece respinto i ricorsi contro provvedimenti della Soprintendenza di annullamento di atti regionali favorevoli (pareri di fattibilità subordinati a talune prescrizioni) all’istallazione di centrali eoliche. Il TAR aveva accolto invece la valutazione della Soprintendenza secondo la quale i provvedimenti regionali violavano i vincoli paesaggistici, in sostanza modificandoli.
(38) TAR Molise n.20 del 2007. V., inoltre, in senso analogo – rispetto ad una sospensione sine die nelle more della adozione di un disciplinare – già la decisione del TAR Campania, Napoli, Sez.VII, n.10412 del 2006.
(39)  V. il d.lgs 29 dicembre 2003, n.387, Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità.
(40) Sia il procedimento di autorizzazione unica che il termine massimo sono stati qualificati come principi fondamentali della materia dalla sentenza della Corte costituzionale n. 364 del 2006, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della moratoria disposta dalla legge della Puglia n.9 del 2005.
(41) La dichiarazione di notevole interesse pubblico per le bellezze naturali o paesaggistiche e il piano paesaggistico per le zone di interesse ambientale.
(42) V., ad esempio, la decisione del Cons. St., Sez.VI, n.4561 del 2002, dove - precisato che l’autorizzazione paesaggistica non può risolversi in una obiettiva deroga al vincolo ma al contrario ha il compito di “accertare in concreto la compatibilità dell’intervento col mantenimento e l’integrità del valore dei luoghi”- si afferma che per dichiarare la compatibilità di un’opera non basta il fatto che sia – come insiste l’atto di appello - “di modeste dimensioni e ben mimetizzata nella vegetazione”; l’intervento di modificazione infatti andava valutato con riferimento ai “valori di effettiva integrità” tutelati dal vincolo, come emergono dal decreto di dichiarazione di interesse pubblico della zona. V., inoltre, Cons.St., Sez.VI, n.5723 del 2004, dove si fa riferimento al decreto che definisce il quadro naturale del golfo di Gaeta come “bellezza panoramica di insieme” per contestare la pretesa che il mare – per la precisione, “sia la costa che il tratto di mare prospiciente” - non sia incluso nel quadro stesso.
(43) TAR Sardegna , Sez.II, n.98.
(44) La legge regionale n.8 del 2004, art. 8 comma 3, prevede il fermo dei cantieri di realizzazione di impianti eolici non autorizzati con procedura di valutazione di impatto ambientale, a meno che i lavori non abbiano prodotto “una modifica irreversibile dello stato dei luoghi”.
(45) Si tratta della sentenza n.150 del 2005.
(46) TAR Sardegna, Sez.II, n.226 del 2006.
(47) TAR Sardegna, Sez.II, n.2082 del 2006.
(48) Con riferimento all’art. 117, comma 2 lett.s la Corte costituzionale, nella sentenza n.51 del 2006, relativa alla legge n.8 del 2004 della Sardegna e qui già ricordata, afferma che la materia “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” va considerata “comprensiva tanto della tutela del paesaggio quanto della tutela dei beni ambientali o culturali”.
(49) Corte Cost., n. 407, che dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal governo contro una legge della regione Lombardia che dettava norme sulle attività a rischio di incidenti rilevanti.
(50) Lo stesso non sembra possa dirsi, secondo la Corte, della tutela dei beni culturali, materia che infatti – v. la sentenza n.232 del 2005 qui già ricordata - “ha un proprio ambito materiale, ma nel contempo contiene l’indicazione di una finalità”.
(51) Nella sentenza della Corte costituzionale n.407 del 2002 si parla anche del “potere di fissare standard di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale”. In seguito, la sentenza della Corte costituzionale n. 536 del 2002, decidendo l’illegittimità di una legge della Sardegna sulla protezione della fauna e la caccia, aggiungerà che si tratta di standard di tutela “minimi”; la sentenza n.135 del 2005 - dove si decide a favore dello Stato un conflitto di attribuzioni in ordine a compiti di controllo per la prevenzione di incidenti rilevanti – affermerà che l’ambiente necessita di una disciplina uniforme statale che comprende anche “le potestà amministrative necessarie a garantire l’adeguatezza degli standard di precauzione”. Ribadisce la linea giurisprudenziale sulla “trasversalità”, ma sembra tornare ad una distinzione, se non di materie, di oggetti, la recente sentenza della Corte costituzionale n.378 del 2007 che – decidendo sul ricorso del governo contro una legge della Provincia di Trento sui rifiuti e sulla conservazione degli habitat naturali - distingue tra il “bene giuridico ambiente in senso unitario” – oggetto di competenza esclusiva dello Stato – e “altri beni giuridici, aventi ad oggetto componenti o aspetti del bene ambiente”, sui quali insistono interessi alla utilizzazione disciplinati anche dalle regioni nel rispetto dei limiti fissati dalla disciplina statale.
(52) Così la sentenza della Corte costituzionale n.212 del 2006 che - decidendo sul ricorso del governo contro la legge regionale della regione Umbria sulla raccolta, coltivazione, conservazione e commercio dei tartufi - considera “risorsa ambientale” il “patrimonio tartuficolo” regionale. Quanto al termine valorizzazione – nel quale può privilegiarsi ora il profilo del ripristino e del restauro ambientale (in chiave di “conservazione”, cioè), ora il profilo economico (fino alla “privatizzazione”, secondo alcuni) – la sentenza, trattando risorse che hanno valore economico, non può se non vedere l’aspetto appunto economico della valorizzazione, richiamando comunque il principio del “razionale sfruttamento” del bene.
(53) Secondo l’art.5 della Convenzione ogni parte firmataria si impegna, tra le varie attività, ad “integrare il paesaggio nelle politiche di pianificazione del territorio, urbanistiche e in quelle a carattere culturale, ambientale, agricolo, sociale ed economico, nonché nelle altre politiche che possono avere un’incidenza diretta o indiretta sul paesaggio”.
(54)  Alcune di tali componenti erano già o saranno oggetto di ulteriori leggi specifiche, ma di contenuto vago e non attuate come nel caso della fascia costiera, oppure aventi finalità di riordino istituzionale e di sostegno sociale ed economico, come nel caso della montagna. Sono oggetto, inoltre, di una ulteriore disciplina relativa alla difesa del suolo che – avendo per riferimento un ambito territoriale diverso e specifico, il bacino idrografico - prende in considerazione più componenti territoriali insieme, con propri strumenti di piano e di gestione. Benché il problema della tutela dei territori coperti da foreste o boschi “ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco” venisse già considerato dalla legge Galasso con l’apposizione appunto del vincolo paesaggistico, l’emergenza in questo campo detterà più tardi delle normative apposite, con loro organi di attuazione e strumenti, peraltro finora quasi sempre inefficaci.
(55) V., retro, la nota 14.
(56) Analogamente si prevede in sede di approvazione dei piani particolareggiati. In tal caso, inoltre, si precisa – art. 16, c.3 e 7 della legge urbanistica - che i piani nei quali sono comprese “cose immobili” soggette alla legge “sulla protezione delle bellezze naturali” vanno preventivamente sottoposti alla soprintendenza o al ministero competente.
(57) Così è avvenuto ad opera di interventi per la realizzazione di opere pubbliche e di infrastrutture, di piani e programmi speciali (per gli insediamenti industriali e commerciali, per i trasporti, ecc.), di forme varie di contrattazione (accordi, intese, ecc.).
(58)  V., in merito la sentenza n. 51 del 2006 della Corte costituzionale, qui già citata.
(59)   Sulla scia dell’invenzione della Galasso, anche il d.lgs n.112 del 1998 aveva immaginato l’eventuale adozione di un piano territoriale di coordinamento provinciale in grado di assumere “il valore e gli effetti dei piani di tutela nei settori della protezione della natura, della tutela dell’ambiente, delle acque e della difesa del suolo e della tutela delle bellezze naturali”.
(60)  D.lgs 22 gennaio 2004, n.42, in seguito corretto ed integrato con il d.lgs 24 marzo 2006, n.157 ed ulteriormente modificato con il d.lgs 26 marzo 2008, n.63. Con tale ultima modifica è stata resa obbligatoria la collaborazione tra lo Stato e la regione per il piano paesaggistico e sono stati rafforzati i poteri delle soprintendenze rendendo vincolante il loro parere sulle autorizzazioni paesaggistiche; in entrambi i casi, però, solo per i “beni paesaggistici” (singoli monumenti e siti, le “zone di interesse ambientale” della Galasso) e non per i paesaggi “ordinari”.
(61)  Il concetto di “patrimonio culturale” era già stato utilizzato – per includervi anche, tra gli altri, i beni di interesse “ambientale e paesistico” – dalla relazione della Commissione Franceschini, Per la salvezza dei beni culturali in Italia, Atti e documenti della Commissione di indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio, Casa editrice Colombo, Roma, 1967. L’indagine effettuata, ampia e approfondita, concentrava fondamentalmente la sua attenzione sui beni culturali.
(62) Gli altri valori citati dal Codice sono quelli storici, culturali, morfologici e estetici del territorio.
(63)  Dare applicazione all’elemento della percezione in pratica potrebbe essere una operazione non semplice. E’ evidente, comunque, che specialmente di certi paesaggi è difficile e anzi non ha senso dare una valutazione considerando solo la percezione delle “popolazioni” locali. Il valore - ad esempio - del golfo di Napoli o della laguna veneta è legato alla percezione di più collettività, quella nazionale, quella europea e addirittura quella mondiale. Diversamente dal testo in italiano e in francese (anche qui si parla di “populations”) della Convenzione, nel testo in inglese l’uso del generico termine “people” sembra rinviare infatti ad un “pubblico” vasto. Nel sito del Consiglio di Europa – www.coe.int/conventioneuropéennedupaysage– presentando il contenuto della Convenzione si specifica che, parlando di “popolazioni”, si fa riferimento agli abitanti del luogo o ai visitatori.
(64)  O quello urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici, introdotto – come si è visto – dalla legge Galasso e conservato dal Codice.
(65)  Degli ambiti si diceva solo, nella prima versione dell’art.135, che, “in base alle caratteristiche naturali e storiche”, vanno “definiti in relazione alla tipologia, rilevanza ed integrità dei valori paesaggistici”.
(66)  Così nell’art.135. L’art.143 nella nuova versione del 2008 prevede anche la “individuazione delle misure necessarie per il corretto inserimento degli interventi di trasformazione del territorio nel contesto paesaggistico al fine di realizzare uno sviluppo sostenibile delle aree interessate”.
(67)  Infatti, il divieto di portare pregiudizio all’ “esteriore aspetto che è oggetto di protezione”, contenuto nella normativa preesistente, diviene nel Codice divieto di modificazioni che “rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione” e, conseguentemente, l’autorizzazione diviene una verifica di “compatibilità rispetto ai valori paesaggistici” o “compatibilità paesaggistica” nella nuova versione del 2008. Si passa insomma da un criterio più oggettivo, “freddo”, ad uno di valore, più soggettivo.
(68)  Solo se stipulata, però, la prevista previa “intesa” con lo Stato per l’elaborazione congiunta del piano paesaggistico.
(69)  A.Predieri, nella voce Paesaggio dell’Enciclopedia del Diritto, Giuffè Editore, Milano, 1981, registrava un vero e proprio mutamento della tecnica legislativa, perché – notava - le leggi regionali, diversamente dalla legge urbanistica del 1942 che disciplinava soprattutto il procedimento di piano, tendevano ad entrare nel dettaglio dei contenuti dei piani urbanistici con regole che riguardavano appunto “se non la globalità delle interrelazioni agenti sul territorio, almeno un’amplissima parte di esse”, estendendo peraltro la tutela al di là dei beni vincolati in base ai criteri della regolazione paesaggistica. Anche M.S.Giannini, in La potestà delle regioni in materia di governo del territorio, in AA.VV, Insediamenti territoriali e rapporti fra uomo e ambiente: criteri e metodologie, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, 1976, constatata la preoccupante mancanza di un modello in grado di prendere il posto del comune come “centro di riferimento per i processi di tutela dell’ambiente”, lo cercava e in parte lo ritrovava nella regione, la cui capacità di essere sede di una urbanistica concepita come “gestione del territorio” vedeva confermata dagli sviluppi in corso delle leggi regionali.
(70)  La legge della Campania n.16 del 2004 tra gli obiettivi indica la tutela della “integrità fisica” e della “identità culturale” del territorio, attraverso la valorizzazione delle “risorse paesistico-ambientali” e “storico culturali”. Introduce inoltre – in sede di definizione dei contenuti del piano territoriale regionale – il concetto di “rete ecologica”, alla quale dovranno essere connesse l’ “integrità” e l’ “identità” di cui sopra. La legge della regione Toscana n.1 del 2005 vede il “governo del territorio” in funzione dello “sviluppo sostenibile”. Introduce il concetto di “risorse territoriali ed ambientali”, oggetto di tutela e valorizzazione, ma la cui utilizzazione “deve comunque avvenire garantendo la salvaguardia e il mantenimento dei beni comuni”, concetto questo che appare preso dal linguaggio delle scienze economiche ed ecologiche e non riconducibile a quello – giuridico - di “beni ambientali”. Dei “beni comuni” si dice, infatti, che sono “patrimonio della collettività” e si specifica che le “risorse essenziali del territorio” sono quelle costituite dagli elementi naturali e culturali elencati dalla legge: aria, acqua, suolo e ecosistemi della fauna e della flora; città e sistemi degli insediamenti; paesaggio e documenti della cultura; sistemi infrastrutturali e tecnologici. Ne emerge una visione integrata – si potrebbe dire “ambientale” - che unifica elementi culturali e naturali, soggettivi ed oggettivi. La traduzione di tale prospettiva integrata nella pianificazione territoriale viene quindi realizzata attraverso due nuovi concetti-strumento: quello di “invariante strutturale” e quello di “statuto del territorio”. Il primo concetto, però, non appare chiaramente definito e spiegato dalla legge, che invece elenca una serie di oggetti che in esso vanno ricompresi e indica il fine per il quale è pensato: “ le risorse, i beni e le regole relative all’uso…nonché i livelli di qualità e le relative prestazioni minime…del territorio da sottoporre a tutela al fine di garantire lo sviluppo sostenibile”. Quanto al secondo concetto – “statuto del territorio” – è la parte del piano territoriale che ricomprende le “invarianti strutturali”, quali – e si accenna qui un elemento di definizione – “elementi cardine dell’identità dei luoghi”. Appare, poi, una conferma e forse un ampliamento (in senso ambientale) del contenuto del vincolo paesaggistico – ma anche di altri vincoli di tutela non riconducibili alla specifica normativa paesaggistica - l’ulteriore indicazione delle “invarianti strutturali” come “accertamento delle caratteristiche intrinseche e connaturali dei beni immobili”, dal quale conseguono “limitazioni alle facoltà di godimento” che non danno luogo ad alcun indennizzo. Le “invarianti” e lo “statuto” sono elementi che dovranno essere inseriti in ogni livello di pianificazione strutturale: il piano regionale di indirizzo territoriale, il piano territoriale di coordinamento provinciale e il piano strutturale comunale. Tutti gli strumenti di pianificazione sono anche sottoposti alla “valutazione integrata degli effetti territoriali, ambientali, sociali ed economici e sulla salute umana”.
(71)  Per la legge della Toscana n.1 del 2005 è lo “statuto” del territorio – contenuto nel piano territoriale regionale - che ha valenza di piano paesaggistico. Secondo la legge della Campania n.16 del 2004, mentre il piano regionale fisserà gli indirizzi, spetta al piano territoriale di coordinamento provinciale individuare, tra l’altro, gli “elementi costitutivi” del territorio con riferimento alle “caratteristiche naturali, culturali, paesaggistico-ambientali”, dettare “disposizioni volte ad assicurare la tutela e la valorizzazione dei beni ambientali e culturali”. Conseguentemente, si specifica che il piano provinciale ha valore e portata di piano paesaggistico ai sensi del Codice Urbani. Per la legge della regione Lombardia n.12 del 2005 è, invece, il “piano territoriale regionale” ad avere valenza di piano territoriale paesaggistico con prescrizioni cogenti per gli strumenti di pianificazione delle province, dei comuni e delle aree protette, che potranno comunque introdurre “ulteriori prescrizioni conformative di maggiore definizione”. Anche la legge della regione Friuli Venezia Giulia n.5 del 2007 prevede che il piano territoriale regionale abbia “valenza paesaggistica”, secondo quanto previsto dal Codice Urbani, e precisa che il piano contiene “prescrizioni finalizzate alla tutela delle aree di interesse naturalistico e paesaggistico” previste dalla normativa comunitaria e nazionale. La legge del Veneto n.11 del 2004 dispone che la regione – “in via sperimentale e in funzione” della approvazione di un nuovo “piano territoriale regionale di coordinamento” quale “piano urbanistico territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici” – individui gli ambiti paesaggistici “nei quali avviare prioritariamente una pianificazione paesaggistica”.
(72)  Si fa riferimento qui ad una espressione di Federico Spantigati – Le categorie giuridiche necessarie per lo studio del diritto dell’ambiente, in Rivista giuridica dell’ambiente, 1999, n.2 - secondo il quale “non c’è un oggetto che si chiami ambiente. C’è un interesse soggettivo a condizioni di esistenza che si chiamano ambiente”.
(73)  Le ragioni del pluralismo degli interessi e di quello istituzionale hanno finito spesso per confondersi. Ad esempio, si è invocata la separazione tra le materie per restituire potere allo Stato contro il pan-urbanismo regionalista in nome degli interessi della tutela ambientale e paesaggistica, ma è poi proprio dai governi centrali che, più volte, è venuto il vulnus dei condoni edilizi e poi c.d. “ambientali”, ed allora si è sostenuto, anche dalla giurisprudenza costituzionale, il ruolo della regione a tutela degli interessi ambientali-paesaggistici. Oppure, in altri casi, in presenza di scelte relative a particolari infrastrutture destinate ad avere un forte impatto su determinate aree e certamente bisognose di attente valutazioni, non si riesce sempre a capire quanto sulle ragioni in campo pesino realmente interessi collettivi oppure poteri istituzionali. Ed è, alla fine, il pluralismo degli interessi che appare soprattutto perdente, per la mancanza di strumenti appositi che ne consentano l’espressione.
(74)  Con un mutamento di prospettiva che, peraltro, sembra togliere fondamento all’idea che esista una categoria di beni che “originariamente è di interesse pubblico”, con la quale - a partire dalla nota sentenza n.56 del 1968 - la Corte costituzionale aveva spiegato la mancanza di una garanzia costituzionale dell’indennizzo nei casi di imposizione del vincolo paesaggistico.
(75)  Con la legge 28 febbraio 1985, n.47, Norme in materia di controllo dell’attività urbanistica-edilizia. Sanzioni amministrative e penali.
(76)  Sulle “armi spuntate” della tutela del paesaggio e le difficoltà delle soprintendenze, v., con numerosi dati, A.Cherchi e F.Nariello, Più di 170mila insidie nelle aree tutelate, Il Sole-24 Ore, 18 giugno 2007.
(77)   V. M.S. Giannini, Ambiente: saggio sui diversi suoi aspetti giuridici, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1973, n. 1.
(78)  V. A.Predieri, Significato della norma costituzionale sulla tutela del paesaggio, in A.Predieri, Urbanistica, tutela del paesaggio, espropriazione, Giuffrè Editore, Milano, 1969, p.3 e ss. e A.Predieri, Paesaggio, cit.
(79)  Per evitare situazioni, sempre più frequenti - come evidenziano numerosi casi recenti - di previste trasformazioni del territorio di forte impatto sul paesaggio, ma “in regola” dal punto di vista dell’urbanistica.
(80)  E’ grande merito di Federico Spantigati avere avviato e sviluppato la riflessione giuridica sulla natura dell’interesse ambientale, mettendo in luce quali conseguenze ne derivino su alcune categorie giuridiche fondamentali e sull’uso del diritto. Ne consegue che il processo qui ipotizzato non può concepirsi come una mera estensione della disciplina urbanistica, bensì come una sua trasformazione.
(81)  Si fa qui riferimento, oltre che alle aree protette, alle “gestioni ambientali” realizzate da soggetti adeguati e specializzati su aree anche molto vaste da essi acquisite, sulle quali v. C.Desideri e E.A.Imparato, Beni ambientali e proprietà, I casi del National Trust e del Conservatoire de l’espace littoral, Giuffrè Editore, Milano, 2005.
(82)  Così A.Predieri, Paesaggio, cit.

 
 
 

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