AVVERTENZA: Versione aggiornata della relazione presentata dall’autore  al Convegno organizzato dall’ISSiRFA-CNR su “I nuovi statuti delle Regioni ad autonomia ordinaria(Roma, Sala del Cenacolo della Camera dei Deputati, 4.7.2005), la quale dà conto delle evoluzioni successive alla pubblicazione in questo sito della versione presentata al Convegno. Si segnala che al commento della Sent. 29 novembre 2005, n. 469 è dedicato il par. 5.



Sommario:

1. Lo stato di avanzamento dei procedimenti di approvazione dei nuovi statuti

2. Le fonti della materia

2.1. Le norme scritte

2.1.1. Le norme costituzionali

2.1.2. Le norme statutarie derogatorie

2.1.3. Le norme statutarie integrative

2.1.4. Le norme legislative attuative

2.1.5. Le norme dei regolamenti consiliari

2.1.6. Le disposizioni di interpretazione (non autentica) della costituzione

2.2. Le lacune della disciplina e l’interpretazione (dottrinale o giurisprudenziale) delle leggi regionali

2.2.1. Interpretazione analogica ricavabile dalla legislazione statale

2.2.2. Interpretazione analogica ricavabile dalla legislazione delle altre regioni

3. Il procedimento legislativo statutario

3.1. L’iniziativa e l’istruttoria

3.2. La fase deliberativa

3.3. La pubblicazione notiziale

3.4. Il sub-procedimento referendario

3.5. Il sub-procedimento contenzioso

3.5.1. La questione del termine iniziale

3.5.2. La questione del coordinamento dei due sub-procedimenti

3.6. La promulgazione e la pubblicazione

3.6.1. La questione della promulgazione parziale

3.6.2. La questione dell'eventuale ruolo di controllo del presidente della regione

4. I rimedi per i vizi formali del procedimento

4.1. I giudizi della corte costituzionale promossi con ricorso governativo

4.1.1. Il giudizio di legittimità costituzionale ex art. 123

4.1.2. Il giudizio di legittimità costituzionale ex art. 127

4.1.3. Il conflitto di attribuzione intersoggettivo

4.2. Il giudizio di legittimità costituzionale in via accidentale

4.3. Il ruolo (eventualmente) svolto dall'organo di garanzia statutaria

5. La sentenza della Corte costituzionale 29 novembre 2005, n. 469

Note


1. 
Lo stato di avanzamento dei procedimenti di approvazione dei nuovi statuti

Alla data di questa pubblicazione sono ancora soltanto dieci le regioni che hanno adottato il nuovo statuto (Puglia, Calabria (1), Lazio, Toscana, Piemonte, Marche (2), Emilia-Romagna, Umbria, Liguria (3) e Abruzzo). Nelle altre cinque regioni, la conclusione della precedente legislatura senza la definitiva approvazione consiliare delle rispettive deliberazioni legislative statutarie ha determinato la decadenza dei progetti di legge in esame (4) in conseguenza della rinnovata rappresentatività dei consigli (5). Per quanto riguarda la legislatura in corso, non si segnala l’approvazione di testi né in consiglio né in commissione. La Tabella allegata indica schematicamente i dati concernenti l’iter di formazione dei vari statuti.

2.  Le fonti della materia

2.1.  Le norme scritte

2.1.1.  Le norme costituzionali

La specifica disciplina per il procedimento di formazione degli statuti è nell’art. 123, co. 2 e co. 3. Sono qui delineati tuttavia solo gli aspetti fondamentali dell’iter.
Più in generale, la costituzione non si occupa del procedimento di formazione della legge regionale, salvo: riservare allo statuto la regolazione del diritto di iniziativa e della pubblicazione delle leggi, nonché di eventuali referendum interni al procedimento legislativo (art. 123.1), riservare al consiglio l’esercizio della potestà legislativa (art. 121.2) e attribuire al presidente della giunta la promulgazione (art. 121). La regolazione essenziale del procedimento di formazione della legge si può tuttavia far rientrare nel contenuto necessario degli statuti, in quanto materia attinente tanto alla forma di governo quanto ai principi fondamentali di organizzazione e funzionamento delle regioni. La parte della disciplina non direttamente delineata dalla costituzione e non riservata agli statuti può essere rimessa dunque ad altre fonti. Vi è allora una serie di altre norme integrative o attuative di cui occorre tenere conto. Le prime valgono per le successive modifiche, mentre le seconde sono necessarie sin dalla prima approvazione degli statuti.

2.1.2.   Le norme statutarie derogatorie 

In primo luogo, però, occorre considerare l’ipotesi della derogabilità delle norme costituzionali che disciplinano il procedimento di formazione degli statuti. Più in generale, dopo la legge costituzionale n. 1 del 1999, è espressamente derogabile l’art. 122.5, I parte (che prevede l’elezione a suffragio universale e diretto del presidente della giunta regionale), ma lo stesso potrebbe forse valere anche in forma implicita (a partire dalla seconda parte della stessa disposizione che prevede che il presidente “eletto” – e dunque anche quello eletto dal consiglio regionale – nomina e revoca i componenti della giunta: potere che però appare chiaramente incompatibile con alcuni modelli della forma di governo parlamentare) (6).
Si può qui ricordare, in primo luogo, quella deliberazione legislativa statutaria della regione Marche che, tentando di derogare a norme costituzionali, intendeva attribuire al consiglio regionale (così denominato dall’art. 121.1 cost.) il nome, aggiuntivo, di parlamento e che la Consulta ha dichiarato costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 306/2002 (7).
Per quanto riguarda in particolare il procedimento di formazione/revisione dello statuto la questione ha assunto una certa concretezza sempre nella regione Marche, laddove in una prima bozza del progetto di legge statutaria si prevedeva di escludere l’eventualità della consultazione popolare confermativa in caso di approvazione consiliare a maggioranza dei due terzi, derogando in tal modo all’art. 123.3 (8). La possibilità di un tale potere di deroga si sarebbe potuta ricavare, in ipotesi, dall’inclusione nel contenuto necessario dello statuto della regolamentazione del referendum sulle leggi regionali (art. 123.1); ferma rimanendo, dunque, la necessità di disciplinare il referendum statutario, la regione avrebbe potuto liberamente dettagliarne le caratteristiche anche in deroga alla costituzione. L’ipotesi interpretativa, alquanto debole (9), è stata poi abbandonata dalla stessa regione Marche.

2.1.3.   Le norme statutarie integrative

Il potere delle norme statutarie di integrare le disposizioni costituzionali nel rispetto della lettera e dello spirito delle disposizioni medesime non è questione dubbia (10).
Negli statuti, in concreto, si rinvengono - oltre a una serie di disposizioni meramente ripetitive del dettato costituzionale - norme integrative sul procedimento di formazione e di revisione statutaria. Si tratta di disposizioni originali ma di rilievo non sempre autonomo e che dunque non sempre introducono elementi di reale differenziazione rispetto alle altre regioni ma che, magari, esplicitano e chiariscono aspetti impliciti della disciplina costituzionale di portata generale.
Per quanto riguarda - ad esempio - la disciplina della revisione statutaria in generale, nella maggior parte dei testi statutari si dispone che l’abrogazione totale dello statuto non è valida se non è contestuale alla deliberazione di quello nuovo (11). L’ipotesi, espressamente esclusa, dell’abrogazione secca non appare particolarmente probabile, ma da una simile integrazione, che dichiara la natura costituzionalmente obbligatoria della fonte-atto così denominata, si può facilmente ricavare l’esclusione di un’abrogazione senza sostituzione che riguardi anche i singoli contenuti necessari della medesima (12). 


2.1.4.   Le norme legislative attuative

Con riferimento all’art. 123 cost. non sono state adottate norme legislative statali di attuazione se non per quanto riguarda le modifiche alle norme sul funzionamento della corte costituzionale, di sicura competenza statale, resesi necessarie a seguito della legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3 che ha trasformato il ricorso sulle leggi regionali da preventivo in successivo (legge 5 giugno 2003, n. 131, art. 9.1).
Leggi regionali di adeguamento sono invece intervenute a disciplinare, in primo luogo, le modalità di svolgimento della consultazione popolare sulle leggi regionali statutarie ai sensi dell’art. 123.3 cost. e la promulgazione dello statuto (la legge dello stato è infatti competente solo per la disciplina dei referendum statali - art. 117.2, lett. f - e la promulgazione non è materia statutaria riservata) (13). Tutte le regioni che si sono date il nuovo statuto (ad eccezione della Puglia) vi hanno provveduto preliminarmente all’approvazione dello stesso in quanto trattasi di un istituto nuovo per il quale manca un’apposita disciplina e per il quale non può essere sufficiente riferirsi in via analogica a quella concernente i referendum regionali già previsti prima della novella costituzionale del 1999 (14).
Posta l’antecedenza logica e cronologica della legge che disciplina le modalità della consultazione referendaria rispetto a quella che approva lo statuto, un dubbio circa la legittimità di una legge regionale (ordinaria) di immediata attuazione della costituzione sarebbe potuto sorgere in virtù del fatto che la stessa costituzione riserva allo statuto la regolazione del referendum su leggi della regione. Esclusa senz’altro una riserva assoluta in materia si sarebbe potuto comunque ritenere necessaria una intermediazione della legge statutaria tra la costituzione e la (successiva) legge regionale ordinaria che ne disciplina le modalità di svolgimento. In tal caso tuttavia - salvo aderire alla tesi secondo la quale l’eventualità della consultazione popolare non si applicherebbe alla prima approvazione del nuovo statuto, ma solo alle sue successive modifiche (15) - si sarebbe posto il problema di come disciplinare il referendum per la prima approvazione degli statuti. L’unico rimedio, secondo questa impostazione, sarebbe dato da una legge statutaria stralcio delle procedure di modifica statutaria previste dai vecchi statuti da approvare prima dell’adozione di quello nuovo (16). Ad una simile interpretazione non hanno aderito le regioni che si sono dotate della nuova carta statutaria, compresa la regione Puglia che non ha preventivamente disciplinato le modalità di svolgimento della consultazione popolare in alcun modo. Molti statuti, anzi, affidano espressamente alla legge regionale il compito di disciplinare le modalità di svolgimento del cd. referendum statutario (17). E’ questa una previsione che presuppone la competenza regionale (e non statale) in materia di attuazione dell’art. 123.3 cost. e che assegna alla legge regionale ordinaria (e non ad altre fonti regionali) la disciplina di attuazione del referendum confermativo degli statuti previsto dalla costituzione. Tale norma, dunque, va correttamente intesa come riserva di legge regionale e non come rinvio ad una legge successiva, data la necessaria antecedenza dell’eventuale espressione di volontà popolare rispetto all’atto-statuto. Ciò che peraltro risulta confermato dal fatto che – come visto – tutte le regioni, tranne la Puglia, hanno disciplinato l’istituto referendario preventivamente all’approvazione della loro legge fondamentale.

2.1.5.   Le norme dei regolamenti consiliari

Sono le norme dei regolamenti consiliari che, pur in assenza di una vera e propria riserva di competenza, regolano la fase centrale del procedimento di formazione delle leggi. Al di là, tuttavia, di alcune parziali modifiche o integrazioni sono ancora in vigore, nella maggior parte dei casi, i regolamenti interni dei consigli approvati prima delle ultime modifiche costituzionali (18). Ciò ha fatto sorgere qualche dubbio in ordine alle norme applicabili all’esame e all’approvazione delle (speciali) leggi statutarie che devono essere adottate con “doppia deliberazione conforme”. Ad esempio, il testo già positivamente accolto in prima deliberazione è emendabile o anche soltanto sottoponibile a coordinamento formale nella seconda votazione? (19).
Si tratta comunque di norme di parziale e incerta sindacabilità da parte della corte costituzionale in quanto interna corporis acta (20).

2.1.6.   Le disposizioni di interpretazione (non autentica) della costituzione

Diversamente dalle norme che integrano o fanno attuazione a livello regionale delle norme costituzionali sul procedimento di formazione degli statuti si pongono le disposizioni che operano nei coni d’ombra delle lacune costituzionali. Le interpretazioni della costituzione che sono qui presupposte (in mancanza, a breve distanza dalle revisioni costituzionali, di un diritto vivente o anche soltanto di interpretazioni dottrinali prevalenti) o raccolte in forma scritta (in presenza viceversa di un chiaro diritto vivente) sono integralmente condizionate dalla bontà della interpretazione fatta propria dalla legge e non hanno un’autonoma funzione normativa.
Un caso di questo genere si trova nelle leggi di disciplina del referendum sulle leggi regionali statutarie, le quali spesso non si sono limitate a disciplinare le modalità di svolgimento della consultazione popolare e la promulgazione ma hanno fissato le regole per risolvere la delicata questione della sovrapposizione temporale del procedimento referendario con quello concernente il giudizio di legittimità costituzionale, dato che i termini per l’iniziativa referendaria decorrono dalla stessa data di quelli fissati per il ricorso governativo (rispettivamente: tre mesi e trenta giorni dalla pubblicazione notiziale) (21). La prima regione ad intervenire in materia, prima ancora della sentenza della corte costituzionale che ponesse fine al dubbio (a seguito della l. cost. n. 1 del 1999 e della l. cost. n. 3 del 2001) circa la natura preventiva o successiva dell’eventuale giudizio di legittimità costituzionale rispetto alla promulgazione dello statuto (sent. 3 luglio 2002, n. 304), fu l’Emilia-Romagna (l.r. 25 ottobre 2000, n. 29). In questa legge si presuppone che il termine per promuovere la questione di legittimità costituzionale da parte del governo decorra dalla data della pubblicazione notiziale e non da quella della pubblicazione necessaria e conseguentemente si dispone che, qualora il governo promuova la questione di legittimità costituzionale, il termine per la richiesta del referendum popolare è sospeso (o interrotto) e comincia nuovamente a decorrere dalla data di pubblicazione della decisione della corte costituzionale. Le attività e le operazioni compiute prima della sospensione/interruzione conservano validità solo in caso di rigetto del ricorso (22).
Il governo, invece, nel testo del d.d.l. cd. La Loggia (art. 9) – nella originaria stesura approvata dal consiglio dei ministri il 19 aprile 2002 – aveva ritenuto successiva alla promulgazione la collocazione del ricorso sulle leggi statutarie. Fu dunque solo a seguito del sopraggiungere della notizia della decisione della corte (con la sent. n. 304 del 2002) che esso dovette adeguarsi all’interpretazione già fatta propria dalla regione Emilia-Romagna, emendando conseguentemente il testo definitivo del disegno di legge (approvato dal consiglio dei ministri lo stesso giorno dell’udienza della corte, il 20 giugno 2002).
Al di fuori del procedimento di formazione degli statuti un caso ancora più evidente che rivela la natura assolutamente non autonoma e non normativa di siffatte interpretazioni, qualora non siano solo presupposte ma anche scritte (23), è quello rappresentato da alcune leggi regionali che sono intervenute a definire le procedure per il giudizio di valutazione dell’insindacabilità dei consiglieri regionali ai sensi dell’art. 122.4 cost. (24). A salvaguardia dell’autonomia e dell’indipendenza dei consiglieri regionali è specificato in queste leggi che il consiglio regionale è l’organo competente a valutare la insindacabilità della condotta eventualmente addebitata ad un proprio membro e, in particolare, che costituiscono esercizio delle funzioni di consigliere regionale le opinioni e i voti espressi nelle sedute degli organi regionali o comunque funzionalmente collegati alle attribuzioni del consiglio regionale.
Siffatte previsioni, rispetto a quella costituzionale – che si limita ad affermare che “i consiglieri regionali non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni” senza specificare altro – contengono un’addizione testuale che aderisce ad un filone interpretativo della citata disposizione costituzionale ormai consolidato (25). Qualora si dovesse intendere che, in queste ipotesi, la legge regionale abbia la forza necessaria per irrigidire l’interpretazione della previsione costituzionale si tratterebbe di disposizioni illegittime o perché incidenti in materia costituzionale o comunque - anche a voler ritenere possibile delle disposizioni integrative della norma costituzionale a livello regionale - in quanto rientranti tra i “principi fondamentali di organizzazione e funzionamento” della regione stessa, che l’art. 123.1 cost. riserva alla determinazione statutaria (insieme alla forma di governo e agli altri contenuti necessari degli statuti regionali). Qualora si ritenesse invece che siffatte disposizioni costituiscano una semplice ricognizione (per memoria) della norma costituzionale vivente (così come attualmente interpretata dalla corte costituzionale) e non determinino esse stesse – non avendo il potere di farlo – un ampliamento dell’oggetto della garanzia recata dall’art. 122 cost., ciò consentirebbe di individuare chiaramente il valore non innovativo di simili disposizioni, che opererebbero come una sorta di nota a margine al vero e proprio corpo normativo della legge regionale: un curioso caso di legislatore-glossatore. 

2.2.   Le lacune della disciplina e l’interpretazione (dottrinale o giurisprudenziale) delle leggi regionali

C’è da chiedersi, per quanto riguarda l’interpretazione delle fonti regionali (non previste dalle disposizioni sulla legge in generale), che uso possa farsi dell’analogia iuris. Entro quale misura cioè il principio generale di analogia possa considerarsi limitato dal carattere autonomo e territoriale di queste fonti.

2.2.1.   Interpretazione analogica ricavabile dalla legislazione statale

Si può qui considerare il caso del rinvio normativo operato dalle leggi che disciplinano il referendum popolare confermativo delle cd. leggi statutarie o di governo nelle regioni Val d’Aosta (l.r. 22 aprile 2002, n. 4, art. 23) e Friuli Venezia Giulia (l.r. 27 novembre 2001, art. 21), per quanto non disposto dalle leggi regionali medesime, alle disposizioni della legge di disciplina del referendum costituzionale e degli altri referendum previsti dalla costituzione (l. 25 maggio 1970, n. 352), in quanto applicabili. E’ da chiedersi se si tratti qui di un vero rinvio normativo che opera solo per le regioni (speciali) che l’abbiano previsto o piuttosto se non debba operare in ogni caso in virtù di un principio generale di analogia presente nel nostro ordinamento giuridico (art. 12 delle cd. preleggi).
Questo argomento potrebbe essere decisivo per la regione Puglia che non ha disciplinato il referendum confermativo dello statuto prima della sua promulgazione. In questo caso infatti – per evitare il rischio che lo statuto promulgato possa considerarsi un atto giuridicamente inesistente per non avere avuto il corpo elettorale regionale l’effettiva possibilità di partecipare alla formazione della volontà dell’atto complesso – si potrebbe sostenere che sia utilizzabile, in via analogica, la disciplina concernente il referendum (abrogativo e consultivo) regionale già regolato prima della novella costituzionale del 1999 (26), ricorrendo - per quanto non direttamente applicabile - ad un’interpretazione sistematica dell’ordinamento della repubblica che deduca le disposizioni normative non ricavabili analogicamente dalla legislazione regionale, in via sussidiaria, direttamente dalla normativa statale sui referendum previsti dalla costituzione (ed in particolare quello costituzionale) (27).
Se così fosse, tuttavia, il presidente della regione avrebbe dovuto ritenere applicabile - adattandolo al procedimento di formazione dello statuto - l’art. 5 della legge 352 del 1970, provvedendo a certificare, attraverso la formula della promulgazione, che la legge sia stata approvata dal consiglio regionale a maggioranza assoluta dei suoi componenti e che nessuna richiesta del referendum previsto dall’art. 123.3 della costituzione sia stata presentata entro il termine di tre mesi dalla sua pubblicazione notiziale (28), ciò che invece non è in concreto avvenuto (30). A voler seguire questa tesi – per mettere in sicurezza lo statuto pugliese – sarebbe allora auspicabile che la sua promulgazione sia quantomeno rettificata (come correzione di errore materiale).

 
 
2.2.2.   Interpretazione analogica ricavabile dalla legislazione delle altre regioni
 
Come abbiamo già accennato molte regioni sono intervenute a regolare gli effetti dell’esito del giudizio della corte costituzionale sul procedimento del referendum confermativo. Emilia-Romagna, Marche e Piemonte hanno previsto in particolare che, nel caso in cui la legge statutaria sia dichiarata solo parzialmente illegittima dalla corte costituzionale, il consiglio regionale delibera sui provvedimenti consequenziali da adottare e che, qualora si tratti di modifiche derivanti da esigenze di mero coordinamento testuale o formale, la deliberazione in questione non deve essere nuovamente approvata come legge nuova secondo il procedimento previsto dall’art. 123 cost. (o dagli statuti speciali per le leggi statutarie delle regioni e delle province ad autonomia speciale). Soltanto la regione Lazio, regolando la medesima questione, ha previsto che i soli provvedimenti consequenziali che consentono al consiglio regionale di approvare a maggioranza assoluta e con un’unica deliberazione modifiche al testo già approvato sono quelli consistenti nella soppressione delle disposizioni dichiarate incostituzionali ovvero in modifiche della legge tese esclusivamente a conformarsi alla sentenza nonché al mero coordinamento formale del testo. Questa disposizione appare molto più chiara e precisa di quella delle altre regioni che hanno regolato similmente il medesimo caso sia per l’espressa previsione che la deliberazione consiliare sia unica e approvata a maggioranza assoluta sia per la maggiore precisione nella definizione degli interventi meramente consequenziali.
Dal confronto di queste disposizioni si possono ricavare argomenti sia per analogia sia ragionando a contrario per la risoluzione delle questioni di legittimità costituzionale sollevati dal governo sulle leggi statutarie promulgate dalle regioni Emilia-Romagna e Umbria (29); la più chiara disposizione della legge del Lazio potrebbe aiutare a comprendere, infatti, la ratio e la portata effettiva della meno chiara disposizione legislativa emiliano-romagnola. Ancora più decisivo sarebbe l’uso dell’argomento per analogia o a contrario nel caso dell’Umbria, regione che, pur non prevedendo espressamente la possibilità di provvedimenti consequenziali sul testo della delibera legislativa da approvare dal consiglio in forma semplificata né un conseguente potere di promulgazione parziale da parte del presidente della regione, ha agito come se di quegli stessi poteri disciplinati da altre leggi regionali essa stessa potesse implicitamente disporre.
 

3.         Il procedimento legislativo statutario
 
3.1.   L’iniziativa e l’istruttoria
 
Le norme costituzionali non dispongono nulla sull’iniziativa e l’istruttoria delle leggi statutarie. L’iniziativa legislativa in genere è però riservata agli statuti (art. 123.1) mentre l’istruttoria è sempre regolata dai regolamenti interni dei consigli, per quanto la materia non sia espressamente riservata ad essi (31). Il solo statuto della Toscana pone una disposizione che disciplina specificamente il potere d’iniziativa per le modifiche statutarie (32). Gli statuti dell’Emilia-Romagna (art. 18.4) e della Puglia (art. 15.3) si limitano, invece, ad escludere l’iniziativa popolare per la revisione statutaria (33). In altri due statuti si prevede, inoltre, che le iniziative di revisione statutaria respinte dal consiglio non possano essere ripresentate (34) o prima che sia trascorso un anno dalla loro reiezione (Calabria, art. 58.2) o nel corso della stessa legislatura (Piemonte, art. 101.3). In ogni altro caso valgono le norme degli statuti sull’iniziativa e l’istruttoria legislativa in genere nonché le norme dei regolamenti consiliari.
In sede di prima attuazione, tuttavia, quasi tutte le regioni hanno adottato un procedimento speciale per la redazione del nuovo statuto. A questo fine tutti i consigli regionali hanno istituito delle commissioni per la definizione o l’esame in sede referente delle proposte dei nuovi statuti. Si è trattato, in genere, di commissioni speciali con l’eccezione dell’Emilia-Romagna, del Lazio e del Veneto, che hanno creato un’apposita commissione ordinaria per l’esame in sede preparatoria e/o referente delle proposte di revisione dello statuto, e della Puglia, che ha affidato la materia alla commissione consiliare permanente “Affari istituzionali”. Per la loro istituzione in Calabria, Umbria e Molise s’è provveduto con legge regionale, nelle Marche con modifica del regolamento consiliare, in Abruzzo, Basilicata, Campania, Liguria, Lombardia, Piemonte e Toscana con deliberazione consiliare non legislativa (35). I termini previsti per la definizione dei progetti, che variavano originariamente tra un minimo di sei mesi (Calabria) e un massimo rappresentato dalla durata dell’intera legislatura regionale (Liguria), con una media che si collocava al disotto dei due anni, sono stati successivamente generalmente prorogati (36).
Per quanto riguarda la composizione di dette commissioni, a parte la naturale variazione numerica dei membri, le particolarità di maggior rilievo sono da individuare nel fatto che in due casi sono stati chiamati a farne parte il presidente della giunta regionale (Piemonte) o un rappresentante di giunta (Calabria). Un’altra particolarità di rilievo è da rinvenire nella composizione paritetica tra maggioranza e opposizione che si riscontra in alcune regioni (Abruzzo, Molise). La presidenza delle commissioni è stata affidata in alcune regioni a un esponente della maggioranza (37) e in altre a un esponente dell’opposizione (38). In due casi è stata prevista invece un’alternanza alla carica, tra rappresentanti della maggioranza e rappresentanti dell’opposizione (39).
Compito affidato alle commissioni statuto è stato spesso anche quello di elaborare o esaminare in sede referente le proposte di revisione della legge elettorale regionale (40) e del regolamento consiliare (41). Una diversa ipotesi di coordinamento tra l’organo competente alla revisione dello statuto e l'altro cui spetta modificare il regolamento consiliare è stata quella prevista dalla regione Marche secondo la quale la commissione straordinaria per lo statuto esprime il proprio parere sulla proposta di modifica del regolamento interno prima che questa (elaborata dalla giunta per il regolamento) sia sottoposta all’assemblea.
In tutte le regioni si è previsto, o comunque concretamente realizzato, il coinvolgimento della società civile e degli enti locali. A tal fine si è proceduto, in particolare, all’audizione o alla consultazione delle formazioni e degli altri soggetti sociali. Le regioni si sono generalmente avvalse, inoltre, della consulenza di esperti, cui è stato chiesto un supporto tecnico-scientifico per la formulazione di proposte operative o anche la predisposizione di una bozza preliminare di statuto da trasmettere al consiglio.
 
 
3.2.   La fase deliberativa
 
L’art. 123.2 cost. dispone che lo statuto è approvato e modificato dal consiglio regionale con legge adottata a maggioranza assoluta dei suoi componenti con due deliberazioni successive votate ad intervallo non minore di due mesi.
La necessaria approvazione consiliare esclude senz’altro la formula assemblea statuente, con poteri deliberativi (42), ma forse non quella della “convenzione per lo statuto”, con mero potere propositivo, adottata dalla regione Friuli Venezia Giulia per la revisione del proprio statuto speciale (43). Tuttavia – come abbiamo appena visto – la quasi generalità delle regioni ha disposto un procedimento speciale di redazione dei nuovi statuti, con l’ampio coinvolgimento della società civile e degli enti locali e un significativo supporto di esperti in discipline giuridiche-pubblicistiche, ma tutto interno ai consigli regionali.
La necessità dell’approvazione a maggioranza assoluta dei componenti del consiglio comporta una riserva d’assemblea implicita che è stata esplicitata dal solo statuto della regione Umbria (art. 36.4).
La necessità di due deliberazioni successive implica l’assoluta identità del testo, inemendabile dunque in seconda votazione. Sono in particolare le leggi di disciplina del referendum popolare confermativo che chiariscono che la doppia deliberazione deve riguardare un identico insieme di parole (44) e che con la trasmissione al presidente della giunta regionale il presidente del consiglio attesta l’intervenuta doppia deliberazione conforme. Per il resto il procedimento di approvazione della legge è regolato dai (non adeguati e dunque lacunosi) regolamenti consiliari in vigore (45).
Nella prassi vanno considerati i casi dubbi dell’Umbria e del Lazio, relativi – rispettivamente – alla conformità del testo e alla doppia deliberazione a maggioranza assoluta.
In Umbria il testo approvato in seconda deliberazione non è stato del tutto conforme a quello sottoposto al voto in prima deliberazione. In questa occasione il consiglio ha, infatti, preliminarmente approvato alcune correzioni formali secondo le norme del proprio regolamento interno (46). Il dubbio circa la legittima applicazione di questa disposizione nasce dall’evidenza che per il simile procedimento di revisione costituzionale i regolamenti parlamentari non consentono nessuna modifica al testo (47) e nella pratica parlamentare non v’è precedente di correzioni formali su un testo di legge costituzionale da approvare in seconda lettura (48).
Nel Lazio la seconda deliberazione (svoltasi il 29 luglio del 2004) non è stata approvata a maggioranza assoluta e si è dubitato che la successiva dichiarazione d’invalidità della votazione (il successivo 3 agosto) costituisse un atto legittimo e, di conseguenza, che il nuovo statuto possa costituire un atto giuridicamente esistente, in quanto non approvato con due deliberazioni successive a maggioranza assoluta (49).
Il governo non ha promosso l’impugnativa né nel primo né nel secondo caso, forse in virtù del principio dell’insindacabilità degli interna corporis acta. Se è così, ciò è da ritenersi senz’altro corretto nel caso della regione Lazio, dove si sarebbero dovute valutare le modalità del voto esclusivamente sulla base del regolamento interno (50), ma non nel caso dell’Umbria, dove si sarebbe potuto contestare il potere di apportare modificazioni al testo dello statuto in seconda deliberazione in diretto contrasto con la procedura di approvazione prevista dalla costituzione (51).
 
 
3.3.   La pubblicazione notiziale
 
La pubblicazione a fini notiziali, implicitamente deducibile dall’art. 123.3 cost. (52), è in genere regolamentata dalle leggi di disciplina del referendum confermativo (53).
Ciò che ci sembra in particolare da rimarcare è che alcune di queste leggi prevedono ipotesi di ripubblicazione, sempre ai fini notiziali, nel caso in cui il testo pubblicato subisca delle successive variazioni. Si tratta o di modifiche consequenziali all’eventuale giudizio di legittimità costituzionale o di modifiche indipendenti dal giudizio della corte. Sulle prime ci soffermeremo più avanti (quando parleremo del sub-procedimento contenzioso), per quanto riguarda le seconde, invece, solo le leggi dell’Emilia-Romagna e della provincia autonoma di Trento prevedono espressamente che il consiglio (regionale o provinciale) possa modificare (o revocare) la deliberazione legislativa statutaria già approvata anche durante la decorrenza del termine disposto ai fini della richiesta del referendum in maniera indipendente dal giudizio della corte.
In tal caso il procedimento di approvazione previsto dall’art. 123.2 cost. ricomincia dal principio e la nuova delibera legislativa statutaria, modificata o parzialmente abrogata, è nuovamente pubblicata ai fini notiziali nel testo risultante a seguito delle modifiche introdotte. In via di prassi l’ipotesi si è concretamente realizzata in Liguria, regione nella quale, a seguito del ricorso governativo (ma prima del giudizio della corte) sulla delibera legislativa statutaria, il consiglio regionale ha ritenuto di apportare delle modifiche al testo già deliberato ripubblicando la nuova deliberazione approvata (ai sensi dell’art. 123.2 cost.) (54). In tal senso si è inoltre indirizzato anche il consiglio della regione Abruzzo che, sempre a seguito del ricorso governativo, ha approvato una nuova prima deliberazione (55) di un testo modificato - in adeguamento ai rilievi dell’impugnativa - pur senza riapprovarlo in seconda deliberazione (e pubblicarlo nuovamente ai fini notiziali) prima del termine della VII legislatura regionale (56).
 
 
3.4.   Il sub-procedimento referendario
 
L’art. 123.3 cost. prevede che lo statuto è sottoposto a referendum popolare qualora entro tre mesi dalla sua pubblicazione ne faccia richiesta un cinquantesimo degli elettori della regione o un quinto dei componenti il consiglio regionale (57).
Per quanto riguarda le norme statutarie integrative, di particolare rilievo è quella fissata dalla regione Emilia-Romagna secondo la quale, in caso di successive (parziali) modifiche relative a più argomenti, il referendum è articolato in più quesiti formulati, per temi omogenei, dall’organo di garanzia statutaria (art. 22.2) (58).
Per la concreta disciplina del procedimento di consultazione popolare tutte le regioni che hanno un nuovo statuto (ad eccezione della Puglia) hanno previamente approvato una legge di regolamentazione (59) (ma vi hanno già adempiuto anche il Veneto, il Molise e la Campania) (60).
Dalle previsioni costituzionali si ricava chiaramente che il referendum statutario, come quello costituzionale, non è necessario ma, a differenza di quest’ultimo, è ad eventualità necessaria, in quanto non è previsto il caso che, in virtù dell’elevato livello di consenso realizzatosi nell’assemblea legislativa rappresentativa, si possa escludere la possibilità della consultazione popolare diretta. Ciò che è dubbio – e meritevole di attenzione – è però se l’approvazione del corpo elettorale concorra alla perfezione di un atto normativo complesso o piuttosto se il referendum non debba considerarsi un atto di controllo volto a condizionare l’efficacia di un atto già perfetto. La questione non è nuova ed è la stessa che già s’è posta per l’approvazione delle leggi costituzionali. A far pendere il piatto della bilancia molto più nettamente verso la tesi dell’atto complesso, nel caso del referendum statutario, sta già il fatto che la contrapposta tesi perde il suo migliore argomento: la previsione in base alla quale non si può far ricorso alla consultazione popolare se la legge è stata approvata nella seconda deliberazione a maggioranza di due terzi dei componenti non trova applicazione per gli statuti regionali. In tal caso, infatti, per poter sostenere che la legge costituzionale è - anche qui - un atto complesso, pur con la necessaria assenza della manifestazione della volontà popolare (espressa o tacita), occorre ricorrere alla teoria del consenso popolare “presunto” (61), che è indubbiamente il punto più debole di questa dottrina.
Decisivi risultano però altri argomenti. Com’è noto la perfezione di un atto giuridico coincide con il momento in cui l’autorità competente a formarlo ne abbia definitivamente approvato il contenuto (62). Se dunque la delibera legislativa statutaria pubblicata a fini notiziali fosse un atto perfetto, non potrebbero più intervenire sul testo della legge né il consiglio (non prima della sentenza della corte costituzionale o del responso referendario) né il corpo elettorale (che potrebbe solo approvare o non approvare in toto il provvedimento). Entrambe queste affermazioni sono però false alla luce dell’attuazione costituzionale.
Come abbiamo già rilevato (64), infatti, le leggi attuative dell’Emilia-Romagna e della provincia autonoma di Trento prevedono espressamente che il consiglio (regionale o provinciale) possa modificare o revocare la deliberazione legislativa statutaria già approvata anche durante la decorrenza del termine disposto ai fini della richiesta della consultazione popolare (in maniera indipendente dal giudizio della corte). In via di prassi l’ipotesi si è, inoltre, concretamente realizzata in Liguria e in Abruzzo. Inoltre, la regione Emilia-Romagna nel proprio statuto (art. 22) dispone – lo abbiamo appena visto – che per le variazioni statutarie, quando si tratti di modifiche parziali relative a più argomenti, il referendum confermativo è articolato in più quesiti per temi omogenei (63). In tal caso, dunque, il testo approvato dall’assemblea legislativa può essere direttamente modificato dalla volontà espressa dal corpo elettorale. In nessuna di queste ipotesi vi è stato peraltro il ricorso governativo.
La tesi del referendum come atto di controllo, sostenuta da qualcuno a partita ancora da giocare (65), non appare dunque più sostenibile alla luce della concreta attuazione costituzionale.
 
 
3.5.   Il sub-procedimento contenzioso
 
3.5.1.   la questione del termine iniziale
 
L’art. 123.2, ultima parte, prevede che il governo della repubblica può promuovere la questione di legittimità costituzionale sugli statuti regionali dinanzi la corte costituzionale entro trenta giorni dalla loro pubblicazione. Ma di quale pubblicazione si tratta? Di quella notiziale, preventiva rispetto alla promulgazione, prevista dall’art. 123.3 ai fini della richiesta del referendum o di quella necessaria, successiva alla promulgazione, a cui si riferisce l’art. 127 per l’impugnazione delle leggi in genere? A fronte dell’estrema incertezza dell’interpretazione di questa previsione è intervenuto il giudizio della corte costituzionale, la quale con la sent. 3 luglio 2002, n. 304 ha interpretativamente ricavato dall’art. 123 cost. che il controllo di legittimità costituzionale delle deliberazioni legislative statutarie ha natura preventiva e non successiva. La preoccupazione che ha mosso la corte (di una sovraesposizione in caso di un giudizio successivo ad un pronunciamento referendario del corpo elettorale su temi caldi della politica strillati dagli statuti o dalle successive campagne referendarie) è comprensibile e condivisibile - e da questo punto di vista la decisione può considerarsi senz’altro opportuna - anche se su un piano più strettamente giuridico formale gli argomenti di questa decisione appaiono elusivi e poco convincenti (66).
Occorre notare tuttavia che adottando una simile soluzione interpretativa la corte costituzionale – contrariamente a quanto potrebbe sembrare a prima vista in virtù del fatto che prima della legge di revisione costituzionale n. 3 del 2001 tutte le leggi regionali erano impugnate dal governo in via preventiva – ha determinato una situazione assolutamente nuova per il nostro ordinamento. In tal caso, infatti, il giudizio non è solo preventivo (rispetto alla promulgazione) ma è anche dato su un oggetto meramente potenziale (un atto giuridico non ancora perfetto, in quanto non ancora approvato – per espresso o per implicito – dal corpo elettorale e sul quale, come abbiamo visto, può ancora intervenire lo stesso consiglio regionale).
La corte ha così finito per riconoscersi un inedito ruolo da svolgere all’interno del procedimento di formazione degli statuti in una fase in cui il testo dello statuto non è ancora certo e definitivo (67), ma soprattutto ha determinato la conseguenza che i soli vizi di legittimità che potrebbero essere conosciuti dalla corte sono quelli che riguardano questa prima fase procedimentale (quella che si chiude con la pubblicazione notiziale). Vizi peraltro non tutti da essa sindacabili in virtù dell’antico feticcio (così come lo chiamava Barile) degli interna corporis acta.
 
 
3.5.2.   La questione del coordinamento dei due sub-procedimenti
 
La soluzione accolta dalla corte determina, peraltro, un difficile problema di coordinamento del procedimento referendario con quello contenzioso, dato che i termini per l’iniziativa referendaria decorrono dalla stessa data di quelli fissati per il ricorso governativo (rispettivamente: tre mesi e trenta giorni dalla pubblicazione notiziale). Come abbiamo già più volte accennato, alcune leggi regionali di disciplina del referendum confermativo (Abruzzo (68), Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Marche, Piemonte, Provincia di Trento, Toscana, Umbria e Veneto) hanno fissato le regole per risolvere la delicata questione della sovrapposizione temporale del procedimento referendario con quello concernente il giudizio di legittimità costituzionale (69).
Secondo queste leggi (70), qualora il governo promuova la questione di legittimità costituzionale, il termine per la richiesta della consultazione popolare è sospeso (o interrotto) e comincia nuovamente a decorrere dalla data di pubblicazione della decisione della corte costituzionale nella gazzetta ufficiale della repubblica (71) o nel bollettino ufficiale della regione (72). Le attività e le operazioni eventualmente compiute prima della sospensione/interruzione conservano validità solo in caso di rigetto del ricorso (73). Occorre tuttavia chiedersi che cosa possa succedere nel caso in cui la legge statutaria sia dichiarata solo parzialmente illegittima dalla corte costituzionale, che è poi il caso ordinario qualora la decisione non sia di rigetto. Ciò determina senz’altro l’estinzione del procedimento referendario già avviato (con la richiesta) e le operazioni già eventualmente compiute perdono efficacia (74), in quanto è da escludere che un procedimento referendario cui ha dato inizio una richiesta concernente una delibera legislativa statutaria (nel testo ufficialmente pubblicato in via notiziale) possa proseguire con riferimento ad un testo anche solo parzialmente diverso. Ma questo determina anche l’estinzione dell’intero procedimento di approvazione della legge? Le regioni Emilia-Romagna, Lazio, Marche e Piemonte hanno ritenuto di no e hanno dunque previsto che in tal caso il consiglio regionale delibera (75) sui provvedimenti consequenziali da adottare e che qualora si tratti di modifiche consistenti nella soppressione delle disposizioni dichiarate incostituzionali (“coordinamento testuale”), ovvero derivanti da esigenze di mero coordinamento formale, la legge non debba considerarsi nuova e dunque il procedimento di approvazione non debba essere riavviato dal principio (76).
Soltanto la regione Lazio prevede espressamente la necessità di una nuova pubblicazione della delibera legislativa statutaria, nel testo adeguato a seguito della sentenza della corte costituzionale, al fine di consentire il computo di un nuovo termine a decorrere dalla data di ripubblicazione della legge per un’eventuale nuova richiesta di consultazione popolare (77). E’ da ritenere, tuttavia, che la necessaria identità testuale della deliberazione statutaria da sottoporre all’eventuale referendum confermativo con quella approvata dal consiglio regionale (nel testo pubblicato ai fini notiziali) imponga, in tutti i casi considerati, una nuova pubblicazione della delibera legislativa (comunque) modificata e un nuovo computo del termine. Particolarmente significativo è al riguardo l’analogo caso della Sicilia, che ha pubblicato in via notiziale il testo progressivamente modificato della propria recente legge elettorale regionale – che è legge statutaria o di governo – per ben tre volte (78). Diversa è invece la soluzione concretamente adottata in Umbria (79) e in Emilia-Romagna (80) in luogo della ripubblicazione del testo statutario.
 
3.6.   La promulgazione e la pubblicazione
 
La costituzione affida la promulgazione delle leggi regionali al presidente della giunta (121.4; 123.3). La promulgazione degli statuti è però più precisamente regolata dalle leggi regionali di disciplina del referendum. Il computo dei termini e la formula promulgativa mutano infatti in relazione al fatto che sia stata presentata o meno una richiesta di referendum, che sia stata promossa o meno una questione di legittimità costituzionale e dall’esito dei relativi sub-procedimenti.
Le leggi regionali dettano disposizioni, inoltre, sulla denominazione e la numerazione degli atti-statuto da pubblicare nel bollettino ufficiale della regione. Lazio, Liguria, Marche e Piemonte hanno optato per un’autonoma denominazione e numerazione dell’atto: “legge statutaria”, che ne marchi il carattere di species rispetto alle altre leggi regionali; mentre Calabria, Emilia-Romagna, Puglia e Umbria hanno preferito mantenere la denominazione e la numerazione ordinaria di “legge regionale”, che ne marchi l’appartenenza ad un comune, più ampio, genus (rimettendo alla titolazione della legge e alla formula di promulgazione le peculiarità procedurali di specie). Diversa, invece, è la soluzione adottata dalla regioni Abruzzo e Toscana che hanno adottato la denominazione di “statuto” senza alcuna numerazione, in quanto – in tutta evidenza – lo statuto può essere uno solo (art. 123.1 ciascuna regione “ha uno statuto”), parzialmente modificabile o integralmente sostituibile ma comunque destinato a mantenere la sua necessaria unicità e continuità nel corso del tempo (ne consegue pertanto, coerentemente, anche il divieto di abrogazione totale – esplicitato – e l’illegittimità di leggi statutarie che non siano di revisione dello statuto) (81).
Per quanto riguarda l’entrata in vigore nulla dispone la costituzione né specificamente per gli statuti né, dopo la riforma del titolo V, per le leggi regionali in genere. Le rare disposizioni dei vecchi statuti (adottati con legge statale) che si riferiscono all’entrata in vigore delle loro modificazioni sono inapplicabili per quelli nuovi (adottati con legge regionale). A disporre della propria entrata in vigore sono stati allora, in otto casi su dieci, gli statuti nuovi: Abruzzo, Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, e Toscana hanno previsto che essi entrano in vigore il giorno successivo alla data di pubblicazione (82); Calabria, Marche e Piemonte hanno invece applicato il termine ordinario per la vacatio legis degli stessi (che sono entrati in vigore il 15° giorno successivo alla data di pubblicazione) (83); in questo caso evidentemente è da intendersi che la sola norma che è entrata in vigore immediatamente è stata quella che disponeva il termine per la vacatio legis. Gli statuti di Puglia ed Umbria non hanno dettato disposizioni sulla loro entrata in vigore, ma hanno previsto il rispetto dell’ordinario termine di vacatio per le leggi regionali, salvo che queste non dispongano diversamente (84). Le nuove previsioni avranno dunque senz’altro efficacia per le successive modificazioni statutarie; l’entrata in vigore dei nuovi statuti dovrebbe essere stata regolata invece dalle disposizioni di quelli vecchi concernenti l’entrata in vigore delle leggi regionali (solo parzialmente vincolate dal vecchio art. 127 cost. che disponeva che la legge regionale entra in vigore non prima di 15 giorni dalla sua pubblicazione e, dunque, da ritenersi ancora in vigore fino alla vigenza dei nuovi statuti) (85). In entrambi i casi, a parte la precisazione formale, il termine per l’entrata in vigore sarebbe comunque stata la stessa (il 15° giorno successivo alla pubblicazione).
 
 
3.6.1.   La questione della promulgazione parziale
 
Abbiamo detto del principio d’identità testuale della deliberazione statutaria pubblicata ai fini notiziali con quella da sottoporre al referendum confermativo (86). Se fosse però da ammettersi l’opinione espressa dal consiglio di stato, in due pareri formulati per le regioni Emilia-Romagna e Umbria (87), secondo la quale “il testo normativo deve conservare la propria identità dalla prima deliberazione consiliare alla promulgazione che ha per oggetto il testo approvato dal consiglio”, tutte le previsioni che autorizzano i presidenti delle giunte alla promulgazione parziale delle deliberazioni legislative statutarie adeguate in via meramente consequenziale alle sentenze di accoglimento parziale della corte costituzionale (una norma di legge in Emilia-Romagna e una risoluzione del consiglio regionale in Umbria) sarebbero da considerarsi illegittime.
E’ noto d’altronde che la corte costituzionale ha sempre escluso un autonomo potere di promulgazione parziale del presidente della giunta regionale in passato (88). Sembrerebbe necessaria, pertanto, quantomeno un’apposita deliberazione consiliare che valuti i provvedimenti consequenziali da adottare, approvata con la stessa maggioranza necessaria per l’adozione dello statuto: a maggioranza assoluta (ciò che è espressamente previsto nel solo caso del Lazio e che, comunque, non è concretamente avvenuto nel caso dell’Umbria e dell’Emilia-Romagna) (89). E’ poi da chiedersi se per l’adozione di una simile soluzione sia sufficiente una disposizione di legge regionale ordinaria e se un’ipotesi del genere sia estensibile anche laddove non sia espressamente prevista (come nel caso dell’Umbria).
Per la prima questione vi è da ricordare che, mentre il vecchio testo dell’art. 127 cost. prima della riforma del 2001 disciplinava direttamente la promulgazione della legge regionale (di cui la legge statutaria è una species) (90), nel nuovo titolo V questo potere continua ad essere attribuito al presidente della giunta regionale ma non è più direttamente disciplinato; né si può dire, d’altronde, che la promulgazione rientra tra i contenuti strettamente necessari dello statuto ai sensi dell’art. 123.1. Pienamente legittima pare dunque la scelta di regolarla con legge regionale.
Per quanto riguarda la seconda questione, la valutazione da compiere è più incerta. Essendo tuttavia la promulgazione un atto della sequenza formativa della legge di dubbia natura giuridica ma sicuramente non espressione del potere legislativo (91) sembra difficilmente ammissibile che una simile ipotesi possa sfuggire allo stretto rispetto del principio di legalità.
Se dunque sono questi i termini della questione, la promulgazione parziale dello statuto – avvenuta senza che l’ipotesi fosse stata previamente disciplinata dalla legge e senza che la deliberazione non legislativa del consiglio che l’autorizzava fosse adottata a maggioranza assoluta – sembra, comunque, non rispondente ai requisiti minimi di legittimità. In ogni caso, come abbiamo visto, è stata concretamente rimessa alla valutazione della corte costituzionale la più radicale questione circa la sussistenza di un principio costituzionale che impone l’identità testuale della legge statutaria dalla prima deliberazione alla promulgazione (92). Se così fosse, risulterebbero illegittime - ovviamente - non solo le disposizioni che prevedono il caso dell’adeguamento meramente consequenziale agli effetti delle sentenze di illegittimità costituzionale sul testo della deliberazione legislativa statutaria ma anche quelle previsioni che consentono al corpo elettorale di approvare solo pro parte le leggi di modifica statutaria a contenuto non omogeneo (in Emilia-Romagna). Pure qui infatti verrebbe meno l’identità testuale dell’atto (93).
 
 
3.6.2. La questione dell’eventuale ruolo di controllo del presidente della regione
 
Sebbene la posizione del presidente della giunta regionale sia notevolmente diversa da quella del presidente della repubblica, ci si deve chiedere se ed entro quali limiti esso possa esercitare un potere di controllo in sede di promulgazione. I nuovi statuti non prevedono un potere di veto presidenziale sulle leggi regionali, anche se è da condividersi l’opinione che dopo le revisioni del titolo V ciò sarebbe stato astrattamente possibile, almeno per quanto riguarda il controllo di merito (l’opportunità politica dei provvedimenti), attenendo ciò alla materia della cd. forma di governo (94).
Per quanto riguarda invece il potere di controllo sulla manifesta illegittimità sostanziale dei provvedimenti, in funzione di garanzia, una simile ipotesi oltre a risultare improponibile, in considerazione della forte caratterizzazione di parte e della posizione di non-terzietà del presidente della giunta regionale (95), sarebbe stata comunque non legittimamente perseguibile se l’intenzione fosse stata quella di affidare al presidente un ruolo di garante della costituzione e non di garante dello statuto regionale.
Quello che a noi interessa considerare qui è però se il presidente della giunta, in qualità di presidente della regione, possa o debba esercitare un controllo sulla legittimità formale della legge (e dunque una funzione notarile), pur in assenza di un espresso potere di rinvio, e rifiutare la promulgazione della legge formalmente irregolare o giuridicamente inesistente.
Se è vero infatti che la promulgazione è un atto dovuto, è anche vero che il presidente della giunta può essere rimosso con decreto motivato del presidente della repubblica quando abbia compiuto atti contrari alla costituzione o gravi violazioni di legge (secondo quanto previsto dall’art. 126.1). Certamente tutti gli elementi essenziali del procedimento di formazione degli statuti sono già direttamente indicati in costituzione (a differenza di quanto accade per le comuni leggi regionali) ma potrebbe mai un vizio formale dello statuto arrivare al punto di “incidere sui principi che connotano il ‘nucleo duro’dell’ordinamento costituzionale”? (96).
Si consideri qui un’ipotesi di scuola, che pur tuttavia prende spunto dalla esperienza concreta realizzatasi con la formazione dei nuovi statuti: se il presidente della giunta promulgasse lo statuto nonostante l’esito sfavorevole del referendum confermativo ovvero senza aver indetto il referendum regolarmente richiesto o senza che la richiesta potesse essere effettivamente presentata; ciò non lascerebbe trasparire “la pervicace e chiara volontà di superare i limiti posti dalla costituzione all’autonomia regionale”? (97) Un simile comportamento non sarebbe in grado di incidere sul principio democratico e sul principio della sovranità popolare della nostra repubblica?
A connotare la gravità di una siffatta violazione potrebbe contribuire d’altronde l’estrema difficoltà di trovare altri possibili rimedi contro i vizi formali degli statuti (e lo vedremo nel successivo paragrafo).
Occorre allora considerare con estrema serietà questa ipotesi perché – dopo che la corte costituzionale ha ritenuto di dover considerare preventivo il proprio giudizio – rischiano di sfuggire a qualunque controllo e sanzione i vizi del procedimento che seguano la pubblicazione notiziale e la eventuale decisione della corte e anche - qualora dovesse confermarsi la pur parziale insindacabilità degli interna corporis acta - buona parte di quelli relativi alla fase precedente. E’ auspicabile pertanto che il presidente della giunta regionale adempia al suo ruolo istituzionale di controllo notarile che certifichi il testo autentico della legge e che a tal fine sia pienamente responsabilizzato per garantire il rispetto della legalità costituzionale.
 
 
4.      I rimedi per i vizi formali del procedimento
 
Valutiamo adesso quali possono essere i rimedi per i vizi formali del procedimento che siano sfuggiti a questo primo filtro.
 
4.1.      I giudizi della corte costituzionale promossi con ricorso governativo
 
4.1.1.   Il giudizio di legittimità costituzionale ex art. 123
 
In conseguenza della sentenza della corte costituzionale (n. 304/2002), che ha definitivamente chiarito che l’eventuale giudizio di legittimità costituzionale può essere promosso dal governo in via preventiva rispetto alla promulgazione (entro trenta giorni dalla pubblicazione notiziale della deliberazione legislativa statutaria approvata dal consiglio), i soli vizi di legittimità che potrebbero essere sollevati nel ricorso governativo sono quelli che riguardano questa prima fase procedimentale: l’iniziativa e l’istruttoria, la fase deliberativa e la pubblicazione notiziale. In tutti questi casi le norme costituzionali di parametro per le questioni di legittimità formale hanno la necessità di essere integrate o da norme degli statuti o anche, in misura assai rilevante, da norme dei regolamenti interni dei consigli regionali. Si presenta qui pertanto il noto problema dell’insindacabilità o comunque della parziale sindacabilità degli interna corporis acta. La corte tuttavia – nella sua giurisprudenza – ha affermato la sua competenza quando si tratti di accertare l’osservanza delle norme costituzionali sul procedimento di formazione delle leggi (98). Il citato caso del Lazio (dove si contestavano le modalità del voto espresso dal consiglio regionale esclusivamente sulla base del proprio regolamento interno) sembra rientrare dunque tra le ipotesi di non sindacabilità; mentre quello dell’Umbria (dove si contestava la non conformità del testo approvato con doppia deliberazione, secondo quanto prescritto direttamente dalla costituzione) potrebbe rientrare tra le ipotesi di vizi sindacabili (99).
 
 
4.1.2.   Il giudizio di legittimità costituzionale ex art. 127
 
Di fronte all’evidenza dell’insuperabile difficoltà di garantire altrimenti la legittimità formale degli statuti già promulgati e pubblicati, per i possibili vizi delle fasi necessarie o eventuali del procedimento legislativo successive alla pubblicazione notiziale, il governo – com’è noto – ha impugnato gli statuti dell’Emilia-Romagna e dell’Umbria in via successiva (100).
La questione è già stata accennata. In entrambe queste regioni i rispettivi consigli hanno deliberato – in via consequenziale a due sentenze di accoglimento parziale delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dai relativi ricorsi governativi – la presa d’atto degli effetti prodotti da queste decisioni e hanno ritenuto di non dover riavviare il procedimento di approvazione dell’atto per una sua modifica.
Abbiamo già accennato in precedenza alla questione di merito (101). Dobbiamo qui chiederci però se un simile ricorso fosse ammissibile. In attesa della decisione della Consulta - proprio in occasione del Convegno di cui qui si pubblicani gli atti - avevamo ritenuto che non ci fossero ostacoli insormontabili. La legge statutaria rappresenta, infatti, una specie del genere “legge regionale”. La disposizione di cui all’art. 123.2 è certamente norma speciale rispetto a quella generale di cui all’art. 127.1 ma, se è vero – come ha ricostruito la corte costituzionale – che la pubblicazione di cui si parla nel primo caso è quella notiziale e nel secondo quella necessaria, la norma speciale è soltanto parzialmente derogatoria rispetto a quella generale che resta applicabile nei casi residui. Non è, infatti, pensabile che possano sfuggire al giudizio di legittimità costituzionale le successive fasi del procedimento di formazione degli statuti. La Consulta dunque avrebbe potuto – secondo noi – ritenere ammissibili i ricorsi per i soli vizi (formali) che non avessero potuto costituire oggetto dell’impugnativa ai sensi dell’art. 123.2.
Adesso sappiamo, invece, cos’è realmente accaduto, la Corte costituzionale con la sent. 28 dicembre 2005, n. 469, ha dichiarato inammissibili i ricorsi dello Stato in quanto proposti non già nell’ambito dello speciale procedimento di controllo preventivo previsto dall’art. 123 cost. ma nell’esercizio del potere governativo di impugnativa delle ordinarie leggi regionali, esperibile, ai sensi dell’art. 127 cost., soltanto a seguito della pubblicazione definitiva della legge. Hanno ritenuto i giudici della Consulta, infatti, che le distinte procedure di controllo, individuate dalle due diverse previsioni costituzionali, sono assolutamente tipiche di ciascuna fonte legislativa regionale e che l’impugnativa successiva delle leggi non è mai e in nessun caso estensibile alle fonti statutarie (102).
 
 
4.1.3.   Il conflitto di attribuzione intersoggettivo
 
La scelta operata dal governo dell’impugnativa successiva degli statuti di Umbria ed Emilia-Romagna si poneva in immediata alternativa a l’unica altra strada immaginabile per il contenzioso costituzionale: quella del conflitto di attribuzione avverso l’atto di promulgazione, nei cui confronti questo rimedio è da ritenersi senz’altro utilizzabile (103). Strada però più incerta sotto il profilo dell’interesse al ricorso. Anche nel caso del conflitto per menomazione – allorquando il ricorrente non rivendica la titolarità del potere esercitato – occorre dimostrare, infatti, la pur indiretta lesione del proprio ambito di attribuzioni costituzionali. Perché dunque risulti ammissibile un ricorso sollevato a tutela del rispetto dello speciale procedimento di approvazione dello statuto, allorquando il potere di impugnativa governativa ex art. 123.2 cost. sia già esaurito, occorrerebbe che la corte costituzionale – in maniera innovativa rispetto alla giurisprudenza pregressa – accetti di riconoscere allo stato anche in questo tipo di giudizio l’interesse di ricorrere a tutela dell’ordinamento generale della repubblica (104) per garantire il diritto oggettivo alla legittimità dell’atto e non un proprio diritto pubblico soggettivo, direttamente o indirettamente leso (105).
A fugare le incertezze di questa ipotesi è poi intervenuta la cit. sent. cost. n. 469 del 2005, la quale, in motivazione, ha ritenuto senz’altro ammissibile questa eventualità, in via residuale, per i vizi non rilevabili tramite il procedimento di cui all’art. 123.2 della Costituzione.
 
 
4.2.   Il giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale
 
Le tre diverse ipotesi che abbiamo formulato per un ricorso governativo si scontrano però con un limite fondamentale di questo tipo di impugnative: la non obbligatorietà dell’azione. Il governo “quando ritenga” può (e non deve) promuovere il ricorso (106). Ne consegue il rischio di una sua scarsa attenzione nei confronti dei profili di legittimità formale o, peggio, della disparità di trattamento tra regioni diverse (107). Cosa che può accadere per ragioni chiaramente politiche ma anche, più banalmente e insidiosamente, per problemi di natura funzionale degli uffici governativi preposti al controllo. Come rimediare a questo genere d’inconveniente?
La questione di legittimità costituzionale sollevata in via incidentale potrebbe costituire il rimedio proprio alla parzialità o alla disattenzione del governo (108). Il principale problema in questo caso non è tanto la questione della scarsa rilevanza che hanno in genere le norme statutarie in questo tipo di giudizio. Trattandosi in questi casi di vizi di forma – che potrebbero determinare la nullità-inesistenza dell’atto o la sua (pur sanabile) attuale inefficacia – non vi è dubbio che il loro eventuale accertamento determinerebbe un generalizzato vizio dei presupposti di un qualunque atto conseguente (ad es. di una successiva legge che preveda e disciplini una sanzione amministrativa). Il rimedio sarebbe dunque, almeno astrattamente, applicabile ed anche molto efficace, potendo funzionare come una specie di azione popolare nei confronti di questo genere di vizi (essendo molti i soggetti potenzialmente interessati all’osservanza delle leggi delle regioni). Il vero problema è però rappresentato, in questo caso, dal tempo eccessivamente lungo che potrebbe impiegare una questione del genere a giungere all’esame della corte costituzionale, quando le conseguenze di un eventuale giudizio d’illegittimità sarebbero difficilmente tollerabili. Da questo punto di vista la situazione forse potrebbe migliorare un po’ qualora fosse la corte stessa – come giudice a quo – a sollevare la questione dinnanzi a se medesima appena venga in questione un atto che sullo statuto affetto da vizio di forma derivi la sua (presunta) autorità. E in caso di vizi statutari paralleli, trattati in maniera discriminatoria dal governo, si potrebbe forse pensare anche all’uso dello strumento dell’illegittimità costituzionale consequenziale (è evidente tuttavia che alla luce dell’uso che la corte ha sempre fatto di questo istituto ciò rappresenterebbe un’evidente forzatura).
Qualora poi il vizio di forma dovesse presentarsi come un caso di nullità-inesistenza (per difetto di una volontà dell’atto complesso) o anche, secondo alcuni, come un vizio insanabile dell’atto che ne determini l’inefficacia giuridica (109), si dovrebbe correttamente ritenere inoltre – in tal senso la stessa difesa regionale nella questione risolta dalla sent. n. 378/2004 – che ogni giudice sarebbe direttamente abilitato a disapplicare lo statuto in ogni causa che comportasse l’applicazione dello stesso, senza la necessità di rimettere la questione alla corte costituzionale. Si tratta qui, tuttavia, di un sindacato diffuso che non esclude quello accentrato della corte costituzionale sulla legittimità della legge (110) e la Consulta, nella richiamata sentenza, pur dichiarando nella specie inammissibile l’atto d’intervento del consigliere di minoranza, non sembrerebbe negare la propria competenza a giudicare della legittimità della legge statutaria anche - e a maggior ragione - per questo tipo di vizi (111).
 
 
4.3.   Il ruolo (eventualmente) svolto dall’organo di garanzia statutaria
 
Per le sole successive modifiche degli statuti si deve considerare, infine, il ruolo che potrebbe essere svolto, laddove previsto (112), dall’organo di garanzia statutaria. Diverse regioni stabiliscono, infatti, che tale organo, oltre alla competenza ad esprimere pareri sulla conformità dei progetti di legge o di regolamento allo statuto, dirime i conflitti di attribuzione fra gli organi regionali (113).
Come abbiamo visto, il caso della regione Puglia (114) ha posto in particolare evidenza la possibilità di un concreto conflitto tra il potere di promulgazione del presidente della giunta regionale e il potere confermativo del corpo elettorale regionale. E’ chiaro allora che in un’ipotesi di questo genere, che si realizzi in uno di questi ordinamenti regionali, il comitato promotore della consultazione popolare (che è organo straordinario della regione) potrebbe attivare la competenza dell’organismo di garanzia statutaria in caso di contestazione circa la corretta attuazione della legge di disciplina del referendum confermativo e, più in generale, delle fonti regionali che regolano (in armonia con la costituzione) il procedimento di formazione della legislazione statutaria.
 
 
5.      La sentenza della Corte costituzionale 29 novembre 2005, n. 469
 
Abbiamo già accennato che la corte costituzionale con la sent. n. 469 del 2005 ha dichiarato inammissibili i ricorsi governativi sulle leggi statutarie di Umbria ed Emilia-Romagna, proposti in via successiva ai sensi dell’art. 127 cost. anziché nell’ambito dello speciale procedimento di controllo preventivo previsto dall’art. 123 cost. (115).
La soluzione interpretativa fatta propria dalla sentenza è senz’altro semplice e lineare (116) e cerca anche di farsi carico – in qualche modo – della concreta difficoltà di garantire la legittimità formale degli statuti per i vizi intervenuti successivamente alla pubblicazione notiziale degli stessi, a seguito dell’orientamento assunto dalla medesima corte di ritenere preventivo, e non successivo, il ricorso sulle leggi statutarie delle regioni ordinarie (corte cost., 3 luglio 2002, n. 304). Secondo le motivazioni di questa decisione, infatti, il controllo preventivo sulla legge statutaria è ritenuto “senz’altro reiterabile” tanto per i vizi di natura sostanziale, qualora il testo della deliberazione statutaria già sottoposto ad un primo scrutinio di legittimità costituzionale sia successivamente modificato (limitatamente alle nuove disposizioni, che non avrebbero potuto formare oggetto del precedente ricorso), quanto per quelli di natura formale, nel caso di eventuali violazioni del procedimento di adozione dello statuto successive al primo giudizio.
Nell’argomento utilizzato dalla corte non si può non notare, intanto, una certa disinvoltura nell’affermare, da una parte, la specialità del sistema di controllo sulla legge statutaria rispetto alle altre leggi regionali e, dall’altra, nel ridare vita, nell’ambito di questo sistema, alla discussa prassi della reiterazione dei controlli, formatasi, nel vigore del previgente testo dell’art. 127 cost., proprio con riferimento alle ordinarie leggi regionali (117). Il punto che costituisce l’aspetto più originale e rilevante - ma anche il più discutibile - di questa decisione è, però, quello in cui la corte precisa quale debba essere l’oggetto della nuova pubblicazione notiziale, nel caso in cui questa si renda necessaria in seguito a qualunque modificazione del testo già pubblicato al medesimo fine. In questa evenienza, infatti, l’oggetto della pubblicità-notizia non è più – come previsto dai rispettivi ordinamenti regionali per la prima pubblicazione endoprocedimentale – necessariamente la legge approvata dal consiglio regionale, ma, in senso più ampio, “l’atto da cui risulti il testo statutario che la regione intenda deliberato come definitivo”.
E’ certamente da apprezzare la capacità dimostrata dalla corte, anche in questo caso, di far fronte alle lacune dell’ordinamento con un’interpretazione della costituzione di natura logico-sistematica. Al di là di quanto potrebbe a prima impressione sembrare, tuttavia, la questione affrontata in questa circostanza non ha toccato aspetti meramente processuali (il rispetto o meno dei termini per il ricorso governativo) o concernenti, al più, la risoluzione di alcuni dubbi di legittimità formale in ordine al procedimento di adozione di alcuni statuti. Ciò che è entrato concretamente in gioco in quest’occasione ha riguardato, in primo luogo, una questione essenziale dello status della cittadinanza: il principio della certezza del diritto, da cui deriva la necessità della conoscenza pubblica dell’esatto tenore testuale degli atti normativi (118). Per di più, se è vero – come conveniamo – che, in linea di principio, l’ordinamento della Repubblica “non si limita a consentire la conoscenza dei propri precetti, ma predispone dei congegni teleologicamente rivolti a favorirla” (119), la corte – a nostro avviso – avrebbe dovuto tenere in adeguato conto il principio costituzionale in questione (120). La differenza delle soluzioni adottate da Emilia-Romagna e Umbria, per la “presa d’atto” delle precedenti sentenze con cui la medesima corte aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni delle rispettive delibere statutarie, avrebbe potuto consentire alla Consulta, infatti, di compiere un’opportuna opera di pedagogia istituzionale, richiamando – al di là del tipo di decisione da assumere – la necessità di forme di pubblicazione chiaramente e inequivocabilmente orientate quantomeno a consentire la diretta e non mediata conoscibilità dell’esatto testo delle leggi da parte dei cittadini, soprattutto in un caso – come questo – in cui la pubblicità notiziale è volta a dar via ad un breve termine per l’esercizio di un fondamentale diritto politico di cittadinanza attiva (la richiesta del referendum statutario).
Entriamo nel dettaglio. Mentre in Emilia-Romagna, a seguito dell’accoglimento parziale dei rilievi governativi, nel Bollettino Ufficiale della Regione (d’ora in avanti BUR) è stata pubblicata la deliberazione del consiglio regionale di “presa d’atto” della sentenza della corte, recante in allegato la ripubblicazione del testo della delibera statutaria, privato della disposizione dichiarata costituzionalmente illegittima, in Umbria, invece, nel BUR sono stati pubblicati dapprima l’avviso, posto in calce alla sentenza di parziale accoglimento della corte costituzionale, della nuova decorrenza del termine per la richiesta del referendum statutario e, successivamente, la deliberazione del consiglio regionale con la quale – constatato in premessa che lo statuto, nel testo privato dalle disposizioni dichiarate illegittime dalla corte, non necessitava di nessuna modifica consequenziale – s’invitava il presidente della giunta a promulgare lo stesso a conclusione del suo iter di formazione. Se dunque, nel primo caso, si può senz’altro ritenere che vi sia stata la pubblicazione dell’atto da cui risulta il testo definitivo dello statuto (121), ciò non pare valere con altrettanta sicurezza nella seconda evenienza, laddove l’intenzione del consiglio regionale è chiara, ma manca la nuova pubblicazione, ai fini della pubblica conoscibilità, del testo statutario definitivo. 
E’ vero che – come sembra fare automaticamente la corte costituzionale – la conoscenza del nuovo testo si può ricavare privando il vecchio testo, già pubblicato in via notiziale, delle disposizioni dichiarate illegittime dalla corte medesima, ma la delibera del consiglio regionale non opera alcun preciso rinvio né al BUR da cui si può ricavare il primo né al BUR da cui si possono ricavare le seconde. Ammesso e non concesso che sia legittima una pubblicazione indiretta (122), non si può nemmeno dire, dunque, che il testo definitivo dello statuto si possa ricavare per relationem dall’atto da cui risulti l’intenzione del consiglio di ritenere definitiva la deliberazione statutaria, così come modificata dalla corte costituzionale.
Non ci pare che concedere meno di tanto alle esigenze di “favorire” la pubblica conoscenza del testo di atti normativi fondamentali come gli statuti, sottoponibili – similmente alle leggi costituzionali – a referendum popolare confermativo, sia ragionevole e ammissibile. La certezza del diritto, infatti, non si limita ad esprimere semplicemente un principio giuridico, ma rappresenta una condizione necessaria che permette l’esercizio dei diritti (123), che in questo caso – peraltro – si esercitano attraverso il principale istituto della democrazia diretta.
D’altronde che la questione della conoscibilità dello statuto da sottoporre ad eventuale referendum confermativo sia una questione niente affatto astratta e dottrinale è testimoniato dall’evidenza che tra le ragioni dell’impugnativa dello statuto umbro è stato concretamente richiamato, dal governo ricorrente, il principio di chiarezza e univocità del quesito referendario che escluderebbe la possibilità di ricavare il testo di un corpus normativo organico come questo “da interventi ortopedici o manipolatori del tessuto normativo, risultanti dalla combinazione di fonti diverse, suscettibili di compromettere la chiara comprensione dell’insieme di norme (e quindi del quesito) soggetto alla valutazione degli elettori” (124). La corte sarebbe dunque stata ben in grado di avvertire la centralità della questione più generale della certezza della volontà normativa del consiglio regionale, da considerare senz’altro, per la sua fondamentale rilevanza, anche per una decisione di natura processuale come quella in considerazione.
Com’è noto, le pubblicazioni normative debbono, di regola, far conoscere integralmente il proprio oggetto in maniera diretta (cd. pubblicazione propria) e solo nei casi previsti dalla legge si possono avere forme di pubblicità per estratto o per annuncio nell’ambito di sistemi di divulgazione complessi che possono realizzarsi mediante pubblicazioni plurime (cd. pubblicazione impropria) (125). Né si può ritenere che nello speciale caso di questa pubblicazione cd. Notiziale (126) la funzione di garantire la certezza del tenore letterale dell’atto-fonte da portare a conoscenza dei cittadini sia da ritenersi minore o inessenziale (127). Si può anzi ritenere che proprio in ragione della non sopprimibilità o riducibilità del termine per la richiesta del referendum statutario (128), al contrario di quello disposto per la vacatio legis, siffatta pubblicazione non è diretta alla semplice conoscibilità dell’atto, ma è volta ad assicurare le condizioni necessarie ad agevolarne l’effettiva cognizione (129).
La regione Umbria, tuttavia, – come abbiamo visto – non ha pubblicato il nuovo testo risultante dalle modifiche apportate alla delibera statutaria né sul BUR del 29 dicembre contenente la presa d’atto del consiglio regionale (com’è accaduto in Emilia-Romagna) né sul BUR del 15 dicembre in cui è stata pubblicata la sentenza di accoglimento della corte costituzionale con l’avviso dell’effetto da essa prodotto. E’ certamente vero che l’obbligo di ripubblicazione ufficiale (130), sancito per l’ordinamento regionale, allo stesso modo di quanto previsto per quello statale, sia per il caso di modificazioni letterali al testo di precedenti disposizioni sia per la riproduzione delle precedenti disposizioni cui gli atti pubblicati fanno rinvio, non si estende anche alle sentenze di accoglimento della corte costituzionale (131). Nel caso di specie, tuttavia, la declaratoria d’illegittimità costituzionale dell’art. 66 del testo approvato dal consiglio regionale il 29 luglio 2004 è senz’altro un “provvedimento modificativo” che determina la soppressione di alcune disposizioni del testo statutario già individuato ai fini della richiesta referendaria (132) e la necessaria mutazione dell’oggetto del referendum (133), il quale – come ha avuto modo di chiarire la stessa corte – si riferisce sempre alla complessiva deliberazione statutaria e non a singole sue parti (134). In virtù del principio d’identità del testo pubblicato ai fini notiziali con quello da sottoporre al referendum confermativo (135), sarebbe stato necessario, dunque, ripubblicare integralmente lo statuto, come risultante a seguito dell’intervenuta sentenza della corte costituzionale, e far decorrere da questo momento il dies a quo per la nuova richiesta referendaria (136).
Ammettiamo, tuttavia, seguendo la motivazione della sentenza, che si possa ritenere effettivamente verificata la pubblicazione “dell’atto da cui risulti il testo statutario che la regione intenda deliberato come definitivo”, così come concretamente avvenuto in Umbria. Abbiamo già visto che la corte ritiene possibile che l’oggetto di un’eventuale nuova pubblicazione notiziale non sia più necessariamente una nuova deliberazione legislativa statutaria approvata dal consiglio regionale (137). Due sono però i requisiti che deve avere “l’atto” da pubblicare, uno oggettivo (il testo dello statuto) e l’altro soggettivo (l’intenzione del consiglio regionale di ritenerlo definitivo). La corte sembra ammettere inoltre (almeno a prima impressione) che, in questa ulteriore fase, l’atto non sia uno solo (138), ma che – come nel caso della regione Umbria – da un primo se ne ricavi il dato oggettivo (139) e da un secondo il requisito soggettivo (140). La corte consente, infine, che il testo dello statuto non debba essere integralmente ripubblicato con le modificazioni che abbia subìto rispetto alla prima pubblicazione notiziale, ma che esso sia ricostruibile in via inferenziale grazie alla “privazione” di alcune determinate disposizioni dalla precedente versione testuale ricavabile aliunde (141) e senza un espresso rinvio.
Già abbiamo premesso le nostre personali perplessità su un sistema di pubblicazione così complesso e farraginoso, che sicuramente impone un onere d’informazione in capo al cittadino di molto superiore al dovere di portare a conoscenza i propri atti, con completezza, semplicità e chiarezza, da parte dei pubblici poteri. Vorremmo qui rimarcare, tuttavia, le ragioni per le quali riteniamo che la ricostruzione offerta dalla corte non regga ad un vaglio critico nemmeno a seguirne il ragionamento. Consentire, infatti, una pubblicazione di più atti da cui complessivamente ricavare l’oggetto e la volontà definitivi della deliberazione statutaria può rendere del tutto incerta – come nel caso della regione Umbria – la data della seconda pubblicazione notiziale (ed è evidente che una pubblicazione incerta è del tutto inefficace). Di un riferimento temporale preciso abbiamo dunque bisogno e occorre individuarlo.
Non è facilmente ricavabile, nella fattispecie, quale debba considerarsi la data in questione secondo la consulta: quella del 15 o quella del 29 dicembre 2004 (142). Non è possibile sapere, infatti - perché sul punto la motivazione è lacunosa -, se deve prendersi in considerazione il giorno, cronologicamente successivo, della pubblicazione della “presa d’atto” del consiglio regionale o deve ritenersi prevalente quello di pubblicazione della richiamata sentenza della corte costituzionale (143). A seguire la motivazione di questa decisione, per quello che dice, il solo momento dal quale sembra potersi ritenere che “risulti il testo statutario che la regione intenda deliberato come definitivo” è la data della pubblicazione della presa d’atto del consiglio regionale (29 dicembre), che viene ad integrare l’elemento oggettivo già risultante a seguito della comunicazione pubblicata sul BUR del 15 dicembre (è non è per caso che le due date sono entrambe considerate e richiamate nella motivazione). Come abbiamo visto, la regione ha chiaramente manifestato l’intenzione, invece, di far decorrere direttamente da quest’ultima, anteriore, data il nuovo dies a quo per l’eventuale richiesta referendaria (che come ha ritenuto la corte è anche lo stesso per un nuovo eventuale ricorso di legittimità costituzionale). In considerazione del fatto, inconfutabile, che ai sensi della legge (144) il termine in questione incomincia a decorrere dalla pubblicazione notiziale, è necessariamente questa, allora, la data che va presa in considerazione. Le prime impressioni che si ricavano dalla sentenza portano, dunque, fuori strada e occorre abbandonarle.
In via di ipotesi dobbiamo verificare, tuttavia, se da quanto pubblicato il 15 dicembre siano già, in qualche modo, ricavabili entrambi i requisiti richiesti dalla medesima corte come oggetto della seconda pubblicità notiziale. In tal caso gli argomenti utilizzati dalla sentenza funzionerebbero ancora perfettamente in quanto la successiva pubblicazione della “presa d’atto” del consiglio regionale non costituirebbe più un’integrazione necessaria di detta comunicazione, ma interverrebbe solo a ribadire e rendere esplicita, in maniera persino ridondante se non addirittura ultronea, l’intenzione definitiva della regione sul testo del proprio statuto, così come implicitamente ricavabile dalla dichiarata intenzione di ritenere questa la data della pubblicità-notizia del nuovo testo statutario.
A questa ricostruzione ipotetica osta il fatto che l’eventuale intenzione implicita ricavabile dall’avviso posto in calce a detta pubblicazione è riferibile al presidente della giunta e non al consiglio regionale, organo competente ad esprimere la volontà definitiva della regione in ordine al testo del proprio statuto (145). Due sono le vie che si possono tentare per una controdeduzione. La prima è fondata sulla possibilità di ammettere che il presidente della giunta regionale, in siffatte circostanze, abbia un autonomo potere di valutazione del seguito delle decisioni della corte e, dunque, dell’individuazione del testo statutario definitivo da pubblicare e da sottoporre ad eventuale pubblicazione e promulgazione parziale (rispetto all’originario testo deliberato dal consiglio regionale), in assenza di un’autorizzazione, formalmente espressa, del consiglio medesimo. Ciò, però, andrebbe persino al di là della pur anomala e assai criticata prassi della promulgazione parziale delle leggi siciliane, laddove il presidente della regione “non viene investito di un arbitrario potere di determinare autonomamente la definitiva non operatività di singole parti del testo approvato dall’Assemblea regionale, in contrasto con la ripartizione delle funzioni tra gli organi direttivi della Regione stabilita da norme di rango costituzionale” (146), ma è vincolato mediante atti d’indirizzo espliciti (mozioni, ordini del giorno) (147), se non anche da nuove delibere legislative (148), che consentono di riferire all’organo legislativo la volontà sostanziale circa l’espunzione di determinate disposizioni, originariamente deliberate, dal testo legislativo da promulgare e pubblicare in via definitiva (149). Il fatto che la deliberazione del consiglio regionale 10 dicembre 2004, n. 430 (in BUR 29 dicembre 2004) sia stata preventiva rispetto all’avviso in calce alla pubblicazione della sent. n. 378 del 29 novembre 2004 (in BUR 15 dicembre 2004) non sembrerebbe potersi considerare, infatti, come la manifestazione già efficace di una formale autorizzazione consiliare alla pubblicazione e promulgazione parziale del testo originariamente deliberato dal consiglio medesimo, in quanto la disciplina della pubblicazione degli atti regionali impone che le deliberazioni consiliari a rilevanza esterna – come senz’altro quella qui in considerazione, che individua un testo statutario definitivo non conforme a quello già pubblicato e, allo stesso tempo, il nuovo necessario oggetto dell’eventuale referendum – siano soggette a pubblicazione nel BUR (150). Ciò – lo abbiamo già visto e rimarcato – è, correttamente, effettivamente avvenuto, ma solo successivamente all’avviso della nuova decorrenza dei termini previsti dall’art. 123.3 cost..
A questo punto, vista l’impercorribilità della prima strada, si potrebbe tentare allora una seconda via per una controargomentazione. Per ammettere come legittima e proponibile la pubblicazione parziale dello statuto, in assenza di una formale valutazione dell’organo legislativo circa gli eventuali provvedimenti consequenziali, si potrebbe ritenere che la mutilazione del testo originalmente approvato dal consiglio regionale deriva automaticamente dall’effetto di annullamento parziale prodotto dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale – che, a differenza del caso siciliano, priva di qualunque discrezionalità la pubblicazione parziale – e, contemporaneamente, dal dovere di promulgazione a carico del presidente della giunta regionale, qualora il consiglio non esprima una nuova volontà con un’ulteriore delibera legislativa (151).
Nemmeno una siffatta ipotesi interpretativa regge però a un attento vaglio critico, né si può ritenere che sia stata fatta propria dalla decisione che si commenta. Qualora, infatti, si ritenga quantomeno possibile una nuova deliberazione del consiglio regionale a seguito di una sentenza di accoglimento parziale (152), non si vede come ammettere che la pubblicità notiziale del testo statutario definitivo possa darsi prima di un tempo necessario affinché al consiglio regionale sia data la possibilità di valutare se farsi carico o meno di una nuova deliberazione (153). Inoltre, il dovere di promulgazione del presidente scatta solo a seguito della scadenza dei termini di cui all’art. 123 cost. ovvero del risultato favorevole del referendum confermativo (154).
Per ritenere, allora, che il presidente abbia il dovere di pubblicare nuovamente in via notiziale il testo statutario, così come mutilato dalla sentenza di annullamento parziale, si dovrebbe partire, intanto, dall’assunto che la decisione della corte, per gli effetti automatici che produce, debba essere considerata alla medesima stregua di una sopravvenuta nuova deliberazione legislativa (155). Da qui poi – facendo concreta applicazione della distinzione tra gli effetti della pubblicità legale dei provvedimenti della corte costituzionale, diretta a rendere conoscibili alla generalità dei cittadini le decisioni della corte, e quelli della comunicazione di detti provvedimenti ai soggetti specificamente interessati alla prosecuzione del procedimento principale, che è la sola che determina per costoro la conoscenza legale della pronunzia (156) – si potrebbe ritenere che, nel caso di specie, si sarebbe dovuto provvedere, in primo luogo, alla pubblicazione della sentenza a seguito della quale tali effetti si producono erga omnes (157) e, solo successivamente, alla nuova pubblicazione del testo modificato della legge statutaria. Il consiglio regionale dal suo canto, invece, sarebbe stato messo in grado di valutare la necessità o meno di un suo nuovo intervento già a seguito del ricevimento della comunicazione della sentenza (prima ancora della pubblicazione della stessa) (158). Nessuna di queste due condizioni è stata però rispettata nel caso della regione Umbria: non è stato ripubblicato il testo aggiornato della deliberazione legislativa di approvazione dello statuto e la pubblicazione dell’avviso della parziale dichiarazione d’illegittimità costituzionale è avvenuta già il 15 dicembre 2004, direttamente in calce alla pubblicazione della sentenza.
Come si vede non è possibile combinare, in alcun modo, la data della nuova pubblicazione notiziale, secondo la regione (che è un dato di fatto assolutamente oggettivo), con i requisiti dell’atto da cui risulti il testo statutario definitivo, secondo l’interpretazione della corte costituzionale. Nell’economia complessiva di una decisione di natura processuale, come questa, la scarsa attenzione prestata all’individuazione del momento della pubblicazione e del soggetto cui spetti manifestare in via definitiva l’intenzione della regione sulle eventuali attività consequenziali (159) si può certamente far risalire al fatto che – secondo quanto precisato dalla corte medesima – il governo ha proposto ricorso nell’esercizio del generale potere d’impugnazione successiva delle leggi regionali di cui all’art. 127.1 cost. anziché nell’ambito dello speciale procedimento di controllo preventivo di cui all’art. 123.2 cost.. Se, tuttavia, le motivazioni rese sono senz’altro sufficienti per la declaratoria d’inammissibilità (ed anzi a tal fine potrebbero essere considerate persino eccessive) (160), sarebbe stato decisamente più prudente che la decisione non si sbilanciasse a dichiarare, in maniera tanto ellittica e stringata, che la seconda pubblicazione notiziale si è senz’altro “verificata” anche nella regione Umbria (161). Come abbiamo cercato di dimostrare, ciò è, infatti, quantomeno dubbio, mentre è certo che la mancata o, comunque, inefficace pubblicazione endoprocedimentale avrebbe determinato la lesione – quantomeno in linea di principio – del diritto alla certa individuazione del testo da portare a conoscenza degli elettori come oggetto unitario e inscindibile della eventuale richiesta del referendum confermativo e, di conseguenza, avrebbe prodotto un vizio del procedimento che non ne avrebbe consentito la promulgazione e la successiva pubblicazione legale.
A conclusione di queste osservazioni riteniamo di formulare l’auspicio, pertanto, che una corte costituzionale che in questi ultimi anni sta diventando, di fatto, sempre più un giudice dei conflitti non smetta mai di operare, secondo la propria più vera natura, sempre e in primo luogo, come giudice dei diritti.

 

 
 
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NOTE
 
(1)  La l.r. Calabria, 20 aprile 2005, n. 11, integrazione della legge regionale 19 ottobre 2004, n. 25, recante: “Statuto della Regione Calabria”, ha inserito il comma 5-bis all’art. 59 dello statuto (norme transitorie e finali). Con tale modifica si consente di ampliare il numero dei membri del consiglio regionale secondo quando previso dalla vecchia legislazione statale in materia di elezioni regionali per l'applicazione del premio di maggioranza (legge 23 febbraio 1995, n. 43, cd. Tatarella). La Calabria, infatti, ha solo parzialmente modificato e non integralmente sostituito la previgente legisazione dello stato.
(2) Il consiglio regionale delle Marche, con deliberazione legislativa statutaria approvata in seconda votazione il 2 ottobre 2007 (pubblicata in BUR 18 ottobre 2007, n. 91), ha apportato alcune modifiche al nuovo statuto. Con esse il Consiglio regionale aggiunge alla vecchia denominazione quella nuova di Assemblea legislativa
(3)  La l.r. st. 5 ottobre 2007, n. 1 (pubblicata nel BUR 17 ottobre 2007, n. 16), ha recato alcune modifiche allo statuto della regione Liguria (l.r. st. 3 maggio 2005, n. 1). Tra queste, di maggior rilievo appare senz'altro quella che esclude la materia dello status dei consiglieri regionali dall'iniziativa legislativa popolare e dai referendum regionale. L'organo legislativo assume, inoltre, la nuova (doppia) denominazione di "Consiglio regionale - Assemblea legislativa".
(4)  La regione Campania aveva approvato una deliberazione statutaria in prima lettura il 18 settembre 2004 e le regioni Basilicata, Veneto e Molise avevano deliberato dei testi in commissione, rispettivamente, il 22 dicembre 2003, il 7 agosto 2004 e il 28 settembre 2005.
(5)  Sulla possibilità di riesaminare con una procedura d’urgenza i progetti di statuto approvati in prima deliberazione, e decaduti per fine legislatura, in analogia a quanto prevedono i regolamenti parlamentari per i progetti di legge statale approvati da un solo ramo del parlamento (art. 107 CD e art. 82 SR) si vedano le osservazioni di A. Lucarelli, La prima deliberazione statutaria: tra ineffettività giuridica ed effettività politica, in www.federalismi.it, 2005, n. 7
(6)  Sulla possibile derogabilità dell’art. 122.5, II parte, v. M. Olivetti, Nuovi statuti e forma di governo delle regioni, Bologna, 2002, p. 157 ss. e, più in generale sul rapporto tra la competenza statutaria in materia di “forma di governo” e le disposizioni costituzionali relative agli organi regionali ed ai rapporti fra di essi, v. inoltre p. 135 ss.
(7) Si tratta precisamente della deliberazione legislativa statutaria del consiglio regionale della regione Marche adottata, in seconda deliberazione, il 25 settembre 2001, recante “Consiglio regionale – Parlamento delle Marche”.
(8) V. bozza di statuto della regione Marche del 6 febbraio 2003, art. 28, in I nuovi Statuti regionali: i testi in elaborazione, senato della repubblica, servizio studi, dossier n. 337, marzo 2003.
(9) Per la ricostruzione e la critica della quale v. F. Drago, Possono le regioni modificare il procedimento di formazione delle norme statutarie?, in www.federalismi.it, 2003, n. 4.
(10) Sui limiti dell’autonomia statutaria si vedano in particolare le sentenze n. 304 del 2002, n. 196 del 2003 e n. 2 del 2004. Che questi limiti, tuttavia, possano derivare solo da norme chiaramente deducibili dalla costituzione è messo in particolare evidenza dalla sentenza n. 313 del 2003, la quale riconosce senza esitazioni che spetta alle regioni colmare i vuoti di normazione della disciplina costituzionale nell’esercizio della propria potestà statutaria.
(11)  Abruzzo, art. 87.4; Calabria, art. 58.3; Emilia-Romagna, art. 73.6; Lazio, art. 76.2; Piemonte, art. 101.2; Toscana, art. 79.3; Umbria, art. 84.5.
(12) Cfr. M. Olivetti, op. cit., p. 84.
(13) In precedenza, prima della legge costituzionale n. 1 del 1999, gli statuti non formavano oggetto di promulgazione regionale (sulla dubbia legittimità delle disposizioni dei vecchi statuti che prevedevano la promulgazione regionale degli atti di revisione degli statuti v. A. D’Atena, Statuti regionali ordinari, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1993, XXX, p. 1) e, prima della legge costituzionale n. 3 del 2001, la promulgazione delle leggi regionali era disciplinata direttamente dalla costituzione (art. 127.2 v.t.).
(14)  Un espresso affidamento alla legge regionale della disciplina del referendum sulle leggi statutarie o di governo delle regioni a statuto speciale è stato invece fatto dalla legge costituzionale n. 2 del 2001.
(15)  A. Ruggeri, La riforma costituzionale del Titolo V e i problemi della sua attuazione, con specifico riguardo alle dinamiche della normazione ed al piano dei controlli, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, p. 49 (anche in Quad. regionali, 2001, 565 ss.).
(16) La legittimità di leggi statutarie stralcio è stata ammessa dalla sent. della corte cost. n. 304 del 2002.
(17) Calabria, art. 59.2; Emilia-Romagna, art. 22.1; Lazio, art. 76.3; Marche, art. 57.1; Piemonte, art. 101.4; Puglia, art. 17.3; Umbria, art. 84.4.
(18) I consigli delle regioni Calabria, Liguria e Umbria – successivamente all’entrata in vigore del nuovo statuto – hanno adottato i nuovi regolamenti interni (approvati e pubblicati, rispettivamente, con d.c.r. 27 maggio 2005 in BUR 1 giugno 2005, con d.c.r. 9 giugno 2006 in BUR 21 giugno 2006 e con d.c.r. 8 maggio 2007 in BUR 23 maggio 2007). I vecchi regolamenti sono stati, invece, solo parzialmente modificati o integrati nelle altre regioni, ad eccezione del Molise.
(19)  V. infra 3.2. quanto concretamente accaduto in Umbria. Il solo nuovo regolamento del consiglio regionale della Liguria, disponendo per il futuro, ha dettato previsioni in riguardo (artt. 109 – 110).
(20)  V. infra 4.1.1.
(21)  Sulle incongruenze della sequenza formativa degli statuti e sulle diverse possibili soluzioni per risolvere la questione dell’interferenza tra i due procedimenti v. A. D’Atena, La nuova autonomia statutaria delle regioni, in Rass. parlam., 2000, p. 610 ss. (ora in L’Italia verso il federalismo. Taccuini di viaggio, Milano, 2001).
(22) Sul carattere meramente interpretativo di questa legge v. già – ma assai criticamente sulla legittimità di una simile soluzione – N. Zanon, Referendum e controllo di costituzionalità sugli Statuti regionali: chi decide qual è la corretta lettura dell’art. 123 Cost.? (Note minime su una legge regionale che interpreta la costituzione), in le Regioni, 2000, p. 985 ss.
(23) Sulla non illegittimità delle enunciazioni materialmente inserite in un atto-fonte regionale ma a cui non può essere riconosciuta alcuna efficacia giuridica v. adesso le sentt. della corte cost. nn. 372, 378 e 379 del 2004. Secondo la corte, infatti, siffatte proposizioni, anche qualora incidano su materie eccedenti la sfera di attribuzione regionale, risultano comunque prive di idoneità lesiva.
(24) Liguria, l.r. 12 novembre 2001, n. 38; Piemonte, l.r. 19 novembre 2001, n. 32; Toscana, l.r. 14 aprile 2003, n. 21; Lazio, l.r. 1 dicembre 2003, n. 38; Lombardia, l.r. 28 ottobre 2004, n. 26.
(25) V. da ultimo corte cost., sent. n. 76 del 2001.
(26)  V. l.r. Puglia 20 dicembre 1973, n. 27 e succ. mod..
(27) Legge 25 maggio 1970, n. 352, norme sui referendum previsti dalla costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo.
(28) Disposizioni analoghe a quella prevista dall’art. 5 della legge 352 del 1970 si ritrovano in tutte le leggi delle regioni che hanno approvato una specifica disciplina regionale del nuovo istituto referendario (v. l.r. Emilia-Romagna, 25 ottobre 2000, n. 29, art. 10; l.r. Calabria, 10 dicembre 2001, n. 35, art. 3; l.r. Marche, 23 dicembre 2002, n. 28, art. 3; l.r. Toscana, 17 gennaio 2003, n. 6, art. 3; l.r. Veneto, 7 novembre 2003, n. 28, art. 3; l.r. Abruzzo, 23 gennaio 2004, n. 5, art. 3; lr. Umbria, 28 luglio 2004, n. 16, art. 4; l.r. Lazio, 3 agosto 2004, n. 8, art. 3; l.r. Piemonte, 13 ottobre 2004, n. 22, art. 3; l.r. Liguria, 24 dicembre 2004, n. 12, art. 2; l.r. Molise 24 ottobre 2005, n. 36, art. 3; l.r. Campania, 9 novembre 2005, n. 19, art. 2).
(29) Lo statuto della regione Puglia, pubblicato in via notiziale sul BUR n. 17 del 11 febbraio 2004 (senza l’avvertimento che entro tre mesi 1/50 degli elettori della regione o 1/5 dei componenti del cons. reg. potessero richiedere il referendum popolare), è stato adottato con la seguente formula di promulgazione: “Il Consiglio regionale ha approvato; Il presidente della Giunta regionale promulga la seguente legge” (l.r. 12 maggio 2004, n. 7, pubblicata nel BUR n. 57 del 12 maggio 2004).
(30) Il governo con i ricorsi del 24 maggio e 1° giugno 2005 ha impugnato gli statuti della regione Umbria e della regione Emilia-Romagna per violazione del procedimento formativo dello statuto regionale ai sensi dell’art. 123 della costituzione. Sulla sent. della corte cost. 29 novembre 2005, n. 469 v. infra par. 5.
(31) Com’è noto però secondo la più autorevole dottrina si può considerare a riguardo l’esistenza di una vera e propria riserva costituzionale implicita (v. T. Martines, Il Consiglio regionale (1981), in Opere, III, Milano, 2000, pp. 674-675).
(32)  Attribuendolo a ciascun consigliere regionale e alla giunta e rimettendo al regolamento del consiglio di disciplinare le procedure di consultazione del CAL e degli enti e delle organizzazioni rappresentative della società (toscana) sulle proposte di modifica dello statuto. Disponendo, inoltre, l’inammissibilità delle proposte di abrogazione totale dello statuto, senza sostituzione (art. 79).
(33)  Nello stesso senso v. anche la deliberazione legislativa statutaria approvata in prima lettura in Campania nella scorsa legislatura (art. 56.6).
(34) La stessa limitazione del potere d’iniziativa legislativa non è, almeno esplicitamente, disposta per il caso dell’eventuale reiezione popolare espressa mediante il referendum.
(35) Per una rassegna dettagliata degli atti istitutivi di dette commissioni v. adesso I. Carlotto, Il procedimento di formazione degli Statuti delle Regioni ordinarie, Padova, 2007, 14 ss., cui si rinvia.
(36) In tutte le regioni in cui si è conclusa la precedente legislatura senza la definitiva approvazione consiliare delle rispettive deliberazioni legislative statutarie (ad eccezione della sola Basilicata) si sono nuovamente istituite le predette commissioni speciali (Abruzzo, Campania, Lombardia e Molise) o ordinarie (Veneto).
(37) Nei consigli delle regioni Abruzzo, Calabria, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte e Veneto.
(38) Nei consigli delle regioni Basilicata, Campania, Puglia, Toscana e Umbria.
(39) Nei consigli delle regioni Emilia-Romagna e Molise.
(40) Così in Calabria, Campania, Lombardia, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Toscana e Umbria.
(41)  Così in Abruzzo, Calabria, Campania, Lombardia, Molise, Puglia, Umbria e Veneto.
(42)  Per una pronta critica a questa soluzione “suggestiva” v. G.M. Salerno, Sulla proposta di istituire cd. assemblee “costituenti” regionali (15 aprile 2002), sul sito dell’AIC (www.associazionedeicostituzionalisti.it).
(43)  La l.r. FVG 2 aprile 2004, n. 12 ha istituito un’assemblea rappresentativa della comunità regionale, così denominata, con il compito di esaminare, discutere e proporre al consiglio regionale un documento finale in ordine ai contenuti della nuova carta statutaria, secondo il modello della “Convenzione europea”. L’A. cit. alla nt. precedente esclude però, in ogni caso, la legittimità dell’istituzione, con semplice legge regionale ordinaria, di organismi assembleari esterni ai consigli regionali “dotati di poteri incidenti, anche se solo di fatto, sul procedimento di redazione degli statuti” (ibidem). Similmente al modello friulano v. adesso anche Sardegna (l.r. 23 maggio 2006, n. 7) e Val d’Aosta (l.r. 29 dicembre 2006, n. 35).
(44) V. in tal senso per “testo” il Vocabolario della lingua italiana Treccani, IV, Roma, 1994, ad vocem, n. 3.1.a: “Il contenuto di uno scritto o d’uno stampato, ossia l’insieme delle parole che lo compongono, considerate non solo nel loro significato ma anche nella forma precisa con cui si leggono nel manoscritto o nell’edizione a cui ci si riferisce”.
(45)  V. supra 2.1.5.
(46) Approvato con l.r. 16 aprile 1998, n. 14, art. 53.
(47) V. art. 99 reg. CD e art. 123 reg. SR.
(48) V. sul punto G. Severini, Tormentate vicende della deliberazione statutaria umbra del 2004, in www.federalismi.it, 2005, n. 9, pp. 2-4 e p. 6.
(49) Sulla questione v. E. Rossi, L’approvazione dello statuto del Lazio ed il “controllo” del Governo, nel forum di Quaderni costituzionali (www.forumcostituzionale.it), nonché gli interventi di S. Ceccanti - E. Rossi e A. Chiappetti, in www.federalismi.it, 2004, n. 22, Sulla procedura di approvazione dello statuto della regione Lazio.
(50) V. in tal senso A. Iurleo, Ulteriori riflessioni in merito alla procedura di approvazione dello statuto della Regione Lazio e sull’esame svolto dal Governo, in www.federalismi.it , 2004, n. 23.
(51)  Cfr. G. Severini, op. loc. cit.
(52) Negli statuti di alcune regioni (Calabria, 59.6; Liguria, 76.3; Marche, 57.2; Piemonte, 102) si prevede espressamente la cd. pubblicazione a fini notiziali, in costituzione solo presupposta. E’ da segnalare però l’errata formulazione delle disposizioni delle regioni Calabria e Marche che si riferiscono alla pubblicazione del “presente statuto” (che in quanto tale è da intendersi già promulgato e definitivamente pubblicato) e non, come del tutto ovvio, a quella delle successive leggi di modificazione dello stesso. Occorre qui pertanto un’interpretazione correttiva.
(53) Secondo le quali il testo della legge statutaria (solo le leggi dell’Abruzzo, della Liguria e della Toscana parlano più correttamente della deliberazione consiliare di adozione dello statuto ovvero di modifica dello stesso) è pubblicato sul BUR con l’indicazione della data della seconda approvazione e con l’avvertenza che, entro tre mesi dalla data di pubblicazione, almeno 1/50 degli elettori della regione o 1/5 dei componenti del consiglio regionale possono fare richiesta di procedere al referendum popolare confermativo. Solo in alcune regioni è prescritto che debba essere specificato il numero degli elettori, calcolato sulla base delle liste elettorali per l’elezione del consiglio regionale, e dei consiglieri regionali che possono richiedere il referendum (Abruzzo, Umbria e Toscana).
(54)  V. Tabella allegata sullo stato di avanzamento dei procedimenti di approvazione dei nuovi statuti.
(55) Nonostante la nuova deliberazione la regione ha comunque deciso di costituirsi in giudizio innanzi alla corte cost. (ric. n. 106/2004). La successiva sent. 20 gennaio 2006, n. 12, in parziale accoglimento dei rilievi del governo, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 45.3, 46.2, 47.2 e 86 della delibera statutaria approvata in seconda deliberazione il 21 settembre 2004.
(56) V. Tabella allegata.
(57) Dall’ulteriore disposizione costituzionale secondo la quale “lo statuto sottoposto a referendum non è promulgato se non è approvato dalla maggioranza dei voti validi” si ricava che la pubblicazione di cui si parla è antecedente alla promulgazione (cd. pubblicazione notiziale) e che non è richiesto un quorum di partecipazione per la validità della consultazione popolare.
(58) Questa previsione non si applica senz’altro alla revisione totale dello statuto, caso in cui – per la stessa logica interna della disposizione in esame – “è sottoposto a referendum l’intero testo approvato dall’assemblea legislativa regionale, sul quale si esprime un unico voto”. E’ dubbio tuttavia che una simile norma possa ritenersi legittima anche se riferita esclusivamente alle modifiche parziali dello statuto. Qualora dalla costituzione si ricavi un principio di identità testuale della legge statutaria dalla prima deliberazione alla promulgazione, una simile disposizione è da considerare senz’altro illegittima (cfr. cons. stato, I, 12 gennaio 2005, n. 12036/04); qualora, invece, dal testo costituzionale si desuma solo la necessaria corrispondenza tra il testo pubblicato ai fini notiziali e quello da sottoporre al referendum confermativo, una previsione del genere potrebbe avere un’attuazione non necessariamente illegittima (v. infra 3.5.2. e 3.6.1). 
(59) Per la problematica relativa all’attuazione dell’art. 123.3 cost. v. supra 2.1.4.
(60)  L.r Emilia-Romagna, 25 ottobre 2000, n. 29; l.r. Calabria, 10 dicembre 2001, n. 35; l.r. Marche, 23 dicembre 2002, n. 28; l.r. Toscana, 17 gennaio 2003, n. 6 (modificata dalla l.r. 15 novembre 2004, n. 60 e dalla l.r. 24 novembre 2004, n. 66); l.r. Veneto, 7 novembre 2003, n. 28; l.r. Abruzzo, 23 gennaio 2004, n. 5 (modificata dalla l.r. 13 dicembre 2004, n. 43); l.r. Umbria, 28 luglio 2004, n. 16; l.r. Lazio, 3 agosto 2004, n. 8 (modificata dalla l.r. 17 febbario 2005, n. 9, art. 63); l.r. Piemonte, 13 ottobre 2004, n. 22; l.r. Liguria, 24 dicembre 2004, n. 31; l.r. Molise, 24 ottobre 2005, n. 36; l.r. Campania, 9 novembre 2005, n. 19. Vanno inoltre considerate, per analogia di materia, le leggi di disciplina del referendum popolare confermativo delle cd. leggi statutarie o di governo delle regioni speciali e delle province autonome (Sicilia, l.r. 23 ottobre 2001, n. 14; Friuli Venezia Giulia, l.r. 27 novembre 2001, n. 29; Val d’Aosta, l.r. 22 aprile 2002, n. 4; Bolzano, l.p. 17 luglio 2002, n. 10; Trento, l.p. 1 ottobre 2002, n. 13; Sardegna, l.r. 28 ottobre 2002, n. 21).
(61) C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1976, II, p. 1229.
(62) V. alla voce Perfezione (di F. Bilancia) nel Dizionario costituzionale, a cura di M. Ainis, Bari, 2000, p. 340.
(63) V. supra 3.3.
(64)  La consulta di garanzia statutaria provvede, nei modi e tempi stabiliti dalla legge, a formulare i relativi quesiti.
(65)  Cfr. M. Olivetti, op. cit., p. 98 ss.
(66) Sul punto, per ulteriori osservazioni dello scrivente, si rinvia a Chi ha paura degli statuti regionali?, in www.federalismi.it, 2005, n. 1, pp. 2-4, ma soprattutto v. B. Caravita, L’autonomia statutaria, in le Regioni, 2004, pp. 313-317; M. Carli, L’autonomia statutaria, in Commentario della costituzione, Legge cost. 22 novembre 1999, n. 1, Bologna-Roma, 2002, pp. 216-219; S. Mangiameli, La nuova potestà statutaria delle regioni davanti alla corte costituzionale, in Giur. cost., 2002, pp. 2364- 2365.
(67) Abbiamo visto, infatti, che il consiglio può decidere di apportare modifiche al testo (ricominciando il procedimento) anche prima dell’eventuale giudizio della corte cost. o dell’eventuale consultazione popolare e che il corpo elettorale (in Emilia-Romagna) può approvare delle parti e non altre di una deliberazione legislativa statutaria di contenuto non omogeneo. Inoltre, almeno secondo le previsioni di alcuni statuti regionali (v. infra 3.5.2 e 3.6.1), il consiglio potrebbe autorizzare il presidente della giunta regionale alla promulgazione parziale del testo dello statuto così come risultante a seguito della soppressione delle disposizioni dichiarate incostituzionali (e ciò è concretamente avvenuto in Emilia-Romagna e Umbria). La corte, in questo caso, interviene dunque direttamente nel processo di progressiva formazione del testo dello statuto senza che sia necessario avviarne nuovamente dal principio il procedimento di approvazione (soluzione prospettata in dottrina da R. Bin, E se la Corte costituzionale dichiarasse illegittimi gli Statuti regionali? Problemi del dopo, in www.forumcostituzionale.it, 7 novembre 2004).
(68) La diversa soluzione, per il coordinamento del procedimento referendario con quello concernente il giudizio di legittimità costituzionale, adottata in un primo momento dalla regione Abruzzo con la l.r. 23 gennaio 2004, n. 5 (v. anche l’art. 86 della deliberazione statutaria approvata dal consiglio regionale, in prima e seconda lettura, il 20 luglio e il 21 settembre 2004 e pubblicata sul BUR del successivo 8 ottobre) è stata successivamente così modificata dalla l.r. 13 dicembre 2004, n. 43. Si prevedeva nel testo originario della legge abruzzese non l’interruzione/sospensione dell’eventuale procedimento referendario già avviato nel caso in cui sia stata promossa la questione di legittimità costituzionale ma si disponeva una doppia pubblicazione della delibera legislativa statutaria: la prima al fine di consentire l’eventuale impugnazione da parte del governo; la seconda, decorso inutilmente il termine per il ricorso governativo o dopo la sentenza della corte costituzionale e le eventuali deliberazioni consequenziali del consiglio regionale, al fine della richiesta del referendum popolare confermativo.
(69) Solo la regione Liguria ha ritenuto, inoltre, di fissare nel proprio statuto le modalità di coordinamento del procedimento referendario con l’eventuale giudizio di legittimità costituzionale prevedendo ellitticamente che, nel caso in cui il governo abbia promosso la questione di legittimità costituzionale, il referendum – il cui procedimento risulta evidentemente sospeso – ha luogo successivamente alla decisione della corte costituzionale (art. 76).
(70) Cit. supra 3.4.
(71) Abruzzo, Campania, Emilia-Romagna, Lazio, Marche, Molise, Piemonte, prov. autonoma di Trento, Umbria e Veneto.
(72) Liguria e Toscana.
(73) L.r. Abruzzo, art. 4; l.r. Campania, art. 15; l.r. Emilia-Romagna, art. 11; l.r. Lazio, art. 4; l.r. Liguria, art. 3; l.r. Marche, art. 17-18; l.r. Molise, art. 17; l.r. Piemonte, art. 13; l.r. Toscana, art. 4; l.p. Trento, art. 16; l.r. Umbria, art. 3; l.r. Veneto, art. 19.
(74) Così hanno espressamente previsto le regioni Abruzzo, Toscana, Umbria e Veneto, nonché la provincia di Trento. Di scarsa intelligibilità era invece la disposizione recata dalla l.r. Liguria la quale disponeva (art. 3.3) che “nel caso in cui la Corte costituzionale respinga il ricorso, le operazioni referendarie eventualmente compiute prima della sospensione del termine conservano efficacia; al contrario tali operazioni perdono efficacia qualora venga pronunciata l’illegittimità totale della deliberazione statutaria ovvero venga pronunciata l’illegittimità parziale della medesima e le parti dichiarate incostituzionali coincidano con l’oggetto della richiesta referendaria” (il corsivo è nostro). Tuttavia, in considerazione dell’evidenza che le parti dichiarate incostituzionali coinciderebbero sempre e comunque con l’oggetto della richiesta referendaria che investirebbe necessariamente l’intera deliberazione statutaria in base all’art. 1.3, della medesima legge regionale, l’ipotesi qui formulata si sarebbe potuta assimilare, in via di interpretazione, a questo genere di previsioni legislative. Ad ogni modo, su ricorso del governo, è intervenuta a fare chiarezza la corte cost. con la sent. 13 dicembre 2005, n. 445. Questa decisione ha, infatti, dichiarato l’illegittimità costituzionale della richiamata disposizione, per la parte in cui rendeva ammissibile – in violazione dell’art. 123.3 Cost. – una richiesta referendaria limitata ad alcune disposizioni della deliberazione statutaria anziché al testo dello statuto nella sua interezza (si tratta della parte dispositiva da noi evidenziata in corsivo).
(75) Solo la regione Lazio prevede espressamente che tale deliberazione sia unica e approvata a maggioranza assoluta ma ciò è probabilmente da estendersi implicitamente anche alle altre regioni.
(76) Anche la prov. autonoma di Trento prevede espressamente il caso del seguito alle sentenze di illegittimità costituzionale parziale (art. 16.5); tuttavia il diverso procedimento di approvazione previsto per le leggi provinciali di governo (a deliberazione unica) non rende in questo caso utile la comparazione.
(77) Similmente v. però anche la l. prov. Trento che prevede espressamente la necessità di una nuova pubblicazione della delibera legislativa statutaria, nel testo risultante a seguito della sentenza della corte cost. o a seguito delle modifiche introdotte dal consiglio, al fine di consentire il computo di un nuovo termine per un’eventuale nuova richiesta di referendum (art. 16, commi 4, 5 e 6).
(78) Si tratta della l.r. 3 giugno 2005, n. 7, il cui testo è stato pubblicato a fine notiziale sulla GURS n. 39 del 17 settembre 2004, ripubblicato con omissione delle parti impugnate dal commissario dello stato sulla GURS n. 40 del successivo 24 settembre e nuovamente ripubblicato, sulla GURS n. 48 del 12 novembre 2004, a seguito dell’entrata in vigore della l.r. 5 novembre 2004, n. 15, che (all’art. 56.2) ha disposto la soppressione del titolo II della delibera legislativa statutaria (approvata dall’assemblea regionale il 5 agosto 2004) in quanto contenente una disciplina non attinente alle elezioni regionali da approvare con lo speciale procedimento previsto per la legge elettorale regionale.
(79) Dove, successivamente alla sent. della corte cost. 29 novembre 2004, n. 378 (pubbl. nella GU del 15 dicembre 2004 e nel BUR di pari data), è stata pubblicata la deliberazione di “presa d’atto” del consiglio regionale (BUR 29 dicembre 2004, n. 56), ma non il nuovo testo statutario.
(80) In questa regione la d.c.r. 18 gennaio 2005, n. 638, ha preso atto della sent. corte cost. n. 379/2004 e ha ritenuto di non compiere alcuna modifica o intervento di coordinamento testuale o formale sul testo della delibera statutaria ai sensi di quanto espressamente previsto dall’art. 11, co. 5, della l.r. 29 del 2002. La delibera è stata poi pubblicata riportando il testo aggiornato dello statuto come allegato (BUR 15 febbraio 2005, n. 24).
(81) Cfr. M. Olivetti, op. cit., pp. 82-83.
(82)  Abruzzo, art. 88.1; Emilia-Romagna, art. 73.4; Lazio, art. 77; Liguria, art. 77.1; Toscana, art. 80.1. Solo nel Lazio la disposizione comprende espressamente il caso delle modifiche successive.
(83) Calabria, art. 59.6; Marche, art. 57.3; Piemonte, art. 102.2.
(84) Puglia, art. 53; Umbria, art. 38.1.
(85) Le previsioni di queste disposizioni, infatti, non risultano incompatibili con l’abrogazione della norma costituzionale.
(86) V. supra 3.5.2.
(87) Cons. stato, I, 12 gennaio 2005, n. 12036/04 e n. 12054/04. Opinione poi fatta propria dai ricorsi governativi contro gli statuti di queste stesse regioni (v. supra nt. 30). Sulla successiva sent. della corte cost. v., invece, infra par. 5.
(88) Cfr. S. Mabellini, La promulgazione parziale nei rapporti tra Stato e Regioni: problematiche vecchie e nuove nella prospettiva delle riforme costituzionali, in Giur. cost., 2000, p. 3378 ss.
(89) Appare di assoluto rilievo la previsione presente nello statuto della regione Calabria secondo la quale il testo approvato dal consiglio (già pubblicato a fini notiziali) debba promulgarsi nel “suo testo integrale”. Sembrerebbe assolutamente esclusa pertanto la possibilità del presidente della giunta regionale di disporre la promulgazione parziale della legge statutaria, come previsto e/o concretamente avvenuto in alcune regioni a seguito di una sentenza della corte costituzionale che ne abbia dichiarato la parziale illegittimità costituzionale.
(90) I vecchi statuti, che erano approvati con legge della repubblica, non costituivano oggetto di promulgazione regionale. Alcune regioni, tuttavia, con norme di dubbia legittimità avevano previsto la promulgazione regionale degli atti di revisione statutaria (cfr. A. D’Atena, Statuti regionali ordinari, cit., p. 1).
(91) V. per tutti P. Giocoli Nacci, Promulgazione, in Enc. giur. Treccani, XXIV, 1991, p. 2 ss., e S. M. Cicconetti, Promulgazione e pubblicazione delle leggi, in Enc. dir., XXXVII, Milano, 1988, p. 100 ss.
(92) Sulla sent. della corte cost. n. 469 del 2005 v. infra par. 5.
(93) V. supra 3.4.
(94) Cfr. M. Olivetti, op. cit., p. 339 ss.
(95) In base ai nuovi statuti, infatti, il presidente della giunta regionale “fa parte” del consiglio regionale (cfr. L. Ronchetti, Rapporti tra giunta e consiglio, in Osservatorio sulla legislazione (cur.), Rapporto sullo stato della legislazione 2004-2005, camera dei deputati, 2005, parte II, p. 142).
(96) Così come vengono individuati gli atti contrari a costituzione da Martines, Ruggeri, Salazar, Lineamenti di diritto regionale, Milano, 2005, p. 354.
(97) Ibidem.
(98) V. sent. n. 9 del 1959.
(99)  V. supra 3.2. 
(100) V. supra nt. 30.
(101) V. supra par. 3.6.1
(102)  Per una valutazione e un commento di questa decisione si veda infra par. 5.
(103) Cfr. V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, II, 2, La Corte costituzionale, Padova, 1984, p. 445, nonché la stessa corte cost., sent. 20 gennaio 1977, n. 40.
(104) Come riconosciuto per il giudizio di legittimità costituzionale anche successivamente alla riforma del titolo V (v. sent. 274/2003).
(105) Un timido tentativo in questo senso è stato tentato dal governo con il ricorso che è stato definito dalla sent. n. 306/2003 ma, nello specifico, senza successo in quanto la corte cost. lo ha considerato alla stregua di un mero errore di denominazione dell’atto introduttivo del giudizio.
(106) Dubbio è in dottrina se il ricorso governativo avverso la legge regionale sia manifestazione di una funzione neutrale di garanzia o di una valutazione discrezionale di natura politica (v. sul punto N. Zanon, op. cit., p. 989).
(107) Pur ritenendosi oggetto di valutazione non strettamente giuridica la scelta circa l’impugnativa delle leggi regionali, occorrerebbe in ogni caso, tuttavia, che il governo rispettasse il principio di imparzialità e non-discriminazione (art. 97 cost.). In questo senso v. ancora Zanon (ibidem).
(108) La corte cost. ha ritenuto invece inammissibile l’atto d’intervento del terzo (nella specie un consigliere regionale) nel giudizio di legittimità costituzionale in via di azione ex art. 123 o 127 cost. (v. sent. n. 378/2004).
(109) Cfr. F. Modugno, Legge (vizi della), in Enc. dir., XXIII, Milano, 1973, p. 1018.
(110) Ibidem.
(111) Cfr. in tal senso G. Severini, op. cit., pp. 5-6.
(112) Nei nuovi statuti manca la previsione dell’istituzione di un simile organo nella sola regione Marche
(113)  Abruzzo, Calabria, Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Piemonte e Toscana.
(114) V. supra 2.2.1.
(115) V. supra 4.1.2
(116) Per le altre soluzioni astrattamente prospettabili v. supra 4.1.
(117) Infatti, come nota giustamente M. Raveraira, che ben coglie la “stonatura” della motivazione, non è comprensibile il richiamo al previgente sistema del controllo preventivo sulle leggi regionali e “quale effettiva utilità rivesta la pretesa assimilazione tra sistemi così diversi per oggetto, impianto, istituti ed effetti consequenziali” (La Corte afferma la reiterabilità del controllo preventivo di costituzionalità e salva gli statuti, in www.federalismi.it, 2006, n. 2, 7-8).
(118) Per la considerazione che il contenuto minimo e ineludibile della pubblicazione, in virtù del principio della certezza del diritto e dell’affidamento del cittadino, deve assicurare quantomeno l’esistenza degli atti normativi considerati nella loro materialità lessicale v. A. D’Atena, La pubblicazione delle fonti normative, I, Introduzione storica e premesse generali, Padova, 1974, 37. Detto in altri termini, per quanto, certamente, “la conoscenza dei documenti normativi è ben cosa rispetto alla conoscenza del diritto in senso pieno”, la “condizione necessaria, non sufficiente, per la conoscibilità di un testo è che esso sia pubblicato” (R. Guastini, In tema di “conoscenza del diritto”, in Foro it., 1987, V, 386 e 381). 
(119)  A. D’Atena, op.cit., 43 s.
(120) Norme parametro possono essere ricavate dagli artt. 1, 48, 123 e 73 della costituzione (almeno in parte effettivamente richiamate dai ricorrenti).
(121) Si deve notare, tuttavia, che il termine di tre mesi per poter proporre richiesta referendaria, disposto dall’art. 123.3 Cost., non si è effettivamente esaurito prima della pubblicazione legale dello statuto. La data della nuova pubblicazione notiziale dell’atto da cui risulta il testo statutario che la regione intende deliberato come definitivo è, infatti, il 15 dicembre 2005 e quella della definitiva pubblicazione dello statuto è il 15 febbraio 2005. Per questa osservazione si veda, più in dettaglio, P. Giangaspero, La Corte costituzionale e il procedimento di approvazione degli statuti regionali ordinari: problemi risolti e questioni da definire in tema di interpretazione dell’art. 123 Cost., in “le Regioni”, 2006, 759-760.
(122)  Contro la pubblicazione indiretta si leggano le illuminanti considerazioni di G. Ferrari (Sulla pubblicazione indiretta, in Giur. cost”, 1959, 925 ss.), secondo il quale la pubblicazione è un’operazione rappresentativa che implica l’esistenza di un rapporto diretto tra i soggetti conoscenti e l’oggetto della conoscenza e, dunque, “una pubblicazione che richiede uno sforzo inferenziale contraddice a quell’esigenza e principio di chiarezza, ch’è alla base di ogni processo cognitivo”.
(123)  V. M. Ainis, La legge oscura. Come e perché non funziona, Bari, 1997, 131 ss.
(124) A questo riguardo si deve tener conto, però, anche e soprattutto dell’intervento in giudizio di tre cittadini promotori del referendum sullo statuto della regione Umbria (dichiarato inammissibile dalla corte nell’ambito di questa stessa decisione), nonché dell’altro vano tentativo dei medesimi soggetti, in qualità di “comitato promotore”, di sollevare “conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato” avverso la promulgazione della legge statutaria regionale (ricorso dichiarato inammissibile con la successiva ord. 28 dicembre 2005, n. 479).
(125)  A. Pizzorusso, La pubblicazione degli atti normativi, Milano, 1963, 49 ss.
(126)  La quale andrebbe meglio definita “pubblicazione-denuncia” per distinguerla dalle pubblicazioni notiziali a carattere non necessario che, a differenza di questa, non determinano effetti preliminari della fattispecie produttiva degli effetti definitivi (v. A. Pizzorusso, op. cit., 98-99).
(127) Infatti, “la richiesta di referendum della legge di approvazione o di modifica dello statuto deve contenere l’indicazione del testo della legge che si intende sottoporre alla votazione popolare e deve, altresì, citare la data della sua approvazione finale da parte del ronsiglio regionale e la data ed il numero del Bollettino Ufficiale della Regione Umbria nel quale è stata pubblicata” (art. 5.1, l.r. Umbria, 28 luglio 2004, n. 16).
(128) Sulla illegittimità costituzionale della compressione dei termini previsti dall’art. 123 cost. v. corte cost., sent. 20 gennaio 2006, n. 12, punto 8 del considerato in diritto. Secondo i giudici della Consulta, infatti, questa norma costituzionale si pone come regola da applicare in via generale ed è sottratta all’autonomia statutaria.
(129) Cfr. sul punto M. Ainis (L’entrata in vigore delle leggi. Erosione e crisi d’una garanzia costituzionale: la vacatio legis, Padova, 1986, 198) il quale proprio dal fatto che la costituzione consente che il legislatore possa sopprimere il periodo di vacatio o emanare norme retroattive ricava che la pubblicazione delle fonti sia diretta alla semplice conoscibilità delle stesse e non ad assicurarne la piena cognizione.
(130)  A. D’Atena, Pubblicazione degli atti normativi, Enc. Giur. Treccani, Roma, 1991, 2.
(131) V. l.r. Umbria 20 dicembre 2000, n. 39, art. 8, che prevede le tre diverse ipotesi dei testi coordinati (pubblicazione in calce al provvedimento modificativo del nuovo testo risultante dalle modificazioni apportate), dei testi aggiornati (pubblicazione del testo aggiornato nel quale le modificazioni sono stampate in modo caratteristico e ne è specificata la fonte) e delle note di rinvio a preesistenti disposizioni in calce all’atto normativo. V. similmente DPR 28 dicembre 1985, n. 1092, testo unico delle disposizioni sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana, art. 10.
(132) Il testo oggetto dell’eventuale referendum confermativo è individuato mediante pubblicazione nel BUR ai sensi di quanto disposto, nella specie, dall’art. 2 della l.r. 28 luglio 2004, n. 16.
(133) Tanto che in calce alla pubblicazione della sentenza sul BUR si comunica che essa costituisce pubblicità-notizia ai fini di quanto previsto dall’art. 123.3 Cost.
(134) V. la sent. 13 dicembre 2005, n. 445.
(135) Sul quale v. i cit. pareri del consiglio di stato. Detto principio è qui molto ben individuato, anche se eccessive sono le conseguenze che se ne traggono di dover sempre dar corso ad un nuovo procedimento di approvazione statutaria in caso di sentenza costituzionale di accoglimento dei rilievi governativi. Riteniamo di ammettere invece, più limitatamente, che la parziale dichiarazione d’incostituzionalità della delibera statutaria determina senz’altro solo la necessità di avviare un nuovo subprocedimento referendario e, dunque, di ripartire da una nuova pubblicazione notiziale (v. supra 3.5.2). In tal senso v. anche F. Benelli, L’unicità del referendum sugli statuti regionali e la giusta logica del “tutto o niente”, in Le Regioni, 2006, 533-534.
(136) Pertanto, anche a voler ritenere che la conoscenza del nuovo oggetto del referendum confermativo sia stata effettivamente assicurata, di fatto (prescindendo da eccessivi formalismi giuridici), dalla pubblicazione del verbale delle operazioni referendarie con il quale l’ufficio di presidenza del consiglio regionale ha disposto la nuova formulazione del quesito avente ad oggetto l’approvazione del nuovo statuto regionale nel testo “risultante a seguito della sentenza della corte costituzionale” (BUR Umbria 22 dicembre 2004, n. 55), l’anticipata fissazione del dies a quo per la nuova richiesta di consultazione popolare (avvenuta con l’avviso di cui al BUR della settimana precedente) non consentirebbe, comunque, di ritenere che si sia mai aperto il termine di tre mesi per la sua presentazione.
(137)  In tal modo la corte ha chiaramente respinto, sia pur implicitamente, l’interpretazione proposta dai cit. pareri del consiglio di stato, e fatta propria dal governo, secondo la quale sarebbe stato necessario riavviare dal principio il procedimento di deliberazione statutaria.
(138) A ben considerare questa circostanza non è smentita, ma anzi confermata, dalla successiva sent. n. 12 del 2006 in cui la corte ha ritenuto che dall’art. 123 Cost. “si deduce che si deve far luogo inizialmente ad una sola pubblicazione notiziale” (il corsivo è nostro). In senso simile v. anche A. Cardone, Vecchie e nuove questioni nella giurisprudenza costituzionale sui profili procedimentale sostanziali dell’autonomia statutaria, in www.federalismi.it, 2006, n. 6, 10.
(139)  Nel BUR 15 dicembre 2004, n. 54, è stata pubblicata la sent. corte cost. n. 378 del 2004 unitamente ad un avviso nel quale si comunicava l’avvenuta dichiarazione d’illegittimità costituzionale dell’art. 66 della delibera statutaria.
(140)  Nel BUR del 29 dicembre 2004, n. 56, è stata pubblicata la deliberazione del consiglio regionale 10 dicembre 2004, n. 430, con la quale – preso atto che lo statuto, nel testo privato dalle disposizioni dichiarate illegittime, non doveva essere modificato in via consequenziale – s’invitava il presidente della giunta regionale a promulgare lo statuto regionale non appena possibile.
(141)  Dal BUR del 11 agosto 2004, n. 33.
(142)  I primi commentatori della sentenza o non si sono occupati del problema o non hanno ritenuto dubbio che – secondo la corte – la pubblicazione nel caso di specie si sarebbe verificata il 29 dicembre 2004 (P. Giancaspero, op. cit., 752).
(143) Così come senz’altro ritenuto dalla regione Umbria che in una comunicazione in calce alla sentenza dichiarava l’effetto prodotto dalla decisione e precisava che “il presente avviso costituisce pubblicità notizia ai fini degli adempimenti dall’art. 123, comma terzo, della Costituzione e della legge regionale 28 luglio 2004, n. 16” (di disciplina del referendum statutario).
(144)  L.r. Umbria, 28 luglio 2004, n. 16, art. 2.
(145)  Ai fini dell’individuazione della data di pubblicazione dell’atto da cui risulti il testo statutario che la regione intenda deliberato come definitivo è del tutto irrilevante che la deliberazione del consiglio regionale pubblicata sul BUR del 29 dicembre 2004 sia stata approvata il 10 dicembre precedente.
(146) Corte cost., sent. n. 205 del 1996.
(147)  Atti probabilmente non giuridicamente sufficienti (v. quanto nota a riguardo C. Padula, Il problema dell’annullamento parziale dello Statuto: conseguenze sul procedimento statutario, in www.forumcostituzionale.it), ma comunque legittimi e già pienamente efficaci.
(148) Come nel caso della sentenza richiamata nella nt. 146.
(149) Se così fosse stato, dunque, la corte avrebbe operato un repentino mutamento di rotta rispetto alla sua pregressa giurisprudenza che non valuta con favore la prassi della promulgazione e pubblicazione parziali delle leggi siciliane e che ha inteso razionalizzare “l’anomalo potere del Presidente della Regione” riconducendolo “almeno entro i rapporti politico-fiduciari che collegano l’Assemblea legislativa e l’esecutivo regionale” (sent. 21 ottobre 2003, n. 314).
(150)  Art. 1, lett. e, della l.r. umbra 20 dicembre 2000, n. 39 del 2000.
(151)  Cfr. C. Padula, op.cit.
(152) L’eventualità che il consiglio regionale detti una nuova disciplina statutaria in sostituzione di quella dichiarata illegittima non è negata nemmeno da chi ritiene – pur in contrasto al diritto positivo di cui evidentemente si presume l’illegittimità costituzionale (v. supra 3.4) – che la fase perfettiva del procedimento di formazione dello statuto sia da considerare conclusa al momento dell’approvazione consiliare (E. Gianfrancesco, “A volte ritornano”. Problemi del giudizio preventivo di costituzionalità sugli statuti regionali ordinari, in Giur. cost., 2005, 5041).
(153) In Umbria ciò è concretamente avvenuto con avviso in calce alla pubblicazione della sentenza della corte (depositata in cancelleria il 6 dicembre) nel BUR del 15 dicembre.
(154)  V. l.r. Umbria, 28 luglio 2004, n. 16, art. 4 e art. 13.
(155) La pubblicazione della sentenza che dichiara l'illegittimità costituzionale delle norme impugnate “produce nell’ordinamento giuridico effetti strettamente analoghi a quelli della pubblicazione degli atti normativi” (A. Pizzorusso, op.cit., 160). La corte medesima, d’altronde, ritiene che le sue decisioni di accoglimento debbano essere considerate alla stessa stregua dello ius superveniens (per questa osservazione v. F. Benelli, op. cit., 533, nt. 5).
(156) V. Cassazione civ., sez. I, 7 febbraio 2006, n. 2616, con riferimento alla prosecuzione del giudizio principale nel ricorso in via incidentale. Nel nostro caso, la collocazione endoprocedimentale dell’eventuale giudizio di legittimità costituzionale, con la conseguente sospensione del procedimento legislativo statutario, rende possibile ed utile l’analogia.
(157) Le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, la quale deve avvenire nella medesima forma stabilita per la pubblicazione dell’atto dichiarato costituzionalmente illegittimo (l. 11 marzo 1953, n. 87, art. 30).
(158) La sentenza, entro due giorni dalla data del deposito, è comunicata ai consigli regionali interessati affinché, ove lo ritengano necessario, adottino i provvedimenti di loro competenza (l. 11 marzo 1953, n. 87, art. 30, co. 2). Il brevissimo tempo a disposizione per la valutazione del consiglio potrebbe risultare più congruo qualora il presidente della giunta regionale usasse l’accortezza di far completamente esaurire il termine entro cui provvedere alla pubblicazione della decisione (v. l. 11 marzo 1953, n. 87, art. 30, co. 1, e l.r. Umbria, 28 luglio 2004, n. 16, art. 2). E’, infatti, solo allo scadere dell’ultimo giorno di questo lasso di tempo che la nuova pubblicazione notiziale potrebbe ritenersi ormai improrogabile, e dunque doverosa, anche in mancanza di un nuovo intervento del consiglio.
(159) Oltre alla questione, rimasta sullo sfondo, della maggioranza richiesta per una nuova manifestazione della volontà consiliare.
(160) M. Raveraira a riguardo della motivazione della corte parla di “zelo da dimostrazione” (op.cit., 5).
(161) In mancanza di questa sovrabbondante dichiarazione, infatti, sarebbe risultata del tutto chiara, seguendo la motivazione della corte, quale corretta alternativa avrebbe avuto di fronte il governo per non incorrere nel giudizio di inammissibilità del ricorso: o la reiterazione dell’impugnativa nei confronti dell’atto da cui risulti il testo statutario che la regione intenda deliberato come definitivo, così come effettivamente “pubblicato” in via notiziale, o il conflitto di attribuzione nei confronti della “legge statutaria” promulgata e pubblicata in via definitiva e necessaria.

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