Marco OLIVETTI, La forma di governo e la legislazione elettorale: Statuti “a rime obbligate”? (Luglio 2007)
AVVERTENZA: Versione aggiornata della relazione presentata dall’autore – ordinario di diritto costituzionale nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Foggia – al Convegno organizzato dall’ISSiRFA-CNR su “I nuovi statuti delle Regioni ad autonomia ordinaria”(Roma, Sala del Cenacolo della Camera dei Deputati, 4.7.2005).
Sommario:
3.2.1. Il nomen iuris
3.2.2. Il numero dei consiglieri
9. Conclusioni.
Una pur sommaria analisi della forma di governo e dei sistemi elettorali previsti nei nuovi statuti e nelle nuove leggi elettorali adottati nelle Regioni ordinarie sulla base della legge cost. n. 1/1999 richiede alcune osservazioni preliminari, volte a precisare l’oggetto della trattazione.
In primo luogo si muove in questa sede da una nozione minimale di forma di governo regionale, intesa come sistema di regole sulla individuazione degli organi regionali di governo, sulle modalità di preposizione a tali organi, la loro composizione (nel caso di organi collegiali), sui loro poteri e sui rapporti fra di essi. Non si intende quindi tornare sull’interrogativo (pur rilevante per altri aspetti) circa il significato della locuzione “forma di governo regionale” nell’art. 123 Cost., vale a dire della questione dell’estensione dell’ambito di competenza rimesso dalla riforma costituzionale del 1999-2001 allo statuto della Regione ordinaria (1).
Peraltro, l’analisi delle nuove disposizioni statutarie sulla forma di governo delle Regioni ordinarie deve tenere conto non solo dei rapporti interorganici, ma anche di altri fattori, normativi e fattuali.
Da un lato, la definizione dell’oggetto che qui si è proposta presuppone una nozione chiara e distinta di “organi regionali di governo”. Per taluni aspetti questa nozione sembrerebbe a portata di mano, sia in quanto la nozione di “governo” che qui si presuppone, per quanto generica, ha alla base la attribuzione ai relativi organi di poteri autoritativi, nelle varie forme che il costituzionalismo conosce; sia in quanto la recente giurisprudenza costituzionale in materia di poteri sostitutivi (2) ha elaborato una nozione di “organi di governo” che può risultare utile anche ai fini che ci interessano. Ma occorrerebbe chiedersi in che misura concorrano a delineare la forma di governo regionale anche organi non aventi poteri autoritativi come il Consiglio delle autonomie locali, gli organi di garanzia, i difensori civici e gli organi di partecipazione delle autonomie sociali come i Consigli regionali dell’Economia e del Lavoro o le Commissioni pari opportunità et similia.
D’altro canto, una analisi della forma di governo che si limitasse a tenere conto dei poteri autoritativi formalmente previsti dall’ordinamento rischierebbe di rinunciare alle acquisizioni ormai incontroverse della nostra dottrina circa il ruolo dei partiti politici (3). Si tratta di acquisizioni che già negli anni settanta erano state utilizzate per evidenziare che il rendimento della forma di governo parlamentare a tendenza assembleare era stato diverso nelle varie Regioni non tanto in ragione dei differenti poteri formali di Consiglio, Giunta e Presidente, quanto a causa delle diverse culture politiche locali (e qui aveva un peso, anche se non assoluto, la discriminante Nord-Sud) e dei diversi sistemi di partito (Regioni “rosse”, Regioni “bianche” e Regioni in bilico, con alternanza possibile) (4).
Infine non va dimenticato che l’assetto della forma di governo è condizionato anche dai poteri che alcuni organi acquisiscono in sedi esterne all’organizzazione politica regionale. E’ il caso del Presidente della Giunta in Conferenza Stato-Regioni (5), ma anche del ruolo del Presidente stesso nelle varie forme di azione esterna dell’ente Regione – nelle relazioni con altre Regioni, con lo Stato, con l’Unione europea, con altri Stati e con enti territoriali interni ad essi (6) e – sia pure in misura minore – con gli enti locali infraregionali (7) e, più in generale, del loro ruolo nell’arena politica nazionale (8): tutto ciò attribuisce al Presidente un ruolo di “sutura” nei rapporti interordinamentali. A ciò si aggiunga il ruolo svolto dai leaders nella società della comunicazione, che tende a semplificare e a svalutare le articolazioni interne dei corpi politici (9). Tutti questi fattori operano in favore della presidenzializzazione dei sistemi istituzionali e politici regionali (10).
Detto tutto ciò, le pagine che seguono hanno ad oggetto l’analisi delle disposizioni dei nuovi statuti relative alla forma di governo. Ma non è inutile accostarvisi sapendo che esse non possono e non vogliono dirci tutto quanto è giuridicamente rilevante in relazione al nostro oggetto.
2. La questione centrale posta dalla legge cost. n. 1/1999: la potestà di deroga all’elezione diretta e la sua eclissi
L’analisi della disciplina della forma di governo contenuta nei nuovi statuti che ad oggi sono in vigore (11) fa emergere un quadro che si può sintetizzare non tanto con la categoria costituzionale della omogeneità (12), quanto con quella – ben diversa – della uniformità (13).
E’ noto, infatti, che la legge costituzionale n. 1/1999 si basava su due opzioni di fondo, che avevano trovato in essa un delicato punto di equilibrio: da un lato l’introduzione – con norma costituzionale transitoria e direttamente modificativa degli statuti ordinari del 1971 – dell’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e di una serie di regole connesse a tale opzione (e di solito riassunte nel principio simul stabunt, simul cadent); dall’altro la ridefinizione del procedimento di formazione, del contenuto e dei limiti dello statuto regionale (14). Quest’ultimo, in base alla legge cost. n. 1/1999 è l’atto deputato a regolare la “forma di governo regionale”, nei limiti dei precetti costituzionali, ma con la facoltà di sostituire la forma di governo indicata come preferenziale (quella, appunto, caratterizzata dall’elezione diretta del Presidente e dal principio simul stabunt, simul cadent, riprodotta nel modello standard della forma di governo delineato negli articoli 121, 122 e 126 Cost.) con una delle possibili varianti della forma di governo parlamentare.
Lo statuto era dunque un tassello di rilevanza strategica, che si vedeva riconosciuta una potestas variandi idonea a differenziare sensibilmente fra loro le forme di governo delle varie Regioni. Tale potestà, nel sistema creato dalla legge cost. n. 1/1999, sembrava poter essere utilizzata in tre diverse possibili direzioni, che possono essere ordinate in base all’intensità dell’innovazione:
a) la già ricordata sostituzione della forma di governo transitoria di cui all’art. 5 della legge cost. citata (e della forma di governo standard indicata negli art. 121, 122 e 126 Cost., quasi del tutto coincidente con quella transitoria) con un diverso modulo di regolazione dei rapporti fra gli organi di governo regionali (consistente per lo più in una delle varianti possibili all’interno della forma di governo parlamentare);
b) la configurazione della forma di governo di legislatura con premierato elettivo in uno degli equilibri su cui essa è suscettibile di assestarsi: di tipo neo-parlamentare, in continuità con gli equilibri delineati nella forma di governo transitoria, ovvero di tipo neo-presidenziale, sulla base di una più chiara distinzione fra il Presidente e la maggioranza del Consiglio regionale (15);
c) la ricerca di equilibri fra esecutivo e legislativo che, pur rimanendo all’interno della variante neo-parlamentare del sistema di governo di legislatura con premierato elettivo, dosassero i checks and balances fra gli organi di governo, eventualmente al fine di recuperare per il Consiglio regionale un ruolo più significativo di quello – dai più ritenuto insoddisfacente – risultante dalla prassi delle Regioni nel periodo successivo all’entrata in vigore della riforma costituzionale del 1999.
La storia degli anni che ci separano dall’entrata in vigore di tale riforma si è tuttavia incaricata di delimitare drasticamente i margini di operatività della potestas variandi statutaria. Il clima dell’opinione pubblica – ritenuto nettamente favorevole all’elezione diretta dei Presidenti regionali (come si è potuto vedere nel referendum statutario della Regione Friuli-Venezia Giulia del 29 settembre 2002) – e la giurisprudenza costituzionale (16) hanno reso impraticabile la forma più drastica di variatio, rappresentata dal ritorno al governo parlamentare o dalla c.d. “indicazione” del Presidente della Giunta.
La legislazione statale in materia elettorale, a sua volta, pur avendo assunto la forma – più unica che rara, nella nostra esperienza legislativa – di una vera e propria legge di soli principi (17), avendo previsto la necessaria contestualità dell’elezione del Presidente della Giunta e del Consiglio regionale (vincolo, questo, che non è immediatamente ricavabile dalle norme costituzionali sulla forma di governo regionale standard (18)), ha accentuato il rapporto di continuità tra Presidente della Giunta e maggioranza consiliare, escludendo metodi di elezione dei due organi che, distinguendo chiaramente le due elezioni, rendessero possibile una disomogenità fra di essi e aprissero la via – certo problematica in presenza degli istituti di cui all’art. 126 Cost. – di una lettura neo-presidenziale della forma di governo regionale standard, ispirato più alla separazione fra esecutivo e legislativo che alla continuità fra di essi.
In questo contesto, la possibilità per gli statuti regionali di innovare in materia di forma di governo era ristretta alla ricerca di meccanismi di aggiustamento dei rapporti fra Presidente della Giunta e Consiglio regionale. Questa è la via che è stata effettivamente percorsa dagli statuti di “seconda generazione” (19) nel 2004-2005. A conclusione della prima ondata dei nuovi statuti, la sentenza n. 12/2006 della Corte costituzionale è intervenuta a delimitare ulteriormente gli spazi della potestas variandi, tentando anche una lettura d’insieme della forma di governo risultata assolutamente prevalente nelle varie Regioni.
Pertanto, la domanda che occorre porsi per analizzare i nuovi statuti non riguarda l’art. 122, 5° comma, né il principio simul stabunt simul cadent, e neppure la possibilità di distinguere l’elezione del Presidente della Giunta da quella del Consiglio per creare dinamiche tendenti al governo diviso di tipo neopresidenziale. Occorre invece spostare l’attenzione sulla potestas variandi interna al modello di elezione diretta del Presidente della Giunta, che è implicita nell’attribuzione allo statuto della competenza a determinare la forma di governo regionale nei limiti della disciplina già prevista dagli art. 121 e ss. Cost.
In questa sede, pertanto, si tenterà di verificare se e in che modo gli statuti abbiano adattato il figurino costituzionale della forma di governo standard alle esigenze specifiche delle varie regioni, analizzando dapprima la disciplina degli organi regionali e successivamente i meccanismi che li mettono in relazione.
L’individuazione degli organi regionali “necessari” è compiuta anzitutto dalla stessa Carta costituzionale, la quale li menziona nell’art. 121, 1° co.: il Consiglio regionale, la Giunta, il Presidente della Giunta. Anche dopo la riforma del 1999 l’ordine è rimasto lo stesso previsto nel testo costituzionale del 1947, nel quale esso rifletteva in buona misura il diverso “rango” dei tre organi: e ciò nonostante che la legge cost. n. 1/1999 abbia alterato i rapporti di forza fra di essi, delineando un equilibrio bipolare fra il Presidente (e la sua Giunta) da un lato e il Consiglio regionale dall’altro.
Gli statuti hanno in linea di massima riprodotto questa elencazione, e l’ordine da essa espresso, ma hanno talora innovato, prendendo atto degli elementi di novità immessi nel testo costituzionale dalla legge cost. n. 1/1999.
Così lo statuto toscano del 2004 (20) e quello abruzzese del 2006 (21) contrappongono nettamente il Consiglio e gli “organi di governo” e una impostazione analoga era contenuta nel progetto di statuto campano del 2004 (22), che disciplinava il Presidente e la Giunta in un unico capo, pur senza qualificarli congiuntamente come “Esecutivo” regionale.
Singolarmente gli statuti umbro (23) e calabrese (24) includono, fra gli organi necessari della Regione, oltre ai tre menzionati a livello costituzionale, il Presidente del Consiglio regionale e l’Ufficio di Presidenza. Se la qualificazione del Presidente del Consiglio come organo regionale può avere un senso qualora a tale organo si attribuiscano alcune delle c.d. staatsoberhäuptliche Funktionen, ovvero funzioni esterne al Consiglio e relative al funzionamento complessivo della forma di governo, lo stesso non sembra potersi dire per una analoga qualificazione per l’Ufficio di Presidenza, le cui funzioni restano del tutto interne all’organo consiliare.
Riguardo ai singoli organi regionali, gli statuti ne individuano la struttura, le regole di funzionamento, i rapporti reciproci e le funzioni.
A) La riforma del 1999, distinguendo il modo di elezione del Presidente da quello di preposizione degli altri membri della Giunta ed attribuendo al Presidente – se eletto direttamente – il potere formale di nominare e revocare gli altri membri della Giunta, lo ha collocato in una posizione formalmente differenziata rispetto a quanto accadeva in base agli statuti del 1971, che sviluppavano l’originaria indicazione costituzionale del 1947, in virtù della quale il Presidente della Giunta era eletto dal Consiglio regionale assieme agli altri membri della Giunta. Tuttavia l’organo cui è attribuito il potere esecutivo continua ad essere – secondo l’art. 121, anche dopo la revisione del 1999 – la Giunta regionale (25), mentre al Presidente spetta la direzione (ma non la determinazione) della politica della Giunta e la rappresentanza della Regione come ente.
Gli statuti si sono mossi nel quadro di questo assetto, che è più complesso di quanto si potrebbe percepire se ci si soffermasse solo sull’elezione diretta e sul potere di nomina e revoca. In altre parole, nonostante le formulazioni che ne sottolineano il ruolo direttivo, il Presidente della Giunta non è diventato un organo monocratico, ma continua ad essere il Presidente di un organo collegiale. Ciò è confermato dal fatto che gli statuti si sono in genere disinteressati di disciplinare la Presidenza intesa come complesso organizzatorio autonomo e distinto dalla Giunta nel suo complesso. L’unica struttura attraverso cui fa capolino negli statuti l’esigenza di consolidamento della Presidenza è il Sottosegretario alla Presidenza della Giunta, previsto dall’art. 45, 2° co., dello Statuto della Regione Emilia Romagna (26). Tale sottosegretario, che può essere nominato dal Presidente, “partecipa alle sedute della Giunta pur non facendone parte” e riceve un trattamento economico fissato con legge regionale, analogamente agli altri membri della Giunta (27).
B) La Giunta regionale è un organo collegiale composto di un Presidente e di un numero di ulteriori membri determinato dagli statuti, non con la previsione di un numero fisso, ma solo di un limite massimo (28), o consentendo l’oscillazione all’interno di un massimo ed un minimo (29). Fra i membri della Giunta si distingue il vicepresidente, previsto da tutti gli statuti in vigore, ad eccezione di quello umbro. Al vicepresidente gli statuti attribuiscono funzioni delegate dal Presidente (30), la funzione di sostituzione temporanea in caso di assenza o di impedimento (31) e la funzione di sostituzione temporanea in regime di prorogatio (32).
In applicazione dell’art. 122, ultimo comma, della Costituzione, tutti i membri della Giunta (incluso il vicepresidente) sono nominati dal Presidente, il quale può revocarli in qualsiasi momento. Taluni statuti impongono al Presidente di dare comunicazione della revoca al Consiglio (33).
La possibilità per il Presidente di scegliere gli assessori anche all’esterno del Consiglio regionale è un ulteriore elemento di libertà per il leader dell’esecutivo, e tale facoltà, che risulta dalla soppressione – ad opera della legge cost. n. 1/1999 – di un limite previsto nel testo originario della Cost. non è stata eliminata (cosa che sarebbe forse stata possibile) dagli statuti, ma soltanto delimitata nel numero massimo di assessori esterni (34). Resta da vedere se, alla luce della sent. n. 12/2006, non sia qui da ravvisare una inammissibile ingerenza nel libero potere di nomina e revoca degli assessori, spettante al Presidente della Giunta ex art. 122, ultimo comma.
C) Dagli statuti non traspare una scelta chiara fra un ruolo di direzione collegiale, da parte della Giunta, di tutte le funzioni amministrative regionali e un modello di tipo ministeriale, in cui ciascun assessore sia configurato come capo di un dipartimento dell’amministrazione regionale.
Si ragiona talora di delega di funzioni a ciascun assessore da parte del Presidente, come se tali funzioni spettassero al presidente medesimo e non alla Giunta. E’ invece una fisiologica conseguenza della potestà di direzione della politica della Giunta (oltre che del potere di nomina e revoca) la facoltà del Presidente, esplicitata da alcuni statuti, di impartire direttive ai singoli membri della Giunta (35).
Ne risulta un assetto in cui la Giunta regionale – che pure è pomposamente qualificata come “organo esecutivo della Regione” dall’art. 121 Cost. (36) – è forse quello, fra gli organi regionali c.d. “necessari” ad avere subito maggiormente l’impatto della riforma costituzionale del 1999, che ha finito per “schiacciarla” fra il Consiglio ed il Presidente della Giunta.
Questa situazione indeterminata si può vedere in disposizioni come l’art. 46 dello Statuto della Regione Lazio, il quale, dopo aver ribadito la formula costituzionale secondo cui la Giunta è l’organo esecutivo della Regione, precisa nel 2° comma: “realizza gli obiettivi stabiliti nel programma politico e amministrativo del Presidente della Regione e negli atti di indirizzo del Consiglio regionale” (37). La Giunta finisce per essere sospesa fra il ruolo di organo collegiale di vertice dell’amministrazione regionale e quello di staff di collaboratori-esperti del Presidente. Vi è, in altre parole, un nodo non risolto fra due modelli diversi, che entrambi trovano qualche base costituzionale e sono riprodotti, con bilanciamenti diversi, negli statuti e nei progetti di statuto:
a) quelli che proceduralizzano il lavoro della Giunta (si pensi alle norme sulla validità delle sue decisioni, sul quorum strutturale e funzionale, sull’adozione di un regolamento interno (38) e la individuano come sede formale per l’adozione di decisioni;
b) quelli che puntano sulla flessibilità e sulla potestà di guida del Presidente (39).
Il primo modello è ben visibile in tutte quelle disposizioni dei nuovi statuti che individuano nella Giunta la sede formale per l’adozione di tutta una serie di decisioni: dal potere di predisporre il bilancio, la legge finanziaria e il rendiconto (40), alla facoltà di esercitare il potere sostitutivo (41), di adottare i regolamenti (42) e di dirigere e controllare l’amministrazione regionale (43); di deliberare l’impugnazione delle leggi statali davanti alla Corte costituzionale.
Il secondo modello si intravede in quelle disposizioni statutarie che, nel descrivere le modalità di lavoro della Giunta, ragionano di collegialità, ma secondo le direttive del Presidente (44), o che evidenziano la regola della collegialità, ma precisano subito che ogni assessore deve operare in accordo col Presidente (45). In queste ultime formulazioni si potrebbe intravedere l’eclissi della Giunta come organo “costituzionale” regionale, ovvero come organo autonomo, capace di esprimere un proprio indirizzo politico: è come se il concetto di “organo esecutivo” avesse ritrovato l’accezione che lo caratterizzava agli albori del costituzionalismo, quando esso indicava molto meno di un potere di guida, cioè di governo; ma il senso contemporaneo della locuzione “potere esecutivo” permane, spostandosi in via di fatto verso il Presidente della Giunta.
Gli statuti non sembrano dunque muoversi nella direzione di un recupero del ruolo della Giunta come organo collegiale. Ciò potrebbe però accadere per ragioni di carattere politico, qualora cioè la struttura del sistema partitico regionale (un sistema di partiti “forte”, quale esiste in Regioni come Toscana ed Emilia-Romagna, e forse anche Umbria e Basilicata) riuscisse ad imporre al Presidente una gestione partitico-collegiale dell’indirizzo politico regionale.
Molta più attenzione è dedicata dai nuovi statuti alla articolazione interna dei Consigli regionali, anche se va registrata l’esistenza di due tecniche chiaramente antitetiche di regolazione del Consiglio regionale in statuto, la prima caratterizzata dal rinvio di ogni scelta rilevante al Regolamento interno del Consiglio regionale (è il caso dello statuto della Regione Puglia); la seconda da una disciplina statutaria dettagliata e in parte innovativa (ne sono un buon esempio gli statuti del Piemonte e delle Marche). La maggioranza dei nuovi statuti si colloca però su una posizione intermedia fra questi due modelli: lo statuto compie alcune scelte qualificanti sull’organizzazione e le funzioni del Consiglio e rinvia al regolamento consiliare la loro specificazione.
Una delle controversie che avevano accompagnato le riforme del titolo V nel 1999 e nel 2001 era stata quella riguardante la denominazione degli organi regionali e dei loro membri, e in particolare l’aspirazione di qualche Consiglio ad autoqualificarsi “Parlamento”, denominando di conseguenza “parlamentare” il membro del Consiglio stesso. La sent. 102/2002 ha domato queste aspirazioni, precludendo rigorosamente ai Consigli regionali l’uso della denominazione “parlamento”. A tale conclusione, peraltro, la Corte è giunta non in base all’argomento letterale della qualificazione di tale organo come “Consiglio regionale” nella stessa Costituzione, ma in base ad argomenti di ordine teorico-sistematico, centrati sulla corrispondenza fra la denominazione di “parlamento” e la funzione di rappresentanza della nazione di cui all’art. 67 Cost. Ne è derivato che alle Regioni non è stato rigidamente precluso il ricorso a denominazioni diverse da quelle costituzionalmente indicate per i loro organi. E di questa possibilità si sono avvalsi da un lato lo statuto emiliano-romagnolo, il cui art. 27 stabilisce che “il Consiglio regionale costituisce l’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna” e, dall’altro, lo statuto laziale, che parla sistematicamente di “Presidente della Regione” (46), sostituendo tale denominazione a quella di “Presidente della Giunta regionale”, adottata in Costituzione e negli altri statuti (oltre che nello statuto laziale del 1971). In entrambi i casi le due Regioni ordinarie, vistesi private della possibilità di denominare i propri organi con le locuzioni in uso per i corrispondenti organi statali, hanno ritenuto di imitare il linguaggio degli statuti speciali: quello siciliano per l’organo rappresentativo, quello di tutte le Regioni speciali per l’organo monocratico di vertice del potere esecutivo, a seguito della legge cost. n. 2/2001.
Mentre il testo costituzionale del 1947 riservava (47) (art. 122, 1° co.) alla legge statale competente in materia di sistema di elezione e di durata del Consiglio anche la determinazione del numero dei consiglieri, la riforma del 1999 non menziona tale oggetto fra le materie riservate alla competenza concorrente di cui all’art. 122, 1° co. (48) La conseguente attrazione di questo oggetto fra le competenze statutarie – in quanto parte della “forma di governo” – ha immediatamente innescato una corsa all’aumento del numero dei consiglieri, talora giustificato con l’esigenza di dotare il Consiglio di maggiore rappresentatività a fronte dell’accresciuto potere del Presidente. I consiglieri regionali passano pertanto da 60 a 65 in Toscana (49), da 50 a 70 in Puglia (50), da 60 a 71 nel Lazio (51), da 40 a non più di 50 in Liguria (52), da 30 a 36 in Umbria (53) da 60 a 65 in Emilia-Romagna (54), da 40 a 50 in Calabria (55), da 40 a 43 nelle Marche (56). Si segnalano solo le (pur lodevoli) eccezioni dell’Abruzzo (57) e del Piemonte, ove il numero dei consiglieri rimane invariato (58). E sulla stessa linea di tendenza all’aumento dei consiglieri si collocavano i progetti di statuto non approvati definitivamente nella legislatura 2000-2005 (59).
Tutti gli statuti menzionano fra le loro articolazioni interne (60) il Presidente, l’Ufficio di Presidenza, le Commissioni (cui si affiancano sovente le Giunte), i gruppi consiliari, la o le opposizioni.
A) Per quanto riguarda la figura del Presidente del Consiglio regionale, in taluni statuti è stato compiuto il tentativo di delinearla in termini di neutralità rispetto alla dialettica maggioranza-opposizione.
Per l’elezione del Presidente del Consiglio è per lo più prevista la maggioranza assoluta o qualificata, anche se di solito limitatamente ai primi scrutini (61).
Varie sono poi le soluzioni adottate per la durata in carica del Presidente del Consiglio regionale: si va dai casi in cui questa coincide con l’intera legislatura (62) a quelli in cui la durata è limitata ad una parte della legislatura (63) alla singolare formula della durata solo annuale del mandato, corretta però da un meccanismo di rinnovo tacito, che opera nemine contraddicente (64).
Anche per le funzioni attribuite al Presidente del Consiglio regionale è rilevante il profilo della neutralità. Se al centro stanno ovviamente le funzioni di guida dell’attività consiliare, maggiore interesse – anche perché costituzionalmente non necessarie, e dunque frutto di qualche spunto originale – presentano quelle che la dottrina germanica ha in passato denominato staatsoberhäuptliche Funktionen (65), ovvero funzioni equivalenti a livello regionale a quelle svolte a livello statale da un capo di Stato “neutro”. Così lo statuto toscano prevede che il Presidente riceve le dimissioni del Presidente della Giunta (66); quello laziale gli attribuisce il potere di dichiarare lo scioglimento del Consiglio a seguito delle dimissioni contestuali della maggioranza dei consiglieri (67) e di dichiarare l’esistenza di una causa di cessazione dalla carica del Presidente della Giunta (68), oltre alla facoltà di chiedere al Presidente della Giunta di presentare comunicazioni sullo stato di attuazione delle politiche regionali (69).
B) Nonostante che le dimensioni di un Consiglio regionale siano al massimo corrispondenti a quelle delle più numerose fra le Commissioni della Camera dei deputati, gli statuti regionali dedicano all’articolazione per commissioni del lavoro consiliare una attenzione analoga a quella propria di organi parlamentari di dimensioni ben maggiori.
Per lo più gli statuti non individuano direttamente le Commissioni consiliari, ma rinviano tale scelta al regolamento del Consiglio regionale. Fanno parzialmente eccezione lo statuto laziale, che enumera direttamente alcune commissioni (ad es. la Commissione di vigilanza sul pluralismo dell’informazione), rimettendo l’individuazione delle altre al regolamento (70) e lo statuto abruzzese del 2006 che, nel rinviare al Regolamento la definizione delle Commissioni consiliari, prevede espressamente le Giunte (per il regolamento; per le elezioni, le ineleggibilità, le incompatibilità e le immunità (71), stabilendo altresì che esse siano composte non in base al principio di proporzionalità fra i diversi gruppi, ma in maniera da assicurare “il rispetto dell’equilibrio fra i componenti appartenenti ai gruppi consiliari della maggioranza e a quelli dell’opposizione”.
In generale, viene previsto che le Commissioni consiliari sono composte in maniera proporzionale ai gruppi consiliari e che, ove possibile, tutti i gruppi consiliari sono rappresentati nelle varie Commissioni (72): si tratta di due istanze che è talora difficile conciliare fra loro, dato il numero molto elevato dei gruppi consiliari di piccola consistenza, fino al fenomeno estremo del monogruppo (su cui si ritornerà a breve).
Nell’ambito del procedimento legislativo gli statuti attribuiscono alle Commissioni la funzione referente e talora anche quella redigente (73). In taluni statuti fa capolino la stessa funzione deliberante, anche se con formulazioni per lo più ambigue. Lo Statuto del Piemonte accenna genericamente ad attività in sede “legislativa”, prevedendo per tali casi regole altamente consensuali (74). Lo Statuto della Puglia stabilisce che le Commissioni permanenti svolgano funzioni referenti, redigenti e deliberanti, e ne rimette la disciplina al Regolamento consiliare senza prevedere alcuna garanzia per queste ultime due ipotesi: e sulla costituzionalità di un rinvio di questo tipo si può dubitare. Più prudentemente, l’art. 44 del progetto di St. Campania della VII legislatura consentiva in via generale il ricorso a Commissioni deliberanti, rimettendo al regolamento consiliare la definizione dei casi e delle forme nei quali sarebbe stato possibile fare ricorso ad esse, ma stabiliva garanzie analoghe a quelle previste a livello statale dall’art. 72 Cost. (ritorno alla sede normale su richiesta di un decimo dei membri delle Commissioni, ma non della Giunta; individuazione dei casi in cui la sede deliberante è esclusa). L’art. 38, 6° co., dello Statuto dell’Emilia-Romagna riconosce alle Commissioni la facoltà di assumere poteri deliberanti sugli atti di competenza dell’Assemblea, ma esclude che essi possano riguardare le leggi e i regolamenti.
Fra le funzioni ulteriori rispetto all’elaborazione delle leggi regionali, vanno poi segnalati il sindacato ispettivo in Commissione (75) e le audizioni e indagini conoscitive in Commissione (76). Gli statuti, inoltre, prevedono la facoltà dei Consigli di istituire Commissioni di inchiesta (77).
C) La materia dei gruppi consiliari – molto sensibile per i consiglieri, date le conseguenze in termini di disponibilità di risorse materiali che ne derivano – è in alcuni casi evocata dagli statuti solo per procedere ad un rinvio integrale della disciplina ai Regolamenti interni (78), mentre in altri viene prevista in statuto una disciplina di base, soprattutto circa la definizione del numero minimo di consiglieri necessario a costituire un gruppo. Tale soglia minima viene talora resa derogabile da parte dell’Ufficio di Presidenza in casi specifici (79).
Gli statuti toscano ed emiliano prevedono espressamente la possibilità di costituire monogruppi (80), mentre lo statuto calabrese, pur prevedendo un numero minimo di tre consiglieri per costituire un gruppo, consente la costituzione di gruppi di dimensioni minori (quindi anche di monogruppi) nel caso in cui si tratti di espressioni di gruppi parlamentari nazionali e nel caso di liste che abbiano raggiunto almeno il 5 per cento dei voti nelle elezioni regionali.
In alcuni statuti è menzionata la Conferenza dei capigruppo, come sede per la programmazione dei lavori consiliari (81).
D) Se il fenomeno dei gruppi consiliari, e in particolare la presa d’atto negli statuti della frammentazione politica all’interno dei Consigli, costituisce un elemento di continuità con gli statuti e i regolamenti consiliari degli anni settanta, l’elemento di novità per quanto riguarda le articolazioni politicamente orientate dei Consigli regionali è rappresentato dalla rilevanza acquisita dal fenomeno dell’opposizione e dello “statuto” di questa (82). Della rilevanza di questo fenomeno è testimonianza l’impegnativa affermazione dello statuto ligure, secondo il quale l’opposizione è “componente essenziale del sistema democratico” (83), che sembra condivisibile solo se riferita alla relativa attività, mentre essa appare eccessiva se intesa come esigenza di riconoscimento di poteri specifici ad un soggetto espressamente qualificato come “opposizione” ed individuato secondo criteri oggettivi. Quest’ultima disciplina, infatti, non è essenziale in ogni sistema democratico, ma è propria delle democrazie parlamentari basate sulla prassi dell’alternanza al potere, e in particolare di quelle democrazie parlamentari nelle quali il sistema dei partiti si è consolidato su un formato bipartitico (o tende verso tale assetto) (84). Ma la questione dell’opposizione è rilevante in quanto uno dei punti di riferimento della forma di governo regionale introdotta nell’ordinamento italiano con la riforma del 1999 è proprio la realizzazione di un sistema ispirato alla logica del regime parlamentare di tipo Westminster, sia pure attraverso un armamentario giuridico ben diverso.
I nuovi statuti appaiono nel complesso sospesi fra vecchio (i diritti delle minoranze, anche di minima consistenza, ben evidenziati dagli statuti del 1971) e nuovo (una valorizzazione chiara e distinta – in termini di visibilità, poteri e risorse – di quella particolare minoranza denominata “opposizione”). Si rinviene così un campionario piuttosto vario di meccanismi di garanzia delle minoranze in generale e delle opposizioni in particolare, ed è talora difficile distinguere le prime, generali, dalle seconde, specifiche. Il rischio nel ragionare su questo problema, è di limitarsi a chiamare con un nome nuovo cose antiche, già presenti negli statuti del 1971 e più in generale nella nostra tradizione parlamentare come limiti al potere delle maggioranze: questo sembra essere il senso di clausole generali come il vincolo al Regolamento del Consiglio regionale a garantire i diritti delle opposizioni (85): si tratta di una formula che trenta anni orsono si sarebbe egualmente apposta, utilizzando però la locuzione “diritti delle minoranze”.
Com’è noto, il primo problema, da questo punto di vista, è la definizione del concetto di opposizione e la sua concreta identificazione. Il progetto di Statuto della Campania del 2004 optava per una soluzione radicale al riguardo e imponeva ad ogni consigliere di dichiarare “la propria appartenenza alla maggioranza o all’opposizione” (86). In tale modo l’opposizione avrebbe assorbito al suo interno tutte le minoranze, ferma restando l’eventuale esigenza di prevedere apposite tutele per le varie componenti dell’opposizione, che, al limite, avrebbero potuto essere anche eterogenee fra loro.
Le questioni-chiave, da questo punto di vista, sembrano essere due: se concepire l’opposizione al singolare, come minoranza di maggiore rilievo, e – in tale caso – se e come differenziare le prerogative dell’opposizione da quelle delle altre minoranze.
Le diverse prerogative delle minoranze e/o delle opposizioni previste dai nuovi statuti possono forse essere raggruppate nelle seguenti:
a) rappresentanza dell’opposizione in determinate sedi o istanze: garanzia della rappresentanza in organi come l’ufficio di presidenza del Consiglio regionale – mediante l’elezione dello stesso con voto limitato (87) – o come gli uffici di presidenza delle Commissioni (88); attribuzione della presidenza di commissioni di garanzia o di controllo (89) (come la Commissione di vigilanza sul pluralismo dell’informazione nella Regione Lazio (90) o la Commissione di vigilanza sulla realizzazione del programma e sull’attività dell’Esecutivo nello statuto abruzzese del 2006 (91)), di indagine e di inchiesta (92); partecipazione nelle delegazioni di rappresentanza del Consiglio (93); presenza paritaria di maggioranza e opposizione in alcuni organi collegiali (sembrerebbe questo il senso della norma sulla composizione delle Giunte consiliari contenuta nell’art. 22 dello St. Abruzzo del 2006, secondo cui esse sarebbero composte in maniera da assicurare “il rispetto dell’equilibrio fra i componenti appartenenti ai gruppi consiliari della maggioranza e a quelli dell’opposizione”);
b) poteri specifici riconosciuti alle minoranze o opposizioni nella gestione dei lavori consiliari: poteri procedurali attivabili dalle minoranze in caso di assegnazione di un disegno di legge alla commissione consiliare in sede redigente (94); riserva di tempi per le minoranze nella programmazione dei lavori (95), in particolare per le proposte di legge (96) e per lo svolgimento di attività di controllo (97); istituzione di commissioni consiliari di inchiesta su iniziativa di una minoranza del Consiglio (98) o di un gruppo di opposizione (99); facoltà di attivare l’organo di garanzia della legalità statutaria (100); diritti di informazione sulle proposte e le attività delle opposizioni (101);
c) partecipazione qualificata a poteri delle maggioranze: maggioranze qualificate per elezione di uffici od organi (102) o per l’adozione di atti (103); partecipazione ai poteri di nomina di competenza della Giunta o del Consiglio (104) (v. infra lett. E);
d) individuazione di figure soggettive volte a dare rilievo all’opposizione: portavoce dell’opposizione (105); presenza in Consiglio regionale del candidato alla Presidenza della Giunta classificatosi secondo (106); istituzionalizzazione della figura del relatore di minoranza (107).
Nel complesso si registra dunque un vasto campionario di strumenti posti a disposizione delle opposizioni, ma non sembra potervisi intravedere – se non negli istituti indicati sub d) – l’emersione di un concetto britannico di opposizione; il riferimento ad una opposizione intesa come pluralità di minoranze è del resto il riflesso del bipolarismo frammentato che caratterizza l’attuale sistema politico italiano, anche a livello regionale.
E) Molti statuti si sono preoccupati di regolare in via generale i poteri di nomina, prevedendo ruoli diversi per l’esecutivo e per il legislativo regionale e talora tentando di procedimentalizzare tali poteri. La forma più avanzata di tale tentativo è rappresentata dalla apposita Commissione consultiva del Consiglio regionale sulle nomine prevista dallo statuto piemontese (108).
Se gran parte degli statuti contiene disposizioni di mero rinvio, come l’art. 16, 2° co., lett. d) St. Liguria, secondo il quale il Consiglio regionale “effettua le nomine ad esso attribuite dalla legge regionale in materia”, si registrano tuttavia anche casi in cui i poteri di nomina sono attribuiti in via generale alla Giunta (109), ed altri in cui la competenza generale è attribuita al Presidente (110). Lo statuto della Regione Lazio si colloca in quest’ultima direzione (111), prevedendo però che, “nei casi in cui vi sia l’obbligo di assicurare la rappresentanza delle opposizioni” il potere di nomina spetta al Consiglio (112).
F) In generale si può dubitare che gli statuti siano riusciti a restituire ai Consigli un ruolo strategico nell’organizzazione politica regionale, nell’”era dei governatori” (113). C’è però da chiedersi anche se ciò fosse effettivamente possibile. Il ruolo dei Consigli, infatti, è posto oggi in crisi almeno da tre grandi fattori convergenti, che non sono controllabili dalla Regione stessa, meno che mai con il solo statuto (specie se non è espressione di un constitutional moment):
* le dinamiche della società della comunicazione che esaltano il ruolo degli organi monocratici e tendono a deterritorializzarne la funzione;
* una serie di pressioni dal basso, ovvero da tutta una serie di sedi rappresentative concorrenti, che traspaiono negli statuti sia attraverso il loro riconoscimento, sia mediante organi nei quali si darebbe loro un ruolo: gli enti locali, le autonomie funzionali, le autonomie sociali, ecc. La difficoltà dei Consigli è strutturarsi come sede di mediazione rispetto a queste istanze, con le quali riesce molto meglio ad interagire il Presidente eletto a suffragio universale;
* la cifra per la valorizzazione del Consiglio resterebbe la titolarità in capo ad esso della funzione normativa per eccellenza, ovvero quella legislativa (cui si affiancano la potestà statutaria e alcune forme di potestà regolamentare), specie se si considera che la valorizzazione del ruolo delle Regioni nella legge cost. n. 3/2001 è avvenuta proprio sul piano della competenza legislativa. Tuttavia è noto che proprio su questo punto la realtà del nostro regionalismo è ben diversa da quanto si potrebbe desumere da una lettura ben intenzionata dell’art. 117 e dintorni della Carta costituzionale, e, all’interno dell’organizzazione regionale sono i Consigli a patirne maggiormente le conseguenze.
E’ noto che l’introduzione dell’elezione a suffragio universale e diretto del Presidente della Giunta regionale è stata la scelta strategica compiuta dalla legge cost. n. 1/1999 (assieme, si è visto, alla ridefinizione dell’autonomia statutaria regionale). Al tempo stesso la scelta sulla conferma o meno della forma di governo imposta in via transitoria, ma delineata unicamente come preferenziale (idest: derogabile dagli statuti) dalla riforma del 1999 era la questione più importante che i nuovi statuti si trovavano a dover decidere. Si è già ricordato che tutti gli statuti entrati effettivamente in vigore hanno confermato la scelta costituzionalmente “consigliata”.
Una interpretazione sistematica del combinato disposto degli art. 123 (competenza statutaria sulla forma di governo) e 122, 1° comma (competenza concorrente della legge statale e della legge regionale in materia di sistema di elezione) avrebbe potuto far ritenere che allo statuto spettasse non solo scegliere tra elezione diretta e indiretta del Presidente della Giunta, ma anche compiere le opzioni di fondo sul modo di elezione del Presidente stesso (114). E’ noto, peraltro, che un approccio grettamente letterale (e poco avveduto dal punto di vista sistematico) ha indotto la Corte costituzionale a ritenere riservata alla competenza concorrente ex art. 122, 1° co., Cost., non solo la disciplina del sistema di elezione del Consiglio, ma anche quella del sistema di elezione del Presidente della Giunta (115). Di conseguenza, l’interprete (116), per individuare la disciplina in materia deve procedere nel seguente modo: a) accertare se lo statuto regionale abbia optato o meno per l’elezione diretta (si è visto che questa è la scelta compiuta – con le buone o con le cattive – da tutti gli statuti); b) verificare quali principi la legge statale in materia di elezioni regionali abbia previsto per il caso di elezione diretta; c) individuare le opzioni compiute dalla legge elettorale regionale di sviluppo della legge statale ex art. 122, 1° co.; d) tornare alla disciplina statutaria per quanto concerne l’assunzione delle funzioni da parte del Presidente della Giunta, per la nomina della Giunta regionale da parte di questi e per l’assunzione delle funzioni da parte dei consiglieri.
La ricerca è resa più complessa dal fatto che non tutte le Regioni che hanno adottato un nuovo statuto hanno anche adottato una nuova legge elettorale.
Si è ricordato che la legge nazionale di principio richiede la contestualità dell’elezione del Presidente della Giunta e del Consiglio regionale (117). A ciò si può aggiungere che tutte le Regioni che hanno sinora adottato la loro legge elettorale hanno anche scelto un sistema di voto a turno unico, sia per il Presidente della Giunta, sia per il Consiglio regionale. Il primo è dunque eletto se ottiene la maggioranza dei voti validamente espressi fra i diversi candidati alla carica di Presidente della Giunta. Il secondo risulta eletto in base a sistemi che variano ormai da Regione a Regione (si v. infra par. 8) ma che hanno in comune il fatto che la composizione del Consiglio è condizionata dal risultato dell’elezione del Presidente: la maggioranza del primo deve essere omogenea con la maggioranza politica che ha eletto il secondo.
Fra le questioni di maggiore rilievo per l’elezione del Presidente della Giunta, va segnalato che al momento è rimasta marginale la fissazione di limiti alla rieleggibilità. Limiti di questo tipo, in genere estranei ai sistemi parlamentari (almeno per la carica di Primo Ministro), sono invece comuni nei regimi in cui il capo dell’esecutivo è eletto direttamente dal corpo elettorale: fra essi non solo buona parte dei regimi presidenziali, ma anche la forma di governo israeliana praticata fra il 1996 ed il 2001. Tale problema è stato però sottovalutato nel dibattito italiano, anche a causa dei dubbi che continuano a sussistere circa la competenza a prevedere limiti alla rieleggibilità, che, se ritenuta un aspetto della forma di governo sembrerebbero rientrare nella competenza degli statuti, mentre, ove fosse intesa come un aspetto della disciplina della ineleggibilità del Presidente dovrebbe rientrare nello spazio rimesso alla legislazione concorrente di cui all’art. 122, 1° co., Cost. Com’è noto, quest’ultima è stata la posizione assunta dalla Corte costituzionale (118), che ha fatto leva sul dato per cui alla citata legislazione concorrente spetta il potere di regolare le cause di ineleggibilità dei consiglieri regionali, del Presidente e degli altri membri della Giunta, fra le quali i limiti alla rielezione andrebbero inclusi. Inoltre l’art. 2, lett. f) della legge n. 165/2004 ha previsto fra le norme di principio il divieto di rielezione del Presidente dopo due mandati consecutivi.
Tuttavia questa interpretazione – che fa il paio con l’altra, in virtù della quale anche l’eventuale previsione di forme di incompatibilità fra le posizioni di consigliere e di assessore regionale – si lascia ingannare dai nomi (eleggibilità – limiti alla rielezione) e fraintende del tutto il senso dei fenomeni ad essi sottostanti, i quali sono ben distinti da quelli evocati dall’art. 122, 1° co., Cost. La disciplina dei limiti alla rielezione dei Presidenti non è un aspetto delle cause di ineleggibilità, ma un aspetto della forma di governo, allo stesso modo in cui la figura della incompatibilità fra consigliere ed assessore regionale non è un aspetto della disciplina della incompatibilità: entrambe riguardano la limitazione del potere di governo e la previsione di pesi e contrappesi e non il procedimento elettorale o la cumulabilità di funzioni diverse.
Le Regioni hanno peraltro nicchiato sul tema dei limiti alla rielezione dei Presidenti, sia nei nuovi statuti (con la sola eccezione dello statuto umbro (119)), sia nelle poche leggi elettorali adottate sinora, anche se la perpetuazione al potere dei Presidenti regionali avrebbe dovuto rendere avvertite le opinioni pubbliche dell’esistenza del problema. Si può infatti osservare che nelle elezioni regionali del 2005 e del 2006 (120), ben dodici Presidenti uscenti su quindici si sono ricandidati (appena tre – Chiaravallotti in Calabria, Bubbico in Basilicata e D’Ambrosio nelle Marche – non hanno riproposto la loro candidatura); di essi, cinque – Fitto, Storace, Pace, Ghigo e Mori – non sono stati rieletti, ma la maggioranza dei Presidenti uscenti (Bassolino, Martini, Lorenzetti, Errani, Formigoni, Galan, Iorio) è stata riconfermata nel suo incarico. Ed occorre rilevare che due di essi (i Presidenti della Lombardia Formigoni e del Veneto Galan) sono ormai al terzo mandato quinquennale consecutivo.
Poiché tutti gli statuti oggi in vigore – e i progetti di statuto elaborati nella passata legislatura regionale – prevedono l’elezione del Presidente della Giunta regionale a suffragio universale e diretto e poiché in tale ipotesi il potere di nomina degli altri membri della Giunta spetta al Presidente stesso, la questione della formazione della Giunta si risolve nelle modalità di nomina degli assessori. Il problema sembrerebbe dunque risolto in radice, senza la necessità di altri adempimenti precedenti o successivi alla nomina degli assessori, tutto il resto restando rimesso a prassi politiche per lo più giuridicamente irrilevanti. Tuttavia almeno due diverse questioni si pongono in sede di formazione della Giunta.
La prima riguarda il passaggio dei poteri fra la Giunta uscente e quella neo-eletta. Gli statuti prevedono in generale che il Presidente della Giunta entri in carica al momento della proclamazione del risultato elettorale, subentrando al Presidente uscente in un momento antecedente a quello previsto per la formazione della Giunta, e quindi distinto da esso (121). Ne segue l’esistenza di uno hiatus fra la Giunta uscente e quella nuova, che determina una cesura nella continuità dell’organo regionale di governo. Infatti, delle due l’una: o il nuovo Presidente resta in carica accanto agli assessori (ma non al Presidente) della Giunta uscente, oppure il Presidente assume ad interim la titolarità di tutti gli uffici ricoperti usualmente dagli assessori, fino alla nomina di questi ultimi. Quest’ultima opzione risulta espressamente almeno dai due statuti (Piemonte e Calabria) che precisano che il nuovo Presidente, nell’attesa della nomina degli assessori, “compie gli atti improrogabili ed urgenti di competenza della Giunta (122).
La seconda questione presenta un rilievo maggiore e concerne la possibilità di restituire al Consiglio regionale un ruolo nel procedimento di formazione della Giunta, mediante la previsione dell’obbligo per il Presidente di sottoporre al Consiglio la composizione della Giunta e il programma di governo. Per entrambi questi passaggi gli statuti hanno cioè previsto un “filtro” consiliare, che è stato configurato in vario modo, in un contesto, peraltro, in cui i vizi di illegittimità costituzionale (consistenti nel rendere l’elezione non diretta (123) o nell’incidere sul principio simul stabunt simul simul cadent) rischiavano di apparire in vario modo.
Molti statuti hanno pertanto previsto l’obbligo per il Presidente della Giunta di esporre al Consiglio il programma di governo (124), mentre altri hanno arricchito tale obbligo con adempimenti ulteriori, prevedendo un dibattito (125) e in taluni casi un voto su di esso. In generale, però, gli statuti si limitano ad imporre che il programma presentato dal Presidente sia sottoposto alla approvazione consiliare (è il caso, ad es., degli statuti calabrese, umbro, toscano ed emiliano-romagnolo) (126), senza prevedere, peraltro, sanzioni per il caso di mancata approvazione.
Solo due progetti di statuto si erano spinti oltre: sia il progetto di statuto ligure, sia il progetto di statuto abruzzese (entrambi del 2004) stabilivano espressamente che la mancata approvazione del programma da parte del Consiglio avrebbe prodotto effetti equivalenti alla approvazione di una mozione di sfiducia, vale a dire l’obbligo del Presidente della Giunta di presentare le dimissioni e lo scioglimento anticipato del Consiglio stesso (127). Entrambe le disposizioni ora evocate sono state impugnate dal Governo davanti alla Corte costituzionale. Ma mentre la Regione Liguria ha rinunciato a costituirsi in giudizio ed ha approvato un nuovo statuto, dal quale sono state eliminate le disposizioni impugnate dal Governo – con la conseguenza che la vicenda processuale è stata dichiarata estinta dalla Corte con l’ord. 533/2005 (128) – la vicenda abruzzese è stata l’occasione per una articolata pronuncia del giudice delle leggi, che aveva del resto già anticipato la propria posizione nella decisione relativa allo statuto toscano.
La Corte costituzionale ha da un lato escluso che l’obbligo imposto dallo statuto al Presidente di presentarsi davanti al Consiglio regionale e di esporre il proprio programma, sottoponendolo quindi ad un voto, fosse in contrasto con il sistema di elezione diretta del Presidente della Giunta (sent. 372/2004). Tuttavia la medesima Corte ha ritenuto che tale obbligo fosse giustificabile solo in quanto non assistito da sanzioni. Qualora, invece, alla eventuale mancata approvazione del programma da parte del Consiglio fosse riconnesso un effetto impeditivo alla prosecuzione dell’azione del Presidente della Giunta, anche in caso di applicazione del principio simul stabunt, simul cadent, la Corte (sent. 12/2006) ha ritenuto che si fosse così introdotto un elemento estraneo alla forma di governo delineata nell’art. 121, 122 e 126 Cost. ed ha sanzionato l’opzione del progetto di statuto abruzzese con una pronuncia di incostituzionalità (129). L’art. 47 del nuovo statuto abruzzese del 2006 ha tenuto conto di queste indicazioni, e stabilisce ora che il Consiglio regionale prende atto del programma di governo presentato dal Presidente.
Si è visto che l’obbligo di presentazione in Consiglio riguarda non solo il programma di governo, ma anche gli assessori. In taluni casi è stato previsto un obbligo di presentazione al momento della nomina (130), o addirittura prima di essa (131), ed obblighi simili sono stati stabiliti anche per variazioni della composizione della Giunta in corso di legislatura (132).
L’art. 41, 3° co., St. Puglia e l’art. 40 St. Liguria hanno previsto una forma di giuramento di fedeltà del Presidente alla Costituzione e allo Statuto, che deve essere prestato davanti al Consiglio regionale. Si ricorda che una prassi analoga era stata introdotta dal Presidente lombardo Formigoni all’inizio della VII legislatura regionale. Il giuramento non è comunque configurabile come fase integrativa dell’efficacia della nomina, ma come un adempimento successivo che dovrebbe essere ritenuto non vincolante, attesa la giurisprudenza della Corte appena citata.
Alcuni fra i nuovi statuti, dunque, tentano di valorizzare il rapporto fra il Consiglio da un lato e la Giunta ed il suo Presidente dall’altro attraverso meccanismi che li incentivino ad esplicitare la loro convergenza sul medesimo programma politico, anche considerato che la contestualità della loro elezione e il legame che i sistemi elettorali impongono tra elezione del Presidente e assetto della maggioranza consiliare dovrebbero produrre ab initio una situazione di armonia politica fra esecutivo e legislativo regionale. Gli statuti presuppongono quindi che l’omogeneità politica fra Consiglio e Giunta non si esaurisca nella comune derivazione dalla medesima maggioranza elettorale, ma si prolunghi nel corso della legislatura, e si traduca da un lato in un controllo costante del Consiglio sulle attività dell’Esecutivo regionale, e dall’altra nel ruolo di guida di quest’ultimo rispetto alla “sua” maggioranza (133). La verifica periodica sull’attuazione del programma e la questione di fiducia sono i due principali meccanismi per assicurare la permanenza dell’omogeneità politica fra Consiglio e Giunta regionale. Ad essi si affiancano strumenti sanzionatori più incisivi, ma di utilizzo solo eccezionale nella pratica: su iniziativa del Consiglio la mozione di sfiducia al Presidente della Giunta e la mozione di censura ai singoli assessori; su iniziativa del Presidente il ricorso ad elezioni anticipate, mediante la presentazione delle sue dimissioni.
In alcuni statuti l’obbligo del Presidente della Giunta di presentare il programma di governo al Consiglio regionale all’inizio della legislatura (v. supra par. 5) è stato irrobustito da meccanismi di verifica periodica, come la relazione annuale del Presidente della Giunta sullo stato di attuazione del programma (134).
Solo il progetto di Statuto della Regione Campania del 2004 aveva imitato il modello del “dibattito sullo stato della Comunità autonoma”, diffuso nelle Regioni spagnole, che presenta l’evidente “finalità di contribuire alla costruzione di una opinione pubblica regionale”, messa in luce proprio nel citato progetto di statuto campano (135).
Lo Statuto abruzzese del 2006 contempla una Commissione di vigilanza “sulla realizzazione del programma e sull’attività dell’Esecutivo” – presieduta da un consigliere designato dall’opposizione – che si configura come un organo di mediazione fra la Giunta (che è tenuta a monitorare) e il Consiglio (cui deve riferire periodicamente) (136). Simile è la posizione della Commissione permanente prevista dallo statuto toscano per il “controllo sullo stato di attuazione delle politiche regionali e sulla coerenza degli atti con la programmazione regionale, generale e di settore” (137).
Se gli strumenti appena citati sono finalizzati a consentire al Consiglio di controllare l’attuazione del programma di governo, alcuni statuti hanno previsto e disciplinato l’istituto che consente al potere esecutivo regionale di verificare la permanenza del rapporto di fiducia o di consonanza politica fra Giunta e Consiglio, e al tempo stesso di indirizzare e guidare l’attuazione del programma della Giunta (138). Lo strumento in esame è denominato talora “questione di fiducia”, utilizzando la terminologia adottata nel regime parlamentare nazionale, talaltra in modo diverso, ma sempre evocando il medesimo fenomeno. Diverse sono però le conseguenze procedurali del suo utilizzo.
La questione di fiducia è espressamente regolata dallo Statuto calabrese, il quale prevede che sia il Presidente a porla, previo assenso della Giunta (139) ed individua gli oggetti sui quali può essere posta. Tali oggetti sono l’attuazione del programma di governo e suoi aggiornamenti, la legge finanziaria, la legge di bilancio annuale e pluriennale, le leggi relative alla fissazione di tributi e imposte regionali, e le “questioni particolarmente rilevanti per la collettività regionale” (140). Il nutrito elenco di materie su cui la fiducia può essere posta finisce per dare allo strumento in esame un ambito di operatività pressoché generale (la prima e l’ultima categoria hanno uno spettro molto ampio, e si prestano ad essere riempite ad libitum dal Presidente della Giunta). Tuttavia è interessante notare come il punto di partenza dello statuto calabrese sia opposto a quello dei regolamenti di Camera e Senato (141), i quali presuppongono che la questione di fiducia possa essere posta su ogni materia ed elencano i soli oggetti su cui essa non può essere utilizzata. Lo statuto calabrese definisce la procedura di votazione: esso prevede un termine dilatorio di tre giorni e termine massimo di quindici fra la posizione della questione e la votazione. Soprattutto, con una disciplina che richiama la IV Repubblica francese (142), la questione di fiducia si intende respinta solo se si esprime con voto contrario la maggioranza assoluta dei membri del Consiglio (143): ma non si spiega se la proposta su cui la questione di fiducia è posta risulti approvata con un eventuale voto contrario a maggioranza semplice e non a maggioranza assoluta. D’altra parte, lo statuto non precisa se possano essere oggetto della questione di fiducia solo singoli articoli o anche un intero disegno di legge, né chiarisce se la questione determini l’inemendabilità del disegno di legge su cui è posta, la priorità della votazione di essa rispetto ad oggetti concorrenti, ecc. (144). Lo statuto ha però cura di precisare che la reiezione della questione di fiducia a maggioranza assoluta comporta l’obbligo di dimissioni del Presidente della Giunta e l’applicazione del principio simul stabunt simul cadent (145).
Una disciplina analoga, ma con qualche differenza, è prevista dall’art. 44 St. Liguria, ove si precisa che la questione di fiducia può essere posta dal Presidente della Giunta (146), ma – a differenza di quanto stabilisce lo statuto calabrese - non è richiesto l’assenso della Giunta. Vengono tassativamente definiti gli oggetti su cui la fiducia può essere posta: la legge annuale di bilancio, gli atti ad essa collegati, le leggi relative alla istituzione di tributi e imposte regionali. Lo statuto precisa che la questione di fiducia può essere posta anche sull’approvazione o sulla reiezione di emendamenti a tali articoli, e sembra potersene concludere che, per il resto, la questione di fiducia possa riguardare sia i singoli articoli, sia il disegno di legge nel suo complesso, ma senza produrre, in questo secondo caso, l’omissione dell’esame articolo per articolo. Diversamente dalla disciplina calabrese, per l’approvazione della questione è richiesta la maggioranza assoluta (non l’assenza di maggioranza assoluta contraria); anche in questo caso si precisa poi che in caso di mancata approvazione a maggioranza assoluta della questione di fiducia si produce un caso di decadenza del presidente della Giunta, con applicazione del principio simul stabunt simul cadent. Vi è qui una ipotesi di applicazione di tale principio che integra quelle imposte dall’art. 126 e che determina una forma implicita di sfiducia al Presidente della Giunta a maggioranza semplice e non assoluta (basta infatti che non vi sia la maggioranza assoluta favorevole).
Questi meccanismi, ed altri analoghi delineati in alcuni progetti di statuto della VII legislatura poi non approvati definitivamente (147), pongono una serie di problemi nella prospettiva della forma di governo delineata come preferenziale negli art. 121, 122 e 126 Cost., soprattutto alla luce della interpretazione datane dalla Corte costituzionale nella sent. 12/2006.
Essi in primo luogo presuppongono un vero e proprio rapporto di fiducia fra Consiglio regionale e (Presidente della) Giunta. La questione di fiducia è infatti lo strumento volto ad accertare la permanenza del rapporto fiduciario, inteso non solo come vincolo genetico, ma anche come vincolo funzionale. E’ noto che la Corte costituzionale ha ritenuto che la forma di governo regionale ad elezione diretta del Presidente della Giunta sia caratterizzata non da un rapporto di fiducia fra esecutivo e legislativo, ma da un rapporto di “consonanza politica”, istituito direttamente dal corpo elettorale mediante l’elezione contestuale dei due organi (sent. 12/2006). La differenza fra “fiducia” e “consonanza politica” sembrerebbe risiedere nel fatto che mentre la prima nascerebbe da un rapporto fra parlamento e governo, finalizzato in definitiva ad accertare la derivazione del secondo dal primo, la consonanza politica presupporrebbe la comune derivazione dei due organi dal corpo elettorale. Tuttavia, al di là della differenza nella genesi del rapporto fra Presidente della Giunta e Consiglio regionale (che è certo in sé rilevantissima per l’assetto complessivo della forma di governo regionale), la fiducia non sembra essere altro che una forma di consonanza politica fra governo e parlamento (148) e dunque la preoccupazione della Corte era forse di dare un nome diverso al rapporto fra Consiglio e Giunta per differenziarlo da quello proprio del regime parlamentare. Ma in tal modo si identifica erroneamente fiducia e regime parlamentare: invece la prima è condizione necessaria, ma non sufficiente, ad aversi il secondo, che sussiste solo quando il governo è emanazione permanente del Parlamento (149). Un rapporto fiduciario fra esecutivo e legislativo può invece darsi anche nel regime parlamentare dualista (che costituisce una fase primitiva e imperfetta del vero e proprio regime parlamentare (150)) e nella forma di governo semipresidenziale. Inoltre si può ipotizzare che un rapporto simile possa esistere anche nei modelli di governo di legislatura con premierato elettivo, fra i quali va annoverata la forma di governo regionale, pur non essendo una caratteristica consustanziale ad esso (151). Tuttavia, se si dovesse prendere sul serio la distinzione della Corte fra fiducia e consonanza politica, non sarebbe azzardato ipotizzare che, in quanto manifestazione dell’esistenza di un (vero) rapporto fiduciario, la questione di fiducia potrebbe essere ritenuta estranea alla forma di governo regionale e, forse, incompatibile con essa.
Ma alla luce della sent. n. 12/2006 una seconda obiezione (152) può essere sollevata con riguardo agli istituti ora menzionati. Essi integrano le fattispecie che possono dare luogo all’applicazione del principio simul stabunt, simul cadent: la mancata approvazione della questione di fiducia viene infatti equiparata dagli statuti calabrese e ligure – sia pure con le differenze che si sono viste – ad un voto di sfiducia consiliare, con conseguente obbligo di dimissioni e scioglimento automatico. Né potrebbe essere diversamente: una questione di fiducia che non producesse, in caso di suo rigetto, l’obbligo di dimissioni di chi l’avesse posta, sarebbe una contradictio in adiectis e le dimissioni del Presidente della Giunta, nel sistema retto dal principio simul stabunt, simul cadent (specie nell’interpretazione rigida datane dalla legge cost. n. 1/1999, ulteriormente irrigidita dalla Corte costituzionale) determinano automaticamente lo scioglimento automatico del Consiglio. Tuttavia, se ciò è vero, non si può negare che prevedendo la questione di fiducia gli statuti abbiano integrato le cause che generano l’applicazione dell’art. 126 Cost.: e proprio questo motivo è stato addotto dalla Corte, nella sent. n. 12/2006, per dichiarare l’incostituzionalità della “fiducia iniziale” prevista nel progetto di statuto abruzzese del 2004. Ne segue (almeno ragionando alla stregua dell’approccio sin qui seguito dalla Corte costituzionale, che a noi appare peraltro molto discutibile) che le disposizioni ora evocate sembrano essere sfuggite all’operatività della medesima ratio decidendi solo a causa della loro mancata impugnazione da parte del governo.
Un nodo delicato negli equilibri interni della Giunta e nei rapporti di essa con il Consiglio è l’istituto della censura o sfiducia consiliare ai singoli assessori (153), che è previsto in molti statuti. Tali mozioni, peraltro, se approvate, non comportano né l’obbligo di dimissioni dell’assessore sfiduciato, né quello del Presidente di revocarlo ma solo l’obbligo del Presidente di riferire al Consiglio, eventualmente entro un termine fissato dallo stesso statuto (154) oppure quello di motivare perchè non si intenda revocare l’assessore censurato (155), o, ancora, semplicemente non producono nessun effetto giuridicamente percepibile (156).
Solo il progetto di statuto abruzzese del 2004 si era spinto a prevedere l’obbligo del Presidente di revocare l’assessore sfiduciato dal Consiglio, e proprio per questo motivo la relativa disposizione statutaria è stata giudicata incostituzionale dalla Corte nella sent. n. 12/2006. Secondo la Corte, da un lato la scelta dello statuto abruzzese avrebbe prodotto una interferenza con il potere di nomina e revoca degli assessori, riservato dalla Costituzione al Presidente eletto direttamente, e d’altro lato la mozione di sfiducia, nel sistema della forma di governo regionale c.d. standard, potrebbe avere come destinatario unicamente il Presidente della Giunta, e non i singoli membri di quest’ultima.
La conclusione cui è giunta la Corte appare in effetti condivisibile: la razionalizzazione del rapporto fiduciario fra Consiglio e Giunta prevista nell’art. 126 Cost. delimita rigorosamente i soggetti fra i quali tale rapporto può svolgersi, con la conseguenza che il Consiglio può votare la sfiducia unicamente al Presidente – con i ben noti effetti – e non alla Giunta senza il Presidente, né a singoli assessori. L’obiezione che si può fare, semmai, riguarda la coerenza della decisione della Corte con quella relativa all’analogo istituto della sfiducia ad un singolo ministro, previsto dall’art. 115 del Regolamento della Camera e da una giurisprudenza presidenziale al Senato e ritenuto compatibile con il regime parlamentare dalla sent. n. 7/1996 (157). Si potrebbe infatti obiettare che anche il rapporto fiduciario previsto dall’art. 94 della Costituzione è razionalizzato e che esso intercorre esclusivamente fra il Governo e ciascuna delle due Camere, e non fra queste ultime e singoli membri dell’Esecutivo: anche in tale caso la razionalizzazione dovrebbe significare esclusività nella partnership del rapporto di fiducia, e della relativa fattispecie. Ma la Corte è incline a riconoscere ai regolamenti parlamentari un margine di movimento nella conformazione della forma di governo statale che non le sembra possa spettare agli statuti regionali nel “plasmare” la forma di governo regionale, nonostante l’espresso mandato dell’art. 123, che appare ormai sempre più come una vox clamantis in deserto: e qui, in fondo, riappare, consapevolmente o meno, - in una delle sue innumerevoli forme - il tradizionale e consolidato pregiudizio antiregionalista della Corte costituzionale italiana.
Nel sistema creato dalla legge costituzionale n. 1/1999 le cause che determinano una crisi di giunta e lo scioglimento del Consiglio regionale sono oggetto di una disciplina dettagliata e casistica (158), che non lascia molti spazi agli statuti regionali.
A) In primo luogo, l’art. 126 disciplina in maniera estremamente dettagliata la mozione di sfiducia al Presidente della Giunta, la quale, invece, prima del 1999 era regolata con una certa varietà negli statuti. Le varianti previste in alcuni statuti sono pertanto di non grande importanza, come ad es. un termine massimo per la discussione della mozione di sfiducia (159).
B) In secondo luogo l’impostazione accolta dalla legge cost. n. 1/1999 per la c.d. “forma di governo standard” vuole che ogni causa di cessazione dalla carica del Presidente della Giunta produca come conseguenza lo scioglimento del Consiglio regionale; cui si fa inoltre luogo a seguito delle dimissioni contestuali della maggioranza dei consiglieri regionali. Anche se non è espressamente stabilito dall’art. 126 che tali cause di scioglimento siano – oltre che necessarie – anche tassative, i margini di intervento degli statuti erano comunque ab initio molto limitati, sia riguardo all’eventuale integrazione di esse con altre, individuate dagli statuti medesimi, sia relativamente alla regolazione più dettagliata delle singole cause.
I nuovi statuti regionali hanno tuttavia tentato di integrare l’elenco costituzionale delle fattispecie di scioglimento anticipato in tre diverse direzioni.
Un primo tentativo riconducibile a questa logica era quello, condotto dal progetto di statuto abruzzese del 2004, nel quale, come si è visto, veniva stabilito che la mancata approvazione del programma di governo da parte del Consiglio regionale avrebbe necessariamente prodotto l’applicazione del principio simul stabunt, simul cadent. Proprio tale opzione è stata però dichiarata costituzionalmente illegittima nella sentenza n. 12/2006. E si è visto che uno degli argomenti utilizzati dalla Corte è stato la chiusura delle cause che possono condurre alla conclusione anticipata della legislatura regionale.
Una seconda integrazione è quella concernente il rigetto della questione di fiducia. Si è accennato supra (par. 6.2) che le norme degli statuti ligure e calabrese appaiono problematiche alla luce della interpretazione dell’art. 126 Cost. accolta dalla Corte nella sent. 12/2006.
Una terza integrazione riguarda il caso dell’annullamento delle elezioni, che lo statuto abruzzese del 2006 menziona espressamente come causa di scioglimento del Consiglio e di decadenza della Giunta, stabilendo che in tale caso il Consiglio per le garanzie statutarie nomina “una commissione di tre cittadini eleggibili al Consiglio regionale, sorteggiandoli da una lista di dodici nomi predisposta dal Consiglio regionale e rinnovata ogni cinque anni” (160). Tale Commissione indice le elezioni e provvede alla ordinaria amministrazione (161).
Gli statuti non hanno invece previsto un potere presidenziale di scioglimento del Consiglio, che abbia forma diversa da quello implicito nelle dimissioni presidenziali.
C) Due statuti hanno tentato di procedimentalizzare le dimissioni del Presidente della Giunta. L’art. 33, 4° comma, St. Toscana stabilisce che tali dimissioni vengono discusse in Consiglio regionale e possono essere ritirate entro venti giorni, dopo i quali si produce l’effetto simul stabunt simul cadent (le dimissioni divengono così una sorta di preavviso di dimissioni). Una soluzione analoga è delineata dall’art. 64, 3° co., St. Umbria, in virtù del quale se le dimissioni del Presidente non sono motivate da ragioni personali, esse non producono automaticamente effetto, ma devono essere motivate davanti al Consiglio regionale, il quale, a maggioranza assoluta, può invitare il Presidente a recedere; il Presidente ha poi 15 giorni di tempo per comunicare al Consiglio se intende confermare le dimissioni o ritirarle.
Queste procedure trovano un precedente nella legislazione sulla forma di governo comunale (162), cui viene però aggiunta una forma di “parlamentarizzazione” necessaria degli effetti delle dimissioni, mediante il dibattito in Consiglio. Esse sollevano tuttavia alcuni dubbi interpretativi, in cui potrebbero trasparire profili di illegittimità costituzionale: quid se il Presidente rifiuta di presentarsi in Consiglio? Può egli ritirare le dimissioni con modalità diverse da quelle indicate (voto del Consiglio a maggioranza assoluta)? E’ consentito agli statuti (specie alla luce della sent. n. 12/2006) limitare la facoltà di dimissioni – costituzionalmente prevista, con effetti ben precisi, dall’art. 126, 3° co., Cost. – in maniera così penetrante? E quale ruolo potrebbero svolgere le dimissioni per ragioni personali? Includono queste ultime le dimissioni “alla Bersani”, ovvero quelle presentate da un Presidente di Giunta (nel caso qui evocato dal Presidente della Regione Emilia Romagna nel 1996) per diventare membro del governo nazionale? A noi pare che gran parte di tali quesiti debbano essere letti alla luce dell’autonomia statutaria in materia di forma di governo, limitata solo dall’esterno dalle norme costituzionali. Ma la ben diversa impostazione accolta dalla Corte, secondo cui lo statuto è tenuto a procedere “a rime obbligate” rispetto al dettato degli art. 121, 122 e 126 Cost., potrebbe indurre a conclusioni diverse.
D) Una certa varietà si ravvisa nella regolamentazione della sostituzione del Presidente della Giunta in vista delle nuove elezioni. Si possono delineare tre diversi modelli.
Per il primo, tanto in caso di fine “naturale” della legislatura, quanto in caso di scioglimento anticipato, il Presidente rimane in carica alla guida della Giunta dimissionaria (163).
Per il secondo – e opposto – modello, in ogni caso che determina la cessazione anticipata del Presidente questi è sostituito dal Vicepresidente, alla guida della giunta dimissionaria, fino alla proclamazione dei nuovi eletti (164).
Il terzo modello è in qualche modo intermedio fra i primi due: si distingue cioè fra i casi in cui il Presidente resta in carica alla guida della Giunta uscente sino all’insediamento del successore da quelli in cui il Presidente decade e la Giunta resta in carica guidata dal vicepresidente (o dal componente più anziano, in caso di assenza di tale figura (165)) sino all’insediamento della nuova Giunta (166).
L’art. 52.3 St. Piemonte prevede che dopo l’approvazione della mozione di sfiducia il Presidente della Giunta e la Giunta rimangono in carica solo per l’ordinaria amministrazione, salva l’adozione degli atti indifferibili e urgenti.
A) Gli statuti regionali si occupano della legge elettorale solo con scarne disposizioni di principio e con norme procedimentali relative all’approvazione della legge elettorale (167).
Alcuni statuti stabiliscono che la legge elettorale deve essere approvata a maggioranza assoluta (168), dei tre quinti (169) o addirittura dei due terzi (170) distinguendola così dalle normali maggioranze legislative.
Per il resto, la giurisprudenza costituzionale ha interdetto agli statuti interventi in questo campo, interpretando come rigido il confine materiale fra forma di governo e sistema di elezione (del Presidente e dei consiglieri) che scaturisce dagli art. 122, 1° co., e 123. Tale rigidità ha condotto a dichiarare incostituzionali alcune disposizioni normative non per vizi materiali, ma esclusivamente per vizio di competenza: ovvero in quanto gli statuti disponevano qualcosa che solo la legge elettorale avrebbe potuto disporre (171). Secondo la Corte, vale quindi, nel rapporto fra le due fonti, non il criterio della preferenza, ma quello della riserva e la legge elettorale regionale è configurata come sottratta alla potestà di irradiazione dei principi contenuti nello statuto.
B) Per quanto attiene ai contenuti (172) delle leggi elettorali regionali, le Regioni che si sono dotate – oltre che di nuovi statuti – anche di una legge elettorale, sono soltanto cinque: Toscana (173), Marche (174), Lazio (175), Calabria (176) e Puglia (177). Anche la Regione Abruzzo ha approvato una nuova legge elettorale, che è stata però parzialmente abrogata a seguito dell’impugnativa governativa, con la conseguenza che sono rimaste in vigore solo le disposizioni in materia di pari opportunità (178).
E’ possibile individuare due modelli diversi per quanto attiene alla tecnica normativa utilizzata: la riscrittura globale della legge elettorale (Toscana, Marche) e l’approvazione di emendamenti puntuali alla legge statale n. 108/1968 e successive modificazioni (Calabria, Lazio, Puglia). Quest’ultima tecnica lascia trasparire una certa contingenza ed inorganicità delle scelte compiute.
Complessivamente le leggi regionali si muovono in continuità col c.d. Tatarellum (l.n. 43/1995) (179): esse adottano quindi un sistema elettorale a base proporzionale su scala provinciale, con premio di maggioranza assegnato alla coalizione vincente. Si prevede altresì un unico turno elettorale per l’elezione del Presidente della Giunta e del Consiglio regionale e le due elezioni vengono unificate nel medesimo atto compiuto dall’elettore: si tratta dunque una forma di contestualità, che diventa una vera e propria immedesimazione dell’elezione del Presidente in quella del Consiglio. La clausola di sbarramento è in genere debole.
Sul tema del Tatarellum sono previste le seguenti variazioni:
- la soppressione del “listino” regionale, con conseguente “spalmatura” del premio di maggioranza sulle liste provinciali (Puglia, Toscana, Marche);
- la correzione del premio di maggioranza (Lazio, Puglia, Toscana, Marche);
- l’abolizione delle preferenze, con introduzione delle elezioni primarie regolate per legge, ma comunque facoltative (Toscana);
- la soppressione del voto disgiunto (Marche);
- innalzamento o correzione della clausola di sbarramento (Calabria (180), Puglia (181), Toscana, Marche).
Le leggi regionali laziale e calabrese mantengono il listino regionale. Mentre la legge calabrese non modifica la legge n. 43/1995 sul punto, la legge della Regione Lazio prevede la distribuzione dei relativi seggi (14) alla sola lista regionale vincente se questa non abbia superato il 50 per cento dei voti, oppure in un rapporto di 10-4 fra la lista regionale vincente e la migliore perdente, se la vincente abbia superato il 50 per cento e richiede che il “listino” sia composto da almeno un candidato residente in ciascuna delle cinque province in cui si articola la Regione. In queste due Regioni, pertanto – come accade del resto in base alla legge n. 43/1995 – il Presidente viene eletto non solo “contestualmente” all’elezione del Consiglio regionale, ma nell’ambito di essa: il Presidente eletto è il capo della lista che abbia ottenuto il maggior numero di voti a livello regionale.
Il sistema elettorale pugliese, invece, ha soppresso la lista regionale ed ha “separato” maggiormente l’elezione del Presidente da quella del Consiglio, pur mantenendo la concomitanza o contestualità delle due elezioni. E’ eletto Presidente della Giunta il candidato che abbia ottenuto il maggior numero di voti non in quanto capolista della lista regionale, ma in quanto candidato alla Presidenza. I collegamenti rimangono, però, in due sensi. E ciò non solo in quanto la scheda è unica, ma anche in quanto il voto espresso per una lista elettorale provinciale collegata al candidato Presidente si trasferisce al Presidente stesso. Ed il collegamento opera anche in senso inverso. In assenza del “listino” regionale, i 13 seggi della quota maggioritaria regionale si “spalmano” sulle liste provinciali collegate con il candidato Presidente risultato vincitore e sono distribuiti fra di esse in ragione proporzionale. Questo sistema potrebbe disincentivare maggiormente il voto disgiunto rispetto a quello nazionale e a quello previsto dalla legge n. 43/1995 e dalla legge della Regione Lazio.
Il sistema toscano (182) si caratterizza per vari aspetti: dal punto di vista formale in quanto sostituisce integralmente la legislazione statale sul sistema elettorale (non quella sulle incompatibilità ed ineleggibilità, che viene invece richiamata) e per quanto attiene al contenuto, essa:
a) sopprime il listino regionale, ma inserisce i “candidati regionali” all’interno delle liste provinciali;
b) elimina il voto di preferenza;
c) prevede un leggero rafforzamento delle clausole di sbarramento;
d) stabilisce tre tipi di soglie per la distribuzione complessiva dei seggi fra le coalizioni:
1) attribuzione del 60 per cento dei seggi alla coalizione vincente che abbia ottenuto almeno il 45 per cento dei voti;
2) attribuzione del 55 per cento dei seggi alla coalizione vincente che abbia ottenuto meno del 45 per cento dei voti;
3) riserva alle coalizioni diverse da quella vincente di almeno il 35 per cento dei seggi.
Anche nel sistema toscano il Presidente della Giunta è eletto in quanto candidato alla presidenza e non in quanto capolista della lista regionale; tuttavia anche in tale sistema la scheda per l’elezione di Presidente e Consiglio regionale rimane unica (183). Anche in questo caso il voto espresso a favore di una lista si “comunica” al candidato Presidente con essa collegato: e ciò si spiega con il fatto che è il voto al candidato Presidente a determinare il risultato complessivo delle elezioni. Il voto disgiunto – che rimane possibile anche in Toscana – viene disincentivato, come in Puglia, dalla eliminazione del diaframma fra candidato Presidente e liste provinciali rappresentato dalla lista regionale.
E’ noto, infine, che la Regione Toscana, avendo soppresso il voto di preferenza, si è data un correttivo rappresentato dalla disciplina delle elezioni primarie (184), le quali, peraltro, in occasione delle elezioni del 2005, sono state effettivamente tenute solo dai Democratici di Sinistra e dalla lista “Toscana futura” (il 20.2.2005).
La legge elettorale della Regione Marche (n. 27/2004, non applicata però nelle elezioni del 2005) è simile a quella toscana in quanto contiene una disciplina organica e completa del sistema elettorale, elimina il listino regionale e collega il candidato Presidente della Giunta con le liste provinciali. A differenza della Regione Toscana, essa mantiene le preferenze (185) e sopprime il voto disgiunto (186). Lo sbarramento appare dissuasivo solo al di fuori delle coalizioni maggiori, in quanto esclude dal riparto dei seggi le coalizioni che abbiano ottenuto meno del cinque per cento dei voti validi, a meno che non siano composte da almeno un gruppo di liste che abbia superato il tre per cento dei voti validi (187). La coalizione regionale vincente ottiene almeno 25 seggi (188) dei 40 di cui è composto il Consiglio regionale.
Le leggi elettorali regionali sinora approvate sono troppo poche per poter tentare una valutazione di sistema. Tuttavia si può osservare sin d’ora che traspaiono qui elementi di differenziazione che potrebbero essere idonee ad incidere sulla forma di governo regionale più delle disposizioni statutarie. Ciò, peraltro, non ha influenzato in misura sensibile i risultati elettorali del 2005 e la conformazione del sistema politico. Lo svolgimento delle elezioni politiche in un’unica data a livello nazionale per tutte le Regioni ordinarie (189) rende dominanti le dinamiche di voto nazionali.
9. Conclusioni
Per quanto attiene alla forma di governo non si può affermare che la stagione statutaria sia stata una anche pallida copia di una stagione costituente regionale, quale pure – a suo modo e con tutte le sue contraddizioni – era stata la stagione dei primi anni settanta. Il constitutional moment delle Regioni italiane è arrivato dall’esterno nel 1999 e non dai nuovi statuti sinora promulgati nel 2004-2005. Ciò non era scontato e questa è stata nel complesso una scelta politica.
Lo spazio a disposizione degli statuti regionali per innovare in maniera originale in materia di forma di governo regionale risulta pertanto oggi estremamente ridotto, al punto che appare del tutto ingiustificata la procedura “paracostituzionale” delineata nell’art. 123 Cost. per la loro approvazione. Sarebbe in effetti legittimo chiedersi quale sia oggi la ratio di un iter formativo così complesso per un atto avente un contenuto meramente esecutivo e specificativo di una architettura già del tutto delineata in Costituzione, ed assoggettata sistematicamente dalla Corte costituzionale ad una interpretazione estensiva ed al tempo stesso chiusa ad integrazioni statutarie. Si sarebbe tentati di dire – riprendendo quanto la migliore dottrina afferma circa il sistema delle fonti primarie, che è “chiuso a livello costituzionale” – che nella lettura della Corte la forma di governo regionale è chiusa a livello costituzionale, restando agli statuti solo la scelta tra il modello standard, in tutto predefinito negli art. 121, 122 e 126 Cost., e un modello in deroga (che la Corte non ha ancora avuto modo di delimitare... per mancanza di casi concreti). Sicché, se alcuni anni orsono – prima della giurisprudenza della Corte sugli statuti – si poteva azzardare una comparazione fra gli statuti e le Costituzioni degli Stati membri degli Stati federali (190), a quasi otto anni dalla riforma del 1999 si può ben dire che la loro vocazione costituzionale è stata soffocata nella culla. Un termine di paragone potrà, semmai, essere ricercato oggi nella potestà statutaria degli enti territoriali minori, sui quali la giurisprudenza costituzionale successiva alla riforma del titolo V ha sempre più appiattito le Regioni ordinarie (in generale e specificamente per i loro statuti) (191).
Sterilizzate per ora, le facoltà di introdurre elementi di innovazione rispetto alla forma di governo standard, sia sostituendola, sia prevedendo varianti interne ad essa, rimangono comunque una importante potenzialità del testo costituzionale. L’art. 122, 5° comma, che consente agli statuti di derogare alla regola della elezione diretta del Presidente della Giunta regionale, ancorché non utilizzato in questa fase, rimane uno sleeping giant all’interno della Carta costituzionale. Ed anche la vocazione costituzionale degli statuti potrebbe risvegliarsi, magari in presenza di condizioni sociali e politiche più propizie e di una Corte costituzionale e di una dottrina più disponibili ad una lettura seriamente ispirata ai valori dell’autonomia.
(1) L’oggetto qui trattato coincide infatti con il nucleo duro e “sicuro” di qualsiasi nozione di forma di governo regionale (intendiamo lasciare impregiudicata in questa sede la questione della effettiva estensione dell’ambito di competenza degli statuti ordinari oltre il nucleo duro in questione e rinviamo per questi aspetti a quanto sostenuto in M. Olivetti, Nuovi statuti e forma di governo delle Regioni, Il Mulino/Arel, Bologna, 2002, p. 125 ss.).
Anche ristretta nei termini appena delineati, la definizione dell’oggetto di questa analisi presenta alcuni profili critici quanto ai suoi esatti confini: ci si riferisce alla pertinenza alla nozione di “forma di governo” del tema “fonti normative” regionali, oggetto della relazione del Prof. Bartole in questo stesso convegno (alla quale si fa pertanto rinvio).
(2) La sentenza-madre è la n. 43/2004, cui hanno fatto seguito altre pronunce nella stessa direzione.
(3) Il riferimento è ovviamente a L. Elia, Governo (forme di), in Enc. Dir., vol. XIX, Giuffrè, Milano, 1970 (v. ora alcuni ulteriori rilievi dell’a. in Id., Forme di Stato e di governo, in S. Cassese, Dizionario di Diritto pubblico, Giuffrè, Milano, 2006).
(4) R. Bin, Le crisi di Giunta nell’esperienza della prima legislatura delle Regioni ad autonomia ordinaria, in Le Regioni, 1976, p. 425 ss.
(5) La partecipazione del Presidente a tale organo è menzionata dall’art. 68, 1° co., St. Abruzzo del 2006.
(6) L’art. 5 dello St. Liguria prevede che sia il Presidente della Giunta a concludere accordi ed intese, “previa comunicazione al Consiglio”. Accordi ed intese che comportano oneri alle finanze, modificazioni di legge o atti di programmazione devono essere autorizzati con legge. Cfr. inoltre l’art. 37, 1° co. lett. b) St. Liguria.
(7) Sempre lo st. ligure precisa che il Presidente della Giunta “cura di rapporti con gli organi dello Stato e con gli altri enti territoriali che costituiscono la Repubblica” e “cura i rapporti con gli organi dell’Unione europea, con altri Stati e con enti territoriali interni ad altri Stati” (art. 47, 1° co. lett. b e c). L’art. 27, 4° co. lett. o) e v) prevede che la legge regionale autorizza le intese e gli accordi e ratifica le intese con altre Regioni. Cfr. inoltre l’art. 37, 1° co., lett. a) del medesimo St. Liguria.
Lo statuto della Regione Lazio prevede che il Consiglio ratifica con legge le intese con altre Regioni, gli accordi con Stati e con enti territoriali interni ad altri Stati (art. 23,2° co., lett. n).
(8) G. Pitruzzella, L’impatto dei “governatori regionali” nelle istituzioni e nella politica italiana, in Le Regioni, 2004, n. 6. p. 1239 ss.
(9) Cfr. di nuovo G. Pitruzzella, op. ult. cit.
(10) Non si vuole qui sostenere che i fattori indicati operino nel senso di inserire dinamiche proprie del regime presidenziale, ma che essi rafforzino variamente i leaders degli esecutivi. Si v. in generale T. Poguntke, P. Webb (a cura di), The Presidentialization of Politics, Oxford University Press, Oxford, 2005.
(11) Si farà riferimento soprattutto ai nove statuti (quelli delle Regioni Puglia, Calabria, Lazio, Toscana, Piemonte, Marche, Liguria, Emilia-Romagna, Umbria) approvati e promulgati durante la VII legislatura delle Regioni ordinarie (2000-2005), aggiungendo qualche riferimento allo statuto abruzzese perfezionatosi nel 2006. Si farà peraltro qualche cenno anche agli statuti approvati in prima lettura dai Consigli regionali dell’Abruzzo e della Campania nel corso della VII legislatura e poi non giunti al termine del loro iter formativo ed ai progetti di statuto elaborati, sempre nel periodo 2000-2005, dalle competenti commissioni consiliari, ma non approvati dai rispettivi Consigli (nelle Regioni Lombardia, Veneto, Basilicata e Molise – in quest’ultimo caso nella legislatura 2001-2006).
Esiste ormai una bibliografia ricca ed elaborata sulla forma di governo nei nuovi statuti. Si v. fra gli altri: D. Coduti, Esecutivo e forma di governo, in R. Bifulco (a cura di), Gli statuti di seconda generazione, Giappichelli, Torino, 2006, p. 59 ss.; P. Petrillo, Le forme di governo regionale con particolare riferimento al riequilibrio del sistema di poteri tra consiglio e (presidente della) giunta, in M. Carli, G. Carpani, A. Siniscalchi (a cura di), I nuovi statuti delle regioni ordinarie, Il Mulino, Bologna, 2006, p. 57 ss.; V. Boncinelli, Brevi note in tema di limiti e condizionamenti alla forma di governo regionale, in P. Caretti (a cura di), Osservatorio sulle fonti 2005 – I nuovi statuti regionali, Giappichelli, Torino 2006, p. 93 ss. Si v. poi i saggi dedicati specificamente alla forma di governo in taluni statuti: A. Poggi, Forma di governo e processi normativi, in F. Pizzetti, A. Poggi (a cura di), Commento allo statuto della Regione Piemonte, Giappichelli, Torino, 2006, p. 1 ss.; P. Caretti, M. Carli, E. Rossi (a cura di), Statuto della Regione Toscana – Commentario, Giappichelli, Torino, 2005, in partic. p. 145 ss.; G. Tarli Barbieri, La forma di governo nel nuovo Statuto della Regione Toscana: prime osservazioni, in Dir. Pubbl., 2004, p. 691 ss.
(12) Con tale categoria si descrive il rapporto che in uno Stato federale deve legare l’organizzazione costituzionale della federazione e quella degli Stati membri (su questo problema sia consentito rinviare al nostro Nuovi statuti, cit., p. 44 ss.).
(13) Giustamente C. Fusaro, Statuti e forma di governo, in A. Chiaramonte, G. Tarli Barbieri (a cura di), Riforme istituzionali e rappresentanza politica nelle Regioni italiane, Il Mulino, Bologna, 2007, p. 40 rileva che “una sola è di fatto la forma di governo delle Regioni italiane (con varianti solo marginali)”.
(14) La letteratura sullo statuto come fonte dopo la l. cost. 1/1999 è molto estesa. Si rinvia qui solo ai due più recentiu lavori di sintesi: G. D’Alessandro, Statuti regionali, in S. Cassese (a cura di), Dizionario di Diritto pubblico, vol. VI, Giuffrè, Milano, 2006, p. 5751 ss. e R. Tarchi, M. Bessi, Art. 123, in R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti (a cura di), Commentario alla Costituzione, vol. III, Utet, Torino, 2006, p. 2451 ss.
(15) Rinvio per questa alternativa al mio Nuovi statuti, cit., p. 374 ss.
(16) A partire dalla sentenza n. 2/2004.
(17) Al riguardo Cfr. B. Caravita (a cura di), La legge quadro n. 165/2004 sulle elezioni regionali, Giuffrè, Milano, 2005, p. 115 ss.; M. Rosini, La materia elettorale regionale tra vincoli costituzionali, principi statali e legislazione regionale, in M. Carli, G. Carpani, A. Siniscalchi (a cura di), I nuovi statuti delle Regioni ordinarie. Problemi e prospettive, Il Mulino, Bologna, 2006, p. 491 ss. Mi permetto inoltre di rinviare al mio Commento a tale legge, in Giornale di diritto amministrativo, 1/2005, p. 12 ss.
(18) Invero, alla stregua delle disposizioni costituzionali citate, non sarebbe inimmaginabile la fissazione delle elezioni legislative e presidenziali regionali in due date distinte, magari distanziate di una o due settimane.
(19) Riprendo la definizione che fa da titolo al volume di Bifulco R. (a cura di), Gli statuti di seconda generazione, Giappichelli, Torino, 2006.
(20) Cfr. capo I e capo II del titolo II dello Statuto.
(21) Cfr. titolo II e III dello Statuto.
(22) Cfr. capo II del titolo V del progetto di Statuto.
(23) Art. 41, 1° co.
(24) Art. 14, 2° co.
(25) Questo dato formale viene singolarmente trascurato dalla sent. n. 12/2006, che pure tenta una lettura organica della forma di governo regionale e che verrà più volte richiamata in seguito nel testo.
(26) Nel 2007 tale figura è stata poi prevista, ma con legge (l. reg. 23.2.2007, n. 4), nella Regione Molise.
(27) Art. 45, 3° co., e 45, 7° co., St. Emilia-Romagna. Tale sottosegretario alla Presidenza sembra una figura distinta dai sottosegretari nominati dal Presidente calabrese Agazio Loiero dopo la formazione della Giunta nel 2005.
(28) Tale numero è fissato in 16 più il Presidente (art. 45, 1° co., St. Lazio), 14 (art. 43, 2° co., St. Puglia), 9 (art. 67, 2° co. St. Umbria), 12 (Liguria, art. 41);, 14 (art. 49, 1° co., prog. St. Veneto). L’art. 46, 2° co., St. Abruzzo fissa il numero massimo dei membri della Giunta nel 20 per cento del numero dei consiglieri.
(29) Art. 45, 2° co., St. Emilia-Romagna (8-12), art. 30.1 prog. St. Basilicata (6-8).
(30) Art. 45 St. Abruzzo.
(31) Art. 45 St. Abruzzo, art. 41, 2° co., St. Liguria, art. 35, 4° co., St. Toscana.
(32) Art. 33, 7° co., St. Toscana.
(33) Art. 41, 4° co., St. Liguria.
(34) Cfr. ad es. art. 35, 2° co., St. Calabria.
(35) Cfr. art. 46, 2° co., St. Abruzzo del 2006.
Gran parte delle scelte in material di organizzazione interna della Giunta sembrano comunque rinviate a fonti ulteriori (legislazione ordinaria, regolamento della Giunta) o alla prassi.
(36) Sul significato di questa disposizione dopo la riforma costituzionale del 1999 v. A. Deffenu, Art. 121, in R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti (a cura di), Commentario alla Costituzione, Utet, Torino, 2006, p. 2413 ss.
(37) Ancora più riduttiva era la formula utilizzata dal progetto di statuto campano della VII legislatura regionale, il quale, dopo aver prestato omaggio alla formula costituzionale ribadendo che “la Giunta regionale è l’organo esecutivo della Regione”, precisava che essa “nel rispetto delle direttive del presidente e dell’indirizzo politico determinato dal Consiglio regionale, contribuisce all’attuazione dell’indirizzo politico-amministrativo della Regione” (art. 53, 1° e 2° co. prog. St. Campania).
(38) Un buon esempio è l’art. 53 prog. St. Campania.
(39) Originale – nel senso della flessibilità e quindi del modello della Giunta come staff del Presidente – era la facoltà del Presidente prevista dall’art. 49, 4° co., del progetto di Statuto Veneto della VII legislatura di “attribuire, per affari determinati, incarichi temporanei a singoli membri della Giunta” nonchè di “affidare a uno o più componenti della Giunta compiti permanenti di istruzione per gruppi di materie affini”.
(40) Art. 58 e 59 St. Lazio.
(41) Art. 49, 3° co., St. Lazio (sentito il Consiglio delle Autonomie Locali), art. 27 St. Umbria (sentito il Consiglio delle Autonomie Locali).
(42) Art. 47 St. Lazio.
(43) Art. 48 St. Lazio.
(44) Art. 27, 2° co., St. Marche. Le perplessità circa una disposizione siffatta non derivano ovviamente dalla previsione delle direttive presidenziali, ma dal fatto che esse sembrano in questo caso indirizzate al collegio e non ai singoli assessori.
Più correttamente, lo Statuto abruzzese del 2006 menziona distintamente la regola della collegialità (art. 49) e le direttive presidenziali (art. 46, 2° co.): si potrebbe desumere che la collegialità è la regola per l’esercizio delle funzioni della Giunta, mentre per l’esercizio delle funzioni degli assessori come capi dei singoli dicasteri amministrativi vale la regola della soggezione alle direttive del Presidente.
(45) Art. 38 St. Toscana. L’art. 45, 1° co., dello St. Emilia-Romagna si limita invece a stabilire la mera regola della collegialità.
(46) Cfr. art. 40 e ss. St. Lazio
(47) ... saggiamente, si dovrebbe dire, col senno di poi.
(48) Su tale disposizione v. ora A. Pertici, Art. 122, in R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti (a cura di), Commentario alla Costituzione, vol. III, Utet, Torino, 2006, p. 2424 ss.
(49) Art. 6 St. Toscana.
(50) Art. 24 St. Puglia.
(51) Art. 19, 1° co., St. Lazio.
(52) Art. 15, 2° co., St. Liguria.
(53) Art. 42 St. Umbria
(54) Art. 29, 2° co., St. Em.-Romagna
(55) Art. 15 St. Calabria.
(56) Art. 11 St. Marche.
(57) L’art. 14 dello statuto del 2006 fissa in 40 il numero dei consiglieri. L’art. 13 del progetto di statuto del 2004 indicava invece il numero dei consiglieri in 50 (ma con eventuali seggi aggiuntivi, ove previsto dalla legge elettorale).
(58) Si v. l’art. 17, 1° co., del nuovo statuto del Piemonte, che mantiene il vecchio numero di 60 consiglieri.
(59) Il numero dei consiglieri veniva fissato in 80 dall’art. 28 prog. St. Campania e in 40 dall’art. 12, 1° co. prog. St. Basilicata. L’ art. 29, 1° co., prog. St. Veneto rinviava invece la determinazione del numero dei consiglieri alla legge elettorale
(60) L’art. 21 dello statuto piemontese li definisce “organi del Consiglio regionale”.
(61) L’art. 12 St. Toscana prevede la maggioranza dei tre quarti, anche se solo nella prima riunione. L’art. 20, 3° co., St. Lazio prevede i 2/3 al primo scrutinio, i 3/5 al secondo, la maggioranza assoluta al terzo. L’art. 19, 2° co., St. Liguria richiede la maggioranza dei due terzi e dal terzo scrutinio la maggioranza assoluta. L’art. 46, 3° co., St. Umbria richiede la maggioranza dei 4/5 nei primi tre scrutini, dopo la maggioranza assoluta; l’art. 33, 4° co., St. Emilia-Romagna prevede i 4/5 nei primi due scrutinii, e la maggioranza dei componenti nel terzo e poi la maggioranza relativa; l’art. 20, 2° co., St. Calabria richiede i due terzi nei primi due scrutinii, la maggioranza assoluta nel terzo, poi il ballottaggio; l’art. 36, 2° co., prog. St. Campania richiedeva i due terzi nei primi due scrutinii e, nel terzo scrutinio, il ballottaggio tra i candidati più votati nel secondo.
Fanno eccezione lo statuto piemontese (art. 22, 2° co.), quello marchigiano (art. 13) e il progetto di statuto veneto (art. 31, 2° co.), che prevedono sin dall’inizio l’elezione a maggioranza assoluta.
(62) Art. 20, 5° co., St. Lazio; art. 31, 4° co., prog. St. Veneto
(63) Art. 46, 5° co., St. Umbria e art. 14, 3° co., St. Toscana (in entrambi i casi 30 mesi, con possibilità di rielezione).
(64) Art. 19, 4° co. St. Liguria. Il progetto di St. Campania del 2004 aveva previsto la revocabilità del Presidente e dell’ufficio di Presidenza mediante l’approvazione di una mozione di sfiducia le cui modalità erano rimesse al Regolamento interno (art. 36, 4° co., prog. St.Campania)
(65) Ad es. O. Uhlitz, Das Staatsoberhaupt in den Ländern, in Die öffentliche Verwaltung, 1953, 293 ss.
(66) Art. 33, 4° co., St. Toscana.
(67) Art. 19, 4° co., St. Lazio.
(68) Art. 44, 2° co., St. Lazio.
(69) Art. 21, 4° co., St. Lazio.
(70) Art. 32, 1° co., St. Abruzzo.
(71) Art. 22 St. Abruzzo
(72) Art. 32, 2° co., St. Lazio.
(73) Art. 33, 1° 2° co. St. Lazio; art. 30 St. Calabria; art. 47 St. Liguria; art. 30, 4° co., St. Piemonte; art. 33 St. Abruzzo (il successivo art. 38 prevede poi la sede redigente e quella deliberante per l’esercizio della potestà regolamentare); art. 19, 1° co., St. Toscana, che le condiziona al voto unanime del Consiglio; art. 43 prog. St. Campania; art. 54, 2° co., prog. St. Veneto; art. 37 prog. St. Basilicata.
(74) Art. 30, 4° co., e 46 St. Piemonte.
(75) Art. 33, 5° co., St. Lazio e art. 31 St. Calabria.
(76) Art. 33, 6° co., St. Lazio; art. 31, 2° co., St. Calabria; art. 30, 5° co., 31, 1° co., lett. a) e 32 St. Piemonte.
(77) Art. 35 St. Lazio (istituzione con legge); art. 32 St. Calabria; art. 30, 1° co., lett. b) St. Piemonte.
(78) Art. 31, 1° co., St. Lazio (ma v. art. 32, 2° co.); art. 29 St. Puglia.
(79) Art. 52 St. Umbria, art. 27 St. Calabria.
(80) Art. 36 St. Emilia-Romagna; art. 16, 2° co., St. Toscana (il numero minimo è usualmente di due consiglieri: si consente il monogruppo solo se il consigliere sia l’unico eletto di una lista presentatasi alle elezioni regionali).
(81) Art. 21, 4° co., e 31, 2° co., St. Lazio; art. 29 St. Liguria; art. 17, 2° co., St. Toscana.
(82) Si v. ora un quadro sintetico delle scelte compiute dai nuovi statuti in P. Petrillo, Lo statuto dell’opposizione consiliare e la tutela dei singoli consiglieri, in M. Carli, G. Carpani, A. Siniscalchi (a cura di), I nuovi statuti delle regioni ordinarie. Problemi e prospettive, Il Mulino, Bologna, 2005, p. 91 ss. e in G. Rivosecchi, Organizzazione e funzionamento dei Consigli regionali: principio maggioritario, statuti regionali e regolamenti consiliari, in R. Bifulco (a cura di), Gli statuti di seconda generazione, Giappichelli, Torino, 2006, p. 151 ss.
(83) Art. 36 St. Liguria.
(84) Per il rilievo che la disciplina dell’opposizione si è formata nel “sistema anglosassone, caratterizzato da un consolidato assetto bipartitico”, che “non è facile trasporre nel sistema italiano, segnato... da un’elevata frammentazione” v. ora D. Paris, Il riconoscimento dell’opposizione quale soggetto istituzionale nei nuovi statuti regionali, in Quad. reg. 2006, p. 92.
(85) Si v. il già cit. art. 36 St. Liguria.
(86) Art. 34, 1° co., prog. St. Campania. Tale precetto è stato inserito il 21 giugno 2005 nell’art. 14 del Regolamento del Consiglio regionale campano. Si v. al riguardo, per alcuni rilievi critici (e per un utile richiamo di un analogo tentativo fallito nell’ordinamento francese) M. Rubechi, L’opposizione nei regolamenti consiliari: un’opportunità da cogliere, al di qua delle Alpi, in Quad. Cost., 2006, n. 4, p. 779 ss.
(87) Art. 20, 4° co., St. Lazio, art. 19, 4° co., St. Liguria, art. 36, 3° co., prog. St. Campania per l’Ufficio di Presidenza. L’art. 31, 3° co., prog. St. Veneto precisa che nell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale “è assicurata la presenza delle minoranze”.
(88) Art. 34, 6° co., prog. St. Campania.
(89) In generale art. 34, 5° co., prog. St. Campania.
(90) Art. 34, 3° co., St. Lazio.
(91) Art. 25 St. Abruzzo.
(92) Cfr. art. 31, 3° co., St. Piemonte; art. 26, 3° co., St. Liguria (che affida la presidenza delle Commissioni di inchiesta richieste da una minoranza - pari ad almeno il 40 per cento dei membri del Consiglio - ad uno dei proponenti); art. 26, 2° co., prog. St. Basilicata (per le Commissioni di inchiesta).
(93) Art. 94, 2° co., lett. c) St. Piemonte.
(94) Art. 33, 2° co., St. Lazio.
(95) Art. 25, 2° co., St. Piemonte.
(96) Art. 34, 4° co., prog. St. Campania.
(97) Art. 94, 2° co., lett. a) St. Piemonte; art. 34, 3° co., prog. St. Campania
(98) Il 40 per cento nell’art. 26, 3° co., St. Liguria, che limita l’oggetto di tali Commissioni a “materie di interesse regionale” e richiede che le attività della Commissione siano “predefinite nella durata e nell’oggetto”; 1/4 dei componenti del Consiglio secondo l’art. 24 St. Abruzzo; 1/5 dei consiglieri secondo l’art. 46 prog. St. Campania; 2/5 secondo l’art. 41, 2° co., prog. St. Veneto; 1/5 dei consiglieri secondo l’art. 21, 2° co., St. Toscana.
(99) Così l’art. 34, 2° co., prog. St. Campania.
(100) Art. 75, 2° co., St. Liguria; art. 57, 2° co., St. Toscana; art.69, 1° co., lett. d) St. Emilia-Romagna; art. 68, 7° co., St. Lazio; art. 82, 2° co., St. Umbria; art. 57, 5° co., St. Calabria; art. 92, 1° co., St. Piemonte.
(101) Art. 94, 2° co., lett. d) St. Piemonte.
(102) Si v. gli organi menzionati supra sub a)
(103) Ad es. il Regolamento del Consiglio (art. 25, 1° co., St. Lazio)
(104) Art. 94, 2° co., lett. b) St. Piemonte.
(105) Art. 10, 2° co., St. Toscana. Una figura simile era prevista anche dall’art. 43 prog. St. Veneto (rinviando al Regolamento interno per la possibilità in questione), che pure, per il resto, ragionava di diritti delle minoranze e non dell’opposizione (prevedendo alcuni dei meccanismi elencati nel testo).
(106) Art. 29 St. Emilia-Romagna; art. 2, 9° co., l. reg. Puglia n. 2/2005; art. 2, 5° co., l. reg. Lazio n. 2/2005
(107) L’art. 34 prog. St. Campania del 2004 ne rinviava la disciplina al Regolamento interno e la inquadrava fra le prerogative dell’opposizione.
(108) Art. 37 St. Piemonte.
(109) Art. 28 lett. e), St. Marche.
(110) Art. 34, 2° co., St. Toscana. Nella stessa direzione l’art. 27, 1° co., lett. i) prog. St. Basilicata, il quale attribuisce al Presidente le nomine e le designazioni “che la legge attribuisce alla Regione”, stabilendo però l’obbligo di informare preventivamente la Giunta e di ottenere il parere della commissione consiliare competente, ma solo ove ciò sia richiesto dalla legge regionale.
(111) Art. 41, 8° co., St. Lazio
(112) Art. 23, 2° co., lett. p), St. Lazio.
Lo statuto abruzzese del 2006 obbliga a comunicare al Consiglio “entro dieci giorni dalla loro effettuazione” le nomine dei dirigenti apicali delle strutture della Giunta e degli enti strumentali e precisa che la Commissione consiliare competente può disporre l’audizione del nominato. Le nomine degli amministratori di Aziende, Agenzie ed Enti strumentali sono attribuite al Consiglio con voto limitato, garantendo quindi uno spazio alle minoranze (art. 42 St. Abruzzo).
Il progetto di St. Campania del 2004, nel rinviare alla legge regionale la esatta allocazione del potere di nomina, precisava che il Consiglio avrebbe esercitato tale potere ove esso gli fosse stato espressamente attribuito dalle leggi regionali, mentre avrebbe espresso parere sulle nomine di competenza regionale. Per le nomine di competenza della Giunta il Presidente sarebbe stato tenuto ad acquisire il gradimento del Consiglio (termine di 20 giorni, poi silenzio-assenso); in mancanza del gradimento il Presidente avrebbe comunque potuto procedere, dandone comunicazione motivata al Consiglio (art. 51 progetto di Statuto Campania). Il progetto di statuto campano prevedeva d’altro canto un criterio sostanziale circa l’esercizio del potere di nomina, stabilendo che l’autorità investita del potere di nominare avrebbe dovuto garantire una equilibrata presenza di donne e di uomini (art. 50, 1° co., lett. e) progetto di statuto Campania).
(113) Riprendiamo il titolo di un editoriale della rivista Le Regioni di alcuni anni orsono: cfr. G. Pitruzzella, Le assemblee legislative regionali nel tempo dei governatori, in Le Regioni, 2002, n. 2-3, p. 297 ss.
(114) Rinvio agli argomenti già proposti in Nuovi statuti, cit., p. 466 ss.
(115) Cfr. già la sent. n. 2/2004.
(116) Per un quadro ragionato sulle fonti vigenti in materia v. G. Tarli Barbieri, Il complesso mosaico delle fonti in materia di sistema di elezione del Presidente e dei consiglieri regionali, in P. Caretti (a cura di), Osservatorio sulle fonti 2005. I nuovi statuti regionali, Giappichelli, Torino, 2006, 121 ss.
(117) Art. 4, 1° co., lett. b) l. 165/2004.
(118) Si v. le sent. 2/2004 e 372/2004. Cfr. le critiche di G. Tarli Barbieri, Il complesso mosaico, cit., p. 128-129; V. Boncinelli, Brevi note, cit., p. 100; D. Coduti, Incompatibilità “interne” e limiti al numero di mandati del Presidente della Giunta: la forma di governo regionale tra giurisprudenza costituzionale e (“casuali”) ricorsi governativi, in Nuove Autonomie, 2005, n. 6, p. 971 ss.
(119) Una eccezione è l’art. 63, 5° co., St. Umbria, che consente la rielezione del Presidente per un solo mandato consecutivo.
(120) Come è noto nel 2006 si sono tenute le elezioni regionali molisane, completando così il rinnovo dei Consigli delle regioni ordinarie svoltosi nella primavera del 2005.
(121) Art. 38 St. Liguria, art. 41, 3° e 4° co. St. Puglia (implicitamente), art. 50, 2° co., St. Piemonte, art. 33 St. Calabria, art. 44, 1° co., St. Emilia-Romagna, art.45, 5° co., St. Lazio, art. 44, 3° co., St. Abruzzo.
(122) Art. 33, 8° co., St. Calabria. L’art. 50 St. Piemonte prevede che il Presidente eletto adotta, in casi di necessità e urgenza, gli atti di straordinaria amministrazione, nel periodo che intercorre fra la proclamazione e la nomina degli assessori.
(123) ...almeno per come questa è intesa dalla Corte costituzionale (si v. la sent. 2/2004).
(124) Art. 7, 2° co.,. St. Marche, art. 41, 4° co., St. Puglia; l’art. 49, 5° co., prog. St. Campania richiedeva l’esposizione delle “linee di indirizzo poste a base del suo programma”; l’art. 47, 3° co., prog. St. Veneto prevedeva che il Presidente dà comunicazione al Consiglio della nomina dei componenti della Giunta e degli indirizzi generali di governo.
(125) Art. 50, 4° co., St. Piemonte.
(126) L’art. 43, 2° co., lett. a), St. Umbria stabilisce che il Consiglio “approva una mozione contenente l’indicazione degli indirizzi e degli obiettivi ritenuti prioritari nell’ambito del programma di governo illustrato dal Presidente eletto”.
Lo statuto toscano sospende il potere presidenziale di nominare gli assessori sino all’approvazione del programma, ma, decorso il termine di dieci giorni, rende possibile la nomina della Giunta da parte del Presidente, il che conferma che l’approvazione del programma non è condizione imprescindibile per l’esercizio dei poteri presidenziali.
L’art. 28 St. Emilia-Romagna stabilisce che l’Assemblea legislativa “discute e approva” il programma presentato dal Presidente della Regione.
L’art. 16, 2° co., lett. a) St. Calabria (secondo cui il Consiglio regionale “nelle forme e nei modi stabiliti dal regolamento, approva le dichiarazioni programmatiche per la legislatura rese dal Presidente eletto e i relativi aggiornamenti”). L’ art. 32 St. Toscana stabilisce anche un termine di 10 giorni per l’approvazione del programma.
Si ricordi poi che anche l’art. 12, 4° co., prog. St. Basilicata stabiliva: “il Consiglio si esprime sul programma e sulla composizione della Giunta regionale mediante l’approvazione di mozioni, risoluzioni e ordini del giorno”, individuando quindi un potere di scelta del Consiglio, anche se curiosamente confinato alla definizione delle priorità: evidentemente il presupposto è che il programma di governo illustrato dal Presidente sia quello già sottoposto al voto del corpo elettorale al momento delle elezioni consiliari, che avvengono contestualmente per Consiglio e Presidente della Giunta.
(127) Si v. l’art. 39 del progetto di Statuto ligure del 2004 e l’art. 46, 2° co., dello statuto abruzzese del 2004.
(128) Su questa vicenda v. I. Carlotto, Gli statuti delle Regioni ordinarie tra Governo, Corte costituzionale e consigli regionali: il caso ligure e il caso abruzzese, in Le Regioni, 2006, n. 1, p. 199 ss.
(129) Le ragioni addotte dalla Corte sono com’è noto di due tipi: l’estraneità del rapporto di fiducia alla forma di governo regionale standard e la tipicità delle cause di scioglimento anticipato del Consiglio regionale. Entrambi i punti saranno discussi infra nel par. 6.2.
(130) Art. 7, 2° co., e 8 St. Marche. L’art. 44, 2° co., St. Emilia Romagna prevede che il Presidente illustra all’Assemblea la composizione della Giunta, contestualmente alla illustrazione del programma. Su entrambe le comunicazioni si apre il dibattito in Assemblea.
(131) Art. 32 St. Toscana: presentazione della Giunta prima della nomina e nomina solo dopo decorso il termine per l’approvazione da parte del Consiglio.
(132) Art. 8 St. Marche, art. 34, 2° co., St. Toscana, art. 42, 2° co., St. Lazio.
(133) Il nuovo statuto pugliese, che non attribuisce alla Giunta neanche l’iniziativa legislativa, sembra invece ispirarsi ad una logica di maggiore “separazione” fra esecutivo e legislativo, ma tale ispirazione è appena abbozzata e non è oggetto di sviluppi organici.
(134) Tale relazione è prevista dall’art. 43, 2° co., lett. b) e dall’art. 65, 2° co., lett. k) St. Umbria L’art. 28, 2° co., St. Emilia-Romagna stabilisce invece che l’Assemblea Legislativa “annualmente ne verifica e valuta l’attuazione e ne approva le modifiche” (l’art. 32, 1° co., St. Emilia-Romagna obbligava inoltre la Giunta (non il Presidente) a riferire, almeno ogni sei mesi, all’Assemblea sulle iniziative assunte).
L’art. 40 del progetto di statuto ligure del 2004 si spingeva a prevedere che la reiezione di tale relazione da parte del Consiglio avrebbe avuto valore equivalente ad una mozione di sfiducia, con conseguente obbligo di dimissioni della Giunta e scioglimento del Consiglio regionale. Tale disposizione, impugnata dal Governo, non è stata riprodotta nello statuto ligure del 2005.
(135) Art. 32 prog. St. Campania. Una finalità analoga sembrava perseguita dal pur diverso istituto della interrogazione a risposta immediata, previsto dall’art. 33 prog. St. Campania e dall’art. 34 St. Liguria.
(136) Art. 25 St. Abruzzo.
(137) Art. 20 St. Toscana. Anch’esso, come lo statuto abruzzese, ne affida la presidenza ad un deputato di opposizione.
(138) In generale le disposizioni volte a consentire alla Giunta di guidare il lavoro del Consiglio sono marginali o inconsistenti: così C. Fusaro, Statuti e forme di governo, in A. Chiaramonte, G. Tarli Barbieri (a cura di), Riforme istituzionali e rappresentanza politica nelle Regioni italiane, Il Mulino, Bologna, 2007, p. 31. Ritiene che le tecniche di programmazione dei lavori accolte nei nuovi statuti siano ispirate a “modelli di stampo consensuale” G. Rivosecchi, Organizzazione e funzionamento dei Consigli regionali: principio maggioritario, statuti regionali e regolamenti consiliari, in R. Bifulco (a cura di), Gli statuti di seconda generazione, Giappichelli, Torino, 2006, p. 146.
(139) Art. 34 lett. f) St. Calabria
(140) Art. 37, 3° co., St. Calabria
(141) Cfr. Art. 116 Reg. Cam. e 161 Reg. Sen.
(142) Cfr. art. 49, 3° co., della Costituzione del 1946.
(143) Art. 37, 4° co., St. Calabria
(144) Ci si riferisce al problema delle “conseguenze procedurali” della questione di fiducia, ben noto al dibattito su tale istituto nel nostro sistema parlamentare.
(145) Art. 33, 5° co., St. Calabria
(146) Art. 44, 1° co., St. Liguria
(147) Ancora più originale era la regolamentazione della questione di fiducia contenuta nell’art. 52 del progetto di Statuto della Campania del 2004, ispirato ad una concezione chiaramente maggioritaria del rapporto Presidente della Giunta-Consiglio. Il meccanismo procedurale ivi previsto si articolava in due fasi.
La prima consisteva nel potere del Presidente di “chiedere il voto per l’approvazione” di “una proposta di deliberazione” (l’art. 52, 2° co., prog. St. Campania individuava una serie di casi in cui la richiesta presidenziale sarebbe stata inammissibile: se ne poteva desumere che il potere in questione avesse una portata generale e non eccezionale) che fosse all’esame del Consiglio: tale potere sarebbe scattato trascorsi sessanta giorni dall’apertura della discussione sulla proposta e il voto – palese e per appello nominale – avrebbe avuto luogo non prima di 12 ore dalla richiesta presidenziale (termine dilatorio). Il voto contrario della maggioranza assoluta dei consiglieri avrebbe comportato il ritiro del provvedimento, ma non si precisava se esso avrebbe dovuto essere ritenuto approvato qualora, ad es., i voti contrari fossero stati superiori ai voti favorevoli, ma fosse stata raggiunta la maggioranza assoluta. Anche in caso di reiezione, il Presidente avrebbe comunque avuto facoltà di “riproporre il provvedimento modificato” entro venti giorni, anche se non si precisava quali cambiamenti fossero necessari a ritenere “modificato” il provvedimento. La riproposizione sarebbe stata comunque equivalente alla posizione della questione di fiducia: in tal caso il Consiglio avrebbe dovuto porre immediatamente all’ordine del giorno il provvedimento ed avrebbe avuto sessanta giorni di tempo per approvarlo dal momento della apertura della discussione. La mancata approvazione del provvedimento a maggioranza assoluta entro sessanta giorni avrebbe prodotto un effetto equivalente all’approvazione di una mozione di sfiducia: ovvero l’obbligo di dimissioni del Presidente e lo scioglimento automatico del Consiglio regionale. Il progetto di statuto campano non precisava se, dopo la sua ripresentazione in Consiglio, il provvedimento potesse essere emendato dal Consiglio stesso o se la ripresentazione equivalesse, oltre che a una questione di fiducia, ad un voto bloccato. Il meccanismo presenta un certo interesse, ma anche tratti problematici e indeterminati, che avrebbero potuto essere sciolti dal regolamento consiliare, ma solo in parte. Ad es., ci si sarebbe potuto chiedere se il Presidente avesse il potere di porre la questione di fiducia su un singolo articolo di un disegno di legge al di fuori di questi casi o se la questione di fiducia sarebbe stata confinata solo in questa complessa procedura.
Il progetto di statuto lucano circoscriveva la possibilità di porre la questione di fiducia “esclusivamente su provvedimenti o atti di attuazione del programma di governo” e prevedeva che la questione doveva essere ritenuta respinta se si fosse espressa negativamente su di essa la maggioranza dei membri del Consiglio: anche in questo caso non si precisava così sarebbe successo in caso di voto contrario solo a maggioranza semplice, vale a dire se la proposta cui la questione di fiducia era abbinata avrebbe potuto essere considerata approvata o meno (art. 32, 3° co., prog.St. Basilicata). Era poi prevista una forma di flessibilità quanto agli effetti del diniego della fiducia a maggioranza assoluta: lo statuto richiedeva le dimissioni della Giunta e (e il conseguente scioglimento del Consiglio) solo “se il Presidente ritiene che tale voto renda impossibile l’attuazione del programma di governo” (art. 32, 4° co., prog. St. Basilicata). Ma – si potrebbe obiettare – tale valutazione, nella logica della questione di fiducia, il Presidente avrebbe dovuto compierla al momento della posizione della questione e non dopo essere stato sconfitto su di essa. In tal modo, invece, gli si sarebbe permesso di non dimettersi dopo essere stato sfiduciato, rimanendo così in carica, “vivacchiando”.
(148) A. Ruggeri, Il cappio alla gola degli statuti regionali (a margine di Corte cost. n. 12 del 2006 e di altre pronunzie recenti in tema di autonomia statutaria), in Nuove autonomie, 2006, n. 2-3, p. 544 osserva giustamente che “l’una equivale, nelle cose, all’altra (e viceversa)”. Sulla sent. 12/2006 v. anche i rilievi di A. Cardone, Vecchie e nuove questioni nella giurisprudenza costituzionale sui profili procedimentali e sostanziali dell’autonomia statutaria (a partire da Corte cost., sentt. nn. 469 del 2005 e 12 del 2006), in Nuove autonomie, 2006, n. 2-3, p. 448 ss.
(149) Così la migliore dottrina: L. Elia, Governo (forme di), cit., p. 642.
(150) A nostro avviso la distinzione di R. Redslob, Le régime parlementaire, Giard, Paris, 1924, fra echte e unechte Parlamentarismus deve essere semplicemente rovesciata.
(151) In altre parole, a nostro avviso, non si può sostenere che il rapporto di fiducia Consiglio-(Presidente della) Giunta sia un portato necessario della forma di governo ad elezione diretta del presidente con governo di legislatura: non basta la mozione di sfiducia di cui all’art. 126 ad autorizzare questa conclusione. Ma, d’altro canto, non si può nemmeno giungere alla conclusione opposta, e cioè che la forma di governo regionale standard sia incompatibile con un rapporto fiduciario Consiglio-(Presidente della ) Giunta: la questione è aperta a livello costituzionale e spetterebbe agli statuti – e non alla Corte costituzionale – risolverla in uno dei due modi costituzionalmente possibili.
(152) Formulata da A. Buratti, Dal rapporto di fiducia alla “consonanza politica”. Rigidità della forma di governo regionale e libertà del processo politico, in Giur. cost., 2006, n. 1, p. 96, nota 21.
(153) Art. 9 St. Marche; art. 36, 2° co., St. Toscana (mozione di non gradimento); art. 37, 5° co., St. Calabria (mozione di censura), art. 43, 4° co., St. Liguria.
(154) Il termine è di 20 giorni nello statuto toscano.
(155) Art. 71, 3° co., St. Umbria.
(156) Così, pare, il progetto di statuto campano, il quale, pure, prevedeva le due figure del non gradimento e della censura, stabilendo, per la prima figura, una procedura simile alla sfiducia, per la seconda solo la maggioranza assoluta e una apposita discussione. Non era chiara però la differenza fra le due figure.
(157) La Corte richiama invero tale pronuncia, ma in modo che non appare convincente per le ragioni indicate nel testo.
(158) Al riguardo v. ora C. De Fiores, Art. 126, in R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti (a cura di), Commentario alla Costituzione, Utet, Torino, 2006, p. 2498 ss.
(159) Così art. 33, 4° co., St. Toscana; art. 43, 1° co., St. Lazio, art. 43, 2° co., St. Liguria, art. 37, 2° co. St. Calabria, art. 48 St. Abruzzo.
(160) Art. 86, 2° co., St. Abruzzo.
(161) Il progetto di statuto della Basilicata, invece, prevedeva per l’ipotesi di annullamento delle elezioni, la prorogatio del Presidente della Giunta e del Consiglio uscenti e l’indizione di nuove elezioni entro tre mesi dalla sentenza definitiva di annullamento (art. 16 prog. St. Basilicata). Lo statuto abruzzese rinvia invece al decreto di scioglimento del Consiglio regionale per l’individuazione dell’organo competente all’ordinaria amministrazione in caso di scioglimento sanzionatorio (art. 86, 1° co., St. Abruzzo).
(162) Secondo l’art. 53, 3° co., del d.lgs 267/2000 (testo unico sugli enti locali) “Le dimissioni presentate dal sindaco o dal presidente della provincia diventano efficaci ed irrevocabili trascorso il termine di 20 giorni dalla loro presentazione al consiglio”.
(163) L’art. 33, 7° co., St. Calabria sembrerebbe indicare questa soluzione anche per il caso di morte del Presidente stesso...
(164) Art. 10 St. Marche e art. 33, 7° co., St. Toscana (che esclude solo la scadenza naturale della legislatura).
(165) Così l’art. 41, 5° co., prog. St. Veneto.
(166) Art. 33 St. Toscana; art. 45, 6° co., St. Lazio (il presidente resta in carica in caso di sfiducia; dimissioni volontarie; dimissioni della maggioranza dei consiglieri; in caso di rimozione, decadenza, impedimento permanente o morte è sostituito dal vicepresidente). Il progetto di statuto campano del 2004 distingueva due ipotesi: a) morte, impedimento permanente, dimissioni volontarie del Presidente della Giunta, cui avrebbe fatto seguito il subentro del Vicepresidente sino all’insediamento del nuovo Presidente (art. 49, 8° co.); b) sfiducia e dimissioni della maggioranza dei consiglieri, nel qual caso la Giunta sarebbe rimasta in carica con il suo Presidente sino all’insediamento del nuovo Presidente (art. 49, 9° co.); non è chiaro cosa sarebbe successo nel caso di annullamento delle elezioni.
(167) Cfr. al riguardo G. Tarli Barbieri, Il complesso mosaico, cit., p. 132-133.
(168) Art. 19, 2° co., St. Lazio; art. 38 St. Calabria; art. 24, 2° co., St. Puglia.
(169) Art. 17, 4° co., St. Piemonte.
(170) Art. 12, 2° co., prog. St.Basilicata.
(171) Cfr. sent. 2/2004, 378/2004, 379/2004.
(172) Cfr. al riguardo A. Chiaramonte, I sistemi elettorali delle Regioni a statuto ordinario, in P. Caretti (a cura di), Osservatorio sulle fonti 2005 – I nuovi Statuti regionali, Giappichelli, Torino, 2006, 136 ss. e ora i saggi raccolti in A. Chiaramonte, G. Tarli Barbieri (a cura di), Riforme istituzionali e rappresentanza politica, cit.
(173) L. reg. 25/2004, cui si aggiungono le l. reg. n. 70/2004 e 74/2004.
(174) L. reg. n. 27/2004 e n. 5/2005.
(175) L. reg. n. 2/2005.
(176) L. reg. 1/2005.
(177) L. reg. 2/2005.
(178) Si v. la legge reg. Abruzzo n. 42/2004, abrogata in buona parte dalla legge reg. n. 9/2005, a seguito dell’impugnativa governativa. E’ invece in vigore in Abruzzo una legge in materia di incompatibilità ed ineleggibilità, adottata quasi solo allo scopo di escludere la candidatura alla Presidenza della Giunta regionale del sindaco di Pescara, D’Alfonso. Cfr. le informazioni riportate da M. Togna, Abruzzo: una rivoluzione rosa dietro la schiacciante vittoria del centro-sinistra, in www.federalismi.it, n. 7/2005.
(179) Definisce giustamente “di tipo incrementale” la logica seguita A. Chiaramonte, I sistemi elettorali, cit., p. 152.
(180) L. reg. Calabria n. 1/2005 (v. l’art. 3 per lo sbarramento). F. Drago, Calabria: le elezioni regionali del 3-4 aprile 2005, in www.federalismi.it, n. 7/2005, p. 2, attribuisce a questa innovazione la diminuzione del numero delle liste presentate nel 2005 rispetto al 2000. Va rilevato che la nuova norma ha fatto si che delle 17 liste che hanno concorso alle elezioni 2005, solo 10 sono state ammesse al riparto dei seggi mentre, se fosse rimasto in vigore il Tatarellum, in Consiglio sarebbero invece entrate ben 15 liste! (al riguardo v. ancora F. Drago, op. cit., p. 4).
(181) In questo caso l’innalzamento è destinato ad operare in due tempi: per le elezioni del 2005 era prevista una soglia del 5 per cento, ma solo per le liste non facenti parte di una coalizione (per le liste coalizzate non era previsto alcun sbarramento), ma dalle elezioni successive è previsto uno sbarramento del 4 per cento sia per le liste coalizzate, sia per quelle non coalizzate.
(182) L. reg. n. 25/2004.
(183) L’unicità della scheda è imposta anche dall’art. 63, 1° co., dello St. Umbria (in tale Regione, peraltro, non è stata ancora adottata la legge elettorale).
(184) Legge reg. Toscana n. 70/2004.
(185) Art. 16, 6° co., legge reg. Marche n. 27/2004
(186) Art. 16, 9° co., legge reg. Marche n. 27/2004
(187) Art. 16, 9° co., legge reg. Marche n. 27/2004
(188) Art. 19, 4° co., lett. g) legge reg. Marche n. 27/2004
(189) Per la prima volta nel 2005 la tornata elettorale nazionale ha interessato solo 13 regioni su 15, poiché la legislatura molisana è giunta a scadenza solo nell’ottobre 2006 e le elezioni in Basilicata si sono svolte con due settimane di ritardo sulla data nazionale.
(190) Avevo tentato di ragionare in questa prospettiva in Nuovi statuti, cit., passim.
(191) Naturalmente la comparabilità riguarda l’ambito materiale effettivamente residuante in capo agli statuti, fermo restando che gli statuti degli enti locali si configurano come fonte esecutiva della legge ordinaria, laddove quelli delle Regioni sono attualmente fonte di (stretta) esecuzione della Costituzione, ma “protetti” da invasioni da parte della legge ordinaria (idest della maggioranza parlamentare nazionale del momento).