Intervento del Ministro per gli Affari regionali e le Autonomie
Maria Carmela LANZETTA
al Convegno
DOVE VA LO “STATO REGIONALE”?
Presentazione del Rapporto sulle Regioni in Italia 2013
curato dall’ISSiRFA – CNR
Roma, 27 maggio 2014, ore 17.00
Camera dei deputati - 
Palazzo Marini - Sala Mercede
 
 
Il Rapporto dell’Istituto di Studi sui Sistemi Regionali Federali e sulle Autonomie “Massimo Severo Giannini”, curato dal Professor Mangiameli, svolge un’analisi molto ampia e approfondita di vari aspetti dell’attività delle Regioni, con particolare riferimento a quanto avvenuto nel 2012.
Si tratta di un anno particolare, caratterizzato a livello nazionale da un’esperienza di governo “tecnico”, che per far fronte alla difficile crisi economico-finanziaria ha adottato, per lo più attraverso interventi di urgenza, severe misure di risanamento della finanza pubblica, spesso con tagli molto forti dei finanziamenti alle regioni ed alle autonomie locali. Nel Rapporto è, inoltre, ampiamente documentato come i tagli alla spesa operati negli ultimi anni abbiano inciso in proporzione molto più a livello regionale e locale che a livello centrale.
Questa situazione di emergenza ha, tra l’altro, spinto verso tentativi di “centralismo di ritorno”, in particolare proprio in materia di c.d. “spending review”, non a caso oggetto di censura da parte della Corte Costituzionale, per l’eccessiva compressione dell’autonomia decisionale regionale (come nel caso del decreto legge 95/2012, che tagliava i finanziamenti alle regioni in maniera proporzionale alle spese per consumi intermedi e che è stato in questa parte dichiarato incostituzionale con la sent. 79/2014).
Se è vero che queste politiche di contenimento della spesa pubblica hanno dato alcuni apprezzabili risultati – in particolare nel settore sanitario, in cui nell’anno in considerazione il disavanzo è sceso da circa 2,7 miliardi a meno di 2,2, con un miglioramento quindi di circa 500 milioni, dei quali più di 400 provenienti dalle regioni sottoposte a piani di rientro – è estremamente preoccupante la tendenza evidenziata in diverse parti del Rapporto e con riferimento a vari aspetti e settori di una forte crescita in questi “anni della crisi” del divario tra Regioni del Nord e Regioni del Sud.
Ciò sembra essere effetto in parte di errori e immobilismo degli ultimi anni, ma ancor di più di problematiche ed inefficienze risalenti, di cui le Regioni meridionali paiono oggi pagare un conto molto salato, anche perché va appunto ad aggiungersi agli effetti della congiuntura economica negativa. Esemplare al riguardo è lo studio contenuto in uno dei capitoli del volume, che evidenzia come la tassazione regionale indiretta e diretta, con particolare riferimento all’addizionale IRPEF e all’IRAP, sia molto più alta al Sud (con differenze in termini relativi spesso del 60-70%, come nel caso dell’aliquota ordinaria IRAP, pari al 3% nella Provincia autonoma di Bolzano e quasi al 5% in Sicilia, Campania e Calabria). Ciò accade in primo luogo per la necessità di ripianare i debiti del settore sanitario contratti negli anni (e decenni) passati.
Nel complessivo scenario di forte riduzione dei finanziamenti statali causato dalla crisi, le Regioni stanno compiendo sforzi enormi per mantenere un livello accettabile di politiche sociali, in particolare a favore delle famiglie monoreddito, anche in considerazione del drammatico aumento della disoccupazione e dell’incremento della percentuale della popolazione in stato di indigenza. A tal fine alcune regioni sono intervenute anche destinando a tali  politiche specifici aumenti dei tributi di propria spettanza.
Un altro settore che, a fronte delle gravissime problematiche registrate nel passato, appare riscontare un encomiabile impegno regionale è quello della gestione dei rifiuti. Dal rapporto emerge il forte attivismo di tutte le regioni in materia, sia a livello di legislazione che di atti di pianificazione. Anche se anche in questo campo il divario tra Nord e Sud è molto ampio – la Regione Veneto ha una media di circa il 60% di raccolta differenziata contro il 10% della Sicilia – dal Rapporto emerge come nel 2012 si sia avuto un significativo “recupero” da parte di alcune Regioni: in particolare, la Campania, tristemente famosa per le emergenze rifiuti che l’hanno colpita, si colloca oramai nella media nazionale, con quasi il 40% di raccolta differenziata.
In questa prospettiva di cambiamento possibile, appare fondamentale il ruolo che può essere svolto da un sistema istituzionale efficiente, che sappia coniugare rigore finanziario e necessità di riforme (anche “impopolari”) con il coinvolgimento di tutti i livelli di governo, in particolare, di quelli più prossimi alla cittadinanza.
Nel mentre, come è noto, proprio in questi giorni è ripreso l’esame del disegno di legge governativo di riforma del Titolo V della Costituzione e di istituzione di una Camera rappresentativo degli enti territoriali, è interessante notare come dal Rapporto emerga che nel 2012, anche a seguito della giurisprudenza della Corte costituzionale, un ruolo di particolare rilievo sia stato svolto dal “sistema delle Conferenze” ed , in particolare, dalla Conferenza Stato-Regioni, che è tornata a riunirsi con frequenza più che mensile, esaminando complessivamente più di 260 provvedimenti, e finendo con lo svolgere, pur nei limiti di un istituto che come osservato anche nel Rapporto ha come protagonisti solo gli esecutivi statali e regionali, un fondamentale ruolo di coordinamento tra i due livelli di governo.
Tra le altre, la tendenza più interessante che riguarda la Conferenza e che si sta sviluppando negli ultimi anni è quella di essere non solo sede di confronto tra Regioni e Governo, ma anche di essere diventata anche luogo dell’ “auto-coordinamento” tra le Regioni, ad esempio per la suddivisione concordata dei minori trasferimenti statali. Questa del coordinamento e della cooperazione tra regioni – come dimostrato anche dall’aumento delle intese e delle forme di gestione associata di servizi – può essere una delle più interessanti prospettive di evoluzione del nostro sistema regionale, anche in funzione di riduzione delle spese e impiego ottimale delle risorse disponibili.
Lo studio che presentiamo ci da l’occasione per interrogarci su come in concreto le nostre  Regioni hanno funzionato in questi anni. Mi riferisco, in particolare alle regioni del sud, ma non solo.
Io sono stata per sette anni Sindaco di un piccolo comune della Calabria ed in quegli anni ho potuto osservare,  diciamo da “utente”,  le modalità di funzionamento di una Regione, la Calabria.
Che cosa mi ha colpito di più?
Ho visto la Regione configurarsi sempre di più come ente gestore di risorse e come ente di potere (pensate alla sanità ma non solo) che non, invece, come ente di programmazione, di progettazione del territorio.
Ecco ho notato l’assenza di un luogo in cui progettare le politiche, in cui consentire ai Sindaci di interrogarsi sul futuro dei loro territori e sull’organizzazione dei servizi.
Occorre ribaltare il modo di essere delle Regioni, occorre valorizzare i territori. Abbiamo l’occasione della attuazione della Legge Delrio. Bisogna lavorare ad un cambiamento delle nostre Regioni e delle Autonomie.
Le Regioni sono troppo piccole per pensare allo sviluppo in maniera convincente e, soprattutto per spendere in maniera intelligente le risorse disponibili.
Perché allora, anche con l’aiuto di un istituto come il vostro, non pensare ad un piano strategico comune per le regioni del mezzogiorno? Un piano strategico che individui le priorità in termini di infrastrutture, di servizi, di settori economici su cui puntare, di capitale umano.
Un piano credibile che fuoriesca finalmente da un approccio tutto localistico gestito in chiave clientelare.
Un piano strategico ha una valenza pedagogica, consente di superare una visione della cosa pubblica basata sui particolarismi e rafforza il senso di comunità della nostra gente.
Un piano strategico può essere il punto di riferimento anche per le città metropolitane e i nuovi Enti di area vasta.
Non credo che pensare ciò significhi concepire in modo salvifico la programmazione. Io credo, invece, che significhi ritornare a pensare in grande, avere una visione e soprattutto fuoriuscire da una logica del giorno per giorno. Tutto ciò significa spendere meglio le risorse che i cittadini ci affidano.
 

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