Intervento alla tavola rotonda su “La riforma della riforma”, svoltasi nel quadro del Convegno-ISSiRFA dal titolo “Regionalismo in bilico, tra attuazione e riforma della riforma” (Camera dei Deputati, Sala del Cenacolo, 30.6.2004)

1. La riforma in corso dà luogo a numerose osservazioni che ho già sentito in vari modi, svolgere e precisare nei precedenti interventi.
Intendo in questa sede, limitarmi ad alcune osservazioni sul cosiddetto Senato delle regioni.
E' un osservazione scontata quella secondo la quale il bicameralismo negli Stati federali o negli Stati a forte componente autonomistica, trova in una delle due Camere la rappresentanza dell'elemento locale, meglio ancora, se si tratta di uno Stato federale, dell'elemento federale.
Sono gli Stati membri, infatti, che trovano la loro espressione nella seconda Camera. Che questa espressione avvenga secondo forme giuridiche omogenee è però altra questione.
Il nostro regionalismo, ché di quello si trattava all'origine, non si realizza da noi in modo omogeneo ma secondo una duplice modalità.
Anzitutto le regioni a statuto speciale, in secondo luogo le regioni a regime ordinario. Questo è un dato talmente scontato che ricordarlo può apparire banale.
Quanto però vedo poco ricordato è che la partenza del nostro regionalismo avesse caratteri tali da indurre a parlare al proposito di una partenza criptofederalistica. I profili più marcati in questo senso, possono considerasi presenti nello statuto speciale della regione Sicilia, dove era addirittura prevista un'alta corte di giustizia a formazione paritetica per risolvere le controversie tra Stato e regione.
Organo statale sì, con sede a Roma, ma composto in modo da rispecchiare la pariteticità tra lo Stato e la regione nel configurarne la composizione; anche la posizione del Presidente regionale era tale da sottolinearne la sua duplice appartenenza all'ordinamento statale e a quello regionale, con la sua partecipazione al Consiglio dei Ministri con rango di ministro ove si discutesse dei problemi attenenti alla Sicilia.
Più attenuati, a dire il vero, questi elementi criptofederalistici nello Statuto della Regione Valle d'Aosta, e forse ancora più sfumati nello Statuto delle Province di Trento e Bolzano intese nel loro modo di essere quale componenti essenziali e costituzionali della regione Trentino Alto Adige; ancora più debole, infine, questo elemento nella regione Sardegna.
Per la regione Friuli Venezia Giulia, istituita ed entrata in vigore molto più tardi, il discorso è in parte diverso e non è da approfondire in questa sede.
Il modo attraverso il quale era configurata la legislazione primaria delle regioni, e in Sicilia veniva definita esclusiva, la forza formale riconosciuta agli Statuti, tutto l'insieme in una parola, configurava le regioni come elementi di una frontiera interna alla Repubblica che solo dopo, con la Costituzione, veniva definita a scanso di equivoci, come indivisibile. Una frontiera, uno spazio giuridico diverso, che veniva reso evidente anche attraverso la compenetrazione di ognuno degli ordinamenti regionali con quello statale.
Certo il clima alla Costituente era diverso, il rischio che la Sicilia diventasse uno degli Stati Uniti d'America o che la Valle d'Aosta venisse annessa alla Francia o che, l'Alto Adige (Sud Tirolo) ritornasse all'Austria erano ormai alle spalle. Un pallido riflesso del criptofederalismo delle origini poteva, forse, ravvisarsi nella elezione del Senato della Repubblica "a base regionale", allo stesso modo come, era stata prevista la possibilità di emendare lo Statuto della Sicilia con un procedimento diverso da quello di revisione costituzionale e anche se questa norma fu ritenuta incostituzionale dall'Alta Corte per la regione siciliana, ciò non toglie che la Corte Costituzionale, successivamente entrata in funzione, spazzasse via l'Alta Corte stessa. Ma anche per quanto riguarda la legislazione e tutto l'impianto delle regioni a statuto speciale, la Corte Costituzionale provvide ad avvicinarle e omologarle a criteri che lasciavano indietro il criptofederalismo delle origini.


2. Il Senato, dunque, quale uscì dalla Costituzione del 1948 era null'altro che un duplicato della Camera dei Deputati: bicameralismo perfetto, doppione inutile: infatti, configurare l'elezione a base regionale a semplice livello di una circoscrizione eliminando rispetto alla Camera il collegio unico nazionale (ciò significava, infatti, l'espressione "elezione a base regionale"), ferma restando la modesta differenza tra il sistema proporzionale della Camera e quella del Senato, proporzionale anch'esso con il metodo d'Hondt, non riusciva a far superare alla circoscrizione quel dato essenziale che la innerva alla istituzione locale. Se vogliamo fare un cauto paragone con il modello degli Stati Uniti, appare chiaro che un conto sono due Senatori per ogni Stato, dalla grande California al piccolo Vermont, un conto è, invece, un numero di senatori diverso a seconda delle popolazioni delle regioni, senza contare che nel mondo anglosassone la circoscrizione non ha la secchezza giacobina delle divisioni territoriali europee, ma esprime non pochi elementi istituzionali che ne fanno un'espressione comunitaria sui generis.
Credo che sia proprio qui l'elemento che fa esprimere delle forti perplessità, sul conseguimento di una vera rappresentanza dell'elemento regionale, anzi, oggi, si dovrebbe dire federale, nella formulazione che risulta dalla riforma di cui parliamo.
Quindi un soltanto apparente collegamento con il modello degli Stati Uniti e una lontananza marcatissima, dal modello tedesco e dal modello elvetico, che sono finora quelli più accreditati.
Intendiamoci, non è detto che l'universo dei rapporti tra Stato centrale ed elemento federale si esaurisca nei tre modelli sopracitati, ma va tuttavia, rilevato che un elemento base assente dal progetto di riforma di cui trattasi è che in uno degli organi supremi dello Stato federale deve essere comunque presente l'elemento essenziale dell'articolazione istituzionale sul territorio.
Solo in questo modo, infatti, si realizza quella compenetrazione tra la costituzione federale e le costituzioni degli Stati membri o, comunque, delle articolazioni politiche di cui consta lo Stato federale.
E' presente questo elemento nel progetto di riforma? Penso proprio di no. Perché il modo col quale viene eletto il Senato federale (o se si preferisce il Senato delle regioni) non è basato sull'elemento istituzionale ma su un dato essenzialmente di individuazione di circoscrizioni elettorali, ed è, in ogni caso, un'inutile complicazione collegare gli eletti alla permanenza in vita delle assemblee regionali.
Infatti, la contiguità dei procedimenti elettorali è ben lontana da rappresentare una compenetrazione istituzionale e, anzi, ed è casomai, un ulteriore elemento di confusione, in quanto mette insieme due elementi eterogenei: una serie di circoscrizioni che restano circoscrizioni e non riescono ad evolversi a livello di rappresentanza istituzionale e, un ciclo vitale di un organo costituzionale della regione che inpinge sul modo d'essere e sui termini semplicemente dell'elezione ma non della rappresentanza. In altre parole non si duplica una rappresentanza ma si separa istituzione circoscrizione facendone coincidere i contatti con la fase iniziale o terminale delle rispettive vicende elettorali.
Che senso ha, infatti, mantenere in vita la Conferenza Stato regioni, anche rafforzandola, proprio perché essa è in grado di rappresentare l'istituzione regionale e dar vita alla finzione di una rappresentanza regionale mediata di circoscrizioni, che nulla hanno di istituzionalmente rilevante?
Nel Senato, dunque, sono rappresentati gli elementi federali dello Stato o semplicemente i corpi elettorali degli Stati? E' un rapporto tra istituzioni come dovrebbe essere in uno Stato federale? O invece o un rapporto tra popoli mediato da un'istituzione?
E non è per caso questo in contraddizione profonda con il concetto che il popolo italiano è uno e non ci sono diversi popoli in Italia? Concetto questo, affermato solennemente dall'art. 1 della Costituzione, che concentra appunto nel popolo l'espressione della sovranità. L'unica speranza in una riforma di questo tipo è che essa entrerà in funzione di qui ad oltre un decennio, e l'auspicio resta che nel contempo una migliore consapevolezza dei problemi del federalismo possa farsi strada.

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