Intervento tenuto al Convegno su Le prospettive della legislazione regionale per gli “Incontri di studio Gianfranco Mor sul diritto regionale”, Milano 26 gennaio 2006.
Sommario:  3.  Il principio di sussidiarietà nei rapporti fra Regioni ed enti locali.

 
1.   Il principio di sussidiarietà nella prospettiva costituzionale
 
 Con il varo del nuovo Titolo V° della Parte seconda della Costituzione, e in particolare con le nuove norme costituzionali sulla funzione amministrativa, come si è potuto subito notare appena queste sono entrate in vigore, si è introdotta una netta discontinuità o cesura rispetto all’ordinamento costituzionale precedente.
 Nello stesso tempo si è affidato, come d’altronde era quasi obbligato che avvenisse, alla successiva opera del legislatore statale e regionale il compito di dare seguito concreto alle nuove norme varate.
 Ci si deve chiedere ora, a distanza di più di quattro anni, nell’incontro odierno che continua una tradizione di incontri precedenti dedicati al ricordo dell’amico scomparso Gianfranco Mor, se e come tale discontinuità si sia o meno realizzata.
 Da una parte, come è noto, il testo costituzionale all’art.118 Cost. pone al centro del nuovo assetto della funzione amministrativa il principio di sussidiarietà insieme ai connessi principi di differenziazione e adeguatezza come cardini di un sistema amministrativo che appare concepito in maniera speculare rispetto all’ ordinamento costituzionale precedente ( anche se paradossalmente il nuovo sistema amministrativo delineato può considerarsi un proseguimento e un completamento del precedente e anche se la normativa costituzionale del 2001 è stata anticipata, come è altrettanto noto, da interventi del legislatore ordinario, in particolare dalle riforme degli anni 1997-98,le c.d riforme Bassanini, a cui il nuovo testo dell’art.116 dell’art.118 Cost. manifestamente si ricollega ).
 Che nel testo del nuovo Titolo V° vi siano tutti i tratti di una concezione speculare o capovolta del sistema amministrativo credo che sia appena il caso di ricordarlo se non brevemente per alcuni tratti essenziali.
 In primo luogo, l’art.118 per quanto stabilisce si iscrive agevolmente ( al pari del precedente art.117 ) in quella impostazione o vocazione federale che pervade tutto il Titolo V° dall’art.114 in poi ( sebbene non sia stata portata a compiuta realizzazione).
 Nel prevedere quale principale forma di attuazione del principio di sussidiarietà la spettanza delle funzioni amministrative in via generale residuale ai Comuni, salvo le funzioni che possono essere conferite dal legislatore statale o regionale alle istituzioni di livello superiore per assicurarne l’esercizio unitario, l’art.118 prefigura una ricomposizione/ricostruzione del sistema esistente e una redistribuzione delle funzioni che parta dalle istituzioni di base.
 Si potrebbe dire che la norma vuole che si risalga dal pluralismo all’unità in contrapposto all’impostazione precedente che muoveva piuttosto dall’unità e dalla generalità dell’amministrazione statale per giungere al pluralismo autonomistico dell’amministrazione.
 Il che peraltro non fa che riflettere una nuova e diversa concezione dell’amministrazione, della funzione amministrative nel suo insieme.
 I principi, sulla base dei quali la ricomposizione/redistribuzione del sistema amministrativo dal basso è previsto che avvenga, sono tali infatti da postulare prima ancora e non tanto un riparto più o meno ampiamente decentrato delle funzioni amministrative fra le istituzioni, bensì un diverso modo di essere dell’amministrazione nel suo rapporto con la realtà sociale ed economica.
 Il principio di sussidiarietà esprime prioritariamente un’esigenza di prossimità con la società, le collettività e il territorio ( e anzi di immedesimazione nello suo significato primigenio di sussidiarietà sociale ). I connessi principi di adeguatezza e differenziazione esplicitano a loro volta l’uno il rapporto obbligato di rispondenza della collocazione delle funzioni rispetto alla realtà sociale e territoriale di riferimento e l’altro la conseguente possibilità che non vi sia, non vi debba essere necessaria corrispondenza fra tipo di istituzioni e funzioni ad esse spettanti.
 Di qui il mutamento della disciplina del modo di distribuirsi della funzione amministrativa. Ne consegue infatti che questa sia organizzata autonomamente rispetto alla funzione legislativa, mentre nel precedente ordinamento funzione amministrativa e funzione legislativa erano strettamente collegate in virtù del principio del parallelismo per materia delle due funzioni ( sebbene fossero previsti nel precedente art.118 non pochi correttivi al riguardo).
 Oggi quel che colpisce invece è che il riparto delle funzioni si muove in senso trasversale rispetto al riparto delle competenze legislative fra Stato e Regioni. Gli stessi principi valgono per la (re)distribuzione delle funzioni sia nelle materie di competenza legislativa regionale che in quelle di competenza legislativa statale.
 Si collega a ciò il secondo tratto di novità dell’assetto delineato.
 Si può dire che, se in passato pur nel quadro del pluralismo autonomistico delineato dalla Costituzione del 1948 si doveva andare dall’istituzione alla funzione, il nuovo art.118 ( nella prospettiva peraltro anticipata dalla l. n.59/1997 all’art.4) muove in senso opposto dalla funzione all’istituzione. Guarda preliminarmente, come appare indubbio, a tale rapporto di corrispondenza che deve poter sussistere tra la natura e la dimensione della funzione e la dimensione dell’istituzione, al punto che, come già si prevedeva nella l.n.59/1997, ci si deve preoccupare di dar luogo a istituzioni della dimensione idonea ad assicurare la maggior prossimità possibile con la realtà collettiva e sociale nell’esercizio delle funzioni, in particolare attraverso forme di esercizio associato delle stesse da parte degli enti territoriali di base.
 In un rapporto di rispondenza dell’amministrazione nei confronti della realtà sociale ed economica perde, per contro, di rilevanza come criterio di distribuzione delle funzioni il “variabile livello degli interessi” (locale, regionale,nazionale) a cui faceva riferimento il precedente sistema secondo un’impostazione di decentramento istituzionale/autonomistico.
 In effetti tutto il sistema amministrativo è ordinato a finalità e obiettivi comuni (espressi in particolare dall’adempimento dei diritti civili e sociali di garantire su tutto il territorio nazionale ed oggi anche a livelli più ampi).
 E’ difficile in tale prospettiva distinguere quindi se una funzione rivesta un livello di interesse piuttosto che un altro. Di norma in ciascuna funzione si possono riscontrare compresenti tutti i diversi livelli di interesse. Mentre si tratta piuttosto di realizzare, sostituendo il criterio della dimensione a quello dell’interesse, il rapporto di rispondenza fra amministrazione e società che è insieme rapporto di responsabilità fra chi è investito di una funzione e coloro al cui servizio questa si deve svolgere ( cittadini singoli e associati). Tanto che il riparto delle funzioni per dimensione in ultima istanza significa realizzare una (re)distribuzione delle funzioni idonea ad assicurare condizioni effettive di responsabilità fra amministrazione e società: non si tratta di operare un mero riparto di funzioni, ma un conferimento di distinte responsabilità, vale a dire un conferimento di funzioni complessivamente configurate in modo da garantire all’istituzione che ne è titolare la disciplina di un’attività, il conseguimento di un risultato, la prestazione di un servizio ( secondo il principio di unità e responsabilità dell’amministrazione enunciato già nel cit.art.4 della n.59/97 e secondo quanto si è cominciato a realizzare ad es. con la previsione degli sportelli unici nel d.lgs. n.112/1998 ).
 Di qui il terzo tratto caratteristico e innovativo del sistema preconizzato: che se esso è previsto in ragione del rapporto di rispondenza e di responsabilità che l’amministrazione deve potersi realizzare nei riguardi della società, dei cittadini singoli e associati, e peraltro trova il suo riferimento unitario in finalità e obiettivi comuni che devono essere conseguiti sul territorio nazionale ( oltre che in ambito comunitario o sopranazionale ), si tratta di un sistema in sé integrato di responsabilità tra loro complementari secondo il significato e l’etimo originario del principio di sussidiarietà. E’ un sistema caratterizzato dal ruolo complementare spettante alle istituzioni pubbliche rispetto a quelle sociali, delle istituzioni pubbliche di livello superiore rispetto a quelle di livello inferiore ai fini del conseguimento ovvero nel caso del mancato conseguimento degli obiettivi comuni, in particolare dell’adempimento dei diritti e delle pretese garantite dei cittadini singoli e associati.
 Il precedente sistema privilegiava la separazione nella distribuzione delle funzioni, facendo discendere tale esigenze dalla pluralità autonomistica delle istituzioni, scontando tuttavia la sottrazione o il ritaglio di competenze al centro. Il nuovo sistema in sé è retto da un’esigenza di integrazione o di complementarità delle responsabilità pur nel rispetto delle diverse autonomie ( che il testo costituzionale esprime fra l’altro con la previsione dell’art.120 in ordine al potere sostitutivo ). Si muove quindi dalla separazione alla complementarità/integrazione funzionale.
 In quarto luogo, infine, il riparto non può più essere rigido e tendenzialmente stabile: non solo perché il testo costituzionale si è limitato ad enunciare dei principi sul riparto ( né poteva far diversamente ) e dei principi suscettibili di attuazione diversificata per ambiti funzionali e territoriali, ma perché così disponendo ha introdotto un metodo diverso di organizzare l’amministrazione attraverso cui si intende assicurare un sistema in sé flessibile e mobile.
 Il che equivale a dire quanto si è venuto mettendo in rilievo in maniera sempre più evidente negli ultimi anni: che il principio di sussidiarietà e i principi ad esso connessi sono insieme principi sostanziali di assetto del sistema secondo la nuova prospettiva della funzione amministrativa in rapporto alla società e nello stesso tempo principi di metodo per disciplinare tale assetto ( come già diceva e dice l’art.5 Cost.). Di qui il duplice profilo sostanziale e procedurale del principio di sussidiarietà.
 Sono principi di metodo che si traducono o si devono tradurre in procedure a ciò adeguate e finalizzate in cui possano concorrere i vari soggetti istituzionali coinvolti.
 Balza peraltro agli occhi come nel testo costituzionale non siano previste in modo generalizzato ed organico procedure siffatte, nonostante che forme di accordo e intesa interistituzionale siano evocati per quanto episodicamente in più punti. Il testo costituzionale rimette di fatto al legislatore statale e regionale, per di più in maniera distinta per materie, il compito di dare attuazione all’art.118.
 D’altro canto nello stesso testo non mancano prescrizioni ispirate alla visione precedente della separazione e della rigidità dei rapporti fra istituzioni ( si pensi ad es. alla competenza legislativa statale esclusiva in tema di individuazione delle funzioni fondamentali degli enti locali ). E restano inoltre imprecisati aspetti rilevanti come la definizione degli esatti confini di competenza fra legislazione statale e legislazione regionale nella previsione e nell’attribuzione delle funzioni amministrative al fine di stabilire, in particolare, che cosa potesse disporre il legislatore statale rispettivamente in sede esclusiva e in sede concorrente.

             
2.  L’attuazione del principio di sussidiarietà nei rapporti fra Stato e Regioni.

 Se questa è la prospettiva costituzionale secondo cui si è previsto di dar luogo a un diverso sistema amministrativo attorno al principio di sussidiarietà e ai connessi principi di adeguatezza e differenziazione e ci si chiede ora se e come tutto ciò sia stato realizzato a più di quattro anni dalla riforma del Titolo V° è facile ripetere anche oggi ( come spesso ripetutamente si è rilevato ) che tutto ciò sembra essere un modello ideale lontano, sembra essere qualcosa di utopico.
 Se ci si chiede come il legislatore nazionale e quello regionale abbiano tradotto in pratica, sia l’uno che l’altro, le previsioni costituzionali è abbastanza facile poter dire che il principio di sussidiarietà e i principi ad esso connessi tanto sono stati proclamati ed enfatizzati in atti legislativi e documenti programmatici di portata generale, peraltro senza seguito immediato e concreto, quanto sono stati disattesi nella legislazione di materia o di settore o sono stati tutt’al più applicati non secondo la prospettiva di “ricomposizione federale” di cui al Titolo V°, bensì secondo la precedente prospettiva del decentramento dallo Stato alle Regione e dalle Regioni agli altri enti autonomi territoriali.
 E ciò lo si dica sia con riguardo al legislatore statale sia a quello regionale.
 Guardando innanzitutto al legislatore nazionale è noto che si è avviato sì una sorta di processo negoziato per l’attuazione dell’art.118 Cost. ( con l’accordo interistituzionale del giugno 2002). Il legislatore nazionale è giunto anche a enunciare con il 1° comma dell’art.7 della legge generale di adeguamento ( la l.n.131/2203, c.d. legge La Loggia) una sorta di guida o di manifesto su come si dovesse dare “attuazione all’art.118 Cost. in materia di esercizio delle funzioni amministrative” dicendo che “lo Stato e le Regioni secondo le rispettive competenze provvedono a conferire le funzioni amministrative da loro esercitate alla data di entrata in vigore (di tale) legge sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza attribuendo a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato soltanto quelle di cui occorra assicurare l’unitarietà di esercizio, per motivi di buon andamento, efficienza o efficacia dell’azione amministrativa ovvero per motivi funzionali o economici o per esigenze di programmazione o di omogeneità territoriale” ed aggiungendo che “tutte le altre funzioni amministrative non diversamente attribuite spettano ai Comuni che le esercitano in forma singola o associata, anche mediante le Comunità montane e le Unioni di Comuni “.
 Pur con qualche genericità, l’art.7 1° co. adombra una prospettiva di attuazione dell’art.118 sostanzialmente coerente con l’esigenza di una ricomposizione degli assetti amministrativi secondo criteri oggettivo – funzionali quali si è cercato di richiamare in precedenza.
 Sennonché , se si prosegue nella lettura dello stesso art.7 ci si accorge subito come tutto ciò, almeno per quel che riguarda lo Stato e di conseguenza in parte anche le Regioni, sia stato rinviato, come è stato rinviato, nella sua concreta definizione sine die. E tale ancora resta, con tutto quel che ne deriva anche per l’effettivo esercizio della competenza legislativa delle Regioni nelle materie di nuova spettanza. In tali materie certo esse possono prevedere nuove funzioni amministrative, ma non sembra ancora che possano autoattribuirsi funzioni non trasferite e rimaste incardinate nello Stato e disciplinarle di conseguenza.
 D’altro canto, lo stesso legislatore nazionale( sulla base della delega prevista dall’art.2 della l.n.131 /03 cit.) ha scelto di dare priorità ( e non senza qualche una buona ragione pratica ) alla definizione della parte rigida del disegno costituzionale: la individuazione delle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane ai sensi dell’art.117 2° comma lett. m) Cost., unitamente all’adeguamento del t.u. sull’ordinamento degli enti locali (anche se poi la delega è stata lasciata cadere  il 31 dicembre 2005 senza che sia stato emanato l’apposito decreto legislativo già approvato preliminarmente dal Consiglio dei ministri agli inizi dello stesso mese).  Quando si potrà di nuovo dar corso alla delega, peraltro il legislatore contribuirà anche per questi aspetti a dare attuazione al nuovo sistema.

Dall’ultima stesura del decreto delegato che si conosce risulta anzi che le funzioni fondamentali siano individuate nel quadro di un rapporto di rispondenza e di responsabilità fra istituzione locale e collettività di riferimento. Si afferma infatti in generale che le funzioni fondamentali degli enti sono quelle che concorrono al soddisfacimento dei bisogni primari delle rispettive comunità. La bozza di decreto delegato elenca poi un primo complesso di funzioni c.d. istituzionali( vale a dire a carattere strumentale in ordine all’organizzazione e al funzionamento degli enti locali ) e un altro complesso di funzioni c.d. di materia sulla scorta di quanto già stabilito dall’attuale t.u.e.l. per i Comuni, le Province e le Città metropolitane.

 Tuttavia non va trascurato che in tal modo l’attuazione del nuovo sistema avviene in maniera trasversale per categorie di enti, e non di funzioni, e sembra approdare ad esiti solo in parte appaganti, mancando la necessaria integrazione fra la disciplina delle diverse materie e settori interessati e la disciplina trasversale per enti.
 D’altro canto, il legislatore statale di settore o di materia è parso seguire indirizzi tutt’affatto diversi da quelli preconizzati dalla riforma costituzionale del 2001 e da proposizioni generali come quella richiamata dall’art.7 1° co. della legge La Loggia.
 I provvedimenti legislativi statali che hanno riordinato discipline di settore o di materia o previsto nuove funzioni amministrative o comunque disciplinato funzioni amministrative dopo la riforma del Titolo V°° del 2001 sono assai noti anche perché spesso fatti oggetto di impugnazioni alla Corte costituzionale.
 Quel che preme mettere in rilievo è che il più delle volte ci si è mossi in termini pre-riforma del Titolo V°e si potrebbe dire anche in termini di pre-riforme del 1997-98.
 In particolare, guardando alle materie di legislazione esclusiva si è assunto che alla competenza legislativa statale dovesse corrispondere ordinariamente la competenza amministrativa dello Stato e non operassero anche in tali materie i ricordati principi e criteri di ricomposizione/redistribuzione delle funzioni amministrative. Esemplare in tale senso è il d.lgs. n.42 del 2004 recante il Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani ) che apoditticamente fa corrispondere alla disciplina unitaria della materia il carattere unitario e quindi statale delle funzioni amministrative corrispondenti così da ripristinare il principio del parallelismo tra competenza legislativa e competenza amministrativa ( salvo che per le funzioni relative ai beni ambientali e per le altre funzioni già spettanti a titolo di delega alle Regioni).
 Va inoltre aggiunto che nel d.lgs. n.42 cit., come in generale nella legge La Loggia (art. 8 ult.co. ), si mantiene la funzione di indirizzo e coordinamento per le funzioni amministrative pur formalmente conferite a titolo di attribuzione alle Regioni (e a gli enti locali ) nelle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato, così da configurare implicitamente tale conferimento come delega e non come attribuzione secondo quanto richiesto dall’art. 118 Cost.
 Il ripristino del principio del parallelismo ha potuto poi avere anche più ampia applicazione grazie alla frequente interpretazione estensiva delle materie spettanti allo Stato ai sensi dell’art.117 2° co., in particolare delle materie c.d. trasversali ( o materie-scopo ), come la tutela della concorrenza, e alla riconosciuta legittimità della previsione di funzioni amministrative statali in tali materie che di per sé sembravano avere di per sé carattere ordinamentale e ammettere solo interventi di carattere normativo.
 Quanto alle materie di legislazione concorrente, nella stessa logica si è assunto dal legislatore nazionale che anche nell’esercizio della competenza legislativa concorrente dello Stato, pur limitata alla determinazione dei principi fondamentali dall’art.117 3° co., possano essere previste funzioni amministrative statali, benché, come è noto, lo stesso art.117 in tali materie riservi la stessa potestà regolamentare alle Regioni. Si è assunto in particolare come titolo che legittima il mantenimento in tutto o in parte di funzioni amministrative allo Stato la sussistenza dell’interesse nazionale o comunque il criterio della variabile graduazione degli interessi o della concorrenza di interessi di livello diverso nella stessa funzione come criterio di riparto o di frazionamento delle funzioni.
 E su questa base il legislatore nazionale ha finito per prevedere l’assunzione di competenze amministrative al centro non solo nelle materie concorrenti, ma anche nelle materie di competenza residuale regionale.
 In presenza di tali scelte del legislatore di settore o di materuia la giurisprudenza della Corte costituzionale è parsa contrastare solo in parte il dilatarsi delle funzioni amministrative statali nelle materie concorrenti e in quelle residuali regionali. Va sottolineato in particolare come la Corte si sia opposta all’esercizio di potestà regolamentare da parte dello Stato e alla previsione di provvidenze finanziare statali ad hoc in queste materie e si sia rifiutata di ritenere ancora sussistenti i vecchi titoli di legittimazione della competenza statale ( come esemplarmente l’interesse nazionale ).
 Tuttavia la Corte ha accettato, appellandosi proprio al principio di sussidiarietà, di ammettere (con la notissima sent. n.303/2003 relativa ai provvedimenti legislativi per le opere c.d. di interesse strategico nazionale e seguita poi da altra giurisprudenza conforme) che lo Stato nelle materie di competenza concorrente, e poi ( con la sentenza n.6/2004) anche in quelle di competenza residuale regionale, possa prevedere e attribuirsi funzioni amministrative a determinate condizioni.
 La Corte ha fatto leva sulla natura intrinsecamente unitaria delle funzioni caso per caso previste ( si potrebbe dire che abbia fatto leva sulla “natura delle cose”) e sul significato proprio del principio di sussidiarietà che richiede – come già si notava - che le funzioni amministrative siano flessibilmente ripartite fra le diverse istituzioni secondo la natura e la dimensione delle stesse per trarre la conclusione che , quando si tratti di funzioni a carattere intrinsecamente unitario, queste possano essere disciplinate e attribuite al centro dal legislatore nazionale.
 Con ciò la Corte ha trasformato il principio di sussidiarietà, stabilito dall’art.118 per il riparto delle funzioni amministrative, in un principio generale valevole anche per il riparto della stessa funzione legislativa integrando o, se si vuole, correggendo quanto disposto dall’art.117. Ha tuttavia precisato che le possibili deroghe al riparto di cui all’art.117 debbano essere sottoposte a uno strict scrutiny, a uno scrutinio di ragionevolezza e di stretta compatibilità con i principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione sotto il profilo sostanziale e debbano essere inoltre il frutto di un accordo o di altra forma collaborativa fra le istituzioni competenti.
 Di fatto la Corte ha sostituito tale stretto scrutinio sotto il profilo sostanziale con la prefissione di regole procedurali compensative, valorizzando il profilo dinamico procedurale del principio e consentendo che quella che oggi si suole denominare “la chiamata (o l’ avocazione) in sussidiarietà” al centro possa avvenire purché concordata. Si è detto che coniando il nuovo istituto la Corte ha trasformato il principio di sussidiarietà nel principio dell’intesa o più in generale nel principio di leale collaborazione.
 Non si può non osservare al riguardo che in tal modo il principio di leale collaborazione torna ad essere ancora una volta utilizzato, come in passato, come criterio indiretto di riparto di funzioni fra Stato e Regioni o, meglio, come criterio sostitutivo dei criteri propri di riparto, mentre il principio attiene di per sé all’esercizio delle competenze rispettive di Stato e Regione a completamento e a integrazione di un riparto disposto secondo i criteri propri dello stesso.
 D’altro canto, il nuovo istituto, creato dalla giurisprudenza, della c.d. chiamata (o avocazione ) in sussidiarietà è stato fin qui solo utilizzato in senso accentratore e non pare presidiato da chiare garanzie procedurali ( non essendo precisato in modo univoco quale tipo di accordo o di intesa debba intervenire). Sotto entrambi i profili sembra essere quindi un istituto dai contorni assai precari.
 Si pensi che l’unica clausola che nell’attuale testo costituzionale dovrebbe consentire una flessibilità nel riparto delle funzioni legislative a favore del centro è l’art.120 sul potere sostitutivo: potere che deve essere per di più esercitato nel rispetto del principio di sussidiarietà e di leale collaborazione. All’incontrario, l’art.116 2° co. e l’art.117 Cost. sembrano adombrare dei modelli di “chiamate in sussidiarietà” a favore delle Regioni che andrebbero egualmente considerati e utilizzati.
 Si tratta in breve di un istituto della prassi che attualmente può giustificarsi per temperare la rigidità di un riparto delle funzioni legislative disposto per alcune materie in maniera affrettata dalla riforma del Titolo V°, ma che ora andrebbe razionalizzato nell’ambito dello stesso testo costituzionale così da sviluppare la portata sostanziale e procedurale del principio di sussidiarietà nella sua compiutezza ( come anche la Corte stessa lascia intendere nelle sentenze a ciò dedicate).  
 
3.  Il principio di sussidiarietà nei rapporti fra Regioni ed enti locali.
 Se questa è la vicenda, del tutto sommariamente tracciata, dell’inattuazione/trasformazione del principio di sussidiarietà come presidio dell’unità soggettiva del sistema amministrativo, più che della sua articolazione e unitarietà sul piano oggettivo – funzionale, analoga parabola si può segnalare nei rapporti fra Regioni ed enti locali.
 L’attuazione del principio di sussidiarietà da parte regionale doveva trovare in primo luogo negli statuti la sua prima generale affermazione. Ai nuovi statuti spettava infatti definire, come dice l’attuale art.123, oltre alla forma di governo i principi fondamentali di organizzazione e di funzionamento di ciascuna Regione e quindi anche del sistema amministrativo regionale o , come si suole denominare, il sistema regionale delle autonomie.
 E pur con vari accenti gli statuti varati ( manca fra l’altro ancora quello della Lombardia ) hanno posto a base della configurazione di tale sistema i principi costituzionali considerati.
 Al pari che nella legge n.131/03 più di uno statuto ha fatto propri in particolare i criteri sulla redistribuzione delle funzioni amministrative regionali per natura e dimensione delle stesse.
 E dove non si è giunti ancora a varare lo statuto sono stati predisposti documenti o progetti di legge a carattere generale, come in Lombardia, per delineare modi e forme di attuazione della sussidiarietà secondo la prospettiva costituzionale.
 Merita in particolare di essere segnalato come nelle Regioni speciali si possano riscontrare normative organiche adottate nell’esercizio della competenza esclusiva in tema di ordinamento degli enti locali di cui le Regioni speciali dispongono. Un esempio recentissimo è la legge n.1/2006 del Friuli-Venezia Giulia sul sistema Regione - enti locali che delinea in forma organica ed aggiornata il quadro dei rapporti fra Regione ed enti locali nella prospettiva del principio di sussidiarietà sotto il duplice profilo sostanziale e procedurale e del principio di leale collaborazione. Si veda anche la legge di riforma istituzionale in corso di approvazione da parte della Provincia Autonoma di Trento.
 Quanto peraltro le proposizioni degli statuti o degli altri atti a carattere generale nelle Regioni ordinarie siano stati ancora calati nel vivo e nella concretezza della legislazione di settore e di materia e si siano tradotti in una ricomposizione del sistema amministrativo è tutto da verificare.
 
 Alla stasi nell’attuazione del principio di sussidiarietà di adeguatezza e differenziazione ha senz’altro contribuito sotto il profilo sostanziale il ritardo nella definizione delle funzioni fondamentali degli enti locali che è apparsa essere la condizione preliminare per poter avviare l’azione regionale, rappresentando la cornice rigida entro cui si potranno muovere le Regioni.
 Vi concorrono anche le tradizionali difficoltà di rapporti fra Regioni ed enti locali che oggi sono in parte rinverdite dalla nuova configurazione dell’autonomia degli enti locali nella Costituzione e che talora emergono anche in giudizi di costituzionalità.
 Sembra che la tendenza sia piuttosto quella in favore di una rinnovata separazione che non quella verso un coordinamento partecipato e garantito fra autonomia regionale e locale.
 Si veda ad es. come nella citata bozza del decreto delegato per l’adeguamento del t.u.e.l. si preveda l’abrogazione degli attuali artt.4 e 5 del t.u.e.l. sul sistema regionale delle autonomie locali e sulla programmazione regionale e locale.
 Pare in generale difficile trovare un punto di equilibrio fra il ruolo e le prerogative regionali e quelle locali in un rapporto di necessaria complementarietà.
 Da un lato, il legislatore regionale ( come d’altronde quello nazionale ) fatica a trovare una misura nuova e diversa nella disciplina delle funzioni amministrative attribuite agli enti locali( i requisiti minimi di uniformità di cui parla l’art.4 della legge La Loggia ) in presenza della riserva ad essi spettante in base all’art.117 6° co. della potestà regolamentare sull’organizzazione e lo svolgimento delle funzioni amministrative loro attribuite.
 Dall’altro, vi è la difficoltà da parte delle autonomie locali di inserirsi in un sistema amministrativo regionale che deve essere, come quello nazionale, pensato e strutturato all’insegna della sussidiarietà e dei rapporti di complementarietà che ne conseguono.
 Tipiche prove di queste difficoltà le controversie sulla legittimità della previsione di poteri sostitutivi regionali che la Corte in una serie di sentenze (dalla n.43 del 2004 in poi) ha poi ammesso definendone i contorni organizzativi e procedurali entro un quadro apposito di responsabilità delle Regioni per il conseguimento degli obiettivi che sono chiamate a raggiungere.
 Così anche merita di essere segnalato come la Corte abbia richiesto ( sancendo una sorta di chiamata in sussidiarietà a favore della Regione ) la presenza di una funzione regionale in concorso con la competenza locale in campo urbanistico in ragione della dimensione oggettiva degli interessi curati ( sent. n.343/2005 ).
 Nello stesso tempo sotto il profilo procedurale gli statuti si sono limitati per ora a prevedere con norme di larga massima l’istituzione del Consiglio delle autonomie locali, ma si attendono ancora le leggi che ne consentano la concreta attivazione ( sebbene molte Regioni, dalla Toscana in poi, dispongano già di organismi che per composizione e competenze anticipano il Consiglio delle autonomie locali ).
 Vi è d’altronde ancora la mancata previsione dell’accesso diretto alla Corte costituzionale da parte degli enti locali nei confronti di leggi che ritengono lesive della loro autonomia, in particolare per il mancato rispetto del principio di sussidiarietà. E’ una carenza che sembra essere colmata da una disposizione della riforma della riforma (ove questa entri in vigore) e che ora è solo in parte temperata dalla previsione negli statuti regionali di consulte o altri organismi di garanzia statutaria, attivabili anche su richiesta degli enti locali e dei loro organismi rappresentativi, oltre che dagli appositi poteri di iniziativa riconosciuti agli stessi organismi rappresentativi nella legge La Loggia ai fini dell’accesso alla Corte (art.9).
 Resta tuttavia il fatto che, come per i rapporti fra Stato e Regioni, la fedele e completa applicazione del nuovo sistema dipende solo in parte da meccanismi di garanzia e di tutela come quelli giurisdizionali, ma dipende soprattutto da meccanismi di partecipazione e di codecisione fra le istituzioni interessate secondo la vocazione federale di cui è specchio e strumento il principio di sussidiarietà.
 
 
 

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