Stelio Mangiameli
 
Recensione a
A. D’Atena, Diritto regionale, Torino 2010
 
 
1.         Con il Suo “Diritto regionale”, Antonio D’Atena dona alla comunità scientifica e alla comunità degli studenti che si approcciano al regionalismo italiano, verosimilmente per la preparazione di un esame, un volume che solitamente si definisce un “manuale”, e cioè un “libro che riporta, con un funzionale criterio divulgativo e informativo, le nozioni fondamentali relative a una disciplina determinata” (Devoto-Oli).
Ora, chiunque abbia letto il Diritto regionale di D’Atena si accorge subito come l’opera sia difficilmente inquadrabile in questa definizione, non perché non vi sia lo sforzo da parte dell’Autore di prefigurarsi il lettore giovane e non pienamente esperto; anzi, proprio per questa prefigurazione, che traspare proprio dalla presentazione, il linguaggio dell’opera è stato calcolato – se così possiamo dire – pensando alle mani di chi avrebbe avuto maggiormente bisogno del libro.
Tuttavia, la definizione di “manuale” appare palesemente insufficiente a definire quest’opera. Non si tratta, infatti, di una produzione per la didattica che magari nel corso del tempo può essere rivista, come anche ambiziosi giovani pure di recente hanno fatto, costruendo con i diversi materiali dell’accademia un prodotto destinato al mercato degli studenti.
Siamo, invece, in presenza di un libro di sintesi magistrale delle ricerche di uno studioso – forse oggi il più eminente del panorama italiano ed uno dei più autorevoli di quello europeo – che da ben un quarantennio segue il regionalismo italiano in ogni suo aspetto e che ha preso parola su ogni vicenda che ha caratterizzato questa esperienza del nostro ordinamento.
Di conseguenza, in un percorso siffatto la stessa scrittura del manuale si realizza come una ulteriore parte della Sua ricerca.
Un libro del genere ben difficilmente può essere considerato un semplice prodotto per il mercato degli studenti.
Dietro non vi è solo la convinzione che è azzardato scrivere prematuramente un manuale di una disciplina particolarmente specialistica come il diritto regionale, ma anche l’idea che il manuale non è un prodotto oggettivo e asettico, bensì il più significativo contributo di uno studioso che di lui deve riflettere la personalità scientifica, nel comunicare idee ed informazioni, e che, perciò, richiede un accumulo di esperienza e di interiorizzazione delle conoscenze che necessariamente richiedono tempo e fatica.
 
 
2.         La diversità che caratterizza questo manuale è, perciò, la ricchezza scientifica, la personalità dell’impostazione, l’omogeneità dell’approfondimento e la continuità del metodo. Nel ringraziare Crisafulli e Sandulli, “Maestri – come Lui dice – alla cui scuola si è formato”, non vi è una mera clausola di stile, ma il riconoscimento per un insegnamento che si è seguito in modo convinto è che ha fruttato quel metodo sistematico di interpretazione della Costituzione e dei dati dell’ordinamento, in chiave positiva, si da consentire una valutazione giuridica compiuta degli accadimenti e dei comportamenti dei soggetti istituzionali impegnati nella vicenda del regionalismo italiano, primo fra tutti lo stesso giudice costituzionale, le cui decisioni non sono state accolte come un dato di fatto indiscutibile, ma sono state al contrario sempre valutate criticamente in relazione al dato costituzionale interpretato sistematicamente.
Questo metodo è stato coerentemente seguito nell’esame della vicenda regionale; il pensiero va alla monografia su L’autonomia legislativa delle Regioni del 1974 e agli scritti successivi che con piena coerenza hanno continuato nell’esame del regionalismo italiano.
Tuttavia, nel tempo una qualche variazione ha avuto anche il metodo: a me pare che si sia sviluppata una certa inclinazione al “realismo”, che ha permesso anche una certa comprensione delle aporie della realtà rispetto al dato formale; tanto più quando il dato formale perdeva aderenza rispetto alla realtà, per effetto del passaggio del tempo, o quando non conteneva sin dall’inizio una effettiva aderenza con la realtà, né quella fattuale, né quella dell’ordinamento; come è stato il caso di molte disposizioni del testo novellato del Titolo V.
Ne hanno beneficiato proprio le decisioni del giudice costituzionale, le cui soluzioni hanno trovato giustificazione nella necessità che il sistema si potesse razionalizzare – di qui il carattere realista degli assunti – a fronte di dati di difficile armonizzazione sul piano dell’interpretazione sistematica.
 
 
3.         È ovvio che questa inclinazione può essere spiegata in vario modo. Tuttavia, in questo caso, potrebbe derivare dalla circostanza che la riflessione sulla scrittura del manuale è avvenuta nel corso di un tempo in cui era entrato in crisi il modello di regionalismo nato dal disegno dell’Assemblea costituente e nel quale la classe politica italiana ha intrapreso uno sforzo di ridisegno dei livelli di governo e particolarmente di quello regionale: oggetto della riflessione sono perciò diventate non solo le disposizioni costituzionali in essere, ma anche quelle in divenire e, alla fine, quelle che con le leggi di revisione si sono definitivamente affermate.
Nel trattare gli argomenti D’Atena, in modo sintetico, ma non per questo meno efficace, ripercorre ogni punto dell’ordinamento regionale: l’origine della questione e le soluzioni cui l’ordinamento concreto era pervenuto, il travaglio della transizione, la formulazione nuova e definitiva, così offrendo di questa la comparazione con il passato ed esaminando anche le problematiche cui la nuova disposizione ha dato vita in questo decennio di applicazione.
Se si aggiunge anche lo sforzo di indicare al lettore la letteratura che si è accumulata in questo processo storico, il manuale diventa in questo modo la testimonianza della scienza giuridica italiana e si intuiscono in molti punti anche i momenti di dialogo e di confronto con altri studiosi, che sono serviti a pervenire alle soluzioni adottate le quali manifestano sempre la loro originalità.
 
 
4.         Tutto ciò risulta subito evidente non appena si apre il libro e si muove alla lettura del capitolo su Federalismo e Regionalismo. Chi ha avuto modo di seguire anche le Sue Lezioni di Diritto costituzionale, sa bene che da tempo questa riflessione comparativa tra le due formule era stata avviata, al fine precipuo di chiarire l’accoglimento del modello originale da parte della Costituzione italiana del 1947e soprattutto per verificare la diversità degli stessi regionalismi, compreso quello da realizzare dopo la revisione costituzionale, rispetto al quale le semplici movenze federali non possono indurre ad errori di qualificazione.
Attento studioso del federalismo e degli stati federali, D’Atena non indugia ad elogiare il cambiamento, ma mantiene fermo il punto che, anche dopo la revisione, nonostante l’uso diffuso del termine federalismo, il nostro resta un ordinamento regionale.
 
5.         L’Autore sottolinea come “il valore simbolico della nuova convenzione terminologica non (possa) sfuggire. Mediante essa si è inteso dare espressione alla volontà – all’ostentata volontà – di una radicale cesura con il precedente assetto regionale: un assetto che si sentiva inadeguato a dare risposta alle domande di autodeterminazione espresse da alcune tra le aree economicamente più sviluppate del Paese. Nel Federalismo si ravvisava la chiave per assorbire tensioni altrimenti suscettibili di mettere a rischio l’unità nazionale” (p. 70).
Una lucida affermazione alla quale segue una analisi della riforma altrettanto pregnante che sottolinea gli equivoci in cui si avvolge e marcatamente quello sullo Stato iperleggero: “È appena il caso di sottolineare – osserva – il carattere capitale della questione. È, infatti, evidente che, se funzioni che coinvolgono interessi unitari e non frazionabili non sono riservate al livello centrale, rischia di essere compromessa la possibilità stessa di costruire, attorno a un nucleo sufficientemente consistenti di diritti, una cittadinanza comune (con conseguentemente messa in pericolo della tenuta unitaria del sistema)” (p. 73).
 
 
6.         Questa chiarezza di analisi comporta una considerazione dei diversi elementi della riforma regionale: dal riparto delle competenze, alla specialità, all’asimmetria, ecc., tale da verificare la discrasia tra i progetti di riforma, anche di quelli successivi alla stessa revisione del Titolo V, e la realtà dell’ordinamento, con un progredire per frammenti che Gli fa affermare, conclusivamente, sulla nostra situazione: “Come si vede, quindi, almeno per quanto riguarda il regionalismo, il cantiere costituzionale italiano è ancora aperto” (p. 82).
 
 
7.         La stessa registrazione delle innovazioni apportate dalle riforme sin qui affermatesi non si limita a prendere atto dei cambiamenti intercorsi, ma questi sono misurati in considerazione del sistema che concorrono a comporre, attribuendo ad ogni elemento la qualificazione pertinente e sottolineando la validità, o meno, del cambiamento istituzionale realizzato.
Basti considerare, a tal riguardo, le modifiche costituzionali attinenti agli Statuti ordinari, per i quali già nel vigore del precedente Titolo V D’Atena aveva messo in evidenza limiti ed aporie rispetto alla funzione da queste fonti svolta nel modello del regionalismo italiano.
Ora, si mette in evidenza insieme alla nuova ampiezza e all’originalità della fonte, “l’opportuna discontinuità in materia di procedimento di formazione dello statuto” (p. 89), ma al contempo si esprime la fermezza dell’opzione regionalistica, dell’autonomia statutaria e non della competenza costituzionale.
Ciò non toglie, peraltro, che la collocazione della nuova fonte “statuto”, come di “un tipo a sé”, venga valorizzata in relazione al sistema costituzionale nel suo complesso.
“La rilevanza della conclusione non sfugge – afferma l’Autore – È, infatti, evidente che, se si riconduce lo statuto alla figura della legge regionale, il problema dei rapporti tra disciplina statutaria e la disciplina legislativa presenta difficoltà che, invece, non sussistono, se si riconosce la diversità formale degli atti. Solo a tale condizione, infatti, è sostenibile che lo statuto esplichi un vincolo giuridico nei confronti delle ordinarie leggi delle Regioni” (p. 94).
E in quest’ottica trova un soluzione originale, anche rispetto alla giurisprudenza costituzionale, ma adeguata alla nuova esperienza statutaria, la questione delle norme programmatiche e di principio inserite negli Statuti. Considerati ed esaminati puntualmente nelle loro formulazioni e qualificate come contenuto eventuale dello statuto, si avverte: “È vero che il legislatore statutario regionale può astenersi dal porli. Sembra, tuttavia, incontrovertibile che, se li pone (in modo, ovviamente, legittimo), essi non possano non condizionare l’esercizio delle competenze regionali: la loro violazione ridondando in violazione indiretta dell’art. 123 Cost. (rispetto al quale presentano, a tutti gli effetti, il carattere di norme interposte)” (p. 105).
 
 
8.         Considerazioni analoghe valgono anche per l’esame dell’autonomia legislativa regionale.
In particolare, qui, e poi anche per l’autonomia amministrativa, si avverte l’accoglimento in chiave di sistema costituzionale del principio di sussidiarietà. Anche in questo caso il pensiero corre alle Lezioni dove del principio in discorso si rinviene una trattazione originale in relazione ai suoi versanti orizzontali e verticali, ripresa ampiamente nel capitolo sull’autonomia amministrativa.
 
9.         Ebbene, nel manuale la visione sussidiaria applicata al riparto delle competenze – poi accolta, come è noto, anche dalla Corte costituzionale – è in grado di fare assumere all’assetto concreto delle competenze legislative una sistematicità che manca nel disegno originario, che deve fare i conti con l’erraticità delle collocazioni, con le incongruenze e con le dimenticanze, nonché con alcuni evidenti errori materiali, come nel caso dello spostamento, dalla competenza statale esclusiva, alla competenza concorrente, di materie dalla connotazione manifestamente nazionale: l’energia, le grandi reti di trasporto, ecc. e per le quali non manca neppure una certa ironia circa “l’impiego non sorvegliato dei comandi ‘taglia’ e ‘incolla’ del programma di videoscrittura usato” (p. 144).
Anche qui, inoltre, gli elementi di continuità, come quello della determinazione dei principi fondamentali inerenti alle competenze concorrenti delle regioni, sono evidenziati nel loro carattere sistemico e per la validità che conservano, o meno, nel nuovo modello; così come per le innovazioni si mettono in evidenza i tratti originali che introducono nuovi contenuti nell’ordinamento costituzionale.
 
 
10.       Non si può, con riguardo alla legislazione e ai vincoli incontrati, non considerare la lettura particolarmente innovativa dell’art. 117, comma 1, Cost., nella parte in cui si riferisce al tema degli obblighi internazionali e al vincolo che creano anche per il legislatore statale.
Riemerge qui lo studio pubblicato su Giurisprudenza costituzionale del 1967 sul dispositivo di adattamento automatico al diritto internazionale pattizio, tesi ampiamente minoritaria, ma estremamente rigorosa, il cui riferimento in questo caso viene ricollocato nella lettura del disposto dell’art. 117, comma 1, sistematicamente interpretato per essere utilizzato come parametro della legittimità delle leggi statali, oltre che di quelle regionali.
 
 
11.       L’esame potrebbe proseguire con i diversi ambiti come la valutazione dinamica delle regioni speciali, quella del sistema dei raccordi e dell’organizzazione delle regioni e, infine, quella delle relazioni tra le Regioni e l’Unione europea.
Il manuale conserva anche per queste tematiche i suoi pregi ordinatori con l’originalità della lettura sistemica, che rendono conto del regionalismo italiano in una prospettiva di carattere giuridico-dommatico e, al contempo, di efficace realismo politico e civile, giacché D’Atena spesso è stato richiesto, anche nelle vicende dell’ultimo decennio, di formulare ipotesi, di dare consigli e di approntare soluzioni per i diversi problemi.
Il manuale di diritto regionale consegna un contributo altissimo alla scienza del diritto costituzionale italiana e non solo, tale da collocare l’Autore tra i Maestri della nostra disciplina.

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