Antonio FERRARA, Ambiente, costituzione e sistema delle fonti (Marzo 2002)
Intervento al Seminario di studio organizzato dall'Istituto di Studi sulle Regioni "Massimo Severo Giannini" (ora ISSiRFA), su “Le fonti regionali dopo la legge costituzionale n. 3 del 2001” (Roma 19 marzo 2002)
Vorrei tornare a fare qualche breve riflessione sulla materia “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema” dopo la riforma del Titolo V della Costituzione perché mi sembra che, ancora una volta, dalla risoluzione dei particolari problemi d’inquadramento di questa materia possano ricavarsi principi d’ordine generale per il nuovo sistema delle fonti delineatosi a seguito della legge costituzionale n. 3 del 2001.
La domanda da porsi è se sia ancora consentito oggi, all’indomani della riforma costituzionale, che le Regioni esercitino poteri di normazione in materia ambientale, e a che titolo possano ancora farlo, visto che questa competenza è espressamente definita esclusiva dello Stato.
La risposta che tutti unanimemente danno è positiva, ma sono cinque le soluzioni proposte o astrattamente ipotizzabili che lo consentono:
1. La correzione e integrazione delle modifiche apportate alla Costituzione dalla legge cost. n. 3 del 2001 con l’approvazione di un’apposita nuova legge di revisione costituzionale (B. Caravita). Soluzione già annunciata dalla nuova maggioranza con riferimento, ad esempio, al progetto sulla c.d. devolution del ministro Bossi.
2. L’attivazione dello speciale procedimento legislativo adesso previsto dall’art. 116, comma terzo, della Costituzione, con attribuzione della potestà legislativa in questa materia a tutte le Regioni (o solo ad alcune di esse).
3. Il riconoscimento, sul piano della disciplina sostanziale, di poteri impliciti regionali riconducibili alle materie di competenza concorrente (governo del territorio, tutela della salute e valorizzazione dei beni ambientali, rispetto alle quali i siffatti poteri sono storicamente, implicitamente, emersi) ed innominata-residuale (caccia, pesca, agricoltura, ecc.) (A. Ferrara) o, quantomeno, dell’ammissibilità di una potestà legislativa regionale residuale operante nelle stesse materie di competenza esclusiva dello Stato per quanto riguarda i poteri di organizzazione delle funzioni amministrative, ad eccezione della determinazione delle funzioni fondamentali degli enti locali (ipotesi interpretativa espressamente presa in considerazione da Antonio Ruggeri).
4. La delega alle Regioni della potestà regolamentare attuativa sulla base di quanto disposto dall’art. 117, comma 6. Soluzione praticabile, tuttavia, solo per la disciplina di quanto non sia oggetto di riserva assoluta di legge (A. Ruggeri).
A rafforzare quest’ipotesi ci sarebbe la possibilità che le stesse Regioni, nella disciplina delle fonti normative regionali nei loro nuovi statuti, possano prevedere il riconoscimento di una potestà regolamentare anche in capo ai Consigli e non esclusivamente in capo alla Giunta, quantomeno – come in questo caso – con riferimento alle materie di competenza esclusiva dello Stato, qualora vi sia la delega prevista dal sesto comma dell’articolo 117. Riterrei questa una soluzione senz’altro praticabile, anche se è ancora dubbio che, dopo la legge costituzionale 1 del 1999, gli statuti regionali possano riconoscere una potestà regolamentare in capo ai Consigli e non soltanto in capo alla Giunta (di recente, si è espresso favorevolmente a questa opinione Antonio D’Atena). Con questa soluzione, inoltre, si realizzerebbe – in qualche modo - un ritorno allo spirito originario della Costituzione del 1948: è vero infatti che nel precedente ordinamento costituzionale la potestà attuativa fu interpretata come una normazione di tipo legislativo ma è anche vero che la Costituzione non l’indicava espressamente come potestà legislativa e, se andiamo a vedere il dibattito dell’Assemblea costituente, probabilmente l’intenzione fu di riconoscere un potere normativo di natura regolamentare in capo ai Consigli.
5. La delega alle Regioni con legge ordinaria dello Stato di una potestà legislativa attuativa, pur non espressamente prevista dall’attuale testo della Costituzione (S. Grassi, M. Cecchetti).
Queste sono le cinque soluzioni astrattamente ipotizzabili, di cui quattro richiedono la necessità di un intervento legislativo (costituzionale, speciale ex art. 116, ordinario di delegificazione o di delegazione legislativa), con grado decrescente di complessità procedimentale e di concreta praticabilità, ed una sola - la terza - è immediatamente operativa, avendo la legge eventualmente solo funzione di ricognizione. Delle soluzioni che richiedono un necessario intervento legislativo è assolutamente da scartare tuttavia proprio la più facile, l’ultima: quella che riconosce allo Stato la possibilità di delegare con legge ordinaria parte della propria potestà legislativa alle Regioni nelle materie di propria esclusiva competenza. Ritenere abilitata la legislazione statale ordinaria a “inventare” una potestà legislativa regionale attuativa non prevista dalla Costituzione è infatti illegittimo, improvvido e inutile:
- E’ illegittimo perché, dimenticando la solida lezione di Vezio Crisafulli, propone di ammettere che la legge ordinaria crei una fonte concorrenziale a sé medesima sul piano delle fonti primarie e lo fa, inoltre, non ostante che l’art. 117, comma 4, chiaramente parli della legislazione esclusiva dello Stato come di una potestà ad esso “riservata” (e dunque non delegabile).
- E’ improvvido per gli effetti conseguenti e non voluti che potrebbe determinare. Da un lato, infatti, si rischia che, così interpretando, le fonti primarie del nostro ordinamento non possano essere più considerate un numerus clausus ma liberamente moltiplicabili dalla stessa legge ordinaria. Da un altro lato, inoltre, se si ritiene che il fondamento costituzionale di questa potestà legislativa regionale di tipo “attuativo” possa essere ricavato per implicito, viene meno il principale argomento portato contro l’ammissibilità degli atti regionali aventi forza di legge: fin qui negati perché manca un’espressa previsione costituzionale ma pur implicitamente ammissibili sulla base della formulazione dell’art. 134 (che parla di “atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni”).
- E’ inutile perché, come detto, non è affatto necessario che un’eventuale attuazione con legge ordinaria debba qualificare come “delega” la ricognizione dei poteri legislativi che residuano in capo alle Regioni in base al nuovo testo della Costituzione. Pur ammettendo, infatti, che dopo la riforma del titolo V siano stati sottratti alle Regioni tutti gli ambiti di disciplina sostanziale della materia ambientale (anche in via accessoria alla disciplina di materie connesse di competenza concorrente o esclusiva delle Regioni) - ed io non ne convengo -, tuttavia, dal combinato disposto dell’art. 117, comma 1, lettera s), che riserva alla legislazione dello Stato la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, della seguente lett. p), che riserva allo Stato la determinazione delle (sole) funzioni fondamentali degli enti locali, e del successivo comma 4 del medesimo articolo, che assegna alle Regioni la potestà legislativa residuale-esclusiva con riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato, se ne può ricavare che alle Regioni spetti comunque l’esercizio della propria potestà legislativa in materia d’organizzazione delle funzioni amministrative (nello specifico: ambientali) nel rispetto dei principi di cui al primo comma dell’art. 118 (sussidiarietà, adeguatezza, differenziazione).
Si può ritenere pertanto che, nella misura in cui lo Stato si auto-limiti a individuare le sole funzioni amministrative fondamentali degli enti locali anche in questa materia di propria competenza esclusiva, la legislazione regionale - fatta salva la disciplina sostanziale volta alla tutela diretta degli equilibri ecologici - potrebbe legittimamente intervenire, automaticamente e senza alcun bisogno di una delega formale, a disciplinare l’organizzazione delle funzioni amministrative in ambito regionale direttamente in base a quanto previsto dall’art. 117, comma 4, e dall’art. 118, comma 2.
Per andare al concreto, è dunque alla luce di quanto detto che va letto il d.d.l. n. 1798/AC, presentato dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio per dare avvio, mediante delega al Governo, al riordino, coordinamento e integrazione della legislazione in materia ambientale. Laddove, pertanto, tra i principi della delega si pone la “riaffermazione del ruolo delle Regioni, sia in termini legislativi che amministrativi” si può e credo che si debba leggere tale principio come autorizzazione ad una legittima attività di ricognizione di quanto, a prescindere da qualunque delegazione legislativa alle Regioni (di cui peraltro non vi è qui, ancora, alcuna traccia o sentore), debba essere riordinato nell’ambito della competenza legislativa riservata allo Stato e di quanto (anche alla luce dei richiamati principi d’interconnessione delle normative di settore e d’integrazione degli ordinamenti) possa essere lasciato all’automatico intervento legislativo residuale delle Regioni (come poteri impliciti connessi alle materie di competenza regionale e come potere generale d’organizzazione delle funzioni amministrative a livello regionale).
Riferimenti bibliografici:
CARAVITA, Beniamino, La costituzione dopo la riforma del Titolo V, Giappichelli, Torino, 2002, pp. 74-76.
CECCHETTI, Marcello, L’ambiente tra fonti statali e fonti regionali alla luce della riforma costituzionale del Titolo V, in De Siervo (a cura di), Osservatorio sulle fonti 2001, Giappichelli, Torino, 2002, p. 297 ss.
CRISAFULLI, Vezio, Lezioni di diritto costituzionale, II, CEDAM, Padova, 1984.
D’ATENA, Antonio, Statuti regionali e disciplina delle fonti: tre domande, in forum di “Quaderni costituzionali” (11 marzo 2002), www.unife.it/forumcostituzionale.
FERRARA, Antonio, La “materia ambiente” nel testo di riforma del Titolo V, in AAVV, Problemi del federalismo, Giuffrè, Milano, 2001, p. 185 ss. (anche in www.federalismi.it).
GRASSI, Stefano, Nuove prospettive per il riordino della normativa a tutela dell’ambiente dopo la riforma del Titolo V della costituzione, in “Ambiente e sviluppo”, 2001, n. 7, p. 11 ss.
RUGGERI, Antonio, La riforma costituzionale del Titolo V e i problemi della sua attuazione, con specifico riguardo alle dinamiche della normazione ed al piano dei controlli, in forum dell’A.I.C., (14 gennaio 2002), www.associazionedeicostituzionalisti.it, p. 5-6.
Vorrei tornare a fare qualche breve riflessione sulla materia “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema” dopo la riforma del Titolo V della Costituzione perché mi sembra che, ancora una volta, dalla risoluzione dei particolari problemi d’inquadramento di questa materia possano ricavarsi principi d’ordine generale per il nuovo sistema delle fonti delineatosi a seguito della legge costituzionale n. 3 del 2001.
La domanda da porsi è se sia ancora consentito oggi, all’indomani della riforma costituzionale, che le Regioni esercitino poteri di normazione in materia ambientale, e a che titolo possano ancora farlo, visto che questa competenza è espressamente definita esclusiva dello Stato.
La risposta che tutti unanimemente danno è positiva, ma sono cinque le soluzioni proposte o astrattamente ipotizzabili che lo consentono:
1. La correzione e integrazione delle modifiche apportate alla Costituzione dalla legge cost. n. 3 del 2001 con l’approvazione di un’apposita nuova legge di revisione costituzionale (B. Caravita). Soluzione già annunciata dalla nuova maggioranza con riferimento, ad esempio, al progetto sulla c.d. devolution del ministro Bossi.
2. L’attivazione dello speciale procedimento legislativo adesso previsto dall’art. 116, comma terzo, della Costituzione, con attribuzione della potestà legislativa in questa materia a tutte le Regioni (o solo ad alcune di esse).
3. Il riconoscimento, sul piano della disciplina sostanziale, di poteri impliciti regionali riconducibili alle materie di competenza concorrente (governo del territorio, tutela della salute e valorizzazione dei beni ambientali, rispetto alle quali i siffatti poteri sono storicamente, implicitamente, emersi) ed innominata-residuale (caccia, pesca, agricoltura, ecc.) (A. Ferrara) o, quantomeno, dell’ammissibilità di una potestà legislativa regionale residuale operante nelle stesse materie di competenza esclusiva dello Stato per quanto riguarda i poteri di organizzazione delle funzioni amministrative, ad eccezione della determinazione delle funzioni fondamentali degli enti locali (ipotesi interpretativa espressamente presa in considerazione da Antonio Ruggeri).
4. La delega alle Regioni della potestà regolamentare attuativa sulla base di quanto disposto dall’art. 117, comma 6. Soluzione praticabile, tuttavia, solo per la disciplina di quanto non sia oggetto di riserva assoluta di legge (A. Ruggeri).
A rafforzare quest’ipotesi ci sarebbe la possibilità che le stesse Regioni, nella disciplina delle fonti normative regionali nei loro nuovi statuti, possano prevedere il riconoscimento di una potestà regolamentare anche in capo ai Consigli e non esclusivamente in capo alla Giunta, quantomeno – come in questo caso – con riferimento alle materie di competenza esclusiva dello Stato, qualora vi sia la delega prevista dal sesto comma dell’articolo 117. Riterrei questa una soluzione senz’altro praticabile, anche se è ancora dubbio che, dopo la legge costituzionale 1 del 1999, gli statuti regionali possano riconoscere una potestà regolamentare in capo ai Consigli e non soltanto in capo alla Giunta (di recente, si è espresso favorevolmente a questa opinione Antonio D’Atena). Con questa soluzione, inoltre, si realizzerebbe – in qualche modo - un ritorno allo spirito originario della Costituzione del 1948: è vero infatti che nel precedente ordinamento costituzionale la potestà attuativa fu interpretata come una normazione di tipo legislativo ma è anche vero che la Costituzione non l’indicava espressamente come potestà legislativa e, se andiamo a vedere il dibattito dell’Assemblea costituente, probabilmente l’intenzione fu di riconoscere un potere normativo di natura regolamentare in capo ai Consigli.
5. La delega alle Regioni con legge ordinaria dello Stato di una potestà legislativa attuativa, pur non espressamente prevista dall’attuale testo della Costituzione (S. Grassi, M. Cecchetti).
Queste sono le cinque soluzioni astrattamente ipotizzabili, di cui quattro richiedono la necessità di un intervento legislativo (costituzionale, speciale ex art. 116, ordinario di delegificazione o di delegazione legislativa), con grado decrescente di complessità procedimentale e di concreta praticabilità, ed una sola - la terza - è immediatamente operativa, avendo la legge eventualmente solo funzione di ricognizione. Delle soluzioni che richiedono un necessario intervento legislativo è assolutamente da scartare tuttavia proprio la più facile, l’ultima: quella che riconosce allo Stato la possibilità di delegare con legge ordinaria parte della propria potestà legislativa alle Regioni nelle materie di propria esclusiva competenza. Ritenere abilitata la legislazione statale ordinaria a “inventare” una potestà legislativa regionale attuativa non prevista dalla Costituzione è infatti illegittimo, improvvido e inutile:
- E’ illegittimo perché, dimenticando la solida lezione di Vezio Crisafulli, propone di ammettere che la legge ordinaria crei una fonte concorrenziale a sé medesima sul piano delle fonti primarie e lo fa, inoltre, non ostante che l’art. 117, comma 4, chiaramente parli della legislazione esclusiva dello Stato come di una potestà ad esso “riservata” (e dunque non delegabile).
- E’ improvvido per gli effetti conseguenti e non voluti che potrebbe determinare. Da un lato, infatti, si rischia che, così interpretando, le fonti primarie del nostro ordinamento non possano essere più considerate un numerus clausus ma liberamente moltiplicabili dalla stessa legge ordinaria. Da un altro lato, inoltre, se si ritiene che il fondamento costituzionale di questa potestà legislativa regionale di tipo “attuativo” possa essere ricavato per implicito, viene meno il principale argomento portato contro l’ammissibilità degli atti regionali aventi forza di legge: fin qui negati perché manca un’espressa previsione costituzionale ma pur implicitamente ammissibili sulla base della formulazione dell’art. 134 (che parla di “atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni”).
- E’ inutile perché, come detto, non è affatto necessario che un’eventuale attuazione con legge ordinaria debba qualificare come “delega” la ricognizione dei poteri legislativi che residuano in capo alle Regioni in base al nuovo testo della Costituzione. Pur ammettendo, infatti, che dopo la riforma del titolo V siano stati sottratti alle Regioni tutti gli ambiti di disciplina sostanziale della materia ambientale (anche in via accessoria alla disciplina di materie connesse di competenza concorrente o esclusiva delle Regioni) - ed io non ne convengo -, tuttavia, dal combinato disposto dell’art. 117, comma 1, lettera s), che riserva alla legislazione dello Stato la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, della seguente lett. p), che riserva allo Stato la determinazione delle (sole) funzioni fondamentali degli enti locali, e del successivo comma 4 del medesimo articolo, che assegna alle Regioni la potestà legislativa residuale-esclusiva con riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato, se ne può ricavare che alle Regioni spetti comunque l’esercizio della propria potestà legislativa in materia d’organizzazione delle funzioni amministrative (nello specifico: ambientali) nel rispetto dei principi di cui al primo comma dell’art. 118 (sussidiarietà, adeguatezza, differenziazione).
Si può ritenere pertanto che, nella misura in cui lo Stato si auto-limiti a individuare le sole funzioni amministrative fondamentali degli enti locali anche in questa materia di propria competenza esclusiva, la legislazione regionale - fatta salva la disciplina sostanziale volta alla tutela diretta degli equilibri ecologici - potrebbe legittimamente intervenire, automaticamente e senza alcun bisogno di una delega formale, a disciplinare l’organizzazione delle funzioni amministrative in ambito regionale direttamente in base a quanto previsto dall’art. 117, comma 4, e dall’art. 118, comma 2.
Per andare al concreto, è dunque alla luce di quanto detto che va letto il d.d.l. n. 1798/AC, presentato dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio per dare avvio, mediante delega al Governo, al riordino, coordinamento e integrazione della legislazione in materia ambientale. Laddove, pertanto, tra i principi della delega si pone la “riaffermazione del ruolo delle Regioni, sia in termini legislativi che amministrativi” si può e credo che si debba leggere tale principio come autorizzazione ad una legittima attività di ricognizione di quanto, a prescindere da qualunque delegazione legislativa alle Regioni (di cui peraltro non vi è qui, ancora, alcuna traccia o sentore), debba essere riordinato nell’ambito della competenza legislativa riservata allo Stato e di quanto (anche alla luce dei richiamati principi d’interconnessione delle normative di settore e d’integrazione degli ordinamenti) possa essere lasciato all’automatico intervento legislativo residuale delle Regioni (come poteri impliciti connessi alle materie di competenza regionale e come potere generale d’organizzazione delle funzioni amministrative a livello regionale).
Riferimenti bibliografici:
CARAVITA, Beniamino, La costituzione dopo la riforma del Titolo V, Giappichelli, Torino, 2002, pp. 74-76.
CECCHETTI, Marcello, L’ambiente tra fonti statali e fonti regionali alla luce della riforma costituzionale del Titolo V, in De Siervo (a cura di), Osservatorio sulle fonti 2001, Giappichelli, Torino, 2002, p. 297 ss.
CRISAFULLI, Vezio, Lezioni di diritto costituzionale, II, CEDAM, Padova, 1984.
D’ATENA, Antonio, Statuti regionali e disciplina delle fonti: tre domande, in forum di “Quaderni costituzionali” (11 marzo 2002), www.unife.it/forumcostituzionale.
FERRARA, Antonio, La “materia ambiente” nel testo di riforma del Titolo V, in AAVV, Problemi del federalismo, Giuffrè, Milano, 2001, p. 185 ss. (anche in www.federalismi.it).
GRASSI, Stefano, Nuove prospettive per il riordino della normativa a tutela dell’ambiente dopo la riforma del Titolo V della costituzione, in “Ambiente e sviluppo”, 2001, n. 7, p. 11 ss.
RUGGERI, Antonio, La riforma costituzionale del Titolo V e i problemi della sua attuazione, con specifico riguardo alle dinamiche della normazione ed al piano dei controlli, in forum dell’A.I.C., (14 gennaio 2002), www.associazionedeicostituzionalisti.it, p. 5-6.