AVVERTENZA: Versione italiana del paragrafo finale dell’omonima relazione tenuta dall’Autore, il 3 marzo 2008, a Hagen (Institut für Europäische Verfassungswissenschaften).
1.
Prospettive comparatistiche e interpretazioni
Tenterò di elencare alcuni punti di analogia e di divergenza che emergono dal raffronto con la riforma del federalismo tedesco. Ciò potrà contribuire a fornire elementi di valutazione sia della riforma tedesca, sia soprattutto di ciò che è stato fatto in Italia e che probabilmente è destinato a proseguire.
Un aspetto comune dello sviluppo istituzionale in Italia e in Germania mi pare consistere nel policentrismo politico. Il fatto che i Länder tedeschi da sempre (e ancor di più per effetto del miglioramento delle strutture di decisione democratica e dunque della loro legittimazione) siano caratterizzati da una accentuata statualità, e che vogliano quindi ampliare e meglio difendere il raggio della loro competenza, sembra essere stato un punto di partenza per la riforma del federalismo tedesco – ed è probabile che lo sarà anche in futuro. Il regionalismo italiano era invece inizialmente fondato su basi di legittimazione certo più deboli; tuttavia, con il consolidamento crescente delle Regioni, queste basi sono diventate sempre più comparabili con quelle tedesche. Tale risultato è stato determinato, da un lato, dalla crisi del sistema politico al livello dello Stato centrale: nel raffronto con esso, le Regioni, o almeno alcune di esse, hanno inteso presentarsi come più stabili. Dall’altro lato, l’elezione popolare diretta, prima dei sindaci e dei presidenti delle province, poi anche dei presidenti delle Regioni, ha fatto nascere, come rilevato da Luciano Vandelli, almeno le radici di una nuova classe politica che tende ad arrivare al potere; da questo punto di vista, esistono aspetti di similitudine con il ruolo dei gruppi di sindaci nei parlamenti tedeschi.
Una tale tendenza si scontra, però, con l’ostacolo dato – in Italia poco diversamente che in Germania – dalla difficoltà a rinunciare a regolazioni in precedenza provenienti dallo Stato centrale; rinuncia che si manifesta pertanto piuttosto limitata. Per tale ragione si è giunti a risultati assimilabili: in Germania i risultati della riforma sono stati poco soddisfacenti e spesso criticati, nonché in gran parte resi illusori da una legislazione dei Länder coordinata ed unificante; in Italia la rinuncia a competenze centrali, già non particolarmente estesa in base al testo costituzionale, è stata ulteriormente indebolita nella prassi e ristretta dalla giurisprudenza costituzionale. Decentrare la potestà legislativa all’interno di uno Stato, in un periodo di unificazione del diritto sul piano sopranazionale, sembra una lotta in controtendenza. Pertanto, esigua è l’importanza della competenza residuale delle Regioni – e ciò rispecchia la situazione delle competenze che rimangono ai Länder tedeschi ai sensi delll’art. 70, primo comma, LF.
Tuttavia, non mancano casi di conflitti reali, poiché alcuni Stati membri manifestano uno specifico interesse a regolare alcuni ambiti peculiari. In Germania questa problematica ha avuto, per molto tempo, un’importanza contenuta – ne rappresentano esempi la disciplina del notariato nella Germania meridionale e la normativa di Brema relativa all’insegnamento della religione (artt. 138, 141 LF). Essa ha però assunto un rilievo crescente in relazione alla riforma del federalismo ed alla legislazione divergente che, per questa via, è stata introdotta ed ammessa (artt. 72, terzo comma; 84, primo comma, periodi 2-4, LF). Di certo, la situazione similare del federalismo asimmetrico che, soprattutto per quanto concerne le Regioni speciali, caratterizza il modello italiano (e spagnolo) sta ad indicare le possibile linee evolutive. Tali esperienze insegnano fino a che punto le regolazioni divergenti sono compatibili con la coerenza di uno Stato, quale è il loro prezzo e come possono essere attuate.
Bisogna però registrare, in senso contrario, come in entrambi gli ordinamenti si palesi un bisogno di unificazione nonostante la presenza di una competenza formalmente decentrata. Mentre in Italia continua a sussistere la competenza centrale di emanare normative unificanti e armonizzanti rispetto alle legislazioni regionali, una simile competenza in Germania è stata di molto ridotta; essa viene, tuttavia, almeno in parte, sostituita da un coordinamento volontario dei Länder. In questa stessa direzione cominciano peraltro a svilupparsi delle tendenze anche in Italia, sia mediante la conferenza Stato-Regioni, sia attraverso procedimenti di coordinamento previsti per singole materie: è quanto attualmente avviene, ad esempio, con riguardo all’informatica e all’e-government.
Un ulteriore aspetto di similitudine si riscontra in una insufficiente riforma finanziaria. La recente riforma tedesca ha rinviato questo compito, evidentemente troppo oneroso per il revisore costituzionale del 2006, ad una seconda tappa attualmente in svolgimento e dai risultati ancora incerti. La riforma italiana ha stabilito i principi dell’autonomia finanziaria nell’art. 119, ma finora non ne sono derivate conseguenze effettive. Pertanto, la responsabilità regionale rimane tuttora condizionata ai finanziamenti statali: ciò relativizza non soltanto l’autonomia ma la stessa affidabilità del carattere policentrico del potere regionale. D’altro canto, in Germania, dove in linea di principio viene riconosciuta la responsabilità finanziaria propria dei Länder, la combinazione di errori del passato, di differenze economiche e di vizi del sistema di distribuzione delle finanze ha messo in dubbio la capacità degli stessi Länder di assolvere alle loro funzioni.
Fondamentalmente diversi sono, invece, i due metodi di riforma sul terreno della separazione tra le sfere di competenza centrali e decentrate. Mentre in Germania una siffatta tendenza alla separazione ha quanto meno contraddistinto la prima fase della riforma del federalismo, benché abbia poi prodotto esiti imperfetti o addirittura contraddittori, in Italia quasi neppure si avverte tale tendenza. Un esempio paradigmatico di ciò è dato, in Germania, dall’abolizione della legislazione cornice (già prevista all’art. 75 LF), mentre in Italia, sotto la denominazione di legislazione concorrente, una simile competenza è stata conservata; significativi al riguardo sono anche i confini e la prassi della legislazione esclusiva (ad es., art. 117, secondo comma, lett. m, n, p, r). Anche le procedure di coordinamento già menzionate – in Germania tradizionalmente molto importanti, ciò nondimeno criticate e limitate dai protagonisti della riforma del federalismo, soprattutto tramite la riduzione del potere di approvazione del Bundesrat – in Italia sono considerate come elementi positivi. Tuttavia, le istanze a favore di una cogestione delle Regioni, da molti avanzate fino a proporre l’introduzione di una Camera sul modello del Bundesrat, non hanno potuto superare in Italia il forte radicamento del bicameralismo paritario. Neanche la conferenza Stato-Regioni – che già non gode di poteri particolarmente estesi – è stata oggetto di garanzia costituzionale ad opera della riforma del 2001.
Riflessioni simili valgono per il rapporto fra Stato centrale e comuni (e province - i Kreise). Mentre in Germania tali entità sono tradizionalmente configurate come articolazioni interne ai Länder, e perciò sono disciplinate soltanto da essi (tanto che alla Federazione è stata negata dalla riforma del federalismo anche la competenza a conferire funzioni agli enti locali), l’ordinamento italiano, già tradizionalmente e ancor di più dopo la riforma del 2001, considera equivalenti i livelli territoriali di comune, provincia, Regione e Stato (art. 114 Cost.). Perciò la determinazione del loro rapporto è, in linea di principio, compito dello Stato complessivamente considerato (“la Repubblica”), e in tale ambito vengono distribuite le funzioni ai singoli livelli. Ciò spiega la competenza legislativa dello Stato, cui si aggiunge il potere delle Regioni nelle quali sono inseriti i comuni e le province, di contribuire alla disciplina degli enti locali. In questo assetto, la competenza centrale serve del pari allo scopo di evitare un controllo troppo esteso sugli enti locali ad opera delle Regioni, così come il ruolo regionale protegge i comuni dall’essere caricati di eccessivi oneri da parte dello Stato. In Germania quest’ultimo aspetto “protettivo”, particolarmente accentuato, non dovrebbe però escludere quello di garantire un’analoga difesa contro un controllo troppo intenso da parte dei Länder.
Da un punto di vista comparatistico, l’immagine che emerge è che la competenza centrale in Italia è più ampia. Ciò può trarsi già dall’analisi degli elenchi delle competenze, ma ancora di più dall’interpretazione che di essi si dà. In contrapposizione all’interpretazione stretta prevalente in Germania, in Italia possono aprirsi varchi – e la giurisprudenza costituzionale lascia che accada – per poteri di intervento dello Stato che non sono espressamente previsti e che vengono derivati dalla funzione e dal senso della ripartizione delle competenze. L’esercizio delle competenze “invasive” del livello centrale non è subordinato all’esame della necessità dell’intervento, come prescritto invece dall’art. 72, secondo comma, LF. Al contrario, l’art. 117, secondo comma, lett. m, Cost. conferisce allo Stato, in maniera “finalistica”, il potere di determinare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Il confronto dimostra che l’esame della necessità, previsto dall’ordinamento tedesco, limita la portata del principio dello Stato sociale, mentre la disciplina italiana rafforza la garanzia dello Stato sociale.
Al diverso bilanciamento di questi pesi contribuisce, infine, la posizione delle Corti costituzionali. La giurisprudenza di Karlsruhe ha meriti considerevoli in tema di precisione interpretativa delle materie e dell’esercizio delle relative competenze. Tramite l’interpretazione della “clausola di necessità” e della legislazione cornice, essa ha sviluppato iniziative importanti per la riforma del federalismo. La Consulta italiana, invece, ha interpretato in maniera piuttosto estensiva le competenze dello Stato e ha in questo modo attribuito ad esso, dopo la riforma del 2001, un ruolo in qualche modo “indotto” e che, pur potendo essere qualificato come sofisticazione incostituzionale della riforma (T. Groppi), ha facilitato, lungo una linea di continuità del sistema costituzionale italiano, l’implementazione della riforma stessa.
Un tentativo di qualificare la forma di Stato italiana, sulla base dei rilievi che precedono, non può prescindere interamente dal punto di vista dell’osservatore e deve far riferimento a concetti non definiti a priori ma frutto di implicazioni storiche. La storia, però, può spiegare, non definire: “nessun tempo e nessun potere infrange forma coniata che vivendo s’evolve” (Goethe).
La forma coniata dell’Italia, prima e dopo la Costituzione del 1947, era unitaria, benché la Costituzione abbia previsto una sua regionalizzazione. Quest’ultima si è evoluta lentamente, benché nel contesto degli anni ‘90 si sia sviluppata in direzione di una decentralizzazione reale, largamente superiore al decentramento operato dalla prima attuazione della Costituzione. Il processo mostra un ampio parallelismo con la situazione della Gran Bretagna, ed è per questa ragione che da parte della dottrina italiana che ha seguito più attentamente quell’esperienza si parla di “devolution” (A. Torre). La riforma del 1999/ 2001 ha ripreso questo processo ed ha tentato di ancorarlo nella Costituzione, anzitutto attraverso il rafforzamento ed il miglioramento della legittimazione democratica delle Regioni.
Non è stato comunque compiuto il passo decisivo verso un ordinamento federale in senso proprio; si è evitata l’“etichetta federale”, mentre la prassi, e perfino la giurisprudenza costituzionale, hanno dimostrato che notevoli sono le forze che mirano alla conservazione dello Stato unitario, in mancanza di un’idea di riforma univocamente condivisa. D’altro canto però, anche grazie al contributo delle Regioni a statuto speciale, il policentrismo del sistema italiano si è rinforzato. La vita propria delle Regioni, anche la vita propria costituzionale, sta crescendo e si va ponendo come elemento di rilievo. Pertanto, aldilà dell’etichetta formale, va messo l’accento sul fatto che le Regioni italiane sono dotate di competenze legislative: si tratta di un potere che, secondo la classificazione utilizzata nell’ambito del Consiglio d’Europa, assume carattere determinante. Visto così, il sistema dell’Italia attuale potrebbe essere qualificato come quello di uno Stato federale in nuce. Da una prospettiva tedesca, si ha motivo per non drammatizzare una simile qualificazione.