Antonio FERRARA, L'attuazione della riforma (Febbraio 2007)
Lo studio costituisce il capitolo II del Quarto Rapporto annuale sullo stato del regionalismo in Italia, Milano, Giuffrè, 2007.
SOMMARIO:
Solo all’inizio del terzo anno della XIV legislatura (1) è stata promulgata la legge 5 giugno 2003, n. 131 (c.d. legge La Loggia), che ha previsto un complesso disegno di adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. Per l’attuazione di competenza statale si distinguono, in particolare, quattro diversi strumenti: la diretta attuazione, il ricorso alla delegazione legislativa, il rinvio a normative successive (2) e la non-attuazione (3).
Ci soffermeremo qui sull’esercizio deleghe legislative per la ricognizione dei principi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti nelle materie attribuite alla potestà legislativa concorrente e per l’individuazione delle funzioni fondamentali essenziali per il funzionamento di comuni, province e città metropolitane, rinviando per il resto alle osservazioni già formulate nel nostro secondo Rapporto (4).
Secondo l’art. 117, co. 3, Cost. nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. In attuazione di tale disposizione l’art. 1, co. 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131 aveva previsto che in sede di prima applicazione, per orientare l’iniziativa legislativa dello Stato e delle Regioni fino all’entrata in vigore delle leggi con le quali il Parlamento definirà i nuovi principi fondamentali, il Governo fosse delegato a adottare, entro i termini tassativi che abbiamo già visto, uno o più decreti legislativi meramente ricognitivi dei principi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti (5).
Per l’approvazione dei decreti legislativi era previsto un procedimento speciale che - per garantire i rispettivi ruoli istituzionali delle Regioni e del Parlamento - prevedeva che, sia sugli schemi preliminari sia sui testi successivi degli stessi, fosse acquisito il parere della Conferenza Stato-Regioni e della Commissione parlamentare per le questioni regionali (6). In seguito al parere parlamentare definitivo, il Governo, qualora non vi fosse conformità con le “indicazioni” ivi contenute (7), avrebbe dovuto trasmettere ai presidenti delle Camere e al presidente della Commissione parlamentare per le questioni regionali una relazione nella quale fossero indicate le specifiche motivazioni di difformità dal parere stesso.
Il decreto legislativo di ricognizione dei principi fondamentali in materia di “professioni” è il primo dei tre provvedimenti di attuazione della delega legislativa prevista dalla legge La Loggia che è stato emanato prima della scadenza del termine per il suo esercizio. Il testo si compone di sette articoli che ne delimitano l’ambito di applicazione e individuano i principi fondamentali della materia.
Il complesso iter del provvedimento ha avuto formale avvio, dopo la fase istruttoria, con l’approvazione preliminare del Consiglio dei ministri del 7 maggio 2004, cui ha fatto seguito il parere della Conferenza Stato-Regioni del 15 luglio 2004 e delle competenti commissioni parlamentari (8). Le principali osservazioni e richieste di emendamento hanno manifestato la necessità di tener conto della sentenza della Corte costituzionale 28 luglio 2004, n. 280 (9), riformulando il provvedimento senza più individuare espressamente le materie o sub-materie che spettano alla competenza esclusiva statale (10). A seguito delle conseguenti correzioni il Consiglio dei ministri ha adottato una nuova deliberazione preliminare nella seduta del 24 giugno 2005, cui sono seguiti il parere informale dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (del 13 luglio 2005) (11) e i pareri definitivi della Conferenza Stato-Regioni del 15 settembre 2005, che ha formulato un parere negativo salvo l’accoglimento di emendamenti (12), e della Commissione parlamentare per le questioni regionali (13). La definitiva deliberazione del provvedimento è avvenuta nella riunione del Consiglio dei ministri del 2 dicembre 2005.
Dal decreto legislativo si ricava, sia pure indirettamente, un’individuazione dell’oggetto della materia che presuppone dalla legislazione vigente, pur senza enunciarla, una definizione ampia della nozione di “professioni” che comprende – oltre l’ambito, del tutto nuovo per le regioni, delle tradizionali professioni intellettuali (14) – anche una serie di attività già oggetto della vecchia legislazione concorrente, come ad es. le professioni turistiche (15) e le professioni artigiane (16).
Non rientrano nell’ambito di applicazione di questo decreto, tuttavia, in quanto spettanti alla legislazione esclusiva dello Stato (17), la formazione professionale universitaria, la disciplina dell’esame di Stato previsto per l’esercizio delle professioni intellettuali, i titoli e le abilitazioni richiesti per l’esercizio professionale, l’ordinamento e l’organizzazione degli ordini e dei collegi professionali, gli albi, i registri, gli elenchi o i ruoli nazionali previsti a tutela dell’affidamento del pubblico, la rilevanza civile e penale dei titoli professionali e il riconoscimento e l’equipollenza, ai fini dell’accesso alle professioni, di quelli conseguiti all’estero.
Sull’incerta questione del possibile riconoscimento di una qualche funzione alla legislazione regionale in materia di organizzazione degli ordini e dei collegi professionali, a tagliare ogni dubbio è intervenuta – durante la fase finale dell’iter di approvazione del decreto – la sentenza della Corte costituzionale 24 ottobre 2005, n. 405 che ha chiaramente affermato che “la vigente normazione riguardante gli Ordini e i Collegi risponde all’esigenza di tutelare un rilevante interesse pubblico la cui unitaria salvaguardia richiede che sia lo Stato a prevedere specifici requisiti di accesso e ad istituire appositi enti pubblici ad appartenenza necessaria, cui affidare il compito di curare la tenuta degli albi nonché di controllare il possesso e la permanenza dei requisiti in capo a coloro che sono già iscritti o che aspirino ad iscriversi. Ciò è, infatti, finalizzato a garantire il corretto esercizio della professione a tutela dell’affidamento della collettività.”. Conseguentemente, prosegue la Corte, “dalla dimensione nazionale – e non locale – dell’interesse sotteso e dalla sua infrazionabilità deriva che ad essere implicata sia la materia ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali, che l’art. 117, secondo comma, lettera g), della Costituzione riserva alla competenza esclusiva dello Stato, piuttosto che la materia professioni” di competenza concorrente (18).
Il decreto dichiara inoltre che “la potestà legislativa regionale si esercita sulle professioni individuate e definite dalla normativa statale”. Si fa qui ricognizione di un principio fondamentale, tratto da una giurisprudenza costituzionale recentissima ma ormai consolidata, secondo il quale l’individuazione delle attività professionali è riservata allo Stato (19). Sebbene lo spazio per la disciplina legislativa regionale sia dunque assai ridotto, è interessante notare, tuttavia, che in un provvedimento legislativo, quasi coevo, recante disposizioni in materia di professioni sanitarie (legge 1 febbraio 2006, n. 43) è previsto quantomeno, in ossequio al principio di leale collaborazione, che l’individuazione di nuove professioni sanitarie sia effettuata, nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalla legge, mediante uno o più accordi, sanciti in sede di Conferenza Stato-Regioni e recepiti con decreti del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri.
Per quanto riguarda infine i principi fondamentali della materia, nel decreto n. 30 sono individuati in forma breve, in particolare, quelli della libertà professionale, della non discriminazione, della concorrenza e del libero mercato, del rispetto di livelli standard di preparazione professionale e dei requisiti di accesso alle professioni fissati dalla legge dello Stato, della tutela della buona fede e dell’affidamento del pubblico e della clientela nonché dell’ampliamento e della specializzazione dell’offerta professionale. Sono fatti salvi, inoltre, i principi fondamentali riguardanti specificamente le singole professioni (20).
1.1.1.2. Il decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 170 in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici
L’emanazione e la pubblicazione (21) del decreto legislativo di ricognizione dei principi fondamentali in materia di “armonizzazione dei bilanci pubblici” ha concluso lo speciale procedimento di formazione previsto dalla legge c.d. La Loggia. Dopo una prima fase istruttoria - che ha lasciato una traccia documentabile nel parere delle sezioni riunite della Corte dei conti (22) - il formale avvio dell’iter si è avuto con la deliberazione preliminare dello schema di decreto nel Consiglio dei ministri del 29 luglio 2005. Il testo si compone di 32 articoli recanti i principi per l’armonizzazione dei bilanci pubblici (capo I, artt. 1-2) (23), i principi per l’armonizzazione dei bilanci regionali (capo II, artt. 3-12) (24) e i principi per l’armonizzazione dei bilanci degli enti locali (capo III, artt. 13-32) (25).
Il parere preliminare espresso dalla Conferenza Stato-Regioni (il 24 novembre 2005) è negativo. Lamentano le regioni, in particolare, che la ricognizione dei principi fondamentali in questa materia sia del tutto scollegata da quella concernente il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Censurano inoltre l’assenza di una clausola di salvaguardia dell’autonomia delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano e la presenza di diverse norme innovative (quale ad es. l’introduzione del c.d. budget economico nella contabilità regionale (26) e del principio della confrontabilità del bilancio) o di dettaglio (come in particolare il capo dedicato all’armonizzazione dei bilanci degli enti locali che pone numerose regole minute di contabilità).
Osservazioni parzialmente analoghe sono formulate nei pareri (favorevoli) delle competenti commissioni delle due camere e della commissione parlamentare per le questioni regionali (27). La Camera dei Deputati, in particolare, ha ritenuto di effettuare, nell’ambito dell’esame del provvedimento, audizioni informali della Ragioneria generale dello Stato e della Corte dei conti (28), nonché dell’ISTAT (29) e della Conferenza dei Presidenti delle regioni e delle province autonome (30).
A seguito di una nuova stesura dello schema di decreto - che prevede la clausola di salvaguardia dell’autonomia delle Regioni a Statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano e che rende più snelle le disposizioni relative ai bilanci degli Enti locali - il Consiglio dei ministri ha adottato una nuova deliberazione preliminare nella riunione del 2 marzo 2006, cui sono seguiti i pareri definitivi della Conferenza Stato-Regioni del 16 marzo 2006, che ha formulato parere negativo salvo l’accoglimento di emendamenti (31), e della Commissione parlamentare per le questioni regionali (32). La definitiva deliberazione del provvedimento è adottata nella riunione del Consiglio dei ministri del 16 marzo 2006. La stesura definitiva del decreto accoglie i principali emendamenti richiesti dalle regioni volti ad eliminare la previsione del c.d. budget economico nel quale evidenziare i costi e i proventi della gestione, ritenuta innovativa e dunque lesiva delle competenze regionali in materia di bilancio e contabilità.
Il decreto legislativo di ricognizione dei principi fondamentali in materia di “casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale, enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale” (33) è il terzo ed ultimo ad essere stato emanato prima della fine della legislatura (27 aprile 2006) e del termine previsto dalla legge di delegazione (11 giugno 2006).
Esaurita la prima fase istruttoria, il complesso procedimento previsto dalla legge La Loggia è stato avviato dalla preliminare deliberazione dello schema di decreto da parte del Consiglio dei ministri del 29 luglio 2005. Il testo si compone di tre articoli che ne individuano l’ambito di applicazione e i principi fondamentali della materia.
Il parere preliminare espresso dalla Conferenza Stato-Regioni (24 novembre 2005) è negativo. Lamentano le regioni che la definizione della materia, così come individuata dallo schema, non può trarsi dalle leggi vigenti (ed in particolare dal testo unico in materia bancaria e creditizia) e va al di là di una mera attività di ricognizione. L’innovativa nozione di “banca a carattere regionale” è peraltro fortemente restrittiva della potestà concorrente delle regioni. Si propone, di conseguenza, l’adozione di un criterio di localizzazione regionale dell’attività aziendale più flessibile per quanto concerne il radicamento territoriale, che preveda un criterio di prevalenza dell’attività in ambito regionale anziché quello della totale localizzazione in territorio regionale delle strutture e dell’operatività della singola banca o di tutte le componenti bancarie dell’eventuale gruppo bancario.
Nei pareri favorevoli delle commissioni finanze di Camera e Senato sono formulate alcune limitate osservazioni di scarso rilievo sostanziale (34). La Commissione parlamentare per le questioni regionali, nel suo parere favorevole, esprime invece osservazioni che invitano il Governo a valutare l’opportunità di modificare o sopprimere ben sette dei dieci commi, in cui complessivamente si ripartiscono le disposizioni normative dello schema di decreto, in considerazione del carattere innovativo della nozione di banca a carattere regionale (o per altre ragioni connesse o secondarie) (35).
In conseguenza di alcune correzioni al testo originario, il Consiglio dei ministri approva una nuova deliberazione preliminare dello schema di decreto nella riunione del 17 febbraio 2006. Nella Conferenza Stato-Regioni del 1 marzo 2006, riunita per il parere definitivo sul provvedimento, le regioni annunciano di essersi determinate a ribadire il parere non favorevole per la ragione fondamentale che non risulta modificata la definizione di banca a carattere regionale. Il Governo, a questo punto, propone una modifica a detta definizione tendente ad utilizzare, in luogo del concetto di prevalenza dell’attività in ambito regionale richiesto dalle regioni, quello inverso dell’operatività marginale al di fuori del territorio della regione (36). Le regioni, ritenuto di accogliere la proposta del Governo, esprimono allora parere favorevole sul testo del provvedimento, così come ulteriormente modificato.
Acquisito il parere definitivo anche della Commissione parlamentare per le questioni regionali (37), il Consiglio dei ministri adotta la definitiva deliberazione del provvedimento nella riunione del 29 marzo 2006.
Oltre ai tre decreti effettivamente emanati e su cui ci siamo già soffermati, in attuazione della medesima delega conferita dalla legge La Loggia, il Consiglio dei ministri del 22 dicembre 2005 ha approvato in via preliminare, anche, lo schema di decreto legislativo di ricognizione dei principi fondamentali desunti dalla legislazione vigente in materia di governo del territorio. Si tratta di un testo pesante, composto di ben 92 articoli, il cui ambito di applicazione comprende i settori dell’urbanistica, dell’edilizia, dell’edilizia residenziale pubblica, dei lavori pubblici e dell’espropriazione per pubblica utilità.
Le regioni, nel parere preliminare espresso dalla Conferenza Stato-Regioni del 9 febbraio 2006, formulano un giudizio “fortemente negativo”. Esse contestano, in particolare, il contenuto molto dettagliato della ricognizione normativa, che si propone più come un testo unico che come una legge di principi (38), e l’individuazione della materia che se ne ricava, la quale, da una parte, appare riduttiva a causa dell’esclusione degli aspetti di tutela, valorizzazione e infrastrutturazione del territorio (39) e, da un’altra, comprende l’edilizia residenziale pubblica che è ritenuta dalle regioni materia di propria competenza esclusiva.
Successivamente a questa prima fase consultiva (40) il procedimento non ha registrato ulteriori stadi di avanzamento, gli atti prodotti sono decaduti per fine legislatura e il termine per l’esercizio della delegazione legislativa è definitivamente scaduto.
1.1.1.5. L’attuazione della delegazione legislativa per la ricognizione dei principi fondamentali: un bilancio
Si può, dunque, formulare un bilancio sull’attuazione della legge di delegazione che è, in tutta evidenza, pesantemente negativo. Solo per tre delle venti materie di competenza concorrente enumerate dall’art. 117, co. 3, Cost. (41) sono stati emanati, infatti, i decreti legislativi di ricognizione dei principi fondamentali che si ricavano dalla legislazione vigente. Ciò dà un tasso di realizzazione della delega che, rappresentato in termini freddamente numerici, è pari al solo 15%. Il dato è però persino più deludente se si va a ponderare il peso relativo delle diverse materie di cui si è fatta la ricognizione dei principi. Queste infatti – un volta accantonato il “governo del territorio” – sono o del tutto marginali o comunque di rilievo piuttosto limitato. L’unica parziale eccezione è rappresentata dalla materia delle “professioni” la quale tocca, almeno potenzialmente, interessi assai rilevanti nel settore dello sviluppo economico e delle attività produttive.
A determinare questo così modesto risultato hanno concorso due fattori. Da una parte è accaduto che la sentenza della Corte costituzionale n. 280/04 ha fatto venir meno la possibilità della definizione delle materie (42), eliminando la ragione di maggior sostanza e il principale stimolo per percorrere, fino in fondo e con convinzione, un così complesso procedimento di mera ricognizione normativa; mentre, d’altra parte, l’indirizzo politico della XIV legislatura, dopo qualche incertezza iniziale, si è decisamente orientato nella direzione della “riforma della riforma” – da portare a compimento nel quadro di un accordo di maggioranza per una più ampia riforma della seconda parte della Costituzione – piuttosto che in quella dell’attuazione della precedente legge di revisione del Titolo V, approvata dalla vecchia maggioranza politica e confermata dal referendum costituzionale del 2001.
La mancata conferma popolare (43) della nuova legge di revisione costituzionale approvata dal Parlamento il 16 novembre del 2005 ha determinato, pertanto, che nella legislatura 2001-2006 non si sia riuscito a portare a compimento né la nuova grande riforma e, in grandissima misura, nemmeno l’attuazione della riforma già in essere.
Sebbene il bilancio dell’intera legislatura sia così modesto sul piano della realizzazione dei risultati attesi, sono da registrare, tuttavia, due dati comunque positivi. L’elaborazione, da un lato, di un modello di legge di principi (diverso rispetto alle leggi-quadro del vecchio ordinamento regionale) che potrebbe rappresentare un utile punto di riferimento per il futuro legislatore e la sperimentazione, dall’altro, di un procedimento di formazione dell’atto legislativo, affatto peculiare, nell’ambito del quale il peso della rappresentanza istituzionale delle regioni è risultato forte e determinante.
Per quanto riguarda il primo aspetto, appare già di rilievo quanto si ricava dal semplice dato numerico. Nei decreti ricognitivi dei principi fondamentali, la media del totale delle unità dispositive elementari (i commi) e del numero complessivo dei caratteri di cui si compongono i singoli provvedimenti è sensibilmente più ridotta degli stessi indicatori dimensionali delle leggi-quadro nel precedente ordinamento regionale (rispettivamente, circa -30% e -62%) (44). Si tratta di atti, dunque, che hanno un numero di disposizioni decisamente minore e molto più brevi.
Questo esame comparato, fatto tra atti legislativi senz’altro assimilabili per tipologia normativa (individuazione dei principi fondamentali delle materie di competenza concorrente) ma incidenti in materie affatto diverse, non consente ovviamente il diretto confronto dei testi normativi e può dare soltanto un’impressione di carattere generale. Si tratta in ogni caso di un dato che vale la pena di rilevare, anche perché quest’impressione risulta ancora più netta se il confronto è fatto tenendo conto dei soli decreti di ricognizione dei principi fondamentali di materie nuove per le regioni (“professioni” e “banche a carattere regionale”) (45). In questo caso, infatti, il legislatore delegato ha potuto compiere un’opera di estrazione dei principi in assenza di preesistenti auto-qualificazioni legislative e di atti di ripartizione delle competenze, che laddove presenti, invece, hanno evidentemente indotto a individuare e riproporre la normativa rilevante in maniera più meccanica e con un minor sforzo di selezione di principi su base logica (46).
Se l’obiezione principale delle regioni sugli schemi di ricognizione dei principi in materia di “governo del territorio” e “armonizzazione dei bilanci pubblici” ha riguardato la struttura molto dettagliata dell’intero atto, nel primo caso, o di alcune sue parti, nel secondo, per le “professioni” e le “banche a carattere regionale” la ragione del contendere ha riguardato essenzialmente l’individuazione dell’oggetto della materia. Appare assai eloquente in proposito che le regioni, per quanto riguarda la ricognizione dei principi in materia di professioni, abbiano addirittura potuto lamentare che quelli proposti dallo schema di decreto fossero tanto generali da non poter essere di effettivo ausilio ed utilità alla successiva attività legislativa delle Regioni (47).
Per quanto riguarda invece il procedimento di formazione di questi speciali provvedimenti, il peso dei pareri espressi dalla rappresentanza istituzionale delle regioni in seno alla Conferenza Stato-Regioni è sempre risultato di particolare rilievo e ha inciso significativamente sulla sorte o sul contenuto dei provvedimenti ricognitivi della normativa di principio. Nel caso del “governo del territorio” al giudizio fortemente negativo manifestato dalle regioni – come abbiamo visto – ha fatto addirittura seguito la sospensione del procedimento; per i provvedimenti che hanno effettivamente visto la luce, invece, il grado di accoglimento, almeno parziale, delle osservazioni e delle proposte di emendamento complessivamente presentate dalle regioni sui vari atti è stato in media del 71% (48): nel decreto relativo alle “professioni” su sedici richieste di modifica ne sono state accolte dieci (49); per le “banche a carattere regionale” le cinque richieste sono state tutte soddisfatte (50); in materia di “armonizzazione dei bilanci pubblici” hanno ricevuto un riscontro positivo cinque delle sette osservazioni (51). Si tratta ovviamente, anche in questo caso, di un dato freddamente numerico che non tiene conto né del peso relativo né della fondatezza dei singoli rilievi, ma che ci consente, comunque, di rilevare un dato di tendenza evidente e senz’altro positivo per quanto concerne il livello di influenza che le regioni hanno effettivamente svolto nel concreto procedimento di individuazione dei principi delle materie.
Il legislatore di “adeguamento” – così come intervenuto nella XIV legislatura – non ha ritenuto, in linea generale, di dettare norme per l’attuazione della disposizione costituzionale che individua le materie di competenza esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma). Il caso della materia “legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane” (lett. p) rappresenta l’unica eccezione. L’art. 2 di detta legge, infatti, integrando il testo costituzionale, definisce come “fondamentali” le funzioni “essenziali per il funzionamento” degli enti locali richiamati dalla disposizione costituzionale “nonché per il soddisfacimento di bisogni primari delle comunità di riferimento”. Dopo la sentenza della Corte cost. n. 280/04 (52) è quantomeno dubbio che il legislatore statale ordinario abbia il potere di definire preliminarmente l’oggetto della propria competenza. E’ tuttavia sulla base di questa specificazione e nel rispetto dei principi e criteri direttivi fissati dalla legge che il Governo era stato delegato alla “individuazione” di dette funzioni ed anche - “nell’ambito della competenza legislativa dello Stato” - alla revisione delle disposizioni in materia di enti locali (53). Il procedimento di approvazione della decretazione delegata prevedeva, in questo caso, che fosse preventivamente acquisito il parere del Consiglio di Stato, nonché il doppio parere della Conferenza unificata (54) e delle competenti Commissioni parlamentari (sia sugli schemi preliminari che sui testi successivi, con le osservazioni del Governo e le eventuali modificazioni) (55).
Solo il 2 dicembre 2005 il Consiglio dei ministri ha esaminato in via preliminare e approvato, su proposta del Ministro dell’interno (Pisanu), lo schema di decreto legislativo attuativo delle deleghe conferite al Governo dall’art. 2 della legge n. 131 del 2003 (c.d. legge La Loggia) (56). Sebbene tale schema non ha avuto ulteriore seguito prima della scadenza del termine concesso per l’esercizio delle stesse (il 31 dicembre 2005), si ritiene opportuno darne qui brevemente conto a bilancio di quanto concretamente fatto nel corso della XIV legislatura.
Dall’esame di questo schema preliminare si ricava che se, da un lato, alcuni dei principi e criteri direttivi della delega (quelli relativi alla definizione dell’ordinamento della città metropolitana), per la loro rilevanza, ampiezza e genericità, sono stati considerati quasi alla stregua di un ulteriore oggetto-occulto della delega (pur mancante di puntuali criteri direttivi) (57), da un altro lato, viceversa, si è ritenuto di ricomporre lo sdoppiamento dell’oggetto della delega previsto dalla legge n. 131, quanto a individuazione delle funzioni fondamentali (art. 2, co. 1) e quanto alla revisione delle disposizioni in materia di enti locali (art. 2, co. 2). L’oggetto della delega è stato dunque trattato come sostanzialmente unitario, come unitaria è la materia indicata all’art. 117, co. 2, lett. p), della Costituzione.
Per quanto riguarda in particolare la questione dell’individuazione delle funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane, il testo approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri non calca troppo la mano in un’elencazione che - pur intervenendo a salvaguardare le funzioni storicamente già svolte dagli enti locali e a valorizzare i principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione anche nelle materie di competenza legislativa concorrente o residuale delle regioni - evita un’individuazione così dettagliata e specifica che si traduca in un’invasione delle discipline di settore, disconoscendo il ruolo centrale del legislatore (statale o regionale) competente per materia nella disciplina delle funzioni amministrative degli enti locali, salva la loro autonomia normativa.
A riguardo di quest’ultima, lo schema del decreto legislativo interviene – più in particolare – a meglio precisarne l’ambito ai sensi di quanto ora previsto dagli articoli 114, co. 2, e 117, co. 6, della Costituzione che riconoscono le competenze statutarie e regolamentari dei comuni e delle province (58). In attuazione di queste disposizioni l’art. 4 della legge La Loggia definisce i contenuti e regola i rapporti di queste fonti con la normativa statale e regionale, riservando esplicitamente alla competenza regolamentare degli enti locali la disciplina dell’organizzazione, dello svolgimento e della gestione delle funzioni, “nell’ambito della legislazione dello Stato o della Regione, che ne assicura i requisiti minimi di uniformità”. Il testo del decreto approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri, con specifico riferimento all’esercizio delle funzioni fondamentali, prevede inoltre che le leggi statali e regionali “si adeguano al principio della piena responsabilità dell’ente locale nella gestione organica delle proprie attribuzioni e ne valorizzano l’autonomia normativa ed organizzativa” e che la riserva di potestà regolamentare di cui al citato art. 4 comprende le funzioni “affini, presupposte, strumentali e complementari”. Risulta dunque ribadito il ruolo necessariamente svolto dalla legge (statale o regionale) nella regolazione dell’esercizio delle funzioni amministrative (in virtù del principio di legalità dell’azione amministrativa) ma anche chiaramente delimitato a garanzia dell’autonomia degli enti locali (59).
Più calcata è invece la mano con la quale lo schema del decreto legislativo interviene a disconoscere l’esistenza di nuovi poteri ordinamentali delle regioni a seguito della riforma costituzionale del 2001. Infatti, se, da un lato, è stato correttamente ritenuto che la regolazione dei mutamenti territoriali delle circoscrizioni comunali rientri adesso nell’attribuzione legislativa esclusiva-residuale delle regioni, per quanto riguarda, invece, la competenza relativa alla disciplina delle comunità montane e delle forme associative degli enti territoriali locali, questa è stata ritenuta attratta nell’ambito della materia di cui all’art. 117, co. 2, lett. p), che pur espressamente riserva alla legislazione dello Stato esclusivamente l’individuazione delle funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane (né pare evidente quale possa essere il diverso titolo di attribuzione rivendicato in questo caso) (60).
Di sicura competenza del legislatore statale sono invece le norme sugli organi di governo del comune e della provincia, le norme in materia d’incandidabilità, ineleggibilità e incompatibilità, nonché per le disposizioni sullo status degli amministratori degli enti locali (61), cui sono stati apportati solo alcuni limitati aggiustamenti.
In conseguenza dell’eliminazione del sistema dei controlli esterni sugli atti degli enti locali, lo schema di decreto si fa carico d’individuare, inoltre, nuovi meccanismi di verifica dell’imparzialità e del buon andamento dell’amministrazione all’interno degli enti stessi, che vengono a sostanziare la funzione fondamentale di controllo interno (62). A questo fine non si esita ad intervenire direttamente nell’organizzazione amministrativa dell’ente locale, dettando una disciplina organica di un “sistema integrato delle garanzie” che rimodellando e rafforzando l’attuale sistema dei controlli interni dovrà assicurare la regolarità e la correttezza dell’azione amministrativa.
In conclusione dunque, a voler dare un giudizio complessivo, possiamo senz’altro dire di trovarci di fronte ad un testo d’impianto centralista, che – esitante tra un nuovo ordinamento locale di inclinazione regionalista o municipalista – alla fine lascia scarso spazio sia alle Regioni, per i profili ordinamentali non più riservati allo Stato, sia all’autonomia statutaria degli enti locali, per quanto attiene alla loro organizzazione amministrativa. Secondo un simile disegno risulterebbe dunque confermata, in grande misura, pur con i necessari aggiustamenti, la disciplina di carattere generale recata dal vecchio testo unico degli enti locali. In dettaglio, su 274 articoli del vecchio testo unico (non recanti disposizioni di natura transitoria o finale) ne sarebbero sostituiti o modificati 132 (il 48% del complesso normativo), ma il saldo netto tra articoli abrogati e nuovi articoli inseriti sarebbe di sole quattro unità a favore dei primi: il che equivarrebbe ad una riduzione del corpo normativo di base pari al solo 1, 5%.
Dopo l’entrata in vigore della legge 2 luglio 2004, n. 165 (63) e della prima legislazione elettorale regionale (64), si è avuto lo svolgimento delle elezioni regionali dell’aprile 2005 (65) e la soluzione giudiziale di alcune controversie concernenti il nuovo quadro normativo. Vale la pena segnalare, in particolare, la decisione della Corte di cassazione (sent. 25 luglio 2006, n. 16898) che ha risolto il dubbio interpretativo circa la possibilità che, vigente la legge quadro ma in assenza di una disciplina regionale della materia, sia o meno ancora applicabile la vecchia legge n. 154/1981, anche qualora i nuovi principi siano incompatibili con la vecchia disciplina di dettaglio.
La Suprema Corte (66) ha ritenuto che la norma invocata dal ricorrente non potesse essere applicata al caso di specie, concernente una causa d’ineleggibilità, in quanto diretta a regolare l’attività legislativa regionale e non a modificare direttamente la legge n. 154/1981. Pertanto, fino a quando la regione non disciplinerà i casi d’ineleggibilità a consigliere regionale, è sempre applicabile la vecchia normativa statale (67).
In seguito alle elezioni politiche e al referendum costituzionale svoltisi tra la primavera e l’estate del 2006 (68) - che hanno determinato il cambio di maggioranza al governo del Paese e la bocciatura della nuova revisione della seconda parte della Costituzione - si sono cominciate a delineare le nuove linee per l’attuazione della riforma del 2001.
Il nuovo Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali (Linda Lanzillotta) (69) nella presentazione alle camere delle linee programmatiche per l’attività del proprio dipartimento (70), ha subito affermato l’intenzione di dare piena e coerente attuazione al Titolo V della seconda parte della Costituzione – rimettendo al Parlamento l’eventuale auspicabile attività di perfezionamento e correzione della riforma del 2001 (71) – e ha indicato, inoltre, gli obiettivi prioritari dell’iniziativa del suo ministero (72):
- normalizzazione dei rapporti fra Stato e altri livelli istituzionali attraverso la riduzione del conflitto (73) e l’attivazione di efficienti sedi di concertazione politico-istituzionale per la promozione e il coordinamento dell’azione del governo e per la ridefinizione del patto di stabilità e di crescita (74);
- coordinamento e stimolo dell’iniziativa in materia di federalismo fiscale (75);
- attuazione degli articoli 117 e 118 della Costituzione per la definizione delle funzioni degli enti locali e conseguente ridisegno dell’organizzazione locale in relazione alla dimensione ottimale delle stesse (76);
- legge per Roma capitale;
- promozione e coordinamento delle iniziative in materia di semplificazione e organizzazione delle regioni e degli enti locali, nonché per la digitalizzazione dei servizi sul territorio;
- attuazione della sussidiarietà orizzontale a livello locale e adozione di misure volte alla tutela della concorrenza e dei consumatori nella gestione dei servizi locali (77).
A riguardo dell’attuazione del Titolo V sono da segnalare, inoltre, le proposte contenute in un documento unitario della Conferenza delle regioni e province autonome, ANCI, UPI e Uncem (30 novembre 2006). In esso, regioni ed enti locali dichiarano di ritenere che la legislatura debba avere come obiettivo prioritario l’attuazione della riforma costituzionale del 2001, per completare la lunga transizione istituzionale che dura ormai da più di dieci anni. A tal fine esse ritengono che tutte le istituzioni della Repubblica devono definire un nuovo accordo istituzionale indirizzato a delineare le linee direttrici dell’attuazione e un metodo condiviso. Per superare gli ostacoli che, all’indomani della riforma, impedirono all’Intesa interistituzionale sancita nel giugno del 2002 (78) di produrre gli effetti auspicati, le autonomie territoriali chiedono, in particolare, che il contenuto dei provvedimenti attuativi sia sempre oggetto di preventiva intesa.
Secondo questo documento i punti essenziali su cui si dovrà focalizzare l’accordo sono:
- la costituzione delle città metropolitane, secondo un sistema flessibile che tenga conto delle specificità territoriali, e l’ordinamento di Roma capitale;
- la definizione dei principi fondamentali nelle materie di legislazione concorrente, in modo da consentire la piena esplicazione della potestà legislativa delle regioni e di quella regolamentare degli enti locali;
- l’individuazione delle funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane, senza sconfinamento nella disciplina di settore (spettante alle regioni) e nella regolazione delle modalità di esercizio delle funzioni (spettante agli enti locali);
- il conferimento delle funzioni amministrative secondo i criteri di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, evitando sovrapposizioni e duplicazioni di competenze e prevedendo l’istituzione di sedi tecniche qualificate che assicurino l’impulso e il coordinamento all’azione di governo (c.d. cabine di regia);
- l’attuazione del federalismo fiscale, in modo da sostenere l’autonomia di entrata e di spesa di ogni livello di governo rispetto alle funzioni ad esso attribuite;
- il rafforzamento e la ridefinizione dei raccordi tra Stato, regioni e autonomie, attraverso l’integrazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali con i rappresentanti delle autonomie territoriali (79) e il ridisegno delle Conferenze come sede di raccordo tra i diversi livelli di governo (80).
Delle normative regionali di attuazione degli articoli 122 e 123 della Costituzione, così come modificati dalle leggi cost. del 22 novembre 1999, n. 1 e 18 ottobre 2001, n. 3, trattiamo nel capitolo immediatamente successivo. Diamo conto qui, invece, delle leggi e degli altri atti regionali volti alla diretta attuazione o alla prima applicazione delle norme costituzionali modificate dalle citate leggi di revisione costituzionale.
A tal riguardo è da segnalare, in particolare (81), che le giunte regionali della Lombardia e del Veneto hanno recentemente ritenuto di dare avvio, con rispettive deliberazioni, al percorso per il riconoscimento di ulteriori forme e condizioni di autonomia, secondo quanto previsto dall’art. 116.3 Cost. (82). Il procedimento delineato è simile e prevede che il Consiglio regionale elaborerà un testo definitivo sulla base di uno schema predisposto dalla Giunta regionale (83) e sottoposto al parere degli enti locali (84). La proposta così definita costituirà la base di negoziazione con il Governo, per l’eventuale intesa e la successiva legge di approvazione a maggioranza assoluta dei membri delle due Camere.
Entrambe le deliberazioni individuano, inoltre, i principali settori materiali per i quali le due regioni intendono rivendicare una maggiore autonomia a soddisfazione delle istanze espresse dalle rispettive popolazioni (85). Comune è l’interesse manifestato ad assumere nuove competenze nel campo dell’organizzazione della giustizia di pace e della tutela dei beni culturali (che adesso sono materie di esclusiva competenza dello Stato) e nel campo dei rapporti internazionali (86), della tutela della salute, dell’istruzione e della ricerca scientifica e tecnologica (che già sono, invece, materie di competenza ripartita). Appare invece stravagante – anche se comprensibile sul piano della politique politicienne – la richiesta di nuovi poteri in materia di polizia locale. Ciò in quanto la polizia amministrativa locale è già di competenza residuale delle regioni mentre l’ordine pubblico e la sicurezza sono senz’altro esclusi (87) dal menu indicato dall’ultimo comma dell’art. 116 della Costituzione. La sola Lombardia, infine, rivendica maggiori poteri nell’ampio settore materiale che comprende la tutela dell’ambiente, le grandi infrastrutture, gli aeroporti e l’energia.
Si può far notare, a margine di queste iniziative regionali, che, rispetto alla c.d. devolution, cui è mancata la conferma popolare nel referendum costituzionale del giugno 2006, è tornata adesso pienamente percorribile la strada al regionalismo asimmetrico o a due velocità. La legge di riforma costituzionale che era stata approvata in Parlamento sul finire della scorsa legislatura, infatti, intendeva riconoscere a tutte le regioni delle medesime nuove competenze “esclusive” (in materia di sanità, istruzione e polizia locale) (88), integralmente finanziate dalle risorse ordinarie (89), ma allo stesso tempo intendeva abrogare la previsione costituzionale, introdotta dalla riforma del 2001, che ha consentito di disporre la differenziazione delle competenze delle regioni con semplice legge ordinaria (per quanto rafforzata da un complesso procedimento speciale) scegliendole in un elenco di ben ventitrè materie (art. 116, co. 3). Le regioni Lombardia e Veneto, di fronte allo sbarramento del voto popolare a livello nazionale, hanno dunque deciso - all’inizio di una nuova legislatura repubblicana caratterizzata dall’avvento di una maggioranza divenuta disomogenea rispetto a quella al governo in queste due regioni - di dare avvio ad un percorso di devolution à là carte, secondo quanto previsto dalla riforma costituzionale del 2001.
(1) 30 maggio 2001 - 27 aprile 2006.
(2) Per l’attuazione dell’art. 119 Cost. (sull’autonomia finanziaria) non vi è nulla da registrare, per l’attuazione dell’art. 117, co. 5 (partecipazione delle regioni in materia comunitaria) è invece stata approvata la legge 4 febbraio 2005, n. 11, Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari, per la quale si rimanda infra al cap. XIV.
(3) Per quanto riguarda l’art. 116, ult. co., Cost. (che prevede la possibilità dell’attribuzione di forme e condizioni particolari di autonomie alle regioni ordinarie) e l’art. 11 della legge cost. n. 3 del 2001 (che prevede la possibilità dell’integrazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali con rappresentanti delle regioni e degli enti locali).
(4) I termini originariamente fissati all’11 giugno 2004 per l’esercizio di queste deleghe sono stati successivamente prorogati di un anno dalla legge 28 maggio 2004, n. 140 e poi fissati, rispettivamente, all’11 giugno 2006 e al 31 dicembre 2005 dalla legge 27 dicembre 2004, n. 306.
(5) Con la sentenza n. 280 del 28 luglio 2004 la Corte costituzionale si è pronunciata sui ricorsi presentati dalla provincia autonoma di Bolzano e le regioni Sardegna e Val d’Aosta avverso le disposizioni concernenti la delegazione legislativa (art. 1, commi 4, 5 e 6 della l. 131). I giudici della Consulta hanno dichiarato la parziale illegittimità di queste disposizioni ritenendo conforme a Costituzione la delega per la mera ricognizione dei principi già esistenti, purché il Governo la eserciti nella sua lettura minimale e non faccia opera di interpretazione delle materie. Conseguentemente, sono state accolte le questioni di legittimità costituzionale delle disposizioni che avrebbero consentito al legislatore delegato di adottare norme sostanzialmente innovative del sistema legislativo previgente, compiendo una ridefinizione delle materie medesime (Art. 1, commi 5 e 6).
(6) Il parere delle competenti commissioni delle due camere era invece richiesto solo sugli schemi preliminari.
(7) “Gli schemi di decreto legislativo sono esaminati rilevando se in essi non siano indicati alcuni dei principi fondamentali ovvero se vi siano disposizioni che abbiano un contenuto innovativo dei principi fondamentali, e non meramente ricognitivo[…], ovvero si riferiscano a norme vigenti che non abbiano la natura di principio fondamentale” (sempre art. 1, co. 4).
(8) XIV leg., atto del governo n. 399: Camera, Comm. Affari cost. (20 ottobre 2004) e comm. riunite Giustizia e Attività produttive (6 e 27 ottobre e 3, 9 e 10 novembre 2004); Senato, Comm. Giustizia (29 settembre 2004) e comm. riunite Giustizia e Industria (2 e 9 novembre 2004); Commissione parlamentare per le questioni regionali (28 settembre, 27 ottobre e 9 novembre 2004).
(9) Decisione che ha dichiarato illegittima la parte della legge di delega (art. 1, co. 5) che consentiva che “Nei decreti legislativi […] possono essere individuate le disposizioni che riguardano la materia stessa ma che rientrano nella competenza esclusiva dello Stato a norma dell’articolo 117, secondo comma, della Costituzione”.
(10) L’art. 4 della legge 27 dicembre 2004, n. 306 - intervenuta a prorogare di un anno il termine per l’esercizio della delega - ha anche previsto, a seguito della citata sentenza (che aveva reso dubbio di poter dare effettiva attuazione alla delega in mancanza di una previa individuazione della materia), che ciascun decreto indichi “gli ambiti normativi che non vi sono ricompresi”, pur senza poterne più qualificare il diverso titolo di competenza.
(11) V. anche la segnalazione del 16 novembre 2005, relazione sull’attività svolta nel biennio 2004/2005 per la promozione della liberalizzazione dei servizi professionali, punti 55-59.
(12) I principali emendamenti richiesti dalle regioni, che erano volti all’inserimento della definizione di “professione” e ad assicurare che le funzioni relative all’organizzazione degli Ordini e dei Collegi professionali non fossero completamente riservate allo Stato, non sono tuttavia stati accolti.
(13) XIV leg., atto del governo n. 543, parere con osservazioni dell’8 novembre 2005.
(14) v. l.r. Calabria, 26 novembre 2001, n. 27, Costituzione e disciplina della Consulta per la valorizzazione degli Ordini, Collegi, Associazioni professionali; l.r. Lazio, 22 luglio 2002, n. 19, Istituzione della conferenza Regione – Ordini e Collegi professionali; l.r. Lombardia, 14 aprile 2004, n. 7, Consulta regionale degli ordini, collegi e associazioni professionali; l.r. Friuli Venezia Giulia, 22 aprile 2004, n. 13, Interventi in materia di professioni; l.r. Toscana, 28 settembre 2004, n. 50, Disposizioni regionali in materia di libere professioni intellettuali; l.r. Molise, 18 ottobre 2004, n. 19, Costituzione e disciplina della Consulta per la valorizzazione di ordini, collegi ed associazioni professionali; l.r. Basilicata, 1 marzo 2005, n. 23, Costituzione e disciplina del Comitato consultivo regionale per la valorizzazione degli ordini, collegi ed associazioni professionali.
(15) Si richiamano nella relazione introduttiva, in particolare, la professione di guida alpina (v. l. 2 gennaio 1989, n, 6), la professione di maestro di sci (l. 8 marzo 1991, n. 81), nonché le professioni turistiche in genere (v. l. 29 marzo 2001, n. 135, art. 7).
(16) La legge quadro per l’artigianato qualifica l’attività artigiana come esercizio di una professione (l. 8 agosto 1985, n. 443, art. 2, co. 2).
(17) Che l’esclusione dall’ambito di applicazione del decreto legislativo possa intendersi come indiretto riconoscimento della spettanza delle materie in oggetto alla legislazione esclusiva dello Stato è ritenuto in un parere del Cons. Stato (ad. gen. 13 marzo 2006, sez. norm. n. 50/06) sullo schema di reg. gov. recante disciplina dei requisiti di ammissione all’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio professionale, delle prove relative e del loro svolgimento.
(18) Per tali motivi, le disposizioni normative della l.r. Toscana 28 settembre 2004, n. 50, che istituiscono e attribuiscono funzioni a strutture di coordinamento regionale degli ordini e dei collegi professionali, sono state dichiarate costituzionalmente illegittime.
(19) La Corte cost. con sent. 12 dicembre 2003, n. 353 ha chiaramente esplicitato il principio, nel riferimento di specie alle professioni sanitarie, secondo il quale l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e ordinamenti didattici, deve essere riservata allo Stato. I giudici della Consulta hanno più volte ribadito il medesimo principio anche nella giurisprudenza successiva (sent. n. 319/05, sent. 355/05, sent. 424/05, sent. n. 40/06, sent. n. 153/06). Nelle cit. sentt. n. 355 e 424, inoltre, esso è stato considerato strettamente connesso con l’ulteriore principio della determinazione statale dell’istituzione di nuovi albi, i quali hanno una “funzione individuatrice della professione preclusa in quanto tale alla competenza regionale”.
(20) Nel corso del periodo di riferimento preso ad oggetto da questo Rapporto, ma prima dell’approvazione del decreto di ricognizione, è da registrare, ad es., l’approvazione della legge 17 agosto 2005, n. 174, recante la disciplina dell’attività di acconciatore. Le regioni disciplinano detta professione, dunque, anche in conformità ai principi fondamentali e alle disposizioni stabiliti da questa legge.
(21) In G.U. 12 maggio 2006, n. 109.
(22) Delibera 12 luglio 2004 n. 2/2004/Cons.
(23) Tratti dall’art. 29 della legge n. 289/2002 e dall’art. 1 del d.lgs. n. 76/2000 in base ai quali gli enti territoriali concorrono alla realizzazione degli obiettivi della finanza pubblica nell’ambito degli obblighi derivanti dalla partecipazione dell’Italia all’Unione europea.
(24) Tratti dal d.lgs. n. 76/2000 che definisce i principi fondamentali in materia di bilancio e contabilità in attuazione della legge n. 208/1999.
(25) Tratti dal testo unico sugli enti locali (d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267) che raccoglie le disposizioni del d.lgs. n. 77/1995 sull’ordinamento finanziario e contabile degli enti locali.
(26) Le regioni dichiarano, tuttavia, di non essere contrarie di principio all’introduzione alla contabilità economica e di essere già impegnate attivamente in progetti di riclassificazione economica dei propri bilanci attraverso il SIOPE previsto nella legge finanziaria 2003 (legge 289/2002).
(27) Camera, XIV, atto del governo n. 589, Commissione Bilancio, resoconti delle sedute del 26 gennaio e del 16 febbraio 2006; Senato, XIV, atto del governo n. 589, Commissione Bilancio, resoconti delle sedute del 7, 8 e 28 febbraio 2006; Commissione parlamentare per le questioni regionali, atto del governo n. 589, resoconto della seduta del 9 febbraio 2006.
(28) V. i rilievi della Corte nel testo pubblicato in www.issirfa-spoglio.cnr.it (Osservatorio sulle regioni. Principi fondamentali nelle materie di legislazione).
(29) V. il testo dell’audizione del presidente dell’ISTAT, ibidem.
(30) Camera, XIV, atto del governo n. 589, Commissione Bilancio, seduta dell’8 e del 15 febbraio 2006.
(31) Proposte di modifica relative alle disposizioni di cui agli articoli 3, 4, 6 e 7 del provvedimento.
(32) Parere favorevole con osservazioni del 28 marzo 2006 (atto n. 631).
(33) Pubblicato in G.U. n. 109 del 12 maggio 2006.
(34) Senato, XIV, atto del governo n. 579, Commissione Finanze, sedute del 17, 18, 24 e 25 gennaio 2006; Camera, XIV, atto del governo n. 579, Commissione Finanze, sedute del 25 gennaio e 1 febbraio 2006.
(35) Commissione parlamentare per le questioni regionali, XIV, seduta del 24 gennaio 2006.
(36) Il Governo su sollecitazione del rappresentante della Regione siciliana propone inoltre di inserire nel provvedimento un’esplicita disposizione che faccia salve le competenze delle Regioni a Statuto speciale.
(37) Parere favorevole con osservazioni del 28 marzo 2006 (atto n. 629).
(38) Le regioni elencano nel parere un’ampia casistica di disposizioni di dettaglio o procedimentali che sono elevate al rango di norme di principio. Il caso più evidente di “patologia metodologica” che è contestato riguarda una dozzina di disposizioni dello schema di decreto che qualificano come principi fondamentali della materia norme di rango regolamentare.
(39) A favore di un’accezione del “governo del territorio” quale funzione pubblica di regolazione del territorio che persegue l’integrazione e l’armonizzazione dell’insieme degli interessi pubblici che concorrono alla definizione delle tutele, degli usi e delle trasformazioni dello stesso sono richiamate le sentenze della Corte cost. n. 307/03 e n. 196/04.
(40) Oltre al parere della Conferenza Stato-Regioni sono stati espressi i pareri (favorevoli con osservazioni) delle commissioni Ambiente e Territorio della Camera (22 febbraio 2006) e del Senato (28 febbraio 2006), mentre la Commissione parlamentare per le questioni regionali riunitasi i1 1° marzo 2006 ha sospeso la propria seduta per mancanza del numero legale, prima della deliberazione del parere, e rinviato ad altra data l’esame del provvedimento.
(41) Per il conteggio si è tenuto conto della scelta concretamente effettuata dal legislatore delegato, da una parte, di considerare le “casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale” e gli “enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale” – due materie indicate separatamente dalla Costituzione – nell’unitaria categoria delle “banche a carattere regionale” e, dall’altra invece, di separare la “armonizzazione dei bilanci pubblici” dal “coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”. In tutti gli altri casi si sono considerate materie unitarie tutte quelle separate da punto e virgola nell’elencazione costituzionale.
(42) V. supra nt. n. 5. La Corte ha infatti ritenuto, in buona sostanza, che il legislatore statale non abbia titolo per definire preliminarmente le materie di propria competenza (la c.d. competenza delle competenze) ma solo per fare concreto esercizio delle stesse, così come si ricavano direttamente dalla Costituzione.
(43) Nel referendum confermativo svoltosi il 25 e 26 giugno 2006.
(44) Si è tenuto conto del testo storico delle sei “leggi quadro” prodotte nell’ultima legislatura in cui era in vigore il vecchio Titolo V della parte seconda della Costituzione (1996-2001). Si tratta, più precisamente, delle leggi n. 125/2001 (in materia di alcol e di problemi alcol-correlati), n. 36/2001 (sulla protezione dalle esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici), n. 7/2001 (sul settore fieristico), n. 353/2000 (in materia di incendi boschivi), n. 328/2000 (per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) e n. 30/2000 (in materia di riordino dei cicli dell’istruzione).
(45) Calcolata su queste basi la riduzione del numero medio dei commi e dei caratteri scende addirittura a -75% e -87% rispetto alla precedente legislatura. Si può aggiungere, inoltre, che l’unica legge recante principi fondamentali della materia approvata dal Parlamento nella XIV leg. (quella attuativa dell’art. 122.1 Cost.), al di fuori di un’opera di mera ricognizione di principi preesistenti, interviene anch’essa in una materia di legislazione nuova per le regioni (la legislazione elettorale) e presenta parametri dimensionali assimilabili, con un minor numero di disposizioni ma più lunghe (-91% e -80%).
(46) Il decreto in materia di “armonizzazione dei bilanci pubblici” e lo schema del provvedimento concernete il “governo del territorio” presentano entrambi parametri dimensionali nettamente superiori rispetto alle leggi quadro della XIII legislatura (con un numero medio di unità dispositive elementari più che triplo: 185 commi contro 57).
(47) Cfr. Conferenza Stato-Regioni, parere del 15 settembre 2005.
(48) Per la rilevazione del dato si è tenuto conto delle osservazioni o delle proposte di emendamento avanzate dalle regioni sulle singole unità dispositive così come dalle stesse regioni individuate e prese in considerazione (comma, articolo, capo). Non sono state considerate dunque le osservazioni generali non riferite ad alcuna precisa disposizione e non si sono conteggiate autonomamente le proposte di emendamento che riguardavano partizioni interne al comma. Le stesse osservazioni ripetute sulle medesime invariate disposizioni, sia in sede di esame preliminare sia in sede di esame definitivo, sono state conteggiate una sola volta. Non si è tenuto conto, invece, delle osservazioni su disposizioni che non sono state modificate dopo il parere preliminare e per le quali la richiesta di emendamento non è stata rinnovata nel parere definitivo.
(49) In particolare: la proposta di em. all’art. 1.1 dell’atto n. 399 (schema preliminare adottato dal Consiglio dei ministri il 29 luglio 2005) è stata accolta dall’art. 1.1 dell’atto n. 543 (ulteriore schema adottato dal Consiglio dei ministri il 2 marzo 2006); il proposto nuovo comma 1.3 è stato sostanzialmente recepito dall’art. 2.3 del nuovo schema (n.s.); il comma 1.6 della proposta è stato sostanzialmente fatto proprio dall’art. 6 n.s.; delle due richieste di modifica all’art. 2 si è parzialmente tenuto conto nell’art. 2.4 n.s.; della proposta di em. all’art. 4 si è tenuto conto nell’art. 4.3 n.s.; la proposta di sostituzione dell’art. 5 è stata sostanzialmente accolta dall’art. 3.3 n.s.; la richiesta di em. all’art. 6 è stata sostanzialmente recepita dall’art. 4.1 n.s.; la richiesta di modifica dell’art. 7 è stata superata dall’eliminazione dell’articolo nel n.s.; della proposta di un articolo aggiuntivo 7-bis si tenuto conto nell’art. 7 del n.s.. Le proposte di emendamento concernenti la soppressione del comma 1.3, e l’aggiunta dei nuovi commi 1.2 e 1.4, nonché quelle riguardanti la modifica dell’art. 3 e l’aggiunta di un art. 6-bis all’atto n. 399 non hanno avuto buon esito. Non è stato accolto, inoltre, l’emendamento soppressivo del comma 1.4 dell’atto governativo n. 543.
(50) In particolare: delle osservazioni sugli artt. 2.3 e 3.3 dell’atto n. 579 (schema preliminare adottato dal Consiglio dei ministri il 29 luglio 2005) si è tenuto parzialmente conto nella nuova formulazione delle med. disp. nell’atto n. 629 (ulteriore schema adottato dal Consiglio dei ministri il 17 febbraio 2006), è stato soppresso, inoltre, - sempre su richiesta delle regioni - il co. 4 dell’art. 3. del med. schema. Successivamente, le due ulteriori richieste di modifica del nuovo schema hanno trovato soddisfazione negli artt. 1.4 e 2.2 del provvedimento definitivo.
(51) In particolare: la proposta di emendamento all’art. 1.2 dell’atto n. 589 (schema preliminare adottato dal Consiglio dei ministri il 7 maggio 2004) è stata accolta dall’art. 1.2 dell’atto n. 631 (ulteriore schema adottato dal Consiglio dei ministri il 24 giugno 2005), è stata modificata, inoltre, e resa meno dettagliata in accoglimento dei rilievi delle regioni, la disciplina del capo III. Le richieste di modifica degli artt. 3.1, 3.2 e 4.1 dell’atto n. 631 sono state fatte proprie dal provvedimento definitivo, non hanno trovato soddisfazione invece le richieste di emendamento agli artt. 6 e 7.
(52) Che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, co. 5 e 6 della legge n. 131 del 2003 (v. supra nt. 5 e nt. 42).
(53) Il Ministro dell’interno con decreto del 24 luglio 2003 ha costituito un comitato di indirizzo e coordinamento tecnico-scientifico con il compito di “individuare criteri e metodologie di lavoro, fornire indirizzi e concorrere alla predisposizione di uno o più schemi di decreto legislativo delegato”. Il comitato, presieduto dal vice presidente emerito della Corte costituzionale M. Vari, si è insediato il 16 settembre 2003 e ha presentato la relazione dei propri lavori il 6 febbraio del 2004 (consultabile in www.issirfa-spoglio.cnr.it, sub autonomie locali).
(54) Quella di cui all’art. 8 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281.
(55) Non è però previsto in questo caso, come per la peculiare delega per la ricognizione dei principi fondamentali, l’obbligo di motivazione per il caso di difformità rispetto al parere parlamentare definitivo.
(56) Disposizioni correttive ed integrative del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, relative all’individuazione delle funzioni fondamentali degli enti locali.
(57) Per quanto riguarda l’ordinamento delle città metropolitane, la loro nuova collocazione costituzionale tra gli enti locali necessari della Repubblica, rappresentativi delle rispettive comunità, ha consentito allo schema di decreto legislativo di definire un procedimento costitutivo che porti con certezza alla loro istituzione, superando in tal modo le difficoltà che l’hanno impedito nel passato.
(58) Competenze in precedenza attribuite solo dalla legge (art. 6 e art. 7 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267).
(59) Per quanto riguarda la potestà statutaria può essere qui richiamata la Corte di cassazione, sezioni unite civili, sent. 16 giugno 2005, n. 12868, secondo la quale, a seguito del recente processo di trasformazione dell’assetto costituzionale, gli statuti locali nelle materie di loro competenza possono senz’altro derogare alle disposizioni di legge che non contengano principi inderogabili. Tanto da poter ora qualificare lo statuto “non più come disciplina di attuazione, ma di integrazione e di adattamento”.
(60) Per quanto questa scelta trovi fondamento direttamente nella legge n. 131, sarebbe stato possibile, tuttavia, dare un’interpretazione della legge di delega compatibile con la ripartizione costituzionale delle competenze. Laddove si evocavano le forme associative degli enti territoriali tra i principi e i criteri direttivi cui si doveva attenere il governo nell’attuazione della delega lo si faceva, infatti, richiedendo di “valorizzare i principi di sussidiarietà, adeguatezza e di differenziazione… anche mediante l’indicazione dei criteri per la gestione associata tra i comuni” (art. 2, quarto comma, lett. c; v. anche lett. n, che richiama lo stesso principio “anche per la gestione dei servizi di competenza statale affidati ai comuni”). Il legislatore delegato, quindi, ben avrebbe potuto disporre norme che, interponendosi tra la Costituzione e la successiva legislazione regionale, fossero indirizzate alla mera valorizzazione della gestione associata dei comuni senza compiere scelte dirette di individuazione né di allocazione delle funzioni; sarebbe spettato poi alla legislazione regionale la concreta disciplina delle forme associative degli enti territoriali. In caso contrario non di valorizzazione di principi costituzionali si tratterebbe ma di esaurimento del relativo potere ordinamentale riservato alle regioni, peraltro in assoluta negazione del principio di differenziazione.
(61) Vi sono settori di sicura competenza statale esclusiva anche in materia di ordinamento degli uffici e del personale (come, in primo luogo, la disciplina del rapporto d’impiego, riconducibile alla materia “ordinamento civile”).
(62) Di cui all’art. 12-bis, co. 2, lett. d) dello schema di nuovo TUEL.
(63) Su cui v. il precedente terzo Rapporto, p. 168 ss.
(64) Su cui v. il successivo cap. III.
(65) La sola Regione Molise è andata al voto nel novembre del 2006.
(66) Confermando i giudizi di primo (Trib. di Venezia, sent. 2 novembre 2005) e secondo grado (Corte d’Appello di Venezia, sent. 2 marzo 2006).
(67) La Cassazione ha qui fatto applicazione del medesimo principio di continuità già utilizzato dalla Corte costituzionale nella propria giurisprudenza sul nuovo testo dell’art. 122 (ord. 23 luglio 2002, n. 383) e, più in generale, sull’esercizio della legislazione regionale concorrente nella fase di transizione (sent. 26 giugno 2002, n. 282).
(68) Le elezioni politiche si sono svolte il 9 e 10 aprile e il referendum costituzionale il 25 e 26 giugno.
(69) La nuova denominazione di questo ministero senza portafoglio è il frutto dell’unificazione in capo al presidente del consiglio - disposta dal decreto-legge sulla riorganizzazione dei ministeri (d.l. 18 maggio 2006, n. 181, conv. in legge 17 luglio 2006, n. 233) - delle competenze in materia di regioni e di una parte rilevante di quelle già spettanti al Ministro dell’interno per le autonomie locali.
(70) V. AC, XV, Commissione I, 28 giugno 2006.
(71) A questo fine le commissioni affari costituzionali di Camera e Senato hanno compiuto un’indagine conoscitiva sul Titolo V della Parte II della Costituzione. Sono state svolte le audizioni dei rappresentanti delle regioni, degli enti locali, delle imprese, dei sindacati e di altri enti associativi sul riparto delle competenze normative (13 ottobre 2006), sul federalismo fiscale (14 ottobre 2006), sulle sedi di raccordo, consultazione e codecisione tra Stato, regioni ed enti locali (19 ottobre 2006) e sulle forme istituzionali di governo nelle diverse articolazioni territoriali (20 ottobre 2006). E’ seguita, inoltre, l’audizione di esperti sugli stessi temi (11 dicembre 2006).
(72) Passata l’estate, il punto sul programma di azione governativa è stato ulteriormente illustrato nella successiva audizione presso la Commissione parlamentare per le questioni regionali (21 novembre 2006) cui ha fatto seguito anche quella del Ministro dell’interno Giuliano Amato (29 novembre 2006), in capo al quale sono ancora rimesse molte competenze che riguardano gli enti locali (anche in seguito al d.l. n. 181/2006).
(73) Secondo quanto riferito dal ministro stesso, la gestione di procedure conciliative da parte del dipartimento ha portato ad un crollo verticale delle impugnative di leggi regionali da parte del Governo e anche al ritiro di molti ricorsi.
(74) Il 22 dicembre 2006 il Consiglio dei ministri ha approvato uno schema preliminare di d.d.l. che conferisce al Governo la delega ad istituire e disciplinare la Conferenza Stato-Istituzioni territoriali quale nuova sede di confronto, di concertazione e di esplicazione del principio costituzionale di leale collaborazione fra lo Stato e il sistema delle autonomie territoriali. L’intenzione manifestata è quella di riscrivere le norme sulla cooperazione interistituzionale per riformare il vecchio sistema delle conferenze in modo più efficiente e coerente con le nuove norme costituzionali.
(75) In questa materia l’iniziativa prioritaria appartiene al Ministro dell’economia e delle finanze che sta elaborando un d.d.l. delega con il coinvolgimento, oltre che del dipartimento, del Ministro delle riforme e del Ministro dell’interno. Il federalismo fiscale, infatti, deve essere fiscalmente sostenibile, identificare le risorse destinate a finanziare le funzioni di ciascun livello di governo e garantire il finanziamento dei diritti fondamentali su tutto il territorio nazionale con un meccanismo di perequazione. L’attuazione del federalismo fiscale potrà consentire di procedere all’attuazione del c.d. federalismo differenziato previsto dall’art. 116, co. 3, della Costituzione. Il gruppo di lavoro istituito dal Ministro dell’economia e delle finanze e coordinato dal prof. Piero Giarda ha presentato un rapporto su “Titolo V e federalismo fiscale” in data 22 dicembre 2006.
(76) Una bozza provvisoria di un disegno di legge delega per l’adozione di un codice delle autonomie è stata proposta all’esame delle regioni e degli enti locali il 20 ottobre 2006. Secondo l’intenzione del Governo, la nuova disciplina ordinamentale, che sostituirà il vecchio testo unico degli enti locali, si caratterizzerà come normativa di principio, in modo da consentire alle altre fonti autonome (leggi regionali e statuti comunali) di dispiegarsi liberamente nel quadro costruito dalla legge stessa.
(77) Lungo questa linea di azione il Governo ha presentato un d.d.l. delega per il riordino dei servizi pubblici locali (AS n. 772 del 7 luglio 2006). Tale progetto devolve al mercato una serie di funzioni relative a beni d’interesse collettivo, per le quali la gestione pubblica non è necessaria, allo scopo di accentuare il ruolo di regolazione delle pubbliche amministrazioni.
(78) Sulla quale si veda il nostro primo Rapporto.
(79) V. l’art. 11 della legge cost. n. 3 del 2001.
(80) V. il D.lgs. 281/1997.
(81) Tralasciando di soffermarci su altri minori avvenimenti come, ad es., la l.r. Piemonte 4 luglio 2005, n. 8 che, a seguito della cessazione delle funzioni del Comitato regionale di controllo, è intervenuta ad abrogare alcune disposizioni regionali e ad istituire un servizio di consulenza a favore dei comuni che ne facciano richiesta. Come prima ipotesi di attuazione dell’art. 117, co. 8, della Costituzione può essere richiamato, inoltre, l’accordo tra la regione Veneto e la provincia autonoma di Trento per l’esercizio delle funzioni amministrative relative alle concessioni di grandi derivazioni d’acqua a scopo idroelettrico interessanti i rispettivi territori (ratificata dal Veneto con l.r. 23 novembre 2006, n. 26).
(82) V. il documento d’indirizzo approvato dalla Giunta reg. Lombardia il 15 settembre 2006 e la Delib. giunta reg. Veneto 24 ottobre 2006, n. 3255, in BUR n. 101 del 21 novembre 2006.
(83) Per il Veneto, con più dettaglio, è prevista la preliminare elaborazione di un documento tecnico da parte della direzione competente in materia di riforme istituzionali in collaborazione con le strutture regionali competenti nelle materie interessate.
(84) La Regione Lombardia prevede il coinvolgimento anche delle rappresentanze sociali ed economiche.
(85) Manifestate – secondo quanto si legge in premessa alla deliberazione della Giunta regionale del Veneto – sia dai risultati della “consultazione referendaria sulla devolution” (che in queste due regioni sono stati positivi) sia dalle iniziative di alcuni comuni del Veneto che, sentendo “inaccettabili le differenti condizioni in cui versano rispetto alle popolazioni delle vicine zone delle regioni a statuto speciale del Trentino e del Friuli” (le quali godono di consistenti vantaggi fiscali), hanno richiesto di cambiare (provincia e) regione. Tra il 2005 e il 2006 si sono positivamente svolti i referendum previsti dall’art. 132 Cost. per i comuni di Lamon (30-31 ottobre 2005) e Sovramonte (8-9 ottobre 2006), che chiedono il passaggio dalla Regione Veneto alla Regione Trentino-Alto Adige, e il comune di Cinto Caomaggiore (26-27 marzo 2006), che chiede il distacco dalla Regione Veneto e l’aggregazione alla Regione Friuli Venezia Giulia. Attualmente, il Ministro dell’interno ha già presentato (20 luglio 2006) il d.d.l. n. 1427/AC per il cambiamento di regione del comune di Lamon ai sensi dell’art. 132.2 Cost. e dell’art. 45 della legge 25 maggio 1970, n. 352. Secondo quanto si legge nella relazione introduttiva dell’atto in questione, trattandosi, nel caso di specie, di variazione che incide anche sul territorio di una regione ad autonomia differenziata, si è ritenuto di procedere mediante lo strumento della legge costituzionale, quale fonte di diritto pariordinata a quella che definisce l’autonomia regionale speciale.
(86) La Lombardia lega questa materia con il commercio estero.
(87) V. Cost., art. 117, co. 2, lett. h).
(88) Va qui detto, tuttavia, che mentre le materie “assistenza e organizzazione sanitaria”, “organizzazione scolastica” e “definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della regione” presentano sicuri profili di novità rispetto alle competenze concorrenti in materia di tutela della salute e d’istruzione. La materia “polizia amministrativa regionale e locale” corrisponde perfettamente all’attuale competenza regionale residuale, così come individuata dall’art. 158 ss. del decreto legislativo n. 112 del 1998.
(89) Questa c.d. devolution era peraltro controbilanciata dalla modifica e dal ridimensionamento a favore dello Stato di molte delle materie di legislazione concorrente. Alcune mediante il riferimento alla dimensione nazionale/regionale dell’interesse (ordinamento sportivo; reti di trasporto e di navigazione; comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione dell’energia), altre grazie alla sottrazione di sub-materie (la sicurezza del lavoro, la tutela del credito), altre ancora – pur formalmente immutate (commercio con l’estero, professioni, alimentazione) – erano ridimensionate dall’esplicita individuazione della competenza esclusiva dello Stato in materia di “promozione internazionale del sistema economico e produttivo nazionale”, di “ordinamento delle professioni intellettuali” e di “sicurezza e qualità alimentari”. Infine, oltre a questo espresso riaccentramento di competenze, era reinserita, aggiornata e corretta, la clausola dell’interesse nazionale come limite di merito alla legislazione regionale (eliminata dalla riforma costituzionale del 2001).